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Messico, Ayotzinapa Vive I familiari e i compagni dei 43 studenti di Ayotzinapa scomparsi il 26 settembre 2014 sono tornati in piazza a quindici mesi da quella tragica notte. In corteo hanno attraversato la capitale, dallo Zócalo alla Basilica di Guadalupe, per chiedere il sostegno della Chiesa cattolica alla loro battaglia. Rappresentano il simbolo del Messico che resiste, che non si piega, pagando spesso per questo un prezzo altissimo. Quasi quotidianamente si registrano uccisioni di dirigenti sociali, difensori dei diritti umani, membri dei gruppi di autodifesa delle comunità. Tra le vittime più recenti il leader dell'Unión Campesina Obrera Popular Independiente Martín Negrete Rodríguez, assassinato a Irapuato (Stato di Guanajuato) il 19 dicembre. Negrete era noto per aver promosso la costruzione di alloggi popolari e per aver difeso i cittadini dagli abusi del potere. Il 7 novembre, in un agguato, erano stati feriti a Città del Messico tre militanti del Frente Nacional de Lucha por el Socialismo: erano reduci da una manifestazione per denunciare la morte, il 29 settembre in Chiapas ad opera di paramilitari, del loro compagno Héctor Sántiz López. Non si rassegnano neppure gli insegnanti in lotta contro la riforma dell'educazione, che accusano di voler liquidare diritti sindacali acquisiti. In occasione delle valutazioni dei docenti previste dalla nuova legge, in diversi Stati si sono registrati incidenti e scontri con le forze di sicurezza. L'episodio più grave è avvenuto l'8 dicembre in Chiapas, dove il maestro David Gemayel Ruiz è stato travolto e ucciso da un automezzo della polizia. E tra quanti sono in prima linea figurano i giornalisti: secondo i dati della Federación Latinoamericana de Periodistas relativi al 2015, in tutta l'America Latina e i Caraibi il Messico è il paese con il più alto numero di lavoratori dell'informazione assassinati o fatti sparire. 26/12/2015 |
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Paraguay, due giorni di sciopero generale È stato il secondo sciopero generale contro il governo Cartes. Due giorni di mobilitazione, il 21 e 22 dicembre, di operai, contadini, movimenti sociali per rivendicare aumenti dl salario, pensioni dignitose, riforma agraria e soprattutto maggiore libertà sindacale. Il riferimento è alla lotta degli autisti della linea 49 contro la direzione dell'impresa, di proprietà del deputato liberale Celso Maldonado, che non ha esitato a licenziare i lavoratori colpevoli di aver tentato di dar vita a un sindacato. Allo sciopero hanno aderito anche gli studenti, che chiedono la destinazione del 7% del prodotto interno lordo al settore dell'istruzione. Nei mesi scorsi liceali e universitari erano stati i protagonisti di massicce manifestazioni e occupazioni di atenei. In seguito alle loro denunce il rettore dell'Universidad Nacional de Asunción, Froilán Peralta, era stato costretto a dimettersi, per finire poi in carcere accusato di corruzione e intralcio all'indagine fiscale. I COLORADOS PERDONO ASUNCION. Mario Ferreiro, noto giornalista radiotelevisivo, è il nuovo intendente municipal (sindaco) di Asunción: è stato eletto a sorpresa il 15 novembre sconfiggendo Arnaldo Samaniego, candidato del Partido Colorado. Ferreiro, entrato in politica nelle file del Frente Guazú, in queste elezioni era sostenuto da Juntos Podemos, coalizione di forze d'opposizione tra cui il Partido Liberal Radical Auténtico e il Partido Revolucionario Febrerista. Secondo gli osservatori il risultato delle consultazioni, che ha visto i colorados perdere altre importanti amministrazioni locali, rappresenta un voto di castigo per le accuse di corruzione che hanno colpito numerosi esponenti del partito al potere. Il nuovo sindaco dovrà affrontare molti problemi, dal miglioramento dei sistema dei trasporti a quello della raccolta dei rifiuti. Ma soprattutto dovrà trovare una soluzione per le migliaia di persone che hanno dovuto abbandonare le loro case nel giugno-luglio del 2014, in seguito allo straripamento del fiume Paraguay. Interi quartieri posti lungo le rive furono coperti da acqua e fango: in poche ore gli abitanti persero tutti i loro averi e furono costretti a trovare riparo in ricoveri provvisori. A oltre un anno di distanza parecchie famiglie sono ancora lì, in condizioni igieniche precarie e senza prospettive immediate di un ritorno alla vita normale. 22/12/2015 |
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Haiti, voto rinviato a data da destinarsi L'incertezza regna ad Haiti: il Conseil Electoral Provisoire ha annunciato il 21 dicembre il rinvio, a data da destinarsi, del secondo turno delle presidenziali previsto per la domenica successiva. La sospensione del voto, che era stata chiesta dallo stesso Senato, fa seguito alla creazione di una commissione di valutazione elettorale decisa dal governo e trova favorevoli numerosi partiti e associazioni non governative, visto il clima di tensione esistente nel paese. L'opposizione ha denunciato brogli e irregolarità nelle consultazioni fin qui svolte e ha promosso mobilitazioni in diverse città. In molti casi le proteste sono sfociate in scontri tra manifestanti e polizia o tra membri di opposte fazioni, con un morto e numerosi feriti. Al ballottaggio per le presidenziali sono stati ammessi Jovenel Moïse, esponente del partito al potere, e Jude Célestin. Quest'ultimo respinge i risultati ufficiali perché, pur essendo il favorito nei sondaggi, nel primo turno avrebbe ottenuto il 25% dei suffragi contro il 32% del rivale. 21/12/2015 |
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Brasile, in piazza per difendere la democrazia Decine di migliaia di persone hanno invaso il 16 dicembre le strade di Rio de Janeiro, São Paulo, Brasilia e tante altre città, per dire no al tentativo di golpe istituzionale del presidente della Camera, Eduardo Cunha, e del Partido da Social Democracia Brasileira (con il sostegno tacito del vicepresidente Michel Temer). In piazza sono scesi in tanti, quasi triplicando i partecipanti ai cortei a favore dell'impeachment di Dilma Rousseff che si erano svolti la domenica precedente. In realtà le iniziative dell'opposizione stanno perdendo forza mentre cresce il discredito di Cunha, raggiunto da innumerevoli denunce per corruzione. Questi, nonostante da più parti si chiedano le sue dimissioni, è riuscito finora a rimanere al suo posto grazie ai ricatti e al controllo che esercita su molti deputati del proprio partito (teoricamente alleato del Pt e titolare di numerosi dicasteri). È stato proprio Cunha a sferrare l'attacco più pericoloso alla democrazia, annunciando il 2 dicembre di aver accettato la richiesta dell'opposizione di aprire un processo politico contro la presidente: l'accusa è quella di aver effettuato irregolarità fiscali per ritoccare i conti pubblici. Pochi giorni prima Rousseff aveva ricevuto un altro duro colpo con l'arresto del senatore petista Delcídio do Amaral, suo uomo di fiducia. Il nome di Amaral era emerso nelle indagini per lo scandalo Petrobras. "Combatterò contro questo processo perché non ho fatto nulla che giustifichi la sua apertura e perché ho un impegno con la popolazione che mi ha eletto", ha affermato con forza la presidente, aggiungendo: "È una battaglia in difesa della democrazia del paese. Non inganniamoci, quello che è in gioco sono le scelte politiche che abbiamo adottato negli ultimi tredici anni". All'indomani delle grandi manifestazioni contro il tentativo di colpo di Stato, una sentenza del Supremo Tribunal Federal ha annullato le manovre più infide di Cunha: nel caso la Camera approvasse l'apertura del processo politico, toccherà al Senato (dove Rousseff può contare su una più solida maggioranza) decidere se nel corso del procedimento la presidente dovrà lasciare la sua carica. Lo stesso giorno Rousseff ha ricevuto i dirigenti della coalizione Frente Brasil Popular, costituita in settembre da sindacati, partiti politici, movimenti sociali e personalità della sinistra per lottare contro l'offensiva reazionaria in corso. Artisti e intellettuali, guidati dal teologo Leonardo Boff, le hanno consegnato un manifesto in difesa delle istituzioni democratiche. E il giorno successivo Dilma Rousseff ha deciso di sostituire il ministro delle Finanze, Joaquim Levy, da tempo contestato per la sua politica di austerità, con Nelson Barbosa, più vicino alle posizioni di Lula. Del resto con i suoi drastici tagli Levy non era riuscito a contenere la crisi: l'inflazione ha ormai superato il 10% e la disoccupazione è in costante aumento. IL DISASTRO AMBIENTALE DEL RIO DOCE. Il più grande disastro ambientale nella storia del Brasile è accaduto nella zona rurale del comune di Barra Longa (Stato di Minas Gerais), Dove prima c'erano prati attraversati da un ruscello dalle acque limpide, ora c'è una laguna scura. Il 5 novembre la barriera, costruita dalla transnazionale Samarco per contenere le scorie prodotte dalla miniera di ferro, ha ceduto e milioni di metri cubi di residui tossici hanno ricoperto case e campi, provocando oltre venti vittime. La marea di fango, alimentata dalla pioggia, è arrivata al Rio Doce, mettendo in crisi l'approvvigionamento idrico di quasi 300.000 persone, e ha poi raggiunto l'Oceano Atlantico. E non contiene solo ferro e manganese mischiati ad acqua e sabbia, come sostengono i dirigenti della compagnia, ma anche arsenico, mercurio e piombo. Secondo gli esperti, l'inquinamento si ripercuoterà sull'ecosistema per decine di anni. 19/12/2015 |
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Colombia, raggiunto l'accordo sulle vittime Un altro importante passo verso la fine del conflitto: il 15 dicembre i rappresentanti delle Farc e del governo nei colloqui di pace all'Avana hanno fatto conoscere i termini dell'accordo sul delicato punto della riparazione alle vittime. Il patto è stato sancito dalla stretta di mano tra i capi delle due delegazioni: Iván Márquez e Humberto de la Calle. In base all'intesa, i membri della guerriglia e dell'esercito che riconosceranno le proprie responsabilità nell'attuazione di crimini, confessando la verità su quanto accaduto, saranno condannati non alla prigione, ma alla "restrizione effettiva della libertà" per periodi compresi tra i cinque e gli otto anni. Come ha sottolineato Márquez, si tratta del primo accordo che non si chiude "con un'amnistia generale per tutti i partecipanti al conflitto, ma con la creazione di una giurisdizione speciale per la pace con le competenze necessarie per conoscere tutte le violazioni dei diritti e soprattutto i colpevoli di tali violazioni". Un risultato "fondamentale", che "non solo ci riempie di allegria, ma ci dà anche più speranza", ha dichiarato a Página/12 Soraya Bayuelo, una delle dirigenti della delegazione dei familiari che ha partecipato direttamente agli incontri dell'Avana. E se la ricerca della verità verrà fatta eticamente, ha aggiunto Bayuelo, "si conosceranno non solo i responsabili diretti della guerra, ma quelli che la patrocinano e sarà allora che si farà giustizia". Nell'ambito di un accordo umanitario tra governo e Farc per la ricerca dei desaparecidos, si è svolta il 17 dicembre nei pressi di Villavicencio (dipartimento del Meta) la commovente cerimonia di consegna ai familiari dei resti di 29 persone. Erano state seppellite in fosse comuni come N.N. e solo ora è stato possibile restituire loro un nome. Ma è una goccia nel mare: secondo alcune stime, il conflitto avrebbe provocato quasi 90.000 scomparsi. ANCORA DELITTI POLITICI. Daniel Abril, dirigente del Congreso de los Pueblos, è stato assassinato a colpi d'arma da fuoco il 13 novembre a Trinidad, nel dipartimento di Casanare. Fortemente impegnato nella difesa dell'ambiente, Abril aveva denunciato a più riprese i danni ecologici provocati dalle imprese petrolifere che operano nella zona. In gennaio era stato ucciso un altro leader del Congreso de los Pueblos, Carlos Pedraza, il cui corpo era stato rinvenuto in una località isolata a una sessantina di chilometri dalla capitale. Pedraza era anche membro del Proyecto Nunca Más e del Movimiento de Víctimas de Crímenes de Estado. 17/12/2015 |
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Argentina, il commiato di Cristina Fernández Dalla mezzanotte del 9 dicembre Cristina Fernández non è più la presidente argentina. Lo ha deciso una sentenza della giudice María Servini de Cubría per dirimere la questione del passaggio dei poteri, anticipando di qualche ore la fine del mandato per venire incontro alla richiesta di Mauricio Macri di non ricevere le insegne del comando dall'odiata rivale. Dunque banda presidenziale e bastone di comando sono stati consegnati al nuovo capo dello Stato dal presidente provvisorio del Senato, Federico Pinedo. Nel suo discorso d'investitura Macri non ha fatto alcun annuncio concreto, limitandosi a ribadire generiche promesse di lotta alla corruzione, al narcotraffico e all'insicurezza, miglioramento dell'educazione e della sanità, riduzione a zero della povertà. Il giorno precedente in Plaza de Mayo, di fronte a decine di migliaia di persone, Cristina Fernández aveva tenuto un appassionato commiato rivendicando i progressi di dodici anni di mandato kirchnerista: "Possiamo guardare negli occhi Madres, Abuelas de Plaza de Mayo, Hijos, perché abbiamo dato risposta al richiamo storico di memoria, verità e giustizia. Possiamo guardare negli occhi i lavoratori per dire loro che non li abbiamo mai traditi. Possiamo guardare negli occhi i ricercatori scientifici e dire che abbiamo riconosciuto i loro diritti. Possiamo guardare negli occhi i lavoratori della stampa e dire che mai hanno avuto la libertà di cui hanno goduto durante il nostro governo. Possiamo guardare negli occhi commercianti, imprenditori e produttori, possiamo guardare negli occhi gli insegnanti, i pensionati, i giovani". E riferendosi al suo successore: "A Dio chiedo solo una cosa, che anche chi prende il nostro posto per volontà popolare, chi ha la responsabilità di condurre i destini della patria, tra quattro anni possa presentarsi davanti a una piazza come questa e dire a tutti gli argentini che può guardarli negli occhi". Intanto la squadra di governo presentata da Macri non fa che confermare il ritorno al neoliberismo: l'ex dirigente della JP Morgan, Alfonso Prat-Gay, alla testa del Ministero delle Finanze e come coordinatore di tutti i dicasteri economici; Juan José Aranguren, ex amministratore delegato della Shell Argentina, alla guida dell'area energetica; il radicale Oscar Aguad, soprannominato "l'impiegato di Clarín", titolare delle Comunicazioni (è da sempre strenuo oppositore della Ley de Medios). Il Ministero della Sicurezza è affidato a Patricia Bullrich, legata a fondazioni della destra repubblica statunitense e alla stessa Cia. Capo di gabinetto è Marcos Peña, considerato il cervello della vittoriosa campagna macrista. Agli Esteri è stata designata Susana Malcorra, attuale capo gabinetto del segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. Tra le sue prime dichiarazioni, l'ipotesi di un possibile accordo di libero commercio tra Argentina e Usa. Il nuovo governo di Buenos Aires ha invece annunciato che - visti i risultati del voto del 6 dicembre - non chiederà al Mercosur l'applicazione della "clausola democratica" contro il Venezuela. Mauricio Macri giunge alla presidenza accompagnato da decine di denunce che riguardano il periodo in cui governava la città di Buenos Aires: si va dalle intercettazioni telefoniche illegali alla truffa e all'arricchimento illecito, dall'abuso di autorità alla falsificazione di documenti pubblici. È inoltre accusato di aver creato per decreto una sorta di gruppo paramilitare, l'Unidad de Control del Espacio Público, incaricata di perseguire indigenti e senzatetto e allontanarli dalle strade. 10/12/2015 |
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Venezuela, l'opposizione conquista il Parlamento Come previsto l'opposizione riunita nella Mud, la Mesa de la Unidad Democrática, ha vinto le elezioni del 6 dicembre per il rinnovo dell'Asamblea Nacional. Ha conquistato infatti 109 deputati, cui si aggiungono i tre rappresentanti indigeni: con questa maggioranza dei due terzi è in grado di approvare riforme costituzionali. Il Gran Polo Patriótico, l'alleanza del Psuv e di altre organizzazioni progressiste, ha ottenuto 55 seggi. Smentendo quanti temevano il tentativo da parte ufficiale di nascondere la sconfitta, il presidente Maduro ha riconosciuto il trionfo degli avversari senza attendere il conteggio definitivo e ha assicurato che i parlamentari bolivariani difenderanno il Poder Popular e le conquiste sociali della Rivoluzione. Il voto si è svolto nella calma; non così la campagna elettorale, nel corso della quale due gravi episodi avevano visto l'uccisione di un dirigente della Mud, colpito al termine di un comizio nello Stato di Guárico, e di una militante bolivariana assassinata nello Stato di Miranda. Quest'ultimo omicidio era passato sotto silenzio nei media internazionali, che invece avevano ampiamente parlato della morte dell'esponente oppositore. Tra le cause di un risultato così negativo per la coalizione chavista vi è sicuramente la pesante crisi economica, innescata dal crollo del prezzo del petrolio e aggravata da casi di corruzione e inefficienza da parte del governo. Ma il risultato del 6 dicembre conferma soprattutto il successo della guerra economica e mediatica portata avanti per mesi dall'opposizione. La campagna della Mud, scrive Atilio Boron su Página/12, "non è stata fatta sul terreno elettorale, perché questo è uno spazio nel quale è stata sistematicamente sconfitta a partire dal trionfo del Comandante Hugo Chávez Frías nelle elezioni presidenziali del dicembre 1998. La sua tattica è stata un'altra: promuovere la scarsità programmata di articoli di prima necessità per scatenare in tal modo l'ira popolare contro l'esecutivo; scaldare la piazza attraverso provocazioni, terrorismo mediatico e disinformazione; stabilire legami e articolare azioni destabilizzanti all'interno del paese con l'aiuto del paramilitarismo sudamericano comandato da Alvaro Uribe Vélez dalla Colombia e contribuire a una campagna internazionale, di un'intensità e copertura raramente viste nella storia, per satanizzare il governo bolivariano". 8/12/2015 |
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L'Argentina svolta a destra Il ballottaggio del 22 novembre ha consacrato capo dello Stato il neoliberista Maurizio Macri, sostenuto dalla coalizione Cambiemos. Il tentativo del Frente para la Victoria di garantire una sostanziale continuità (pur nelle inevitabili differenze) dell'esperienza kirchnerista attraverso la candidatura di Daniel Scioli è naufragato per meno di tre punti percentuali. È la prima volta, da quando Hugo Chávez venne eletto nel 1998 presidente del Venezuela, che un governo progressista viene sconfitto elettoralmente nella regione. Eppure, sottolinea su Alai, América Latina en Movimiento il sociologo brasiliano Emir Sader, la gestione di Cristina Fernández "annoverava significativi progressi sociali, soprattutto se confrontati con il più grande arretramento sociale che il paese aveva vissuto nella crisi del 2001/2002. La stessa opposizione ha dovuto riconoscerlo, al punto che i suoi candidati si sono impegnati a mantenere i principali programmi sociali del governo. La rielezione di Cristina, nel 2011, con il 54% dei voti contro il 22% del principale candidato oppositore, consacrava i progressi conquistati e lo stile dell'esecutivo. Tuttavia negli ultimi anni questi progressi sono stati posti in questione specialmente per effetto dell'inflazione - del 25% all'anno - sul salario dei lavoratori. Al tempo stesso il controllo dei cambi produceva malumori in settori della popolazione, moltiplicati dalle campagne negative dei mezzi di informazione". Nonostante Macri abbia più volte fatto, in campagna elettorale, dichiarazioni rassicuranti su privatizzazioni e programmi sociali, il voto del 22 novembre rappresenta indubbiamente un cambiamento radicale. La prospettiva è quella di un ritorno agli anni del menemismo, con il mercato al primo posto e il riavvicinamento alle posizioni degli Stati Uniti. I segnali ci sono già: sul piano interno la prima misura annunciata è la svalutazione del peso, con le prevedibili conseguenze su salari e prezzi. Sul piano internazionale il nuovo capo di Stato intende seppellire definitivamente l'intesa con l'Iran, firmata nel 2013 per permettere qualche passo avanti nelle indagini sull'attentato all'Amia e mai entrata in vigore perché dichiarata incostituzionale. È deciso ad avvicinarsi all'Alianza del Pacífico e ad avanzare negli accordi con l'Unione Europea. E soprattutto ha annunciato di voler chiedere, agli altri soci del Mercosur, l'applicazione della "clausola democratica" contro il governo venezuelano, colpevole a suo dire di perseguitare gli oppositori. Ma l'elemento più preoccupante è l'atteggiamento tracotante degli ex repressori, che interpretano il cambio di governo come l'occasione tanto attesa per cancellare la politica dei diritti umani. In un editoriale pubblicato il giorno dopo il voto e intitolato "Basta vendetta", il quotidiano conservatore La Nación critica i processi contro i responsabili di crimini di lesa umanità ed esige la liberazione dei militari condannati. Immediate le reazioni di protesta: personalità della cultura e dello spettacolo ed esponenti di organismi umanitari hanno respinto il contenuto dell'articolo, che il Premio Nobel per la Pace, Pérez Esquivel, in una lettera aperta ha definito un'offesa al popolo argentino, alla sua memoria e alle vittime del terrorismo di Stato. Gli stessi giornalisti de La Nación si sono riuniti in assemblea per prendere le distanze dalle posizioni del direttore, Bartolomé Mitre. Nel suo mandato, Macri sarà affiancato dalla compagna di formula, la vicepresidente Gabriela Michetti, prima persona su una sedia a rotelle a entrare alla Casa Rosada (ha perso l'uso delle gambe in seguito a un incidente automobilistico). La gestione del paese non sarà comunque facile per la nuova coalizione al potere, che non può contare sull'appoggio del Congresso. Il Frente para la Victoria è infatti maggioranza al Senato e prima minoranza alla Camera. Il neoeletto presidente dovrà costruire di volta in volta alleanze in grado di sostenere le sue iniziative. 23/11/2015 |
