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Venezuela, torna la tensione con la Guyana

Il presidente della Guyana, Irfaan Ali, ha ordinato una mobilitazione delle forze aeree e navali come risposta all'incursione di una nave militare venezuelana in acque che considera sotto la sua sovranità, nei pressi di una piattaforma della transnazionale ExxonMobil. Il Ministero degli Esteri di Caracas ha risposto affermando che quella zona marittima è ancora contesa e che Georgetown non aveva alcun diritto di concederne lo sfruttamento petrolifero. Come c'era da aspettarsi, il Dipartimento di Stato Usa ha spalleggiato la posizione della Guyana e l'Organización de los Estados Americanos ha accusato Caracas di "minare la stabilità e minacciare i principi di convivenza pacifica".

L'appoggio di Washington a una delle parti in causa nella controversia è solo l'ultimo di una serie di passi volti a indebolire il governo Maduro. Rientra in questo quadro l'annuncio di pochi giorni prima di revocare la licenza per l'esportazione di greggio venezuelano concessa alla compagnia petrolifera Chevron. E in precedenza gli Stati Uniti avevano confiscato un aereo della República Bolivariana nell'aeroporto di Santo Domingo, con il pretesto della violazione delle sanzioni statunitensi, una decisione che Caracas aveva definito "un furto". Si interrompe così la breve tregua che a fine gennaio aveva visto la liberazione di sei cittadini statunitensi detenuti nelle carceri venezuelane e il rimpatrio di 366 migranti espulsi dal territorio Usa.

Tra le ragioni addotte da Trump per giustificare la revoca alla Chevron figurano naturalmente le accuse di brogli avanzate dall'opposizione in merito alle elezioni presidenziali del 28 luglio, che hanno visto la vittoria di Maduro. Una vittoria che gli Stati Uniti, come del resto Israele e l'Unione Europea, non hanno mai riconosciuto. Il 10 gennaio Nicolás Maduro ha giurato per il suo terzo mandato davanti all'Asamblea Nacional e a 120 delegazioni internazionali e la Fuerza Armada Nacional Bolivariana gli ha ratificato la sua lealtà. E questo nonostante nella Repubblica Dominicana il candidato sconfitto Edmundo González Urrutia, proclamatosi presidente eletto, avesse intimato agli alti comandi militari di "non obbedire agli ordini illegali" provenienti "da chi confisca il potere".

La debolezza dell'opposizione era apparsa chiara il giorno precedente l'insediamento: in piazza erano scese poche migliaia di persone anziché il milione di manifestanti che era stato promesso. Ed era durata poco la fake news sull'arresto di María Corina Machado, di cui non era stata presentata alcuna prova. In seguito il ministro dell'Interno, Diosdado Cabello, ha rivelato che prima della cerimonia di investitura erano stati scoperti e sgominati piani di attacco a installazioni militari e che la protesta del 9 gennaio avrebbe dovuto essere il segnale di una rivolta contro la República Bolivariana. (3/3/2025)

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a cura di Nicoletta Manuzzato