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Venezuela, dopo la rielezione di Maduro l'opposizione tenta il golpe Al termine della giornata elettorale del 28 luglio, trascorsa in relativa calma, il Consejo Nacional Electoral (cinque membri: tre rappresentanti della maggioranza e due dell'opposizione) ha annunciato i risultati parziali delle presidenziali proclamando la rielezione di Nicolás Maduro con il 51% dei voti. È stato come un segnale per scatenare le violente proteste dell'estrema destra, che da settimane vantava sondaggi ampiamente favorevoli (realizzati, secondo WikiLeaks, da un'agenzia legata alla Cia), al candidato della Plataforma Unitaria Democrática, l'ex diplomatico Edmundo González Urrutia. Quest'ultimo era sceso in campo poiché María Corina Machado, vincitrice delle primarie della coalizione, è inabilitata per quindici anni a ricoprire cariche pubbliche, per aver sollecitato "l'intervento militare straniero" al fine di "cacciare Maduro dal potere" e aver sostenuto le pretese dell'autoproclamato presidente Juan Guaidó (proprio tale inabilitazione è servita a Washington come principale pretesto per il totale ripristino delle sanzioni contro la Repubblica Bolivariana). Dopo quella di Machado, anche la candidatura di Corina Yoris, chiamata a sostituirla, non era stata registrata dalle autorità elettorali. Gli assalti di squadracce dell'opposizione a sedi istituzionali e a centri di votazione, accompagnati dall'appello all'intervento delle forze armate contro i presunti "brogli", hanno configurato un vero e proprio tentativo di colpo di Stato, come ha denunciato il presidente Maduro. Ma i militari venezuelani non si sono schierati dalla parte dei golpisti e Caracas ha risposto ai governi di destra della regione, che sulla scia degli Stati Uniti avevano riconosciuto la vittoria di González Urrutia, rompendo i rapporti diplomatici con Costa Rica, Panama, Repubblica Dominicana, Argentina, Perù, Uruguay e anche con il Cile, dopo che Boric aveva definito i risultati del Cne "poco credibili". Sul fronte opposto 109 associazioni di 107 diversi paesi hanno sottoscritto il 29 luglio una dichiarazione in cui si congratulano con il rieletto capo di Stato ed esortano la comunità internazionale "ad appoggiare il processo democratico venezuelano e a condannare i tentativi di destabilizzazione". Tra i firmatari l'Asociación Americana de Juristas, una ong con rappresentanza permanente presso le Nazioni Unite, che ha sottolineato come il processo elettorale si sia svolto "in condizioni di assoluta normalità, garantendo a tutta la cittadinanza l'esercizio del suo diritto costituzionale a emettere il voto". E si sono congratulati subito con Maduro i governi di Bolivia, Cuba, Honduras e Nicaragua. Non avallano le denunce di brogli avanzate dalla Pud il Brasile, la Colombia e il Messico, che hanno invitato ad attendere la pubblicazione degli atti ufficiali. In particolare López Obrador ha ammonito: "Nessun governo è autorizzato a emettere sentenze dando per perdente o vincitore un candidato di un altro paese". E ha criticato le ingerenze di alcuni paesi e dell'Organización de los Estados Americanos, secondo la quale il voto del 28 luglio aveva visto "la falsificazione più aberrante". Anche i dati resi noti il 2 agosto dal Consejo Nacional Electoral, terminato il controllo di quasi la totalità degli atti, hanno confermato il trionfo di Maduro con il 51,9% dei suffragi, mentre González Urrutia si è fermato al 43,1%. Nessuno degli altri otto candidati ha superato l'1,5%. Il ritardo nella divulgazione dei risultati è stato spiegato con una serie di "attacchi informatici da diverse parti del mondo". Ma le violenze dell'opposizione non si sono fermate: il bilancio degli scontri tra dimostranti e polizia è di 12 morti e 1.200 detenuti. Pacifiche invece le due grandi manifestazioni contrapposte del 3 agosto, che hanno visto come oratori da una parte Nicolás Maduro, dall'altra María Corina Machado. (4/8/2024) Articolo precedente: Scoperti cinque piani eversivi
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cura di Nicoletta Manuzzato |