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Haiti, elezioni tra astensionismo e brogli Le elezioni del 25 ottobre, primo turno delle presidenziali e delle municipali e secondo turno (dopo il 9 agosto) per il rinnovo della Camera e di due terzi del Senato, hanno registrato un'affluenza inferiore al 30% e sono state contrassegnate da molteplici denunce di brogli. Sono stati segnalati incendi di urne, chiusura prematura di seggi, tentativi di compravendita del voto, irregolarità nelle liste e nelle schede. Secondo le autorità elettorali, nel ballottaggio del 27 dicembre il successore di Michel Martelly sarà scelto tra Jovenel Moïse, del Parti Haïtien Tèt Kale attualmente al potere, e Jude Célestin, della Ligue Alternative pour le Progrès et l’Emancipation Haïtienne. Rimangono esclusi tra gli altri (i candidati erano ben 54) l'ex senatore Moïse Jean-Charles, del raggruppamento Pitit Desalin, e Maryse Narcisse, di Fanmi Lavalas (il partito di Aristide). Migliaia di persone sono scese in piazza a più riprese a Port-au-Prince e nelle altre principali città per contestare i risultati ufficiali e per chiedere la costituzione di una commissione elettorale indipendente. In alcuni casi le manifestazioni sono state attaccate e disperse dalla polizia, che ha fatto ricorso a gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Prima del voto si erano registrati numerosi episodi di violenza soprattutto nel grande agglomerato di Cité Soleil (nel nord della capitale) dove una quindicina di persone erano rimaste uccise. Secondo una ricostruzione si sarebbe trattato di scontri tra bande rivali, legate a candidati in lotta per il controllo di questo importante bacino elettorale. Un'altra versione parla dell'intervento brutale di un'unità speciale della Pnh, la Police Nationale d’Haïti. Il 14 ottobre il Consiglio di Sicurezza dell'Onu aveva approvato un ulteriore prolungamento del mandato della Minustah fino al 15 ottobre 2016. 18/11/2015 |
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Colombia, la pace è più vicina? Sono ripresi il 3 novembre all'Avana i colloqui di pace tra i rappresentanti del governo e delle Farc: l'obiettivo è quello di giungere a un accordo entro il 23 marzo. Tra i punti sul tappeto l'avvio di una tregua bilaterale come preludio della definitiva pacificazione. A fine ottobre il presidente Santos aveva prospettato l'ipotesi di un cessate il fuoco bilaterale a partire da capodanno e la guerriglia aveva rilanciato proponendo il 16 dicembre. Qualche giorno prima, nella capitale cubana, membri del Congresso colombiano si erano incontrati con la delegazione guerrigliera per discutere gli strumenti legislativi con cui suggellare il patto. Secondo i parlamentari (e il governo) i termini dell'intesa dovrebbero essere sottoposti a referendum; le Farc chiedono invece la convocazione di un'Assemblea Costituente. Un altro tema scottante riguarda la "giurisdizione speciale" della fase di transizione, che dovrà giudicare quanti - insorti o militari - commisero crimini durante il lungo conflitto. Il documento sottoscritto dalle parti e presentato il 23 settembre all'Avana, alla presenza di Raúl Castro, è stato l'occasione per una storica stretta di mano tra il presidente Santos e il leader delle Farc, Timochenko. Alcuni punti dell'accordo sono però ancora oggetto di discussione, in particolare la possibilità o meno di amnistiare i reati di sequestro, la portata delle garanzie di fronte alle estradizioni e il trattamento riservato agli agenti dello Stato. Il processo di pace insomma prosegue tra alti e bassi. Il 17 ottobre è stato annunciato un ulteriore passo avanti sulla strada del dialogo: sia il governo che gli insorti si sono impegnati nell'azione di ricerca e identificazione dei resti delle migliaia di persone scomparse nel corso del conflitto; a questo scopo sarà creata anche un'unità speciale di carattere extragiudiziario. Nel frattempo però la tregua proclamata dalle Farc viene messa a rischio - denunciano gli stessi guerriglieri - dalle continue operazioni dell'esercito. Proprio questo cessate il fuoco unilaterale ha consentito comunque, il 25 ottobre, lo svolgimento delle elezioni locali in un clima di insolita calma. Nella capitale, che aveva conosciuto tre amministrazioni consecutive di sinistra, si è imposto Enrique Peñalosa (Equipo por Bogotá, centrodestra); a Medellín l'indipendente Federico Gutiérrez (Movimiento Creemos) ha sconfitto il candidato uribista Juan Carlos Vélez. UCCISA GIORNALISTA SCOMODA. La mattina del 10 settembre a Pitalito, dipartimento di Huila, la giornalista Flor Alba Núñez Vargas stava entrando nella sede dell'emittente La Preferida per preparare il notiziario, da lei diretto. Un uomo, il volto coperto con un casco da motociclista, le si è avvicinato e ha aperto il fuoco uccidendola. Flor Alba Núñez, che lavorava anche per alcune televisioni locali, era già stata minacciata per le sue inchieste scomode sul mondo della droga. 3/11/2015 |
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Nicaragua, proteste contro il canale Migliaia di contadini hanno manifestato per le strade di Managua contro la costruzione del grande canale interoceanico. Ne sono nati scontri con sostenitori del presidente Ortega e una dozzina di persone sono rimaste ferite. Gli oppositori affermano che il progetto provocherà l'espulsione dalle proprie terre di quasi 30.000 persone e danneggerà gravemente l'ambiente, in particolare le risorse idriche. E secondo alcuni organi di stampa, in base al contratto l'impresa costruttrice Hknd, del miliardario cinese Wang Jing, non sarebbe tenuta a rispondere di eventuali catastrofi economiche o ecologiche. Ultimati i lavori, il consorzio cinese amministrerà il canale per cinquant'anni (prorogabili per altri cinquanta). Il costo dell'opera, che attraverserà tutto il paese estendendosi per 278 chilometri (quello di Panama ne misura 77), si aggirerebbe sui cinquanta miliardi di dollari. Il governo sostiene che il progetto creerà posti di lavoro, stimolerà gli investimenti e porterà divise estere. Ma i critici contestano la poca trasparenza dei termini dell'accordo con il gruppo Hknd e la mancata consultazione della popolazione interessata. "Risulta deplorevole e irritante - scrive l'editoriale de La Jornada - che un governo composto da un'organizzazione che un tempo fu progressista, nazionalista e di sinistra si guadagni oggi l'appellativo di vendepatrias per la sua ostinazione nell'imporre un'opera nel più puro stile neoliberista: ledendo l'integrità territoriale del paese, negoziando alle spalle della società, ignorando le voci qualificate di quanti segnalano i pericoli e gli svantaggi del piano e incoraggiando la divisione della cittadinanza per portare avanti a ogni costo un affare privato". 29/10/2015 |
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Cuba, ennesima condanna all'embargo Usa La prima votazione all'Assemblea Generale dell'Onu sul blocco statunitense a Cuba dopo il ristabilimento dei rapporti diplomatici tra i due paesi ha riproposto l'isolamento Usa (affiancato solo da Israele). 191 nazioni si sono pronunciate per la fine dell'embargo e questa volta - a differenza degli anni precedenti - non si è registrata alcuna astensione. Nel corso di una conferenza stampa dopo il voto il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, ha dichiarato: "Ancora una volta vogliamo ringraziare quanti hanno mostrato il loro appoggio al nostro popolo. Ricordiamo che, poiché il blocco contro Cuba è un atto unilaterale, deve essere annullato unilateralmente. Solo gli Stati Uniti, il suo governo e il suo Congresso possono eliminarlo". Rispondendo alle domande dei giornalisti, Rodríguez ha poi sottolineato: "Dal 17 dicembre non c'è stato alcun provvedimento per levare il blocco. Diverse settimane fa il presidente statunitense ha prorogato una legge del 1917 che si applica solo a Cuba e sono state comminate sanzioni a imprese per aver commerciato con Cuba". Il ministro ha comunque ribadito la volontà dell'Avana di proseguire le relazioni con Washington. 27/10/2015 |
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Argentina, Scioli e Macri al ballottaggio Per conoscere il nome del successore di Cristina Fernández alla suprema carica dello Stato si dovrà attendere il secondo turno, fissato per il 22 novembre. Contrariamente alle aspettative Daniel Scioli, del Frente para la Victoria, non è riuscito a evitare il ballottaggio: lo segue da presso il neoliberista Mauricio Macri, candidato di Cambiemos (alleanza composta da Coalición Cívica, Unión Cívica Radical e Propuesta Republicana), che ha ottenuto risultati superiori a quelli pronosticati dai sondaggi. E Cambiemos ha anche conquistato a sorpresa, con María Eugenia Vidal, il governo dell'importante provincia di Buenos Aires. Al terzo posto nelle presidenziali il peronista dissidente Sergio Massa con la coalizione Unidos por una Nueva Alternativa, seguito a distanza da Nicolás del Caño (Frente de Izquierda y de los Trabajadores), da Margarita Stolbizer (Progresistas) e da Adolfo Rodríguez Saá (Compromiso Federal). Secondo molti commentatori il dato deludente di Daniel Scioli si deve alla sua distanza dal proyecto kirchnerista. Sostiene Alfredo Serrano Mancilla: "Tutti i giudizi sulla politica K e sulla presidente negli ultimi mesi erano stati molto positivi (sopra il 50%). Tant'è vero che la tattica elettorale dell'opposizione non è stata caratterizzata dallo scontro. La campagna non è stata centrata né sulla nazionalizzazione di Ypf, né su Aerolíneas Argentinas, né sulla ristrutturazione vincente del debito estero, né sulle politiche pubbliche a garanzia dei diritti sociali. Scioli ha tentato di capitalizzare tutto questo, ma non ha potuto. Ha cercato di essere la candidatura del progetto, ma non ci è riuscito. Troppa differenza tra il candidato e il progetto. Scioli non si scrive con la K". Già in agosto Gisela Brito scriveva: "Sebbene il kirchnerismo abbia un'origine e un'appartenenza indiscussa al peronismo, dodici anni di governo con una propria impronta e con forti leadership presidenziali, soprattutto di Cristina Fernández, sono andati formando un'identità politica con caratteristiche proprie come la politica dei diritti umani, la politica regionale e internazionale e il ruolo della gioventù". Scioli è ben lontano da questa identità: dalla presidente lo divide non solo lo stile, ma la sostanza. Chiunque sia il vincitore in novembre, per l'Argentina si prospetta un cambiamento. 26/10/2015 |
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Guatemala, un ex comico alla guida del paese Il nuovo presidente del Guatemala è l'ex comico televisivo Jimmy Morales, candidato del raggruppamento di destra Frente de Convergencia Nacional, che al ballottaggio del 25 ottobre ha ottenuto il 67% dei voti. La sua avversaria, la socialdemocratica Sandra Torres (Unidad Nacional de la Esperanza), si è fermata al 32%. A garantire la vittoria di Morales è stata probabilmente la sua condizione di outsider della politica, in un clima di generale sfiducia dell'elettorato verso i partiti tradizionali dopo lo scandalo e l'arresto del precedente capo dello Stato, Pérez Molina, e della sua vice, Roxana Baldetti. Inutilmente Torres, ex moglie di Alvaro Colom che governò il paese dal 2008 al 2012, aveva ricordato i legami di Morales con i veterani delle forze armate protagonisti della sanguinosa guerra civile del 1960-96 (200.000 morti e 40.000 desaparecidos, in gran parte per mano dei militari). Dopo le proteste contro la corruzione che hanno mobilitato negli ultimi mesi migliaia di persone, tornano dunque al vertice dello Stato, sia pure con facce nuove, gli stessi gruppi di potere. E buona parte degli elettori non si è riconosciuta in nessuno dei due candidati: dal 71% di affluenza alle urne registrata il 6 settembre, data del primo turno, si è scesi in ottobre al 56%. UCCISO CONSIGLIERE NEOELETTO. Rigoberto Lima Choc, maestro di scuola e neoeletto consigliere comunale di Sayaxché (dipartimento del Petén), è stato assassinato il 18 settembre da due sicari in moto che hanno aperto il fuoco contro di lui. Lima Choc era stato il primo a denunciare e documentare l'avvelenamento delle acque del fiume La Pasión, provocato dagli sversamenti di un pesticida usato dalla Repsa, impresa di coltivazione della palma. Il disastro ecologico aveva colpito oltre venti comunità, ma intimidazioni e minacce avevano indotto al silenzio gli abitanti. Lo stesso giorno dell'omicidio, tre difensori dei diritti umani sono stati sequestrati per alcune ore da dipendenti della Repsa, che protestavano per la decisione della giudice Karla Hernández di bloccare l'attività dell'azienda fino al termine delle indagini sull'inquinamento. 26/10/2015 |
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Perù, un volto nuovo per la sinistra Verónika Mendoza, parlamentare di 35 anni e leader del Movimiento Sembrar, è la candidata del Frente Amplio per le elezioni presidenziali dell'aprile 2016. Ha vinto infatti le primarie della coalizione di sinistra sconfiggendo l'ex sacerdote Marco Arana, dirigente del principale partito del Frente, Tierra y Libertad. L'affermazione di Mendoza, che ha ottenuto l'appoggio dei giovani e le simpatie dell'elettorato della capitale, è stata prontamente riconosciuta da Arana, che ha dichiarato: "Sono state elezioni limpide, trasparenti e giuste". Se la sinistra presenta un volto nuovo, non altrettanto si può dire per le altre forze politiche, che schierano nomi già noti e spesso ampiamente screditati: da Keiko Fujimori (la figlia del dittatore) all'ex ministro dell'Economia Kuczynski, agli ex presidenti Alan García e Alejandro Toledo. A questi va aggiunto il leader di Alianza Para el Progreso César Acuña, ex governatore regionale de La Libertad, accusato di corruzione nonché di violenza familiare: in un video fatto circolare nel 2013 illustrava, come strategia per giungere al potere, la distribuzione di pacchi di viveri in cambio di voti. Per quanto riguarda il candidato del partito di governo, il generale a riposo ed ex ministro dell'Interno Daniel Urresti, è sotto processo per l'uccisione del giornalista di Caretas Hugo Bustíos, avvenuta nel 1988 quando l'allora capitano Urresti era a capo dei servizi segreti nella zona di Ayacucho. DUE CONTADINI UCCISI NEL DISTRETTO DI PUQUIO. Due contadini sono stati uccisi e altre dieci persone sono rimaste gravemente ferite nel distretto di Puquio (dipartimento di Ayacucho), nel corso di una manifestazione contro l'attività dell'impresa mineraria Exploraciones Andinas. I dimostranti, che protestavano per l'inquinamento dell'acqua e la diminuzione della riserva idrica, sono stati accolti dagli spari della polizia e del personale di guardia della miniera. 22/10/2015 |
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Nicaragua, la polizia contro i minatori Non si attenua la tensione a Mina El Limón, nel dipartimento di León, dopo il violento intervento della polizia all'alba del 17 ottobre per stroncare una protesta sindacale. Secondo numerose testimonianze, gli agenti sono penetrati nell'abitato sparando gas lacrimogeni e proiettili di gomma in maniera indiscriminata. Tre giorni dopo un gruppo di donne è stato respinto dai poliziotti in assetto antisommossa mentre tentava di bloccare gli autobus che trasportavano gli impiegati e una decina di operai alla miniera d'oro El Limón (di proprietà della canadese B2Gold). In un comunicato l'impresa ha plaudito all'azione repressiva, che ha ristabilito l'ordine istituzionale "per il benessere degli 11.000 abitanti del Distretto Minerario e per quello della B2Gold". I minatori di El Limón erano scesi in lotta in settembre per chiedere il reintegro di tre leader sindacali licenziati dalla compagnia. Il 6 ottobre duri scontri con le forze di polizia avevano provocato molti feriti e la morte di un agente. Ma il conflitto era in corso già da maggio, quando la transnazionale aveva annunciato il taglio dell'elettricità alla comunità, violando uno degli impegni assunti al momento di ottenere la concessione. 20/10/2015 |
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America Latina, accordo raggiunto sul Tpp Dopo anni di trattative condotte in segreto, i ministri del Commercio di dodici paesi dell'area del Pacifico hanno raggiunto un accordo sul Tpp, il Trans-Pacific Partnership, il trattato commerciale che riduce le barriere doganali e stabilisce standard comuni nel campo del lavoro e dell'ambiente. Le nazioni firmatarie sono Messico, Perù, Cile, Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Brunei, Malesia, Singapore e Vietnam, che insieme rappresentano circa il 40% dell'economia mondiale. L'accordo dovrà ora essere ratificato dai Parlamenti dei singoli paesi. Tra i punti più controversi figurano le norme sulla proprietà intellettuale e sui brevetti dei farmaci e la facoltà per le imprese di citare in giudizio uno Stato quando considerino che i loro interessi sono pregiudicati da qualche provvedimento, elemento quest'ultimo che riduce fortemente la sovranità nazionale. Tutti i governi coinvolti hanno però sorvolato sulla questione, salutando invece - come ha fatto il presidente messicano Peña Nieto - le "maggiori opportunità di investimento e di impiego ben remunerato" che verrebbero garantite a imprenditori e lavoratori. Ma il Tpp non ha solo uno scopo economico: nelle intenzioni degli Stati Uniti, di gran lunga il membro più potente, rafforzerà il peso di Washington nell'area del Pacifico, indebolendo quello di Pechino. Lo stesso Barack Obama ha precisato il vero obiettivo del trattato: "Non possiamo permettere che paesi come la Cina scrivano le regole dell'economia globale". Già due anni fa il cileno Carlos Furche, attuale ministro dell'Agricoltura, segnalava: "Non si tratta di un'iniziativa politicamente neutrale. La partecipazione al Tpp presuppone l'adesione a una strategia più globale di contenimento e bilanciamento dell'influenza cinese nella regione asiatica, promossa dagli Usa". DA TIQUIPAYA PER PARIGI. Si è svolta a Tiquipaya (dipartimento di Cochabamba, Bolivia), dal 10 al 12 ottobre, la seconda Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climático. L'incontro, inaugurato dal presidente Morales, ha visto la partecipazione di circa duemila delegati di cinque continenti. Erano presenti tra gli altri i capi di Stato del Venezuela e dell'Ecuador e il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. I lavori si sono conclusi con l'approvazione della Declaración de Tiquipaya 2015, da presentare alla Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima che si terrà a Parigi in dicembre. Tra i punti del documento: il rafforzamento dei sentieri del Vivir Bien alternativi al capitalismo, il riconoscimento universale dei diritti della Madre Terra, la creazione di un Tribunale Internazionale di Giustizia Climatica e il pagamento del debito climatico, sociale ed ecologico dei paesi industrializzati verso i popoli e i paesi in via di sviluppo. 12/10/2015 |
