![]() |
Latinoamerica-online.it |
Il ritorno del golpismo in America Latina Dietro un’apparente tranquillità democratica i governi progressisti del continente sono sottoposti a continui tentativi di destabilizzazione. Dopo la grande speranza dell’inizio del millennio, quando l’America Latina mostrava ai popoli che un altro mondo era possibile, la destra è tornata al potere in diversi paesi e non lascia respiro a quelli non ancora allineati. E non a caso la statunitense Conservative Political Action Conference si è tenuta quest’anno a Buenos Aires, dove il presidente Milei ha accolto gli esponenti dell’internazionale reazionaria. Il posto dei tradizionali carri armati degli anni Settanta è stato preso dal golpismo istituzionale: le votazioni pilotate di Congressi a maggioranza di destra e soprattutto il lawfare, l’uso di una magistratura asservita ai settori più conservatori (non è un caso che molti membri del potere giudiziario latinoamericano si siano formati proprio negli Usa). Sono state così azzerate le esperienze progressiste dell’Honduras (2009, golpe contro Manuel Zelaya), del Paraguay (2012, destituzione di Fernando Lugo), del Brasile (2015, impeachment di Dilma Rousseff), della Bolivia (2019, Evo Morales costretto a dimettersi), del Perù (2022, arresto di Pedro Castillo dopo il suo maldestro tentativo di autogolpe). Per l’Ecuador non c’è stato bisogno di intervenire, grazie al tradimento di Lenín Moreno, diventato presidente grazie ai voti di chi credeva nella Revolución Ciudadana di Rafael Correa e poi autore di un clamoroso voltafaccia. Quanto all’Argentina, è bastata la campagna diffamatoria contro Cristina Fernández, costretta dalle accuse pretestuose a suo carico a rinunciare a una nuova candidatura presidenziale, lasciando la funzione di capo dello Stato alla sbiadita figura di Alberto Fernández (una gestione che spianerà la strada all’anarcocapitalista Milei). Ma Correa e Cristina fanno ancora paura: per questo il lawfare continua a tutto regime. Il primo non può tornare in patria, pena l’arresto (e quello che fu il suo vice, Jorge Glas, è detenuto in un carcere di massima sicurezza). Contro la seconda, già bersaglio nel 2022 di un attentato fallito per puro miracolo, in novembre è stata confermata la condanna a sei anni di prigione per corruzione (una causa già a suo tempo chiusa per mancanza assoluta di prove) e l’inabilitazione perpetua dai pubblici uffici. Rimane ancora la possibilità del ricorso in appello, ma la sentenza pesa come una spada di Damocle sulla ex presidente.
E i paesi che tentano una via diversa sono costantemente
sotto attacco. Cuba soffre da decenni un embargo spietato e rimane
inserita nella lista dei paesi patrocinatori del terrorismo. In Brasile Lula è tornato al governo dopo un periodo di detenzione dovuto a un chiaro caso di lawfare, che aveva aperto la strada alla presidenza di Jair Bolsonaro. Ma la destra non si arrende: lo ha recentemente rivelato l’inchiesta sul progetto eversivo messo in atto tra il dicembre 2022 e il gennaio 2023, che cercò di rovesciare il responso delle urne. Tra i piani dei golpisti c’era l’uccisione dello stesso Lula, del suo vice Geraldo Alckmin e del giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes. Tra gli arrestati per questo fallito golpe figura il generale a quattro stelle Walter Braga Netto, ex ministro della Difesa di Bolsonaro. Manovre eversive sono all’ordine del giorno anche altrove. In Honduras, dopo il narcogoverno di Juan Orlando Hernández, la presidente progressista Xiomara Castro ha intrapreso una strada coraggiosa con il ritiro dal Ciadi, il Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie sugli Investimenti Esteri. Questo organismo, istituito nel 1965 per risolvere i contrasti tra le nazioni e gli investitori stranieri, si è sempre pronunciato a favore di questi ultimi, che non esitano a denunciare uno Stato quando si sentono “defraudati” da leggi a favore dell’ambiente o dei lavoratori. Altro “peccato capitale” di Xiomara: la cancellazione della legge del 2013 che permetteva la creazione delle Zones for Employment and Economic Developments (le famigerate Zede), territori autonomi dal punto di vista legale e finanziario, dove non avevano valore le leggi nazionali, ma le regole imposte dalle corporazioni straniere lì insediate (e che naturalmente ora pretendono di essere rimborsate per i mancati guadagni). Infine la cancellazione del trattato di estradizione con gli Stati Uniti, dopo l’ennesima intromissione di Washington negli affari interni del paese. Non c’è da stupirsi dunque della minaccia di golpe denunciata in settembre dalla presidente, che ha fatto appello alla mobilitazione popolare. Decine di migliaia di persone hanno risposto scendendo in piazza al grido di “Xiomara, non sei sola”. Sempre in Centro America, il guatemalteco Bernardo Arévalo deve combattere quotidianamente contro un potere giudiziario che risponde al cosiddetto pacto de corruptos, la rete di politici di destra e di imprenditori che si avvale dell’opera della Procura facente capo a Consuelo Porras. È la stessa Procura che ha cercato nel 2023 di invalidare la vittoria elettorale di Arévalo: il tentativo non è riuscito, ma in dicembre la Corte Costituzionale ha respinto un ricorso del socialdemocratico Movimiento Semilla, cui appartiene il presidente, per bloccare una sentenza che lo invalidava. Il pretesto: una serie di firme false che sarebbero state presentate all’atto della costituzione come partito. Se la cancellazione verrà ratificata, Semilla non potrà partecipare alle prossime elezioni. Un altro bersaglio della destra è Gustavo Petro, il primo presidente progressista della Colombia. I suoi sforzi per riportare la pace nel paese, trattando con tutti i gruppi ancora in armi, proseguono tra alti e bassi, mentre sta cambiando in modo significativo la realtà sociale, soprattutto grazie all’importante riforma delle pensioni. Ma nel frattempo Petro deve evitare i tentativi di coinvolgerlo in denunce su presunti fondi illeciti per la sua campagna elettorale, pretesto per estrometterlo dalla carica. O addirittura schivare gli attentati alla sua vita. Uno di questi avrebbe dovuto avvenire in luglio, quando il capo dello Stato doveva presenziare alla sfilata militare per l’anniversario dell’indipendenza: fortunatamente il piano è stato scoperto in tempo. Non è al sicuro neppure la vicepresidente, Francia Márquez: contro la sua auto sono stati esplosi colpi d’arma da fuoco (lei non era a bordo) e lo stesso è avvenuto contro la vettura su cui viaggiava il padre, rimasto illeso. In settembre Petro ha avvertito di un nuovo allarme golpe davanti a migliaia di sostenitori, che hanno riempito le piazze per esprimere appoggio al gobierno del cambio. Anche la Bolivia è in preda a forti convulsioni. Lo si è visto in giugno con il golpe di alcune unità dell’esercito che, con i blindati, hanno occupato il centro di La Paz e abbattuto il portone del Palacio Quemado, sede del governo. Il coraggio del presidente Luis Arce, che ha affrontato i cospiratori intimando loro di ritirarsi, ha scongiurato il peggio. Ma le rivalità in seno al Movimiento al Socialismo tra Arce ed Evo Morales rischiano di indebolire la sinistra alle prossime elezioni e consegnare il paese alla destra. (27/12/2024)
|
a
cura di Nicoletta Manuzzato |