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Messico, "Siamo tutti Ayotzinapa!" "Non vediamo la tragedia dei 43 come un episodio isolato, ma come un modello di ciò che accade in Messico", ha dichiarato il 2 ottobre in una conferenza stampa Rose-Marie Belle Antoine, presidente della Cidh, la Comisión Interamericana de Derechos Humanos. Un'affermazione subito contestata dal funzionario di Gobernación (Ministero dell'Interno) Roberto Campa, per il quale "il caso di Ayotzinapa è una situazione straordinaria". I numeri gli danno decisamente torto: si calcola che dal 2006 siano scomparse nel nulla 25.000 persone. Eppure un mese prima Peña Nieto, nel suo terzo informe di governo, aveva preferito sorvolare su questa drammatica realtà, parlando di un anno "difficile" e di "avvenimenti deplorevoli". Nel corso del suo governo si è approfondita non solo la crisi economica, ma quella politica e morale. La coraggiosa lotta dei genitori e dei compagni dei 43 giovani ha aperto uno squarcio sul Messico reale, il paese dell'impunità e della corruzione di polizia ed esercito, delle fosse clandestine e dei legami tra politica e narcotraffico. Il rapporto del Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes della Cidh su Ayotzinapa, presentato agli inizi di settembre, ha inferto un colpo mortale alla credibilità della versione ufficiale. Nelle circa cinquecento pagine della relazione si respinge la ricostruzione dell'ex procuratore generale Murillo Karam sulla morte degli studenti: in particolare si segnala che i corpi non sono stati bruciati nella discarica di Cocula, come frettolosamente asserito dagli investigatori. Gli esperti evidenziano le inconsistenze, gli errori, le omissioni e gli occultamenti di prove da parte degli inquirenti e chiedono l'avvio di ulteriori indagini su nuove basi. Posizione ribadita dal Comitato dell'Onu contro le Sparizioni Forzate, che ha invitato il governo messicano a permettere agli esperti della Cidh di interrogare i militari di stanza a Iguala la notte dell'attacco (la richiesta è finora caduta nel vuoto). A metà settembre gli specialisti di Innsbruck hanno annunciato di aver rinvenuto, nei resti provenienti da Cocula, il Dna di un altro giovane, Jhosivani Guerrero de la Cruz: il suo nome si aggiunge a quello di Alexander Mora Venancio, identificato nel dicembre 2014. Questa seconda individuazione, scientificamente meno sicura della precedente, non è stata però accettata dai genitori degli scomparsi, ancora attaccati alla speranza di ritrovare vivi i loro figli. ll 23 settembre i familiari hanno iniziato uno sciopero della fame nello Zócalo della capitale. Il giorno successivo sono stati ricevuti dal presidente Peña Nieto, ma l'incontro è terminato con un nulla di fatto: tutte le loro richieste, volte a garantire una vera svolta nelle indagini, sono state respinte dal capo dello Stato. Il 26, primo anniversario della tragedia, di fronte a decine di migliaia di manifestanti i genitori hanno ribadito con forza l'intenzione di non abbandonare la battaglia: "Non permetteremo che il caso venga chiuso, come ha tentato di fare in mille modi questo governo". La risposta della piazza era implicita negli slogan urlati dai dimostranti: "Non siete soli, non siete soli!", "Siamo tutti Ayotzinapa!", "Fuori Peña!" Parole d'ordine ripetute il 2 ottobre, anniversario del massacro di Tlatelolco, nel corso del corteo che ha visto unite due generazioni di studenti: quella del '68 e quella attuale. CERCAVA FOSSE CLANDESTINE: ASSASSINATO. "Un cimitero": così Miguel Angel Jiménez Blanco, leader dell'Unión de Pueblos y Organizaciones del Estado de Guerrero, aveva definito i dintorni di Iguala. Il clamore suscitato dalla vicenda dei 43 giovani aveva indotto lo scorso anno tante famiglie a superare il timore di rappresaglie e a trovare il coraggio di denunciare la scomparsa dei loro cari. Miguel Angel Jiménez aveva contribuito alla formazione di un gruppo (composto soprattutto da donne) impegnato nella ricerca degli studenti di Ayotzinapa e di tutti gli altri desaparecidos della zona. Setacciando le aree montagnose nei pressi della città, in cerca di tracce che portassero all'individuazione di fosse clandestine, il gruppo aveva già riportato alla luce 129 corpi. Un'attività che probabilmente dava fastidio alla criminalità organizzata e ai suoi complici nelle istituzioni: l'8 agosto Jiménez Blanco è stato assassinato da sicari ad Acapulco. 2/10/2015 |
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Perù, quattro morti nella protesta contro la miniera Ancora una volta alla lotta delle comunità in difesa del territorio il governo risponde con la repressione, lo stato d'emergenza e l'invio dell'esercito. È accaduto nelle province di Cotabambas e Grau (dipartimento di Apurímac, uno dei più poveri del Perù), dove duri scontri tra abitanti della zona e forze di sicurezza hanno portato al pesante bilancio di quattro morti, decine di feriti e una ventina di arrestati. Al centro della protesta la grande miniera di Las Bambas, che dovrebbe entrare in funzione l'anno prossimo producendo circa 400.000 tonnellate di rame all'anno (oltre a oro, argento e molibdeno). Il 25 settembre era stato proclamato uno sciopero a tempo indeterminato contro la decisione del consorzio cinese, proprietario di Las Bambas dal 2014, di modificare il progetto originario (che le comunità avevano approvato) senza indire una nuova consultazione degli abitanti. Il 28 scoppiavano i primi incidenti, proseguiti con minor violenza il giorno successivo. La popolazione contesta in particolare la scelta di spostare a Cotabambas la costruzione dell'impianto per la lavorazione del molibdeno, inizialmente prevista in una località nel Cuzco: teme che questo significhi inquinamento atmosferico e ripercussioni sull'approvvigionamento idrico, per la grande quantità d'acqua necessaria al funzionamento dei macchinari. 29/9/2015 |
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Cuba, la visita di papa Bergoglio Con la visita a Cuba (19-22 settembre) papa Francesco ha suggellato il successo della sua mediazione nel riavvicinamento tra Washington e l'Avana. Ed è stato questo il tema su cui è tornato a insistere nel suo primo messaggio, definendolo "un segno della vittoria della cultura dell'incontro, del dialogo". Alla vigilia dello storico viaggio il segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, aveva ricordato l'appoggio costante della Santa Sede, nell'Assemblea Generale dell'Onu, alla richiesta di revoca dell'embargo (quasi nelle stesse ore gli Stati Uniti, che si preparavano a ricevere il pontefice, mitigavano alcune delle restrizioni all'invio di rimesse e al commercio con l'isola). Due i momenti più rilevanti della visita di Bergoglio. Innanzitutto la messa nella grande Plaza de la Revolución, di fronte a 200.000 persone. Nell'omelia il papa ha parlato della necessità di servire gli altri, sottolineando: "Il servizio non è mai ideologico, poiché non si servono le idee, ma le persone". Al termine ha ricordato la Colombia e in particolare il negoziato tra Farc e governo di Bogotá in corso proprio all'Avana, ammonendo: "Non abbiamo diritto a permetterci un altro fallimento in questo cammino di pace e di riconciliazione". Il secondo importante momento è stato l'incontro con Fidel Castro, con cui il pontefice si è intrattenuto amichevolmente. Anche il colloquio con il presidente Raúl è stato improntato a grande cordialità. Nel complesso un bilancio positivo per il governo cubano, che per l'occasione aveva concesso l'indulto a 3522 detenuti (il provvedimento più ampio dal trionfo della Rivoluzione). Insoddisfatti invece gli anticastristi, che speravano in qualche riferimento critico di Bergoglio alla politica dell'Avana. 22/9/2015 |
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Venezuela, verso una soluzione della crisi con Bogotá È calata la tensione tra Caracas e Bogotá dopo la riunione del 21 settembre a Quito tra il presidente venezuelano Maduro e quello colombiano Santos. Nel corso del colloquio è stata concordata un'agenda per giungere alla normalizzazione della zona di confine ed è stato deciso il ritorno degli ambasciatori. Erano presenti anche i capi di Stato di Ecuador e Uruguay, paesi che esercitano la presidenza pro tempore rispettivamente della Celac e dell'Unasur, oltre ai ministri degli Esteri delle quattro nazioni. L'uruguayano Luis Almagro, che in maggio ha sostituito il cileno José Miguel Insulza nella carica di segretario generale dell'Oea, ha salutato l'incontro come un passo avanti verso la soluzione della controversia. La crisi era scoppiata il 19 agosto in seguito alla decisione di Maduro di proclamare lo stato d'eccezione, di chiudere parte della frontiera e di inviare truppe sul posto, come risposta all'attacco e al ferimento di tre soldati delle forze armate bolivariane da parte di gruppi paramilitari. Il provvedimento era stato accompagnato dalle accuse all'ex presidente colombiano Alvaro Uribe di "coordinare gli omicidi" nella regione ed era stato seguito dall'espulsione dei cittadini colombiani irregolari. Il 27 agosto entrambi i governi avevano richiamato i loro rappresentanti diplomatici. La frontiera comune si estende per più di duemila chilometri ed è teatro di un fiorente contrabbando verso la Colombia di beni sovvenzionati dallo Stato (alimenti, medicinali, combustibili). Questo determina forti perdite all'erario di Caracas e soprattutto aumenta la scarsità di prodotti nei mercati venezuelani: un elemento fondamentale della guerra economica contro il governo bolivariano. Tale scarsità è diventata spesso il pretesto per gravi episodi come quello di fine luglio a San Félix, nello Stato di Bolívar (un uomo ucciso durante il saccheggio a un supermercato). In quell'occasione il governatore dello Stato, Francisco Rangel, aveva denunciato che la razzia non era stata spontanea, ma pianificata con fini politici da bande di agitatori. CONDANNA PER LEOPOLDO LOPEZ. Leopoldo López, leader di Voluntad Popular, l'organizzazione di estrema destra alla base dei violenti disordini che nel 2014 provocarono oltre quaranta morti, è stato condannato a 13 anni e nove mesi di carcere. Il tribunale lo ha trovato colpevole di danneggiamenti e incendio, istigazione pubblica e associazione a delinquere. La sentenza della giudice Susana Barreiros, pronunciata il 10 settembre, è stata accolta dalle proteste di gruppi di sostenitori, che si sono scontrati con militanti filogovernativi. "È pericoloso che da alcune voci internazionali si pretenda di legittimare gli atti di violenza terrorista": così la ministra degli Esteri di Caracas, Delcy Rodríguez, ha risposto alle critiche di Human Rights Watch e Amnesty International. E riferendosi al comunicato ufficiale in cui il segretario di Stato Usa, John Kerry, esprimeva "profonda preoccupazione" per la condanna, Rodríguez ha precisato: "La nota interferisce nelle questioni interne venezuelane. Lo Stato di diritto del nostro paese è una questione che non riguarda nessun'altra nazione". 21/9/2015 |
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Brasile, contro il golpismo e contro l'austerità Non si arresta l'offensiva destabilizzante in Brasile. Alcuni congressisti hanno lanciato il Movimento Parlamentar Pró-Impeachment, che mira alla destituzione della presidente Rousseff. Ne fanno parte deputati dell'opposizione come Carlos Sampaio (Psdb, Partido da Social-Democracia Brasileira), ma anche membri di formazioni alleate del governo (ad esempio Jarbas Vasconcelos del Pmdb, Partido do Movimento Democrático Brasileiro). È solo l'ultimo di una serie di attacchi a Dilma Rousseff, accusata di aver finanziato la sua campagna elettorale con fondi di imprese legate allo scandalo Petrobras. Un vero e proprio tentativo di golpe istituzionale da parte dell'opposizione con l'appoggio dei media, che nonostante nel caso Petrobras non sia implicato solo il Pt, danno risalto unicamente al coinvolgimento di esponenti vicini al governo, soprattutto quando a essere arrestato è José Dirceu, la mano destra di Lula, o vengono indagati due ministri in carica, Edinho Silva e Aloizio Mercadante. Dilma Rousseff ha comunque chiarito che non intende dimettersi. E ha anche ottenuto significativi appoggi. Decine di migliaia di donne le hanno manifestato il loro sostegno il 12 agosto, in occasione della Marcha das Margaridas che commemora l'omicidio, nel 1983, della dirigente contadina Margarida Maria Alves. La Central Unica dos Trabalhadores e Força Sindical, in un comunicato congiunto, hanno invitato a "distruggere lo scenario della destabilizzazione". Perfino il presidente della Confederação Nacional da Indústria, Robson Braga de Andrade, temendo un salto nel buio ha ammonito: "Le istituzioni devono essere rispettate e Rousseff è stata eletta". E la protesta antigovernativa del 16 agosto, che nelle intenzioni degli organizzatori doveva essere risolutiva, ha raccolto - nelle diverse manifestazioni sparse in tutto il paese - meno di un milione di persone. Una cifra importante, ma non sufficiente a dare la spallata al governo. Nel frattempo però il vicepresidente Michel Temer (Pmdb) ha assestato un nuovo colpo all'esecutivo rinunciando all'incarico di coordinatore politico del gabinetto. Organizzazioni sociali, sindacati e partiti di sinistra sono scesi in piazza il 20 agosto in numerose città, in difesa della democrazia, ma anche contro le misure di austerità imposte dal ministro delle Finanze, Joaquim Levy. "La politica economica del governo scarica il costo della crisi sulle spalle del popolo. Invece di attaccare i diritti del lavoro, di tagliare gli investimenti sociali e di aumentare le imposte, vogliamo che il governo faccia pagare il conto ai ricchi tassando le grandi fortune, i dividendi e le transazioni speculative, oltre a promuovere un audit sul debito pubblico", si legge nel documento di convocazione della manifestazione. Le stesse parole d'ordine sono state alla base del Grito dos Excluídos del 7 settembre a São Paulo. Due giorni prima, a Belo Horizonte, si era costituita la coalizione Frente Brasil Popular. Un raggruppamento di movimenti, sindacati e singole personalità che vuole essere "un tentativo della sinistra di rispondere, nella forma più unitaria possibile, all'offensiva conservatrice in corso" e che "lotta contemporaneamente contro il golpismo, rappresentato dai settori più conservatori, e contro il sequestro dell'agenda governativa da parte degli interessi del capitale finanziario". UCCISI DUE GIORNALISTI E UN INDIGENO GUARANI. Il 6 agosto Gleydson Carvalho, che dai microfoni di Rádio Liberdade a Camocim (Stato di Ceará) denunciava la corruzione dei politici locali, è stato ucciso da due sicari mentre trasmetteva il suo programma negli studi dell'emittente. Pochi giorni prima aveva dichiarato di aver ricevuto minacce. Il 18 maggio, in una strada di campagna della località di Padre Paraíso (Minas Gerais), era stato rinvenuto il corpo decapitato di Evany José Metzker; la testa giaceva a un centinaio di metri di distanza. Nel suo blog Metzker aveva rivelato reati e irregolarità delle istituzioni pubbliche della zona; da tre mesi stava indagando su una rete di prostituzione infantile. Nel corso di un attacco sferrato il 29 agosto, nel municipio di Antônio João (Mato Grosso do Sul), da un gruppo armato al soldo degli allevatori è rimasto ucciso Semião Vilhalva, appartenente all'etnia guaraní-kaiowá. La comunità aveva occupato alcuni terreni di fronte all'inerzia delle autorità, che non avevano fatto nulla per garantire ai nativi - come prescrive la legge - il recupero dei territori ancestrali. La reazione dei fazendeiros è stata durissima: oltre alla morte di Vilhalva, raggiunto da un proiettile mentre tentava di portare il salvo il figlioletto di quattro anni, si contano altri due feriti. 10/9/2015 |
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Uruguay, vittoria della sinistra: respinto il Tisa Il 7 settembre il governo di Montevideo ha annunciato che l'Uruguay non parteciperà più ai negoziati per il Tisa, il Trade in Services Agreement. È la conseguenza della riunione di due giorni prima, quando l'assemblea del Frente Amplio aveva respinto a grande maggioranza (117 voti contro 22) l'adesione all'accordo. È stata così bocciata la deregolamentazione selvaggia dei servizi, sponsorizzata dal presidente Tabaré Vázquez e dal suo ministro dell'Economia, Danilo Astori. È la seconda volta che Vázquez deve fare i conti con l'opposizione ai suoi progetti neoliberisti: durante il suo primo mandato aveva tentato invano di avviare un trattato di libero commercio con gli Stati Uniti. Le trattative per l'ingresso uruguayano al Tisa in realtà erano cominciate in gran segreto già nel settembre 2013, sotto la presidenza di José Mujica. Nel luglio dell'anno successivo venivano pubblicate le prime informazioni e subito iniziava la mobilitazione di sindacati, organizzazioni sociali, ambientalisti e movimenti di sinistra. Il 6 agosto il paese era paralizzato da uno sciopero generale di 24 ore, il più massiccio dal ritorno della democrazia. Tra le parole d'ordine, oltre al rifiuto del Trade in Services Agreement, anche miglioramenti salariali e maggiori investimenti nelle opere pubbliche e soprattutto nell'educazione. La battaglia contro il Tisa ha coinciso infatti con la lotta degli insegnanti, verso i quali la politica del Frente Amplio non appare molto diversa da quella dei governi precedenti. La lotta, ancora in corso, ha visto momenti di scontro molto duro: contro il decreto governativo del 24 agosto, che dichiarava la scuola un servizio "essenziale" e minacciava di licenziamento chi non fosse tornato al lavoro, maestri e professori rispondevano proseguendo lo sciopero, occupando una cinquantina di istituti e dando vita a un imponente corteo di 50.000 persone. Alla fine Tabaré Vázquez, criticato dalla sua stessa maggioranza, era costretto a ritirare il provvedimento. 8/9/2015 |
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Guatemala, dalla presidenza al carcere In meno di un mese tutto è cambiato. Il 13 agosto il Congresso aveva respinto la richiesta di alcuni deputati di revocare l'immunità al presidente Pérez Molina, sospettato di corruzione. Sempre per corruzione, dopo le dimissioni della vicepresidente Roxana Baldetti e l'arresto di decine di funzionari, erano finiti in carcere anche il genero del capo dello Stato, Gustavo Martínez, che nel governo aveva ricoperto l'incarico di segretario generale della Presidenza, e l'ex ministro dell'Energia, Edwin Rodas. Le innumerevoli manifestazioni che avevano mobilitato migliaia di persone, in una rivolta civica senza precedenti, erano parse impotenti di fronte al rifiuto di Pérez di abbandonare la poltrona. Il voto parlamentare non fermava però le proteste: il 15 agosto i guatemaltechi tornavano in piazza a migliaia. Sei giorni dopo l'ex vicepresidente Baldetti veniva arrestata. Il rappresentante della Cicig (la Commissione Internazionale contro l'Impunità creata dalle Nazioni Unite) e la fiscal general Thelma Aldana denunciavano Pérez Molina e Baldetti come i capi de La Línea, un'organizzazione criminale che favoriva l'evasione delle imposte doganali. Una nuova imponente manifestazione si teneva il 27 agosto, mentre altre istituzioni pubbliche scendevano in campo per chiedere la rinuncia di Pérez e numerosi ministri lasciavano il governo. Finalmente il primo settembre, di fronte alle prove che si venivano accumulando, il voto parlamentare sanciva la perdita dell'immunità del capo dello Stato, raggiunto il 2 da un ordine di cattura. La stessa sera Pérez Molina si dimetteva (sostituito da Alejandro Maldonado, il giudice che già fungeva da vicepresidente) e il giorno seguente veniva arrestato. A determinare il mutamento di scenario sono stati soprattutto quanti per mesi hanno protestato contro gli scandali che via via emergevano negli alti vertici dello Stato. Scrive il politologo Agustín Lewit su Página/12: "Cittadini mobilitati attraverso le reti sociali, insieme a organizzazioni contadine, indigene, studentesche e sindacali, si sono scossi dall'apatia e dalla smobilitazione impressa a fuoco dai ripetuti colpi di Stato e dal prolungato conflitto armato interno e hanno deciso di entrare in scena, non solo per esprimere la loro indignazione di fronte al caso di corruzione in questione, ma per chiedere a gran voce un'ampia riforma politica ed elettorale. Ma questi settori non hanno agito da soli: ad essi si sono sommati, con propri calcoli e propri interessi, rappresentanti della grande industria guatemalteca e la stessa ambasciata statunitense - attore costantemente centrale nelle diverse situazioni centroamericane - in disaccordo con Pérez Molina da anni, tra l'altro per la sua posizione favorevole alla liberalizzazione del consumo di droghe". Gli avvenimenti futuri saranno il risultato dell'opera di queste forze contrastanti. 4/9/2015 |
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Colombia, dialogo a fasi alterne "Come ci eravamo impegnati a fare, abbiamo avviato indagini interne e sul terreno", giungendo alla conclusione che "in effetti unità della Columna Móvil Daniel Aldana sono coinvolte nell'attuazione di tale deplorevole azione". Con queste parole Pablo Catatumbo, membro della delegazione delle Farc ai colloqui di pace dell'Avana, ha riconosciuto le responsabilità del gruppo guerrigliero nella morte di Genaro García (il leader della comunità afrocolombiana era stato assassinato il 3 agosto nel dipartimento di Nariño). "Episodi come questo, che colpiscono direttamente i processi di organizzazione e di lotta popolare con cui ci sentiamo identificati, contraddicono la politica delle Farc-Ep sul comportamento nei confronti della popolazione civile e sul rispetto verso le comunità etniche", ha aggiunto Catatumbo, promettendo la punizione dei colpevoli e l'adozione dei provvedimenti necessari per evitare il ripetersi di simili fatti. È iniziata così, il 24 agosto, un'altra settimana di trattative con il governo. Un dialogo sempre appeso a un filo e che negli ultimi mesi ha conosciuto alterne vicende. Il 22 maggio le Farc avevano sospeso la tregua unilaterale proclamata in dicembre, dopo la morte di quasi una quarantina di insorti nel corso di bombardamenti aerei. I combattimenti erano dunque ripresi e con essi la fuga della popolazione civile dalle zone di conflitto. Le Farc avevano anche denunciato che alcuni guerriglieri feriti erano stati giustiziati dopo la cattura. Un nuovo cessate il fuoco unilaterale, il sesto, era stato disposto dalla guerriglia per la durata di un mese a partire dal 20 luglio. L'annuncio era stato seguito, poco dopo, dall'impegno dell'esecutivo di iniziare una riduzione progressiva delle azioni militari a partire dalla stessa data. I segnali provenienti dal governo non erano stati però tutti positivi. Il presidente Santos, dopo aver sostituito il ministro della Difesa, Juan Carlos Pinzón, con Luis Carlos Villegas, aveva rinnovato il 6 luglio i vertici delle forze armate, chiedendo ai nuovi comandanti di "mantenere l'offensiva in tutto il paese". E non solo contro l'Eln, che proprio in quei giorni era accusata di aver collocato due bombe nel centro di Bogotá ferendo lievemente dieci persone (la presenza degli ordigni era stata preannunciata da telefonate degli stessi attentatori), ma anche contro le Farc. Queste ultime comunque, prima dell'inizio della tregua, avevano compiuto un altro gesto distensivo rilasciando un giovane militare ferito. Finalmente il 25 luglio Santos disponeva la sospensione degli attacchi aerei a tempo indeterminato e il 20 agosto Carlos Antonio Lozada, a nome del gruppo guerrigliero, annunciava la continuazione della tregua stabilita il mese prima e chiedeva "un atteggiamento analogo da parte del governo perché si possa ridurre l'intensità del conflitto, fino ad arrivare alla cessazione del fuoco bilaterale e definitiva che tutta la Colombia chiede a gran voce". 24/8/2015 |
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Ecuador, ancora proteste e scontri È di oltre un centinaio di feriti, tra dimostranti e agenti di polizia, il bilancio degli scontri degli ultimi giorni. Ai blocchi stradali e ai cortei si è aggiunto il sequestro, per alcune ore, di trenta militari nella provincia di Tungurahua. Anche il 13 agosto, giorno del paro nacional di protesta promosso da Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador) e Frente Unitario de Trabajadores, si erano registrati incidenti sia nella capitale che in altre località. Lo sciopero aveva avuto scarsa adesione: trasporti, scuola, sanità, banche e uffici pubblici avevano funzionato regolarmente. Lapidario il commento del presidente Correa: "È stato un fallimento totale. I manifestanti non hanno appoggio né legittimità". Nello stesso giorno centinaia di persone si erano radunate davanti alla sede del governo per esprimere sostegno alla Revolución Ciudadana e per respingere i tentativi golpisti denunciati dal capo dello Stato. Il deputato di Alianza País, Gabriel Rivera, intervistato da Página/12, ha accusato i media di aver istigato la protesta dipingendo un quadro falso della situazione: "C'è una realtà creata dai mezzi di comunicazione secondo cui ciò che è buono per le élites lo è anche per l'insieme della popolazione". Si spiegherebbe così l'attacco di alcuni settori indigeni e sindacali all'imposta sulle rendite fondiarie e all'aumento della tassa di successione, che non colpiranno i lavoratori, ma solo gli speculatori e i possessori di grandi fortune. Altro provvedimento contestato è la Ley de Aguas, che designa un'autorità governativa unica per le fonti idriche, sottraendone il controllo alle comunità locali. Secondo la Conaie, le nuove norme mirano a favorire le imprese minerarie e a indebolire la resistenza degli abitanti contro l'attività estrattiva. "Si è fatto credere ai cittadini indigeni che l'acqua sarebbe stata privatizzata", risponde Rivera, mentre la Costituzione stabilisce che si tratta di una risorsa strategica e come tale non privatizzabile. 22/8/2015 |
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Cile, si incrina il patto del silenzio È morto il 7 agosto a Santiago Manuel Contreras, l'ex capo della Dina (la polizia segreta di Pinochet), condannato a oltre 500 anni di carcere per le innumerevoli violazioni dei diritti umani commesse durante la dittatura. Ha incarnato "una delle pagine più oscure" della storia cilena, ha affermato il ministro dell'Interno Jorge Burgos. E il presidente del Partido Comunista, Guillermo Teillier, ha ricordato che Contreras non venne mai degradato dalle forze armate (conservava il grado di generale) e che fu l'artefice di quel "patto del silenzio" tra militari a causa del quale ancora non si conosce la sorte di tanti detenidos-desaparecidos. Ma il patto del silenzio comincia a incrinarsi. Proprio in questi giorni, grazie alle rivelazioni di un ex soldato semplice, è crollata la versione dell'esercito sul caso di due giovani fermati da una pattuglia nel luglio del 1986, dopo una manifestazione contro il regime. La studentessa Carmen Gloria Quintana e il fotografo Rodrigo Rojas furono cosparsi di benzina e dati alle fiamme. La ragazza riuscì a sopravvivere, sia pure gravemente sfigurata, mentre il suo compagno morì, dopo una lunga agonia, per le gravi ustioni riportate. I militari avevano sempre sostenuto che i due si erano bruciati mentre fabbricavano bombe molotov. Per quel caso sono stati ora emessi sette mandati di cattura a carico di ex ufficiali e sottufficiali che facevano parte della pattuglia. I responsabili dell'orrendo crimine vennero sempre coperti dai vertici dello Stato, a partire dallo stesso Pinochet. Lo rivelano alcuni documenti conservati per anni negli archivi della Casa Bianca, della Cia e del Dipartimento di Stato Usa. Dai documenti, finalmente resi pubblici, si apprende che per mantenere il segreto furono sequestrati e minacciati i testimoni e vennero esercitate pressioni su giudici e avvocati. MINATORE UCCISO DAI CARABINEROS. La Confederación de Trabajadores del Cobre ha denunciato l'uccisione, da parte dei carabineros, del minatore Nelson Quichillao López, raggiunto da un colpo d'arma da fuoco il 24 luglio, mentre partecipava a una manifestazione di protesta nella regione di Atacama. "Le forze speciali sono giunte sul posto con l'unico obiettivo di reprimere, neutralizzare e disperdere la legittima mobilitazione dei lavoratori, che si trovavano assolutamente disarmati", afferma il comunicato dell'organizzazione sindacale. A fine luglio, dopo quasi due mesi di sciopero, gli insegnanti hanno deciso a stragrande maggioranza di sospendere l'agitazione e di sedersi al tavolo delle trattative, per discutere con i rappresentanti del governo i problemi della carriera professionale. In giugno e in luglio erano continuate le manifestazioni e i cortei dei docenti, appoggiati dal movimento degli studenti, contro la riforma promossa dall'esecutivo. Il 27 giugno la presidente Bachelet aveva deciso di sostituire il ministro dell'Istruzione, Nicolás Eyzaguirre, con Adriana Delpiano. 8/8/2015 |
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Messico, i sicari giungono nella capitale La mafia politica scatena la sua violenza, contro chi osa opporsi, anche fuori dei confini statali. L'antropologa e promotrice culturale Nadia Vera Pérez e il fotografo Rubén Espinosa Becerril, collaboratore della rivista Proceso, avevano abbandonato Xalapa (capitale dello Stato di Veracruz) in seguito a continue intimidazioni. Entrambi avevano segnalato direttamente il governatore priista dello Stato, Javier Duarte, come responsabile delle minacce ricevute. Il primo agosto sono stati trovati morti in un appartamento di Città del Messico, dove si erano rifugiati. Insieme ai loro, i cadaveri di Olivia Alejandra Negrete Avilés, Yesenia Quiroz Alfaro e della colombiana Mile Virginia Martín. Tutti i corpi, oltre ai colpi dei proiettili, mostravano tracce di tortura. Prima della strage nella capitale federale si erano contate altre vittime in diverse zone del paese. Non solo nello Stato di Veracruz, dove il 4 maggio era stato rinvenuto il cadavere di Armando Saldaña Morales, della radio La Ke Buena, e il 2 luglio quello di Juan Mendoza Delgado, che curava il portale web Escribiendo la Verdad. Nello Stato di Oaxaca il 14 aprile era stato assassinato Abel Manuel Bautista Raymundo, direttore dell'emittente comunitaria Radio Spacio, e il 2 luglio Filadelfo Sánchez Sarmiento, giornalista della radio La Favorita. Nel Tabasco il 18 giugno era stato ucciso Ismael Díaz López, corrispondente di Tabasco Hoy, e otto giorni dopo, nello Stato di Guanajuato, Gerardo Nieto Alvarez, direttore del settimanale El Tábano. Intanto i genitori dei 43 studenti di Ayotzinapa scomparsi nel settembre scorso non si stancano di denunciare l'impunità e le complicità ad alto livello, che ostacolano la ricerca della verità. "È una vergogna per l'umanità che non ci sia ancora una risposta forte dallo Stato, dalla giustizia e dalla comunità in generale", ha commentato il giurista spagnolo Baltasar Garzón, in visita nel paese. La credibilità del presidente Peña Nieto è ai minimi storici e certo non ha aiutato a risollevarla la notizia della fuga l'11 luglio, da un carcere di massima sicurezza, di Joaquín Guzmán Loera El Chapo, il potente capo del cartello di Sinaloa. Né i crimini dell'esercito nei confronti della popolazione civile documentati dalla Comisión Nacional de Derechos Humanos: tra i più recenti l'uccisione, il 19 luglio, di un bambino di dodici anni e il ferimento di altre quattro persone a Ostula (Michoacán), durante la repressione delle proteste per l'arresto di un leader delle Autodefensas, e il massacro di sette giovani braccianti (cinque uomini e due donne), fermati il 7 luglio a Calera (Zacatecas) e ritrovati cadaveri alcuni giorni dopo. Un'ondata di omicidi aveva preceduto anche il voto del 7 giugno per il rinnovo di parte del Congresso e di una serie di autorità locali: oltre venti i morti, tra candidati, coordinatori di campagna, funzionari e militanti. La parola d'ordine del boicottaggio, lanciata dagli insegnanti della Cnte (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación), che contestano la riforma della scuola, e dai familiari dei 43 giovani desaparecidos non è riuscita a impedire lo svolgimento delle consultazioni, contrassegnate da innumerevoli denunce di irregolarità. E il giorno stesso delle elezioni a Tlapa (Guerrero) un proiettile della polizia federale uccideva Antonio Vivar Díaz, responsabile della sicurezza del locale Movimiento Popular Guerrerense. Il 7 giugno il Pri è riuscito a confermarsi primo partito, nonostante la perdita di consensi provocata dai recenti scandali, dall'approfondirsi della crisi economica e dall'aumento della criminalità. Il Pan rimane prima forza d'opposizione (sempre pronto ad appoggiare ogni politica del governo che favorisca gli interessi delle transnazionali). Il grande sconfitto è il Prd, abbandonato da tutti i suoi dirigenti storici e che ha sofferto un'emorragia di voti a favore di Morena, il Movimiento de Regeneración Nacional: al suo esordio elettorale la formazione di López Obrador ha conquistato la capitale, mentre a livello nazionale si situa al quarto posto. Assistiamo dunque, come afferma l'editoriale de La Jornada di martedì 9 giugno, alla dissoluzione del modello tripartitico in atto dalla fine degli anni Ottanta. "Pri, Pan e Prd erano le forze dominanti e costituivano gli assi intorno a cui si formavano alleanze con gli enti più piccoli: Pt, Verde, Convergencia (ora ribattezzata Movimiento Ciudadano) e altri che ebbero esistenza effimera. Questa divisione tra grandi e piccoli diventa insostenibile alla luce dei risultati delle elezioni di domenica, in cui nessuna forza politica raggiunge da sola un terzo dei voti e in cui la differenza tra la terza e la quarta forza (Prd e Morena rispettivamente) si riduce a due punti percentuali". 5/8/2015 |
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Bolivia, torna la normalità a Potosí È tornata la normalità a Potosí dopo la conclusione della protesta del Comité Cívico Potosinista (Comcipo), che per quasi un mese aveva "sequestrato" la popolazione bloccando le vie di comunicazione e impedendo l'apertura dei centri commerciali (mentre gruppi di minatori legati al Comcipo, armati di candelotti di dinamite, attaccavano sedi ministeriali a La Paz). "La destra è stata sconfitta", ha commentato il presidente Evo Morales nel corso di una conferenza stampa. Dopo aver respinto i ripetuti inviti al dialogo da parte dell'esecutivo, i rappresentanti del Comité Cívico avevano infine accettato di sedersi al tavolo delle trattative e a fine luglio era stato raggiunto un accordo su tre delle richieste presentate. Le rivendicazioni, a detta del Comcipo, miravano allo sviluppo del dipartimento. Secondo Morales, i programmi governativi in proposito sono molto più avanzati, in particolare per quanto riguarda lo sfruttamento del Salar de Uyuni, che contiene la maggior riserva mondiale di litio (nonché rilevanti quantità di potassio, boro e magnesio). "Stiamo cominciando a industrializzare Potosí", aveva affermato in luglio il vicepresidente García Linera, ricordando che al dipartimento è destinato uno dei più grossi investimenti di tutto il paese, per un valore di 770 milioni di dollari. A PIENO TITOLO NEL MERCOSUR. Il 48° vertice del Mercosur, che si è tenuto a Brasilia il 17 luglio, ha sancito l'adesione della Bolivia come sesto membro a pieno titolo del blocco. Nel discorso di ringraziamento il presidente Evo Morales ha ricordato che in precedenza il suo paese, per la situazione socio-economica, era al penultimo posto in America. Una realtà ora cambiata "grazie alla lotta dei movimenti sociali, degli operai, dei popoli originari, specialmente del movimento indigeno originario, storicamente il più umiliato, il più disprezzato". A questo proposito Morales ha sottolineato l'importanza che la liberazione dal modello neoliberista e il recupero delle risorse naturali hanno rivestito per la trasformazione dell'immagine della Bolivia. 3/8/2015 |
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Paraguay, nuovo rinvio per Curuguaty Nuovo rinvio del processo in corso ad Asunción contro dodici dei tredici contadini accusati di aver ucciso, nel giugno 2012 a Curuguaty, sei poliziotti durante lo sgombero di una proprietà terriera occupata. Il procedimento è stato sospeso il 3 agosto perché la difesa degli imputati ha chiesto la ricusazione dei giudici, affermando che questi avevano espresso in anticipo la loro opinione sul caso. La dinamica dell'episodio, che servì alla destra come pretesto per la destituzione di Fernando Lugo, non è mai stata chiarita: secondo le organizzazioni per i diritti umani, gli agenti vennero uccisi da franchi tiratori mescolati agli occupanti. E richiama l'attenzione il fatto che nessuno sia stato chiamato a rispondere per gli undici lavoratori agricoli che persero la vita quel giorno. Sempre ad Asunción si è svolta il 18 luglio una protesta dei familiari dei poliziotti rimasti uccisi negli ultimi conflitti a fuoco nelle campagne. I manifestanti chiedevano le dimissioni del ministro dell'Interno, Francisco De Vargas: "La vita dei nostri parenti non vale 500.000 guaraní", diceva un cartello. Tre agenti erano caduti in un'imboscata il 17 luglio nella località di Yaguareté Forest (dipartimento di San Pedro); altri due erano morti, meno di una settimana prima, a pochi chilometri di distanza. Secondo il governo, gli assalitori sarebbero guerriglieri dell'Epp (Ejército del Pueblo Paraguayo). 3/8/2015 |
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Honduras, in lotta contro corruzione e impunità Dopo 42 giorni è terminato a Tegucigalpa lo sciopero della fame contro la corruzione e l'impunità che regnano nel paese. Alla forma di protesta avevano partecipato una trentina tra donne e uomini. Non si tratta di una resa: la lotta proseguirà con l'installazione di una Mesa Nacional de Indignación composta da rappresentanti delle comunità indigene, militanti per i diritti umani, leader contadini del Bajo Aguán, esponenti della società civile. Nei mesi di giugno e luglio, nella capitale e nelle altre principali città, nuove manifestazioni e fiaccolate avevano visto la partecipazione di decine di migliaia di persone, decise a ottenere le dimissioni del presidente Hernández e di tutta la classe politica al potere dal 28 giugno 2009 (giorno del golpe contro il legittimo governo di Manuel Zelaya). Unico passo avanti della giustizia è per ora l'ordine di cattura emesso contro la vicepresidente del Congresso, Lena Gutiérrez, del Partido Nacional, e contro tre suoi familiari, accusati di aver venduto al Ministero della Sanità farmaci a prezzi enormemente maggiorati. Gutiérrez è comunque libera su cauzione. Si allunga intanto l'elenco delle persone assassinate per il loro impegno nell'ambito della comunicazione. Juan Carlos Cruz Andara, giornalista di Teleport, nel dipartimento di Cortés, e militante per i diritti della comunità lgbt, è ammazzato a pugnalate il 22 giugno. Sempre in giugno, nel dipartimento di Copán, cadono sotto i colpi dei killer prima Jacobo Montoya Ramírez, che lavorava presso emittenti radio-tv locali, e poi Deibi Adalí Rodríguez, operatore televisivo di Canal 13 Telemas. Joel Aquiles Torres, proprietario di Canal 77 nel dipartimento di Comayagua, è assassinato il 3 luglio (il 15 dicembre, nello stesso dipartimento, era stato ucciso Reynaldo Paz Maes, proprietario di Canal 28 e appartenente al partito Libre). Il 21 luglio, nel dipartimento di Lempira, è la volta di Adelmo Cortez Milla, di Radio Galaxia 21. A questi nomi va aggiunto quello del docente e dirigente sindacale Héctor Orlando Martínez Motiño, raggiunto dai colpi di due sicari il 17 giugno nel dipartimento di Choluteca. 31/7/2015 |
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Cuba, le vere ragioni della svolta Usa Dopo 54 anni di rottura, il 20 luglio la bandiera cubana è tornata a sventolare nella capitale Usa. Lo stesso giorno La Jornada ha pubblicato un'intervista al linguista statunitense Noam Chomsky sui motivi che hanno spinto la presidenza Obama a riallacciare i rapporti con Cuba. "Da decenni nei sondaggi la popolazione statunitense si mostrava favorevole a procedere verso la normalizzazione delle relazioni. Ma è la regola che l'opinione pubblica venga ignorata. Ancora più interessante è il fatto che settori rilevanti del capitale Usa fossero a favore: l'industria farmaceutica, dell'energia, l'agroindustria tra le altre. Di solito questi sono in effetti i settori che decidono, ma quando sono ignorati ciò dimostra che è in gioco un interesse di Stato ancora superiore". È un interesse, spiega Chomsky, "definito molto chiaramente in documenti ufficiali interni che lo riassumono così: il successo della sfida cubana alla politica estera statunitense, sorta dalla Dottrina Monroe, non può essere tollerato", perché "la disobbedienza si trasforma potenzialmente in quello che Kissinger ha chiamato virus, che può provocare un'infezione in grado di distruggere l'intero sistema di controllo". Si trattava dunque, fin dal trionfo della Rivoluzione, di isolare il virus. Ma i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni in gran parte dell'America Latina hanno posto gli Stati Uniti di fronte a un grosso problema. "Nel Vertice delle Americhe in Colombia gli Stati Uniti (insieme al Canada) si sono trovati completamente isolati su tutti i temi cruciali, compreso Cuba. All'approssimarsi del seguente vertice di Panama (celebrato nel 2014) era persino possibile che rimanessero di fatto esclusi dall'emisfero. Bisognava fare qualcosa". E dunque "Barack Obama dichiarò enfaticamente che le politiche statunitensi per portare la democrazia e i diritti umani a Cuba non avevano funzionato e che avremmo dovuto trovare qualche altro modo per raggiungere i nostri obiettivi, nobili per definizione. Pertanto in maniera magnanima avremmo permesso che Cuba sfuggisse un poco dal suo isolamento internazionale". In pratica, "visto che le politiche di terrore e di strangolamento economico erano fallite, gli Stati Uniti avrebbero dovuto tentare con altri mezzi di portare Cuba agli elevati livelli dell'Honduras, del Guatemala e di altri paesi tradizionalmente beneficiati dalla nobiltà statunitense". In maggio il ristabilimento dei rapporti diplomatici era stato sancito dal Dipartimento di Stato con il ritiro di Cuba dalla lista nera dei paesi promotori del terrorismo internazionale. Dal 27 luglio l'isola non compare più tra le nazioni che non fanno abbastanza per combattere la tratta di persone (nell'elenco rimangono - guarda caso - altri governi invisi a Washington, ad esempio il Venezuela). Come grande concessione, l'Avana è passata nella categoria degli "osservati speciali", in considerazione del fatto che "non soddisfa completamente gli standard minimi per l'eliminazione del traffico di persone, ma sta facendo sforzi significativi" in merito. 27/7/2015 |
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Il viaggio di papa Francesco È stato un viaggio molto politico quello di papa Francesco in territorio latinoamericano. Dal 5 al 12 luglio, attraverso Ecuador, Bolivia e Paraguay, Jorge Bergoglio ha ribadito e approfondito i temi che viene sviluppando fin dall'inizio del suo pontificato. A Quito e a La Paz, scontentando le opposizioni, ha avuto parole di elogio per i presidenti dei due paesi. Dopo aver ringraziato Correa che nelle sue parole aveva mostrato "consonanza" con il pensiero papale, gli ha augurato di ottenere "quello che desidera per il bene del suo popolo". Davanti a Morales ha riconosciuto che "la Bolivia sta facendo passi importanti per includere ampi settori nella vita economica, sociale e politica". E in generale ha dichiarato che "i governi della regione hanno unificato gli sforzi per far rispettare la loro sovranità, quella di ciascun paese e quella del complesso della regione, che con tanto bella espressione chiamano, come i nostri progenitori, la Patria Grande". A Santa Cruz de la Sierra, alla chiusura del secondo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari, il discorso più denso di significati. Bergoglio ha chiesto "umilmente perdono non solo per le offese della stessa Chiesa, ma per i crimini contro i popoli originari durante la cosiddetta Conquista dell'America". Ha invitato a lottare per la terra, il tetto e il lavoro, che ha definito "diritti sacri". Ha attaccato con durezza l'attuale dominio della ricchezza: "Quando il capitale si trasforma in idolo e dirige le scelte degli esseri umani e l'avidità di denaro guida tutto il sistema socioeconomico, rovina la società, condanna l'uomo, lo rende schiavo". E ha affermato senza mezzi termini: "Vogliamo un cambiamento, un cambiamento reale, un cambiamento di strutture. Questo sistema non è più sopportabile, non lo sopportano i contadini, non lo sopportano i lavoratori, non lo sopportano le comunità, non lo sopportano i popoli. E non lo sopporta neppure la Terra, sorella Madre Terra, come diceva San Francesco". 17/7/2015 |
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Ecuador, nuovi tentativi di destabilizzazione II presidente Correa ha lanciato il 27 giugno un appello alla mobilitazione in difesa della Revolución Ciudadana di fronte alle proteste che hanno contrassegnato le ultime settimane. L'opposizione contesta due progetti di legge del governo, che prevedono un aumento della tassazione sulle grandi eredità e una nuova imposta sulle rendite fondiarie. La violenta reazione aveva indotto a metà mese Rafael Correa a ritirare temporaneamente le sue proposte per aprire un ampio dibattito nazionale: manifestazioni e cortei erano però continuati. Secondo l'esecutivo le due iniziative legislative, che mirano a una migliore redistribuzione della ricchezza, colpirebbero solo il 2% della popolazione. Ma la destra, che detiene il monopolio dei media, è riuscita con una furibonda campagna di stampa a generare confusione, spingendo alla rivolta anche chi non verrebbe toccato dalle nuove tasse. Come ha denunciato Correa, è in atto un vero e proprio piano sovversivo, che punta alle destabilizzazione del paese come già avvenuto il 30 settembre del 2010 (quando una ribellione delle forze di polizia sfociò in un tentativo di golpe). Sostegno al governo di Quito è stato espresso dal segretario generale dell'Unasur, Ernesto Samper, e da un documento sottoscritto dai paesi dell'Alba riuniti all'Avana. Ma l'appoggio più significativo è venuto dalle migliaia di militanti di Alianza País, scesi in piazza a più riprese per rispondere agli attacchi al capo dello Stato. 27/6/2015 |
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Vertice Celac-Unione Europea L'incontro del 10 e 11 giugno a Bruxelles tra i paesi della Celac (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños) e l'Unione Europea si è concluso con un documento di critica alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti ai funzionari venezuelani. Una vittoria per le posizioni dell'America Latina visto che il Parlamento Europeo, negli ultimi mesi, aveva ripetutamente espresso la sua "profonda preoccupazione" sulla situazione dell'opposizione a Caracas. La crisi venezuelana era il tema di maggiore controversia tra i due blocchi, ma i governanti europei hanno preferito non giungere allo scontro, più interessati agli scambi economici e al problema della concorrenza cinese nella regione. Lo ha detto chiaramente la cancelliera tedesca Angela Merkel: "Abbiamo visto che la Cina sta costruendo relazioni economiche molto intense con i paesi latinoamericani. Allo stesso modo dovrebbe intensificarsi il commercio tra Europa e America Latina". I paesi della Celac risultano attualmente al quinto posto tra i soci commerciali dell'Unione, preceduti da Usa, Cina, Russia e Svizzera. LA FAO PREMIA ARGENTINA E VENEZUELA. Argentina e Venezuela hanno ricevuto importanti riconoscimenti dalla Fao a Roma. Il governo di Buenos Aires è stato premiato per i risultati ottenuti nella lotta contro la fame, il miglioramento della qualità della vita dei suoi cittadini, la capacità di produzione e il progresso della scienza; quello di Caracas per gli importanti successi conseguiti con la Misión Alimentación, lanciata dal presidente Chávez nel 2003. Nelle due nazioni la sottoalimentazione rimane al disotto del 5%. 12/6/2015 |
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Argentina, sciopero del trasporto pubblico Il 9 giugno uno sciopero nazionale di 24 ore del trasporto pubblico, il secondo nel giro di un anno, ha paralizzato Buenos Aires e le altre principali città del paese. Tra le richieste, un aumento salariale superiore al 27% offerto dal governo, trattative sindacali libere tra lavoratori e padronato e modifiche all'imposta sul reddito. Da parte governativa gli scioperanti sono stati accusati di appoggiare i tentativi destabilizzanti in atto contro la presidente Cristina Fernández. È un fatto che a promuovere la giornata di lotta, che pure ha visto l'adesione di settori della sinistra, sono state le centrali sindacali legate alla destra. E i loro dirigenti, ricorda un editoriale del quotidiano messicano La Jornada, sono personaggi a dir poco equivoci: Hugo Moyano, leader del sindacato dei camioneros e segretario generale della Cgt (Confederación General del Trabajo) Azopardo, "cominciò la sua carriera come delatore di guerriglieri e arrivò a essere dirigente sindacale durante la dittatura"; Luis Barrionuevo, della Cgt Azul y Blanca, "ha un passato delinquenziale e uno strascico di accuse penali che vanno dall'assalto a mano armata allo storno di fondi in una gara d'appalto per protesi mediche"; Pablo Micheli, della Cta (Central de Trabajadores de la Argentina) Autónoma, "è passato dalla lotta contro il neoliberismo a organizzare gruppi d'assalto al servizio della destra sindacale". Secondo lo stesso editoriale, quanto avviene in Argentina si iscrive "in un contesto di ostilità e di ingerenze nei confronti dei governi latinoamericani che, in diverso modo, hanno formato un blocco progressista svincolato dalle politiche economiche antipopolari imposte nella regione dai governi occidentali e dagli organismi finanziari internazionali dopo la fine delle dittature militari e la restaurazione della democrazia formale. Non va dimenticato che in anni recenti le oligarchie locali hanno tentato di abbattere governi che avevano rotto con il dogma neoliberista e con la sottomissione politica tradizionale, come il Venezuela, l'Ecuador e la Bolivia, e che in Honduras e in Paraguay il golpismo è risultato vincente". 10/6/2015 |
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Perù, la lotta contro il progetto Tía María Nonostante la decisione presa a metà maggio dalla Southern Copper, filiale del Grupo México, di sospendere per sessanta giorni il contestato progetto minerario Tía María e di intavolare un dialogo con gli oppositori, la resistenza continua. I presunti benefici che - a detta della compagnia - verrebbero dallo sfruttamento dei giacimenti di rame a cielo aperto nella Valle di Tambo (dipartimento di Arequipa) non convincono gli abitanti, ben consapevoli dei rischi per l'ambiente e per l'agricoltura, principale mezzo di sostentamento della regione. Per questo, fin dal 23 marzo hanno dato vita a mobilitazioni, scioperi e blocchi stradali. La risposta delle autorità è stata una dura repressione, la dichiarazione dello stato d'emergenza e la militarizzazione della zona. Gli scontri tra manifestanti e polizia hanno provocato quattro morti (tre dimostranti e un agente) e decine di feriti. Lungi dal placarsi, le proteste si sono estese ad altre regioni del paese e hanno raggiunto anche la capitale. Già nel 2011, durante il mandato di Alan García, la popolazione locale era scesa in lotta contro il progetto Tía María, ottenendo che venisse bloccato (tre persone erano rimaste uccise nel conflitto). Ora il presidente Humala sembra deciso a imporre la presenza della Southern Copper nella Valle di Tambo, basandosi su un nuovo studio di impatto ambientale presentato dall'impresa e approvato in gran fretta lo scorso anno dal Ministerio de Energía y Minas. Esperti indipendenti hanno riscontrato diverse falle in questo studio, ma la posizione del governo non cambia e trova il sostegno dei grandi media, che definiscono "estremisti", "nemici del progresso" e addirittura "terroristi" quanti si oppongono all'attività mineraria. E ogni mezzo è buono per screditare e criminalizzare la protesta. Il 23 aprile il quotidiano Correo de Arequipa, sotto il titolo: "Così gli antimineros hanno attaccato", pubblicava la foto di un manifestante fermato dalla polizia con un'arma da taglio in mano. In realtà, come documenta un filmato visibile in rete, l'arma gli era stata messa in mano da un agente un attimo prima dello scatto. 31/5/2015 |
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Honduras, squadroni della morte contro gli studenti Aveva 18 anni ed era una testimone dell'omicidio della ragazzina Soad Ham. Per questo Alejandra Desiré Ordóñez aveva lasciato la scuola ed era sotto protezione, ma questo non ha fermato gli assassini che il 26 maggio l'hanno colpita a morte in una strada di Tegucigalpa. È l'ultima vittima di una vera e propria strage di giovani che in marzo ha visto cadere Diana Yarely Mendoza Palao (21 anni), Elvin Antonio López (19), Darwin Josué Martínez (21) e appunto Soad Nicole Ham Bustillo, di appena tredici anni. Tutti avevano partecipato attivamente alle mobilitazioni contro il ministro dell'Istruzione, Marlon Escoto, che alle richieste degli studenti aveva risposto con la repressione e la militarizzazione degli istituti. Del resto è questa la politica del governo, che ha aumentato i fondi destinati alle forze dell'ordine e diminuito quelli per sanità ed educazione. In un video che circola in rete la giovanissima Soad, intervistata da un canale tv sui motivi della protesta, spiega con veemenza che nella sua scuola mancano persino i banchi. Probabilmente proprio queste parole le sono costate la vita: sequestrata da sconosciuti, è stata torturata e strangolata. Gli altri tre studenti sono stati invece uccisi a colpi d'arma da fuoco. Le autorità hanno cercato di responsabilizzare di queste morti la malavita comune, ma l'opposizione non ha dubbi: ad agire sono stati gli squadroni della morte, che vogliono far tacere ogni dissenso. Nel mirino non sono solo gli studenti. Il 5 febbraio viene assassinato, sull'isola di Roatán, il giornalista di Canal 27 Carlos Fernández. Meno di tre settimane dopo, nella capitale, il bersaglio dei killer è Erick Arriaga, operatore di Radio Globo (l'emittente famosa per la sua coraggiosa opposizione al colpo di Stato). L'8 aprile a La Ceiba scompare il dirigente sindacale Donatilo Jiménez Euceda, che lavorava nel Centro Universitario Regional del Litoral Atlántico. Il 23 aprile vengono colpiti a morte, mentre viaggiano in macchina, il giudice di pace Jorge Pérez Alemán e Artemio Deras, di Radio Católica. Il 13 maggio, nel dipartimento di Yoro, è rinvenuto il cadavere di Franklin Johan Dubón, giornalista cieco di Radio Sulaco: era stato rapito da sconosciuti qualche ora prima. Il 20 maggio, nel dipartimento di Santa Bárbara, viene ammazzato Moisés Durón Sánchez, leader della lotta per la terra della comunità di Somolagua. Una settimana dopo è ucciso Rolando Alberto Andino, figlio della militante per i diritti umani Marigza Arévalo. Nonostante le minacce e le violenze, migliaia di persone sono scese in piazza in queste ultime settimane, nelle principali città del paese, per chiedere le dimissioni del presidente Juan Hernández. Il capo dello Stato, insieme a imprenditori, politici e membri dell'esecutivo, è considerato responsabile della gigantesca frode che ha portato l'Instituto de Seguridad Social al fallimento e ha provocato negli ultimi anni centinaia di vittime a causa della carenza di farmaci e di assistenza medica. Si sospetta che parte del denaro sottratto alle casse dell'ente sia stato utilizzato per finanziare la campagna elettorale del Partido Nacional, attualmente al potere. Senza curarsi di queste accuse, Hernández mira alla rielezione grazie all'aiuto della Corte Suprema che, con una recente sentenza, ha spianato la strada a una revisione costituzionale. Al Partido Nacional appartiene anche il predecessore di Hernández, Porfirio Lobo: durante il suo mandato, come ha denunciato Radio Globo Tv, si sarebbe consumata una mega truffa ai danni del Ministero dell'Agricoltura e dell'Allevamento. NUOVO ARRIVO DI MARINES. Gli Stati Uniti hanno annunciato l'invio in Centro America di 280 marines che in gran parte saranno dislocati in territorio honduregno (i restanti saranno ripartiti tra Belize, Guatemala e Salvador). Secondo il Southern Command avranno il compito di addestrare le forze locali nella lotta alla criminalità organizzata e nelle attività di salvataggio dei civili in caso di disastro naturale. Una notizia "preoccupante", commenta l'editoriale de La Jornada del 27 maggio, perché "apre la prospettiva di un nuovo ciclo di violazioni massicce ai diritti umani e di atrocità come quelle perpetrate dai militari e dai paramilitari della regione sotto la direzione, l'addestramento e il finanziamento del Pentagono e della Cia". Tanto più che, avverte il quotidiano messicano, "se i governi della regione sono incapaci di affrontare la delinquenza organizzata e di portare i suoi capi davanti ai tribunali, c'è da dubitare della loro capacità di condannare truppe occupanti che, come avviene persino con i caschi blu dell'Onu, hanno garantita l'impunità nel caso commettano qualsiasi tipo di sopruso nei confronti della popolazione civile". 30/5/2015 |
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Cuba, "un semplice atto di giustizia" "Cuba ha dovuto aspettare 33 anni per il semplice atto di giustizia che è stato portato a termine questo venerdì, quando il Dipartimento di Stato nordamericano ha ufficializzato l'uscita del nostro paese dalla lista dei paesi promotori del terrorismo internazionale". Così il Granma del 29 maggio dà notizia della risoluzione di Washington. Un concetto ribadito dalla televisione statale, che ha ricordato: "Per decenni siamo stati vittime del terrorismo e anzi i nostri servizi di informazione hanno collaborato per evitare atti terroristici contro gli Stati Uniti". La cancellazione dalla "lista nera" era una delle condizioni poste dall'Avana per giungere all'apertura delle ambasciate e costituisce un passo importante, anche se non rappresenta un alleggerimento dell'embargo, per il quale si dovrà attendere la decisione del Congresso. Naturalmente non tutti a Miami hanno apprezzato l'annuncio della diplomazia Usa. Pedro Rodríguez, direttore della Fundación por los Derechos Humanos en Cuba, lo ha definito "illogico, precipitato e penoso". E l'ex governatore della Florida, Jeb Bush, possibile candidato repubblicano alla Casa Bianca, ha parlato di "concessione unilaterale". Nonostante le opposizioni, il dialogo bilaterale è destinato ad approfondirsi. In questi mesi sono proseguite le conversazioni tra le due rappresentanze: l'ultimo ciclo si è tenuto il 21 e 22 maggio ed è stato definito "altamente produttivo" dalla responsabile della delegazione Usa, Roberta Jacobson. E Josefina Vidal, del Ministero degli Esteri cubano, ha confermato: "Abbiamo continuato ad avanzare", annunciando futuri incontri sul funzionamento delle missioni diplomatiche. La mediazione papale aveva giocato un ruolo fondamentale nel promuovere l'inatteso riavvicinamento tra Washington e l'Avana, come riconosciuto sia da Barack Obama che da Raúl Castro. Quest'ultimo il 10 maggio è stato ricevuto dal pontefice in Vaticano. Al termine dell'udienza ha espresso, davanti alla stampa internazionale, la sua ammirazione per Bergoglio: "Io leggo tutti i discorsi del papa e soprattutto i commenti che fa. E se il papa continua a parlare così, comincerò a pregare e tornerò alla Chiesa. E non lo dico per scherzo". Non sono solo gli Stati Uniti a mostrare interesse per l'apertura economica in corso a Cuba. L'11 maggio il presidente francese Hollande ha visitato l'isola, incontrandosi sia con Raúl che con Fidel Castro. È stato il primo viaggio di un capo di Stato dell'Unione Europea dopo l'avvio dei colloqui con Washington. La Francia intende ampliare la sua presenza sul mercato cubano, dove già operano da tempo grandi gruppi come la Total: non a caso, della folta delegazione che accompagnava Hollande facevano parte numerosi imprenditori. 29/5/2015 |
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El Salvador, una beatificazione light Almeno 300.000 persone hanno assistito il 23 maggio, nella capitale salvadoregna, alla cerimonia di beatificazione di monsignor Arnulfo Romero. Alla funzione hanno assistito i massimi rappresentanti dello Stato, a cominciare dal presidente Sánchez Cerén. Era presente anche il sindaco di Santa Tecla, Roberto D'Aubuisson, figlio del fondatore del partito Arena indicato come il mandante dell'assassinio. Dalle popolazioni del Centro America l'arcivescovo di San Salvador era stato proclamato santo da anni. Ma la sua beatificazione arriva a 35 anni dalla morte, per le innumerevoli opposizioni incontrate anche da parte ecclesiastica. In una lettera del 21 maggio Leonel Herrera, segretario esecutivo dell'Arpas (Asociación de Radios y Programas Participativos de El Salvador), ricorda a papa Bergoglio il blocco sistematico attuato dai suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, alla proclamazione del nuovo beato. Riferendosi ai preparativi per la cerimonia, Herrera stigmatizza inoltre il tentativo degli organizzatori di sminuire la portata del messaggio di Romero: "Con il ritornello di martire per amore cercano di svuotare il contenuto originale della beatificazione presentando un Romero light, molto diverso dal Romero che difese i poveri, denunciò le ingiustizie e segnalò gli oppressori. Stretti amici suoi non sono stati presi in considerazione e le canzoni degli artisti popolari sono state rimpiazzate da jingle di televisioni commerciali che ora mettono sul mercato il marchio Romero. L'Arcivescovo Martire non è invitato al suo atto di beatificazione". 23/5/2015 |
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Guatemala, in piazza contro la corruzione Continuano le manifestazioni di protesta in tutto il paese contro la corruzione della classe governante. Migliaia di persone sono scese in piazza più volte nelle ultime settimane per chiedere le dimissioni dei vertici dello Stato, dopo lo scoppio di una serie di scandali che hanno coinvolto le alte sfere del potere. Il presidente Pérez Molina ha cercato di correre ai ripari destituendo il ministro dell'Interno, Mauricio López, considerato il suo braccio destro (al posto di López è stata nominata Eunice Mendizábal), e i titolari dei dicasteri dell'Ambiente e dell'Energia. In precedenza era stata costretta alle dimissioni la vicepresidente Roxana Baldetti, sostituita dal giudice della Corte Costituzionale Alejandro Maldonado. A determinare la rinuncia di Baldetti il sospetto di un suo coinvolgimento in una rete di contrabbando su vasta scala. All'interno della stessa vicenda che ha colpito la vicepresidente, un altro nome eccellente è all'attenzione degli inquirenti: quello di Blanca Aída Stalling Dávila, membro della Corte Suprema, che avrebbe ricevuto tangenti per lasciare in libertà gli arrestati. Per un caso di corruzione ancora più grave sono finiti in carcere numerosi funzionari dell'Instituto Guatemalteco de Seguridad Social, tra cui il presidente Juan de Dios Rodríguez, ex segretario privato del capo dello Stato. L'accusa è di aver garantito un contratto miliardario alla Farmacéutica Pisa per il servizio di dialisi, nonostante l'impresa fosse priva dei requisiti necessari: proprio per tali carenze sarebbero morti tredici pazienti. 22/5/2015 |
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Argentina, archiviata la denuncia contro Fernández La Cassazione ha formalmente archiviato il 12 maggio la denuncia del defunto magistrato Alberto Nisman contro la presidente Fernández e altri dirigenti politici, accusati di aver voluto sottrarre alla giustizia i funzionari iraniani sospettati dell'attacco terroristico all'Amia. La Corte ha accolto la tesi del procuratore Javier de Luca, che nel suo rapporto sulle accuse di Nisman afferma: "Per quanto si passino in rassegna tutte le sue ipotesi più di una volta, non si riesce a trovare alcun reato da verificare e da dimostrare". E ancora: "Sostenere che firmare un trattato costituisce un piano criminale è un assurdo dal punto di vista giuridico". Il trattato è quello sottoscritto tra Buenos Aires e Teheran per permettere agli inquirenti di interrogare i cittadini iraniani in patria. L'accordo, approvato dal Congresso, in realtà non entrò mai in vigore perché dichiarato incostituzionale dalla giustizia argentina. Sempre sul piano delle campagne diffamatorie, l'ente ufficiale del registro del Belize ha smentito l'esistenza della Business and Services IBC, impresa che - secondo la rivista brasiliana Veja e il quotidiano argentino Clarín - sarebbe servita a nascondere un conto segreto di Nilda Garré, ambasciatrice argentina presso l'Oea, e di Máximo Kirchner, figlio di Cristina Fernández. In precedenza anche la Cnb Bank statunitense, che aveva assorbito la Felton Bank dello Stato del Delaware, aveva negato la presenza nella Felton di conti bancari a nome di tale impresa. Veja e Clarín, scrive Raúl Kollmann su Página/12, sulla falsariga della destra repubblicana statunitense avevano suggerito l'origine iraniana dei fondi depositati, che sarebbero serviti "presumibilmente per comprare l'impunità a favore dei sospettati dell'attentato contro l'Amia". FIRMATO ACCORDO STRATEGICO CON MOSCA. Nuovo impulso ai rapporti tra Argentina e Russia è stato dato il 23 aprile dall'incontro al Cremlino tra Cristina Fernández e Vladimir Putin. I due leader hanno sottoscritto un "accordo strategico integrale", che comprende lo sviluppo di strumenti per aumentare gli scambi commerciali utilizzando le monete nazionali. Buenos Aires e Mosca hanno inoltre concordato su una serie di questioni internazionali. Da parte russa è stato ribadito l'appoggio alla richiesta argentina di un negoziato con Londra sulle isole Malvinas e alla battaglia contro i fondi speculativi (i cosiddetti fondi avvoltoi). La presidente Fernández ha espresso il sostegno del suo governo alla risoluzione dell'Onu sulla crisi in Ucraina. 17/5/2015 |
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Cile, Bachelet rinnova la squadra di governo Dopo aver chiesto a tutti i suoi ministri di fare un passo indietro, l'11 maggio Michelle Bachelet ha rinnovato quasi totalmente la squadra di governo. Una manovra necessaria per fronteggiare la crisi di credibilità delle istituzioni, provocata da una serie di casi di corruzione in cui sono implicati esponenti sia della maggioranza che dell'opposizione. A minare fortemente la popolarità della presidente è stato il coinvolgimento, in uno di tali scandali, di suo figlio Sebastián Dávalos e della moglie di questi, Natalia Compagnon. "Abbiamo pensato a torto, adesso lo vediamo, che le leggi esistenti potessero limitare le attività criminali che oggi erodono la legittimità della democrazia. Non sempre abbiamo saputo, non ho saputo, condannare con forza e in tempo il modo eticamente incauto di fare affari che abbiamo conosciuto": così Bachelet aveva fatto autocritica, dopo aver ricevuto il rapporto di una commissione ufficiale da lei ordinata sui rapporti tra politica e denaro. I cambiamenti più significativi della compagine riguardano il Ministero dell'Interno, dove il democristiano Jorge Burgos sostituisce Rodrigo Peñailillo, del Partido por la Democracia, e il dicastero delle Finanze, dove Rodrigo Valdés (Ppd) prende il posto del socialista Alberto Arenas. Nell'esecutivo entra inoltre un secondo esponente del Partido Comunista, Marcos Barraza, che si affianca a Claudia Pascual. Per rispondere alla domanda di maggiore trasparenza della politica, Bachelet aveva presentato a fine aprile una serie di provvedimenti anticorruzione volti a regolare il finanziamento dei partiti, a stabilire norme contro il conflitto di interessi e a fissare limiti alla possibilità di rielezione nelle cariche pubbliche. ANCORA IN PIAZZA PER LA RIFORMA DELL'ISTRUZIONE. Migliaia di studenti e di insegnanti sono scesi in piazza il 14 maggio, a Santiago e in altre città, per chiedere una maggiore partecipazione alla riforma dell'istruzione promossa dalla presidente Bachelet. Non è la prima mobilitazione del mondo della scuola contro questa riforma, che da più parti viene considerata insufficiente e incompleta. A Valparaíso il corteo si è concluso in modo drammatico: due giovani manifestanti, Exequiel Borbarán (18 anni) e Diego Guzmán (25), che stavano scrivendo slogan di protesta sui muri di una casa, sono stati uccisi a colpi di pistola dal figlio del proprietario. 14/5/2015 |
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Uruguay, la politica filostatunitense di Tabaré Critico verso Caracas, tiepido nei confronti dell'integrazione regionale e desideroso di stringere legami con gli Usa: è il governo di Montevideo nella gestione di Tabaré Vázquez. A inaugurare il nuovo corso era stato il vicepresidente Raúl Sendic, che aveva respinto le denunce del presidente venezuelano Maduro sull'appoggio statunitense ai piani golpisti dell'opposizione: "Non abbiamo elementi per accompagnare questa affermazione", aveva dichiarato Sendic. Analoga posizione ha manifestato recentemente il ministro degli Esteri, Rodolfo Nin Novoa, che ha espresso la preoccupazione del suo paese per la situazione venezuelana, dove a detta di Amnesty International si sarebbero verificate uccisioni di manifestanti e torture ai detenuti politici. Il ministro ha addirittura tracciato un parallelo tra la realtà del Venezuela odierno e quella dell'Uruguay della dittatura. E a proposito di dittatura, va ricordato che nel 2010 l'allora senatore Nin Novoa si era detto contrario a un progetto di legge che avrebbe annullato la Ley de Caducidad (l'amnistia ai responsabili di violazione dei diritti umani). La svolta nella politica internazionale dell'amministrazione Tabaré è evidenziata anche dal settimanale Brecha, che sottolinea: "Dal discorso ufficiale del governo uruguayano sono scomparse alcune formule. Per esempio l'integrazione latinoamericana, l'idea di patria grande e la convinzione che il paese faccia parte di un blocco progressista insieme a Bolivia, Venezuela, Ecuador, Brasile e Argentina". Quanto all'avvicinamento a Washington, non è certo una novità per Vázquez, che nel corso del suo primo mandato aveva proposto la firma di un trattato di libero scambio con gli Stati Uniti. Il patto non era stato concluso per la rivolta della sinistra del Frente Amplio e per le proteste degli altri membri del Mercosur. Ora è la volta del Tisa, il Trade in Services Agreement, che promuove la liberalizzazione del mercato dei servizi (dalle telecomunicazioni alla finanza, dai trasporti all'acqua, dalla sanità all'istruzione), concedendo alle imprese straniere le stesse condizioni di quelle nazionali e imponendo forti limitazioni al potere di controllo dello Stato. Già con la presidenza Mujica l'Uruguay aveva avviato i primi negoziati per l'ingresso nel trattato, negoziati che adesso stanno entrando nel vivo. Promosso dalla centrale sindacale Pit-Cnt, secondo la quale l'adesione metterebbe a rischio migliaia di posti di lavoro, il 23 aprile si è tenuto un primo sciopero parziale di protesta. A MONTEVIDEO VINCE UN MODERATO DEL FRENTE. I risultati delle amministrative del 10 maggio registrano l'avanzata del Frente Amplio, che si impone in sei dipartimenti (erano cinque nel 2010) tra cui Montevideo, dove vive la metà della popolazione. Come cinque anni fa il Partido Nacional vince in dodici dipartimenti, mentre i colorados ne mantengono solo uno. All'interno del Frente Amplio gli elettori di Montevideo hanno premiato le posizioni più moderate: il socialista Daniel Martínez ha conquistato la poltrona di intendente sconfiggendo di larga misura Lucía Topolansky, esponente del Movimiento de Participación Popular come il marito, l'ex presidente Mujica. È la prima battuta d'arresto per il Mpp, che nelle scorse consultazioni aveva sempre visto aumentare i propri consensi. 12/5/2015 |
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Bolivia, il Mas perde alcuni bastioni Con un'altissima affluenza alle urne, che testimonia la grande partecipazione dei boliviani alla vita pubblica, si sono tenute il 29 marzo le consultazioni dipartimentali e municipali. I risultati hanno segnato un arretramento del Movimiento al Socialismo rispetto al voto dello scorso ottobre. Al primo turno il partito del presidente Morales ha eletto i governatori di Chuquisaca, Oruro, Potosí, Cochabamba e Pando, ma è stato sconfitto a Santa Cruz e soprattutto a La Paz. La perdita di alcuni tradizionali bastioni del Mas, che pur rimane la principale forza politica a livello nazionale, viene attribuita a una sorta di "voto castigo" contro candidati imposti dall'alto o accusati di corruzione. È il caso di Felipa Huanca, sospettata di essersi appropriata di risorse del Fondo Indígena, battuta nel dipartimento di La Paz da Félix Patzi, di Soberanía y Libertad. Insuccessi clamorosi si sono registrati anche in città simbolo come Cochabamba, teatro nel 2000 della "guerra dell'acqua", o El Alto, dove nel 2003 la "Guerra del Gas" portò alla caduta di Sánchez de Lozada. Sul fronte opposto Rubén Costas (Demócratas) è stato riconfermato a larga maggioranza governatore di Santa Cruz. Sull'elettorato non hanno fatto presa, a quanto pare, le pesanti accuse a suo carico mosse, solo un mese prima, da due membri della banda armata che nel 2009 progettò di dividere le regioni orientali dal resto del paese. I due, accettando il rito abbreviato e riconoscendosi colpevoli, hanno affermato che Costas era coinvolto nella preparazione del tentativo separatista. Il ballottaggio del 3 maggio ha riguardato i soli dipartimenti di Tarija e Beni. Nel primo caso si è imposto Adrián Oliva, della formazione di destra Unidad Departamental Autonomista; nel Beni ha vinto con uno strettissimo margine Alex Ferrier, del Mas. 8/5/2015 |
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Colombia, ancora nubi sul processo di pace In tutto il paese cresce la mobilitazione della società civile in favore della pace: il 9 aprile, Día Nacional de Solidaridad con las Víctimas, migliaia di persone sono scese in piazza per appoggiare il dialogo. Lo scontro armato del 14 aprile tra membri delle Farc ed esercito nel dipartimento del Cauca, in cui undici militari sono rimasti uccisi, ha però messo nuovamente a rischio il negoziato. I guerriglieri hanno affermato di aver reagito a un'operazione delle forze armate, ma il presidente Santos li ha accusati di aver violato la tregua da essi stessi proclamata e ha ordinato all'aviazione la ripresa dei bombardamenti. Il 18 aprile, nel dipartimento del Meta, due insorti sono morti sotto le bombe. Nei giorni successivi Santos si è rivolto alla guerriglia invitandola a chiedere perdono "per i fatti del Cauca, i crimini di guerra e le violazioni ai diritti umani". La risposta è contenuta in un comunicato del 24 aprile in cui la dirigenza delle Farc, pur ribadendo l'intenzione di mantenere il cessate il fuoco, si appella al "naturale diritto alla legittima difesa". Il gruppo guerrigliero lancia poi al paese alcune proposte, tra cui la diffusione del rapporto della Comisión Histórica del Conflicto y sus Víctimas sulle origini del conflitto e le responsabilità dello Stato, la costituzione di una commissione che indaghi il fenomeno del paramilitarismo e l'apertura degli archivi di polizia segreta e servizi di informazione. Ma le preoccupazioni maggiori per il futuro del processo di pace non vengono dal fronte militare. Il 27 aprile a Medellín è stato assassinato, da due sicari, il professor Luis Fernando Wolff Isaza. Cugino dell'ex guerrigliero Navarro Wolff, pur essendo in pensione Luis Fernando rappresentava ancora una voce critica all'interno del mondo universitario. E soprattutto militava nel Frente Amplio por la Paz, la Democracia y la Justicia Social, la coalizione di sinistra che lotta per la fine del conflitto. Non è l'unica vittima tra quanti si battono per il dialogo. Come denuncia David Flórez, portavoce nazionale di Marcha Patriótica, minacce e omicidi sono in aumento: "Nell'ultima settimana, per esempio, sono stati uccisi quattro indigeni nella zona del Cauca, appartenenti a organizzazioni legate al Frente Amplio por la Paz. Abbiamo 96 membri di Marcha Patriótica assassinati dalla data della nostra costituzione, nell'aprile del 2012, a oggi". 5/5/2015 |
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Brasile, assassinato leader indigeno Un'altra morte annunciata in Amazzonia. Eusébio Ka'apor, leader indigeno dell'Alto Turiaçu, nello Stato di Maranhão, è stato assassinato il 26 aprile con un colpo d'arma da fuoco da due uomini incappucciati. Le autorità erano state più volte avvertite delle minacce ricevute da chi cercava di difendere i boschi dal taglio illegale degli alberi, ma non avevano preso adeguate misure di protezione. E l'intervento degli organi competenti dello Stato per impedire il disboscamento si era limitato ad azioni sporadiche, finite le quali tutto tornava come prima. Per questo nel 2013 le comunità ka'apor avevano cominciato a realizzare attività autonome di controllo, scacciando i madeireiros dalle aree protette. In tal modo erano riuscite a porre un freno alla distruzione forestale, ma avevano dovuto subire intimidazioni e rappresaglie. "I Ka'apor sono in prima fila nella difesa del loro territorio, ma sono soli, non hanno l'appoggio dello Stato, che avrebbe il dovere di vigilare", denuncia Madalena Borges, del Conselho Indigenista Missionário del Maranhão. E secondo Marina Lacôrte, di Greenpeace, "oltre all'impunità, un incentivo all'invasione delle terre indigene per il taglio illegale è la garanzia che il legname sottratto potrà essere liberamente venduto sul mercato". Nonostante tutti gli sforzi, si calcola che già nel 2012 la Terra Indígena Alto Turiaçu abbia perso 44.000 ettari di boschi, diventando una delle regioni più deforestate dell'Amazzonia. IL GOVERNO RIPRENDE L'INIZIATIVA. A distanza di quasi un mese dalla prima mobilitazione, che aveva portato in piazza quasi due milioni di persone, il 12 aprile l'opposizione di destra ha promosso un'altra giornata di protesta, sempre con il sostegno dei grandi media (Tv Globo e Folha de S. Paulo in testa). Ma la partecipazione questa volta è stata molto minore, segno che la ripresa dell'iniziativa da parte dell'esecutivo sta cominciando a dare i suoi frutti. Dopo aver nominato coordinatore politico del governo Michel Temer, vicepresidente della Repubblica e presidente del Pmdb, garantendosi in tal modo la fedeltà di questo partito dall'alleanza altalenante, Dilma Rousseff ha avviato provvedimenti per l'aumento del salario minimo e per la diminuzione delle imposte che gravano sui lavoratori. A spuntare le armi dell'opposizione vi sono poi i lievi segnali di miglioramento della situazione economica e l'esplosione di nuovi scandali: ad essere coinvolti ora sono molti degli imprenditori che stavano finanziando la campagna destabilizzante e che sono accusati di gigantesche evasioni fiscali. Dunque non c'è più soltanto Petrobras nell'occhio del ciclone, anche se nell'ambito di questa inchiesta a metà aprile è stato arrestato il tesoriere del Pt, João Vaccari Neto. Intervenendo sul caso Petrobras, la presidente Rousseff ha ricordato che responsabili della corruzione furono alcuni individui, non l'impresa nel suo complesso, e ha affermato che gli attacchi alla maggiore compagnia energetica dell'America Latina nascondono un piano contro lo sviluppo industriale autonomo del paese. 28/4/2015 |
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Galeano, la voce dell'America Latina È morto il 13 aprile a Montevideo, a 74 anni, lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano. Autore di libri tradotti in innumerevoli lingue, come Las venas abiertas de América Latina (Hugo Chávez ne regalò una copia a Obama nel 2009) o la trilogia Memoria del Fuego, Galeano è stato per tanti anni interprete dei drammi e delle speranze del continente latinoamericano. Tra le altre sue opere ricordiamo: Días y noches de amor y de guerra, El libro de los abrazos, Las palabras andantes, Patas arriba, Bocas del tiempo, Espejos, Los hijos de los días. Vasta anche la sua produzione giornalistica: in patria collaborò con il settimanale Marcha; a Buenos Aires (dove si era rifugiato dopo il golpe in Uruguay) diresse il mensile culturale Crisis, finché la dittatura argentina non lo costrinse a trovare riparo in Catalogna. Tornato a Montevideo nel 1985, fu tra i fondatori della rivista Brecha. Per quanti hanno cominciato a interessarsi all'America Latina negli anni Settanta, Galeano ha rappresentato la porta d'ingresso a questo continente. A partire da Las venas abiertas, un compendio dei secoli di sfruttamento e di devastazione che hanno segnato la storia della regione. Anche in seguito è stato sempre possibile trovare nei suoi scritti uno sguardo preciso e puntuale sugli eventi, un punto di riferimento indispensabile. Dalla denuncia del colpo di Stato in Cile e poi in Uruguay e in Argentina all'entusiasmo per la Rivoluzione Sandinista del 1979, all'appoggio ai combattenti del Fmln in Salvador, via via fino a oggi, ha analizzato acutamente ogni avvenimento rilevante. Allo stesso modo ha saputo cogliere, con il suo stile inconfondibile e i suoi illuminanti paradossi, il valore di certe figure. Di Hugo Chávez diceva: "Hugo Chávez è un demonio. Perché ha alfabetizzato due milioni di venezuelani che non sapevano né leggere né scrivere, sebbene vivessero in un paese che ha la ricchezza naturale più importante del mondo, il petrolio"; "Hugo Chávez è un dittatore, ma è uno strano dittatore. Ha vinto otto elezioni in cinque anni. E recentemente si è sottoposto a un referendum in cui domandava ai venezuelani se approvavano il modello di Stato da lui proposto. È l'unico presidente della storia dell'umanità ad averlo fatto. E ha vinto con il 60%". E nella prefazione al libro, Noi, gli indios, che raccoglie scritti di Hugo Blanco, scriveva: "Le autorità lo accusarono di essere un terrorista. Avevano ragione. Lui seminava il terrore tra i padroni della terra e della gente". Non ha mai cercato di nascondere o abbellire la realtà. Affermava: "Non ho mai confuso Cuba con il paradiso. Perché dovrei confonderla, ora, con l'inferno? Sono tra quelli convinti che si possa amarla senza mentire né tacere". E sul Nicaragua di oggi, quello di Daniel Ortega, non si faceva illusioni. Sulla progettata costruzione del nuovo canale interoceanico si chiedeva: "Che imbroglio sta acquistando la famiglia regnante in Nicaragua? Quanto sta pagando quel popolo eroico per un canale fantasma? Non sentono un po' di vergogna quelli che hanno messo il cartello della liquidazione alla memoria della dignità del popolo che seppe tenere testa al più potente degli imperi dell'epoca contemporanea?" Era intervenuto anche sul tema del riscaldamento globale, svelandone i veri meccanismi, mettendo a nudo quel "mondo alla rovescia" in cui viviamo. Lo aveva fatto parlando del Salvador, colpito nell'ottobre 2005 dall'uragano Stan (2000 morti): "Che cosa hanno di naturale queste catastrofi matapobres? È tanto malvagia la natura? Pazza dalla nascita? Malvagia e pazza? O stiamo confondendo l'assassino con la vittima? È la natura quella che avvelena l'aria, inquina l'acqua, sradica i boschi e fa impazzire il clima? La risposta mi sembra stia diventando sempre più chiara. Che cattiva e malvagia non è la natura, e neppure pazza. Sebbene sulla natura i responsabili gettino la colpa. Gettano la colpa sulla natura, come se l'uragano si lamentasse del fatto che gli alberi lo colpiscono". In un articolo comparso sul quotidiano messicano La Jornada, la giornalista argentina Stella Calloni riporta alcune frasi dell'intellettuale uruguayano. Parlando della scrittura, Galeano sostiene che la sua funzione è quella di "restituire alle parole il significato che hanno perso, manipolate come sono da un sistema che le usa per negarle. C'è una lezione che il mondo ignora e che hanno dato a tutti noi gli indigeni guaraní quando crearono la loro lingua. Nell'idioma guaraní, parola e anima si dicono allo stesso modo. C'è una voce, ñ’e, che è la stessa per parola e anima. E in questo sistema des-almado, che ha ottenuto la quasi unanimità universale in nome della lotta contro il materialismo - e che è il più materialista dei sistemi che l'umanità abbia conosciuto - la parola è stata e continua a essere manipolata con intenti commerciali o di inganno politico". In quel colloquio Galeano esprime la sua fede "in un fatto umano fondamentale, che è il diritto di sognare e che non c'è nella Carta delle Nazioni Unite del 1948, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ci sono tanti diritti, ma tra questi non figura il diritto di sognare, che è un diritto fondamentale, senza il quale la povera speranza morirebbe di fame. Se il sogno non ci permettesse di anticipare un mondo diverso, se la fantasia non rendesse possibile questa capacità un po' miracolosa, che l'animale umano ha, di fissare lo sguardo al di là della malvagità, in che cosa potremmo credere? Che cosa potremmo sperare? Che cosa potremmo amare? Perché in fondo uno ama il mondo a partire dalla certezza che questo mondo, triste mondo trasformato a volte in campo di concentramento, contiene un altro mondo possibile. Questo mondo possibile che noi vediamo adesso affacciarsi in America Latina". 14/4/2015 |
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Storico vertice a Panama La stampa di tutto il mondo ha definito "storica" la VII Cumbre de las Américas (Panama, 9-11 aprile) per la stretta di mano tra il presidente cubano Raúl Castro e quello statunitense Barack Obama. Ma il vertice ha avuto un altro motivo di interesse: ha sancito l'esistenza di una nuova realtà latinoamericana, sempre più sganciata dalla sudditanza a Washington. Lo testimoniano i tanti interventi di capi di Stato apertamente critici nei confronti della Casa Bianca che, mentre avanza nel processo di normalizzazione diplomatica con l'Avana, segnala il Venezuela come una "minaccia eccezionale e straordinaria" alla sicurezza nazionale. Nel suo discorso Raúl ha ricordato gli innumerevoli interventi militari degli Stati Uniti nella regione e l'abbattimento di governi democratici per instaurare sanguinose dittature, "che assassinarono centinaia di migliaia di persone". Ha voluto però riconoscere che Obama, "un uomo onesto", "non ha alcuna responsabilità" su questi fatti. Revocare l'embargo e restituire a Cuba il territorio di Guantanamo: queste le richieste a Washington dell'ecuadoriano Rafael Correa, secondo il quale la dichiarazione del presidente Usa sul Venezuela "viola chiaramente il diritto internazionale". "Abbiamo bisogno di un nuovo sistema interamericano", ha puntualizzato Correa: l'Oea, sottomessa agli interessi statunitensi, non rispecchia più la situazione del continente. La presenza di Castro a Panama rappresenta "il trionfo della Rivoluzione Cubana", ha detto l'argentina Cristina Fernández: "Cuba è qui perché ha lottato per più di sessant'anni con una dignità senza precedenti". Nel suo intervento Fernández ha definito "ridicola" la dichiarazione di Obama sul Venezuela e ha denunciato le "forme più sottili di intervento" sorte negli ultimi anni: i golpes suaves, appoggiati dai grandi mezzi di comunicazione e da ong che hanno l'unico scopo di destabilizzare i paesi più impegnati nella lotta al neoliberismo e alla miseria. Nicolás Maduro ha voluto partire proprio dalla nazione ospitante, ricordando il massacro de El Chorrillo compiuto dalle truppe statunitensi nel 1989: anche Panama allora, come adesso il Venezuela, era stata dichiarata "una minaccia per gli Stati Uniti". Il presidente venezuelano ha poi citato le prese di posizione dell'Unasur e della Celac a favore di Caracas e gli undici milioni di firme raccolte in calce a un appello contro l'ultimo attacco di Obama al governo bolivariano. Anche la brasiliana Dilma Rousseff ha respinto l'adozione di sanzioni contro Caracas. Sottolineando i cambiamenti in corso nella regione, Rousseff ha affermato che, dopo il periodo di indebitamento e concentrazione della ricchezza prodotto dalle dottrine neoliberiste, "il consolidamento della democrazia e nuovi paradigmi politici in ognuno dei nostri paesi hanno invertito la logica di azione dello Stato, dando priorità allo sviluppo sostenibile con giustizia sociale". Durissime le parole del boliviano Evo Morales nei confronti di Washington: "La nostra memoria latinoamericana è piena di episodi di interventi armati degli Usa, di invasioni, di imposizioni e di aggressioni costanti". E ancora: "Presidente Obama, lei ci parla di democrazia, eppure tutti i giorni il suo governo ci manda i suoi sicari sofisticati per erodere la legittimità dei nostri governi, promuove colpi di Stato contro le nostre democrazie, finanzia agenzie che complottano e dividono la nostra società, semina ong per sovvertire l'ordine nei nostri popoli". "Il blocco dei 33 paesi che compongono la Celac è uscito rafforzato dall'incontro di Panama - scrive il politologo Juan Manuel Karg - Un'immagine può testimoniarlo: dopo aver ascoltato Raúl Castro, e prima che parlassero Cristina Fernández e Nicolás Maduro, Obama si è ritirato dalla riunione plenaria dei capi di Stato, con un atteggiamento molto discutibile. Questa immagine, che alcuni analisti conservatori hanno cercato di far passare come una sconfitta dei paesi dell'Unasur, afferma piuttosto il contrario: gli Stati Uniti non possono dirigere uno spazio che avevano creato con questo fine nel 1994". Uno spazio in cui Washington aveva già dovuto subire lo schiaffo del No all'Alca (Mar del Plata 2005). E la mancanza di una dichiarazione finale, oggi come nel precedente appuntamento di Cartagena, dimostra le profonde divergenze politiche ed economiche tra le nazioni del continente. Una dichiarazione finale hanno sottoscritto invece gli oltre 3.500 delegati alla Cumbre de los Pueblos, riuniti nell'Università di Panama in rappresentanza di centinaia di organizzazioni sindacali, sociali e popolari. Il documento esprime "fermo sostegno alla proclamazione dell'America Latina e dei Caraibi zona di pace e libera dal colonialismo", come concordato all'unanimità nel gennaio 2014 dal secondo vertice della Celac, e respinge "l'oppressione militare, le aggressioni e le minacce di ogni tipo portate avanti dagli Stati Uniti e dai loro alleati strategici contro la nostra regione attraverso basi militari, insediamenti operativi e simili installazioni, che solo negli ultimi quattro anni sono passate da 21 a 76 nella Nostra America, di cui dodici a Panama". 12/4/2015 |
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Perù, crisi di governo e proteste popolari Un avvocato dal deciso orientamento neoliberista, Pedro Cateriano, è dal 2 aprile il nuovo presidente del Consiglio dei Ministri in sostituzione di Ana Jara. Cateriano è molto vicino alle posizioni dello scrittore Mario Vargas Llosa e, come lui, è assai critico verso i paesi progressisti della regione. Il resto del gabinetto è stato quasi completamente riconfermato: tra i pochi avvicendamenti quello al dicastero degli Esteri, dove Ana María Sánchez sostituisce Gonzalo Gutiérrez. La caduta di Jara era stata provocata, a fine marzo, da un voto parlamentare di censura dopo la scoperta che migliaia di persone, politici, giornalisti, dirigenti sociali, imprenditori, erano state spiate e controllate dai servizi segreti. Tra i primi a denunciare lo scandalo erano stati i deputati dell'Apra e del gruppo fujimorista, dimentichi del fatto che tale pratica era iniziata proprio sotto il regime di Alberto Fujimori ed era poi proseguita durante il mandato dell'aprista Alan García. L'attacco al governo era comunque servito a distrarre l'opinione pubblica dalle accuse di corruzione, su cui il Congresso sta indagando, a carico di Keiko Fujimori (figlia dell'ex dittatore) e dello stesso García. Un altro caso di spionaggio è invece alla base della crisi diplomatica in corso tra Lima e Santiago. In febbraio tre sottufficiali della marina peruviana erano stati accusati di aver passato informazioni segrete al Cile. In seguito a tali denunce, Lima aveva deciso di ritirare temporaneamente il suo ambasciatore a Santiago. Già in febbraio il governo presieduto da Ana Jara aveva subito un rimpasto come conseguenza della rivolta popolare contro la Pluspetrol. La compagnia petrolifera argentina aveva avviato nella foresta amazzonica un progetto di ricerca e sfruttamento del gas naturale, progetto contestato dalle comunità indigene perché fortemente inquinante. A Pichanaki, nel dipartimento di Junín, la polizia aveva attaccato con durezza i manifestanti del Frente de Defensa Ambiental, in sciopero a tempo indeterminato per chiedere la partenza dell'impresa: un giovane era stato ucciso da un proiettile e più di cento persone (tra cui due bambini) erano rimaste ferite. Dopo aver inizialmente sostenuto che gli agenti non avevano usato armi letali, l'esecutivo aveva dovuto arrendersi di fronte all'evidenza, avviando un'indagine e sollevando dall'incarico 14 ufficiali. Lo sciopero era stato sospeso quando il ministro dell'Energia e delle Miniere, Mayorga, aveva annunciato alla popolazione di Pichanaki che la Pluspetrol avrebbe abbandonato la zona entro tre giorni. Il ritiro aveva suscitato le ire del settore imprenditoriale e dell'opposizione di destra, che avevano accusato il governo di aver ceduto davanti alle proteste. Il presidente Humala, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, aveva allora deciso di destituire sia il titolare del dicastero dell'Interno, Daniel Urresti, responsabile della sanguinosa repressione, sia i ministri Eleodoro Mayorga e Daniel Figallo (Giustizia), che avevano trattato con gli scioperanti (insieme ai tre era stata licenziata, per presunte irregolarità, la ministra della Donna, Carmen Omonte). 3/4/2015 |
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El Salvador, Arena primo partito in Parlamento Il 24 marzo migliaia di persone hanno commemorato il 35° anniversario della morte dell'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero, ucciso su mandato del maggiore Roberto D'Aubuisson, il leader degli squadroni della morte che più tardi fonderà l'Alianza Republicana Nacionalista, Arena. Romero sarà presto proclamato beato dalla Chiesa cattolica. Ma Arena mantiene la sua presa sulla società salvadoregna: si conferma infatti ancora una volta prima forza politica del paese, secondo i risultati delle elezioni legislative e amministrative del primo marzo resi noti ufficialmente solo il 27. Arena ottiene 35 deputati (tre in coalizione con il Pcn, Partido de Concertación Nacional), contro i 31 del Fmln e gli 11 del Gana, Gran Alianza por la Unidad Nacional. Queste ultime due formazioni, anche insieme, non riescono a raggiungere i 43 voti necessari per l'approvazione delle leggi e ancor meno la maggioranza qualificata richiesta per eventuali riforme costituzionali o per la nomina dei magistrati della Corte Suprema; il governo di Sánchez Cerén sarà dunque costretto a scendere a patti con l'opposizione. Gli altri seggi sono ripartiti tra il Pcn (6, di cui uno in coalizione con il Pdc, Partido Demócrata Cristiano, e uno con Democracia Salvadoreña) e il Pdc (1). Per quanto riguarda le amministrative, Arena conquista 129 comuni (dieci di questi in coalizione con Pcn o Pdc); il Fmln 85 (3 insieme ad altri partiti) tra cui la capitale, San Salvador, dove il giovane imprenditore Nayib Bukele ha sconfitto il sindaco uscente Norman Quijano, di Arena. Un dato importante riguarda la bassa affluenza: praticamente metà dell'elettorato ha disertato le urne, a conferma di una crescente sfiducia dei salvadoregni nei confronti del sistema politico. 27/3/2015 |
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Messico, il Guerrero in mano alla narcopolitica I familiari dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa continuano la battaglia e ogni mese, rispondendo al loro appello, il Messico si mobilita per reclamare verità e giustizia. Il 26 febbraio erano in tantissimi, soprattutto giovani, a gridare la loro protesta nelle strade della capitale. Al termine del corteo, con un lungo applauso è stato ricordato il professor Claudio Castillo Peña, bastonato a morte dalla polizia due giorni prima ad Acapulco, durante una manifestazione di insegnanti. Il 26 marzo migliaia di persone hanno partecipato in diverse città alla Jornada Global por Ayotzinapa. Tra le richieste anche la sospensione - fino a quando non ci saranno notizie certe degli scomparsi - delle previste consultazioni del 7 giugno che dovranno eleggere i deputati federali e rinnovare il governo di alcuni Stati, tra cui il Guerrero. Qui andare alle urne, affermano i parenti delle vittime, significa votare per i narcopolitici. Che il Guerrero sia ormai nelle mani della criminalità organizzata lo confermano anche le recenti notizie. Il 10 marzo è stata trovata decapitata Aidé Nava González, precandidata per il Prd alla presidenza municipale di Ahuacuotzingo. L'anno scorso il marito di Aidé, che aveva ricoperto l'incarico di sindaco dello stesso comune, era stato ucciso in un attentato; il figlio era stato sequestrato nel 2012 e, dopo un'iniziale richiesta di riscatto, di lui non si era saputo più nulla. E il 13 marzo sono stati rinvenuti i corpi di tre minatori della compagnia canadese Goldcorp. Erano stati rapiti una settimana prima insieme a un quarto lavoratore, che era stato poi liberato. Per rispondere alla crescente indignazione generale, il presidente Peña Nieto non ha trovato altra soluzione che rimuovere il contestato procuratore generale Murillo Karam, che aveva dichiarato chiuso il caso dei 43 scomparsi, sostituendolo con l'ex senatrice priista Arely Gómez. Il governo ha poi pubblicizzato con grande clamore l'arresto, tra fine febbraio e inizi marzo, di due noti narcotrafficanti: Servando Gómez Martínez La Tuta, fondatore del cartello La Familia Michoacana da cui nacquero poi i Caballeros Templarios, e Omar Treviño Z42, capo della sanguinosa banda de Los Zetas. Sorvolando sul fatto che, nel caso de La Tuta, la sua cattura non sarebbe stata possibile senza la lotta dei gruppi di autodifesa del Michoacán, che con le loro azioni avevano limitato la capacità di movimento del boss. Sull'onda dei successi nella lotta alla delinquenza, il capo dello Stato è riuscito a liberarsi di una voce scomoda: la giornalista Carmen Aristegui, che da anni otteneva un record di ascolti con il suo notiziario mattutino. Aristegui è stata licenziata a metà marzo, insieme alla sua équipe di collaboratori, dalla potente catena radiotelevisiva MVS Comunicaciones. Nessuno dubita che dietro tale allontanamento vi siano le pressioni di Peña Nieto, irritato per le rivelazioni sulla Casa Blanca, la lussuosa residenza che il Grupo Higa aveva concesso in uso a lui e alla moglie in segno di ringraziamento per i tanti appalti pubblici ottenuti. LA LOTTA DEI BRACCIANTI DI SAN QUINTIN. Dall'alba del 17 al mezzogiorno del 19 marzo hanno incrociato le braccia e bloccato 120 chilometri dell'arteria che attraversa la penisola della Baja California, paralizzando ogni attività commerciale nella Valle di San Quintín. Sono i braccianti impegnati nella raccolta di frutta e verdura destinata all'esportazione, nelle grandi imprese agricole che appartengono in gran parte a una quindicina di famiglie o a consorzi transnazionali. "Abbiamo voluto mostrarci, fare in modo che ci vedessero e comprendessero che noi braccianti siamo uomini e donne in carne e ossa, non solo mani per lavorare i campi. Abbiamo un volto, un nome e una famiglia; siamo decine di migliaia, perché insieme a noi ci sono i nostri figli, anche loro braccianti come sono stati i nostri padri", spiega Fidel Sánchez Gabriel, uno dei leader dell'Alianza de Organizaciones Nacional, Estatal y Municipal por la Justicia Social. Le loro richieste illustrano da sole lo sfruttamento di cui sono vittime: aumento del salario, attualmente a livelli da fame; riduzione della giornata di lavoro a otto ore (oggi arrivano fino a 14); un giorno di riposo settimanale; iscrizione alla previdenza sociale; pagamento degli straordinari e delle festività in base alla legge; fine della discriminazione e dei maltrattamenti; cessazione delle molestie sessuali dei caporali nei confronti delle lavoratrici. Il movimento ha già ottenuto un primo risultato, imponendosi all'attenzione di tutto il paese. E la lotta continua. 26/3/2015 |
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Argentina, si sgonfiano le accuse alla presidente La magistratura ha respinto il 26 marzo il ricorso presentato dal procuratore federale Gerardo Pollicita contro l'archiviazione, decisa dal giudice Daniel Rafecas, della denuncia di Alberto Nisman nei confronti della presidente Fernández e di altri esponenti politici per le presunte coperture a un gruppo di iraniani sospettati dell'attentato all'Amia. Nella risoluzione della Cámara Federal si ribadisce quanto già detto da Rafecas, che aveva parlato di "insussistenza del reato". Di Nisman, Rafecas aveva anche presentato due documenti ritrovati in una cassetta di sicurezza. I due testi sono quasi contemporanei, ma in essi si affermano tesi opposte: in uno si sostiene che il governo di Buenos Aires si proponeva di portare i funzionari iraniani davanti al giudice, nell'altro si accusa lo stesso governo di aver voluto aiutare i sospettati a sfuggire alla giustizia. Sembra dunque sgonfiarsi un caso che l'opposizione aveva utilizzato per un violento attacco alla presidenza: il 18 febbraio, un mese dopo la morte di Nisman in circostanze poco chiare, migliaia di persone avevano partecipato a una marcia del silenzio, promossa da un settore della magistratura legato alla passata dittatura e appoggiata dai partiti di destra, in cui si accusava esplicitamente Cristina Fernández di omicidio. Ma migliaia sono state anche le persone che si sono concentrate davanti al Congresso il primo marzo, testimoniando il loro sostegno al governo, in occasione del messaggio presidenziale per l'apertura delle sessioni parlamentari. Il discorso di Fernández, centrato sulle realizzazioni del suo mandato, conteneva anche un annuncio importante: l'invio di un progetto di legge per il recupero da parte dello Stato delle ferrovie privatizzate da Menem. Tra i presenti nell'assemblea legislativa il capo di gabinetto Aníbal Fernández, che il 26 febbraio aveva preso il posto di Jorge Capitanich, tornato a governare la provincia del Chaco. E centinaia di migliaia di manifestanti (tra cui moltissimi giovani) sono scesi in piazza il 24 marzo, 39° anniversario del golpe, per commemorare con due diversi cortei le vittime della dittatura. A fine febbraio si era spento Julio César Strassera, il procuratore che nel 1985 fu protagonista del primo processo contro i membri delle giunte militari. Famosa è rimasta la conclusione della sua requisitoria, nella quale utilizzò - come disse egli stesso - una frase che "appartiene ormai a tutto il popolo argentino": nunca más, mai più. 26/3/2015 |
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Colombia, accordo per il ritiro delle mine antiuomo Decine di migliaia di persone hanno manifestato a favore della pace partecipando l'8 marzo, nelle principali città del paese, alla Marcha por la Vida promossa dall'ex sindaco di Bogotá Antanas Mockus. Il giorno precedente nella capitale cubana, sede dei colloqui tra le due parti, era stato annunciato lo storico accordo tra governo e Farc sul ritiro delle mine antiuomo disseminate nelle campagne. L'organizzazione Ayuda Popular Noruega è stata invitata a coordinare i lavori di decontaminazione, cui parteciperanno anche elementi dell'esercito e della guerriglia. Dal 1990 al gennaio di quest'anno le mine antiuomo hanno provocato oltre 11.000 tra morti e feriti, di cui quasi la metà civili. Due giorni dopo, il presidente Santos ha ordinato la sospensione per un mese dei bombardamenti sugli accampamenti delle Farc, riservandosi alla scadenza di decidere un'eventuale estensione del provvedimento. Ma il movimento guerrigliero, che già osserva un cessate il fuoco unilaterale e indefinito dal 20 dicembre, ha messo in dubbio la buona fede dell'annuncio affermando che, "con l'esclusione dell'Eln dall'ordine di non bombardare, resta aperta la possibilità di farlo contro di noi, nella misura in cui agiamo come organizzazioni sorelle". Il comunicato difende poi la memoria di Gilberto Becerro, il comandante del Frente 57 caduto in combattimento, che è stato "presentato alla stampa come un volgare narcotrafficante, abbattuto in un'operazione di polizia". Le Farc respingono l'accusa di aver stretto accordi con bande criminali e anzi affermano di essere le uniche a combattere questi gruppi, mentre le forze dello Stato attaccano la guerriglia "al fine di garantire a tali bande campo libero per le loro attività mafiose. D'altra parte le statistiche non hanno mai registrato battaglie tra i paramilitari e la forza pubblica". E a proposito di paramilitarismo l'ex senatrice Piedad Córdoba, nell'intervista pubblicata il 17 marzo su La Jornada, ha denunciato che il fenomeno non si è ridotto, ma si sta ripresentando sotto nuove forme. "Ad esempio, di fronte alla legge di restituzione delle terre promossa da Santos due anni fa, che senza dubbio costituisce un passo avanti anche se molto limitato, è già sorto un esercito anti-restituzione, nient'altro che un nuovo gruppo paramilitare che ha assassinato un'ottantina di leader contadini". E i paras "continuano ad agire come gruppi repressivi contro l'opposizione. Davanti al sorgere di organizzazioni come Marcha Patriótica o l'Asociación Nacional de Zonas de Reserva Campesina, il Congreso de los Pueblos e altre, sono stati uccisi altrettanti dirigenti". La fine del conflitto, dunque, non è dietro l'angolo. Lo dimostra anche la richiesta, avanzata il 19 marzo al presidente Santos dal capo delegazione delle Farc all'Avana, Iván Márquez, di fermare i continui attacchi dell'esercito per salvare la tregua proclamata dalla guerriglia. Il governo, ha detto ancora Márquez, deve adoperarsi per bloccare le forze che mirano a far naufragare le trattative. 19/3/2015 |
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Brasile, la destra all'attacco di Dilma
Il 18 marzo Dilma Rousseff ha
annunciato il lancio di un vasto piano anticorruzione, che ora dovrà essere
approvato dal Congresso. Le nuove norme, che prevedono un inasprimento delle pene e misure
più efficaci per
garantire la trasparenza nell'amministrazione pubblica,
sono la risposta del governo allo scandalo Petrobras.
La crisi nella più importante impresa brasiliana era scoppiata un
anno fa con l'arresto di un ex dirigente, Paulo Roberto Costa, nell'ambito
di un'operazione contro una rete di riciclaggio e di invio di capitali
all'estero. Per ottenere uno sconto di pena, Costa aveva
rivelato l'esistenza di un vasto sistema di corruzione, in base al quale gli
imprenditori che stipulavano contratti con la compagnia
ingigantivano i costi e distribuivano parte del denaro così ricavato ai
funzionari di Petrobras e ai partiti politici compiacenti. Secondo
un altro ex dirigente implicato nello scandalo, tale sistema funzionava
già dalla fine degli anni Novanta, durante il mandato di Fernando Henrique
Cardoso.
L'elenco degli attuali indagati, oltre cinquanta, include i
presidenti della Camera, Eduardo Cunha, e del Senato, Renan Calheiros
(entrambi del Pmdb, principale alleato del Pt), l'ex ministro
delle Finanze Antonio Palocci e l'ex presidente Collor de Mello. Nonostante il coinvolgimento di
esponenti di sei diversi partiti, i grandi media - in mano
all'opposizione - hanno sfruttato il cosiddetto Petrolão
per un attacco senza precedenti a Dilma Rousseff, contro la quale sono
giunti a chiedere l'impeachment. L'obiettivo è il discredito
del Partido dos Trabalhadores, colpevole di aver promosso una
politica assistenziale che ha permesso a milioni di brasiliani di
affrancarsi dalla miseria. Il bersaglio non è solo la
presidente in carica, ma il suo predecessore Lula che
potrebbe ricandidarsi nel 2018: di lui il quotidiano O Globo è
giunto a scrivere che "sta diventando una forte minaccia alla democrazia".
18/3/2015 |
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Venezuela, una "minaccia" per la sicurezza Usa? Il Venezuela rappresenta una "minaccia eccezionale e straordinaria" alla sicurezza degli Stati Uniti e alla sua politica estera e pertanto va dichiarata una situazione di "emergenza nazionale". Le incredibili affermazioni sono di Barack Obama, che il 9 marzo ha così giustificato nuove sanzioni contro sette alti funzionari di Caracas. "Obama ha fatto il passo più aggressivo, ingiusto e nefasto che mai sia stato fatto contro il Venezuela", ha risposto Nicolás Maduro, richiamando immediatamente in patria per consultazioni l'incaricato d'affari a Washington. La Casa Bianca ha deciso dunque di alimentare ulteriormente la tensione tra i due paesi, dopo il sostegno agli episodi di destabilizzazione portati avanti dall'opposizione, come le guarimbas (le barricate e le altre forme di protesta violenta) che l'anno scorso provocarono almeno 43 morti e centinaia di feriti. L'ennesimo atto di ingerenza ha preso come pretesto l'arresto, il 19 febbraio, del sindaco della capitale Antonio Ledezma, accusato di coinvolgimento nei progetti golpisti che miravano alla deposizione di Maduro e all'instaurazione di un governo di transizione. Nei giorni successivi venivano denunciati nuovi atti terroristici come il sequestro e la distruzione, da parte di gruppi armati, di un automezzo carico di medicine e di un camion pieno di bombole di gas, e venivano diffuse le prove del colpo di Stato sventato due settimane prima, il Plan Jericó. A svelarne i dettagli la confessione di uno dei congiurati, l'ufficiale dell'aviazione Luis Lugo Calderón: il piano prevedeva tra l'altro il bombardamento del palazzo di governo, dei principali Ministeri e della sede di Telesur. Il 24 febbraio, durante gli scontri tra studenti e polizia a San Cristóbal (Stato di Táchira), un ragazzo di 14 anni veniva ucciso da un proiettile di gomma: per il fatto era arrestato un agente. A fine mese, al termine di una manifestazione antimperialista, Maduro annunciava una serie di misure nei confronti degli Stati Uniti, tra cui la diminuzione dei funzionari della rappresentanza diplomatica da un centinaio a poco più di una quindicina (quella di Caracas a Washington non supera i 17) e l'obbligo di visto per l'ingresso nel paese dei cittadini Usa. L'intervento di Obama del 9 marzo ha suscitato immediate reazioni in gran parte dell'America Latina. "Chi può credere che il Venezuela sia un pericolo per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti? Chi con la mente sana può pensare una cosa simile?" si è chiesto il presidente ecuadoriano Rafael Correa, definendo la decisione Usa "grottesca" e "illegale". E il boliviano Evo Morales ha dato mandato al suo ministro degli Esteri di convocare Celac e Unasur "per dichiararci in stato d'emergenza" di fronte all'attacco della Casa Bianca. Anche Cuba si è subito unita alla protesta. Di "aggressione senza precedenti alla stabilità del Venezuela e, di conseguenza, della nostra regione" parla il comunicato dei paesi dell'Alba. Il 14 marzo sono stati i ministri degli Esteri dell'Unasur, riuniti a Quito, a respingere la dichiarazione di Obama, che "costituisce una minaccia e un'ingerenza alla sovranità e al principio di non intervento negli affari interni di altri Stati". Una risoluzione di condanna del governo venezuelano è stata invece approvata a Strasburgo dal Parlamento Europeo, che ha espresso "profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione" nel paese e ha chiesto la liberazione degli oppositori incarcerati. La maggioranza del gruppo della Sinistra Europea ha votato contro la mozione. 14/3/2015 |
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Paraguay, ucciso un altro giornalista Gerardo Servián era giornalista radiofonico presso l'emittente Ciudad Nueva di Zanja Pytã (nel dipartimento di Amambay). È stato assassinato il 5 marzo nella città brasiliana di Ponta Porã, alla frontiera con il Paraguay, da due sicari in moto che lo hanno crivellato di colpi. I sospetti autori materiali del crimine sono stati arrestati, ma la famiglia della vittima non nutre alcuna fiducia nelle indagini delle autorità. Il movente è politico, ha denunciato il fratello, perché Gerardo si era occupato a lungo delle questioni legate all'amministrazione locale. Dello stesso parere i giornalisti che il giorno successivo hanno manifestato davanti alla Procura Generale di Asunción. "Protestiamo contro il governo della narcopolitica, che ha stroncato la vita di cinque colleghi in poco più di un anno e mezzo. Da quando Cartes ha assunto la presidenza, la mafia uccide impunemente - ha dichiarato Santiago Ortiz, segretario generale del Sindicato de Periodistas - I mafiosi sentono di avere assoluta libertà di agire, si sentono parte di questo governo, di quelli che oggi stanno distruggendo il potere pubblico in Paraguay. Perché ora in questo paese comanda il crimine organizzato". NUOVE MOBILITAZIONI CONTADINE. Una grande manifestazione si è tenuta il 10 febbraio ad Asunción: davanti al Congresso si sono concentrati migliaia di contadini, giunti da ogni parte del paese con una larga marcha iniziata cinque giorni prima. Chiedevano la riforma agraria e protestavano contro il saccheggio delle risorse naturali e i progetti di privatizzazione dei servizi pubblici. "Lungo la strada abbiamo ottenuto l'appoggio della gente, che ci ha offerto la sua solidarietà o un bicchiere d'acqua per continuare il cammino", ha affermato Dora Flecha, dirigente del partito Paraguay Pyahurã, spiegando che il sostegno popolare era l'obiettivo principale che si erano prefissi. Per coordinare l'azione delle opposizioni contro la politica del governo Cartes è nato il primo marzo il Congreso Democrático del Pueblo. Ne fanno parte oltre una ventina di partiti, sindacati e organizzazioni sociali, tra cui il Frente Guazú e la Federación Nacional Campesina. 7/3/2015 |
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Uruguay, l'eredità di José Mujica Il primo marzo a Montevideo è avvenuto il cambio della guardia: Tabaré Vázquez ha ricevuto la fascia presidenziale dalle mani del suo predecessore, José Mujica. In serata, in un messaggio alla nazione, il nuovo capo dello Stato ha tratteggiato le linee della sua politica, che in più punti sembra volersi discostare dal solco tracciato da Mujica. In particolare Tabaré ha promesso un'apertura al mondo sulla base di un "regionalismo aperto", formula che secondo alcuni commentatori prelude a una diversa posizione di Montevideo sul piano internazionale. Mentre Mujica aveva mostrato un chiaro orientamento latinoamericano, favorevole a Mercosur e Unasur, scrive Raúl Zibechi, "Vázquez appare incline a ripetere l'avvicinamento agli Stati Uniti che aveva tentato nel suo primo governo (2005-2010), avvicinamento vanificato da una potente mobilitazione sociale". Il presidente uscente lascia l'alta carica con una vasta popolarità grazie alle realizzazioni della sua gestione: riduzione della povertà, approvazione della giornata di otto ore per i braccianti, ampliamento dei diritti civili (dal riconoscimento del matrimonio egualitario alla depenalizzazione dell'aborto, alla regolamentazione del mercato della marijuana). Risultati notevoli, soprattutto se si tiene conto dei limiti della coalizione che lo aveva portato alla presidenza, "una coalizione ampia, interclassista e ovviamente contraddittoria", come afferma Mariano Molina. Molto resta ancora da fare: lo stesso Mujica ha riconosciuto di non essere riuscito a superare alcuni ostacoli nell'obiettivo di rendere più giusto il sistema tributario, di migliorare le politiche di inclusione e di estendere il sistema educativo e la costruzione di alloggi popolari. Ma sicuramente Vázquez, nonostante le convinzioni personali (ad esempio è sempre stato contrario all'interruzione volontaria della gravidanza), non potrà ridiscutere questa grande eredità. 6/3/2015 |
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Argentina, un "suicidio" destabilizzante
La morte del procuratore Alberto Nisman,
in apparenza suicidatosi la sera del 18 gennaio con un
colpo di pistola alla testa, ha avuto l'effetto di un vero e proprio terremoto.
Poche ore dopo Nisman avrebbe dovuto presentare davanti al Congresso la
sua accusa contro la presidente Cristina Fernández, il ministro
degli Esteri Héctor Timerman e altri esponenti politici per il presunto
insabbiamento della pista iraniana nelle indagini sul sanguinoso attentato del
1994 all'Amia (Asociación Mutual Israelita Argentina).
L'impunità ai funzionari iraniani - sosteneva Nisman - era stata garantita dall'accordo
diplomatico raggiunto nel 2013 tra Buenos Aires e Teheran, un accordo che prevedeva la possibilità, per
gli inquirenti argentini,
di interrogare i sospettati in
Iran alla presenza di osservatori internazionali.
Nonostante alcuni magistrati abbiano definito inconsistenti le prove in mano a Nisman,
il caso è stato utilizzato dall'opposizione per
scatenare una vera e propria offensiva mediatica contro la presidente Fernández.
In ottobre l'Argentina sarà chiamata alle urne per eleggere il nuovo capo
dello Stato. Dopo due mandati Cristina Fernández non può
ricandidarsi e questo costituisce indubbiamente un handicap per la sua
coalizione, il Frente para la Victoria; i potentati economici
sperano dunque di poter chiudere entro pochi mesi la parentesi
kirchnerista per tornare al neoliberismo. A guidare gli attacchi è il
Grupo Clarín, comprendente decine di canali televisivi,
emittenti radio, quotidiani, riviste, che dal 2009 si oppone alla Ley
de Servicios de Comunicación Audiovisual con cui il governo ha
cercato di democratizzare l'informazione.
Depistaggi e occultamenti hanno contrassegnato fin dall'inizio le
indagini sull'attentato all'Amia. Lo stesso Nisman aveva indirizzato l'inchiesta in
un'unica direzione, quella iraniana indicata dai servizi segreti
statunitensi e israeliani (WikiLeaks ha rivelato che il
magistrato concordava con l'ambasciata Usa ogni suo passo). Il caso Amia è
diventato così un elemento di un complesso gioco geopolitico. Nella
vicenda spunta anche un ambiguo personaggio legato a Nisman,
Antonio Stiuso, ex membro della Side (Secretaría de Inteligencia). Per porre
un freno ai servizi deviati, Cristina Fernández ha deciso la
dissoluzione della Side e la creazione di una nuova agenzia; il progetto
di riforma è attualmente in discussione in Parlamento. Intanto però le
manovre destabilizzanti non si fermano: il procuratore federale
Gerardo Pollicita ha deciso di dar corso alla denuncia contro la
presidente Fernández e il ministro Timerman. Si tratta di "golpismo
giudiziario", ha affermato il capo di gabinetto, Jorge Capitanich.
16/2/2015 |
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Venezuela, sventato un tentativo di golpe I servizi d'informazione hanno sventato un tentativo di colpo di Stato, organizzato da un gruppo di ufficiali dell'aviazione: i golpisti, che contavano sull'appoggio degli Usa, intendevano attaccare il Palacio de Miraflores e uccidere il presidente Maduro e altri dirigenti bolivariani. Lo ha annunciato lo stesso Maduro la sera del 12 febbraio, al termine di una giornata contrassegnata da due manifestazioni contrapposte nella capitale e da scontri tra polizia e militanti dell'opposizione a San Cristóbal. Maggiori dettagli sul frustrato golpe sono stati forniti dal presidente dell'Asamblea Nacional, Diosdado Cabello, che ha fatto il nome di civili e militari sospettati di aver preso parte alla cospirazione (gli arrestati sono già una decina). In un discorso a reti unificate il comandante in capo delle forze armate, Vladimir Padrino, ha ribadito la lealtà al governo manifestando l'energico ripudio della Fuerza Armada Nacional Bolivariana "verso la condotta di un ristretto numero di professionisti che non rappresentano il pensiero, il sentimento e l'agire della nostra istituzione". Sostegno al presidente Maduro è stato espresso dal segretario generale dell'Unasur, Ernesto Samper. Il capo dello Stato ha collegato i progetti del gruppo di ufficiali ai piani di destabilizzazione portati avanti da tempo dalla destra locale e internazionale. L'offensiva economica sta generando forte instabilità nel paese; la penuria di beni provocata dall'accaparramento porta a code interminabili davanti ai negozi, alimentando insofferenze e malumori nella popolazione. Una situazione che presenta molte analogie con quella cilena alla vigilia della presa del potere da parte di Pinochet. Il governo ha reagito creando catene pubbliche di distribuzione dei prodotti e denunciando proprietari e gerenti di negozi, supermercati e farmacie. Già agli inizi di febbraio Maduro aveva chiesto la massima unità dell'esercito e del popolo, lanciando un allarme su preparativi golpisti nei quali sarebbe stato implicato il vicepresidente statunitense Joe Biden. Per tutta risposta Washington aveva esteso la proibizione all'ingresso negli Usa ad altri funzionari venezuelani, oltre a quelli sanzionati in dicembre. 13/2/2015 |
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Messico, Ayotzinapa: caso chiuso? Il caso è chiuso. Il procuratore generale, Murillo Karam, ha ripetuto la sua ricostruzione sulla scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa: sono stati assassinati e i loro corpi bruciati e gettati nel fiume San Juan dai narcotrafficanti del cartello Guerreros Unidos. Tutto sarebbe nato da un equivoco: a Iguala i giovani sarebbero stati scambiati per membri del gruppo rivale Los Rojos che desideravano impadronirsi della piazza; per questo il sindaco della città, José Luis Abarca, legato ai Guerreros Unidos, avrebbe ordinato alla polizia locale il loro arresto e la loro consegna ai sicari dei narcos. Sulla vicenda non resta più nulla da scoprire; meglio seguire il consiglio del presidente Peña Nieto di "non rimanere legati" al caso Ayotzinapa, sembrano suggerire gli inquirenti. Non sono d'accordo però i familiari, che contestano una versione di comodo atta a nascondere complicità a più alto livello. Non sono d'accordo i rappresentanti della Comisión Nacional de Derechos Humanos e di Human Rights Watch, che hanno respinto le frettolose conclusioni della Procura Generale. E non sono d'accordo le migliaia di persone che il 26 gennaio, a quattro mesi dalla scomparsa, sono tornate a riempire le strade della capitale con lo slogan: "Hanno scommesso sull'oblio... e noi siamo qui". A Murillo Karam si rimprovera in particolare di aver assolto da ogni responsabilità l'esercito, nonostante siano emerse numerose testimonianze in senso contrario. Per questo il 12 gennaio genitori e studenti di Ayotzinapa sono tornati davanti alle istallazioni del 27° battaglione di fanteria, tentando di entrare alla ricerca degli scomparsi. Nello scontro che ne è seguito si sono registrati sei feriti. Manifestazioni analoghe, organizzate dalla Coordinadora Nacional de los Trabajadores de la Educación e dal Sindicato Nacional de Trabajadores de la Educación si sono tenute davanti ad altre caserme e basi navali non solo nello Stato del Guerrero, ma in Chiapas, Michoacán, Morelos, Oaxaca e Veracruz. Il 2 e 3 febbraio il caso Ayotzinapa è stato portato davanti al Comitato delle Nazioni Unite sulle Sparizioni Forzate: alle udienze hanno assistito i genitori di due delle vittime, recatisi a Ginevra "per ottenere davvero giustizia, perché il nostro governo ne è incapace", come hanno dichiarato ai giornalisti. Nella città svizzera sono emerse chiaramente - ha denunciato Amnesty International - le molte mancanze e omissioni delle autorità messicane. Quattro giorni dopo, gli esperti dell'Equipo Argentino de Antropología Forense hanno reso noto un documento in cui esprimono seri dubbi sulla gestione dell'inchiesta da parte della Procura e sostengono che l'indagine "non può dirsi conclusa, dal momento che vi è ancora da esaminare una grande quantità di prove". ASSASSINATI UN GIORNALISTA E UN LEADER SOCIALE. Il 2 gennaio Moisés Sánchez Cerezo era stato sequestrato da sei sicari. Il suo cadavere, irriconoscibile, è stato rinvenuto 22 giorni dopo. Sánchez era un giornalista comunitario: a Medellín de Bravo, nello Stato di Veracruz, redigeva, stampava e distribuiva gratuitamente il settimanale La Unión, con cui denunciava i casi di corruzione e i legami dei funzionari pubblici con il crimine organizzato. Aveva anche organizzato manifestazioni di protesta, l'ultima in dicembre, per dare voce alla popolazione contro gli abusi del potere. Un ex poliziotto e trafficante di droga, accusato di aver partecipato al crimine, ha indicato come mandante il sindaco di Medellín, Omar Cruz Reyes, esponente del Pan. Con il suo attivismo Moisés Sánchez "solleva un vespaio", avrebbe detto il sindaco. Il 4 febbraio nel municipio di Ayala (Morelos) è stato trovato morto Gustavo Salgado Delgado, uno dei leader del Frente Popular Revolucionario. Il giorno prima Salgado si era riunito, nella comunità di El Chivatero, con un gruppo di lavoratori a giornata del vicino Stato del Guerrero, in lotta per ottenere un pezzo di terra su cui costruire la casa. Dopo la riunione era partito da El Chivatero ed era scomparso. Il dirigente aveva ricevuto diverse minacce per il suo appoggio alle proteste contro il Proyecto Integral Morelos promosso dal governo statale. Il progetto, che prevede la realizzazione di due impianti termoelettrici, un acquedotto e un gasdotto, comporterebbe la cacciata di migliaia di contadini dalle loro terre. 7/2/2015 |
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Brasile, il mandato difficile di Dilma Rousseff A giudicare dalle prime settimane, il secondo mandato di Rousseff non si preannuncia per niente facile. La stessa cerimonia di insediamento del primo gennaio è stata significativa: come scrive Eric Nepomuceno, "nell'assumere formalmente un nuovo periodo di quattro anni alla presidenza della maggiore economia latinoamericana e ancora una delle maggiori del mondo, Dilma Rousseff è stata investita della carica, in base al protocollo, dal presidente del Senato e del Congresso, Renan Calheiros. Al suo fianco aveva anche Henrique Alves, presidente della Camera dei Deputati. Entrambi del Pmdb, principale alleato del Pt. Ed entrambi denunciati per corruzione nello scandalo Petrobras". Personaggi, aggiunge il giornalista brasiliano, che "paiono mostrare come curriculum un prontuario criminale. Perché va ricordato che i due hanno vasti antecedenti, e non precisamente onorevoli, nel corso delle loro nefaste carriere politiche". Per formare il suo nuovo esecutivo, Dilma ha dovuto accontentare non solo il Pmdb, ma tutte le altre formazioni dell'eterogenea coalizione che la sostiene, pesando sul bilancino gli incarichi ministeriali e guardando spesso non alla competenza, ma all'appartenenza partitica. E alcune scelte sono difficilmente accettabili da parte del suo elettorato. È il caso di Katia Abreu, esponente dei grandi imprenditori agricoli, posta a capo del dicastero dell'Agricoltura. All'indomani della nomina, Abreu ha scatenato una dura polemica sostenendo che la riforma agraria è un concetto antiquato perché i latifondi non esistono più. Immediata la reazione del Movimento Sem Terra, che ha accusato la neoministra di "rappresentare gli interessi dei settori più arretrati dell'agricoltura, che non raggiungono livelli minimi di produttività, danneggiano l'ambiente e si avvalgono del lavoro schiavo". Anche la squadra economica ha suscitato a sinistra non pochi malumori. Il nuovo ministro delle Finanze, Joaquim Levy, ha subito detto che la sua principale preoccupazione sarà quella di recuperare la fiducia degli investitori e ha preannunciato una rilevante riduzione della spesa pubblica. Nelson Barbosa, a capo del dicastero della Pianificazione, intende assicurare progetti che permettano controllo dei costi e generazione di maggiori investimenti. Politiche che assomigliano molto a quelle promesse dallo sconfitto Aécio Neves e che naturalmente sono state accolte con favore dai mercati finanziari. Il governo afferma che solo così si potrà creare ricchezza per preservare i programmi sociali, in un momento di forte rallentamento dell'economia e di alto tasso d'inflazione. Per quanto riguarda le relazioni internazionali, il Ministero è stato affidato all'ambasciatore brasiliano a Washington, Mauro Vieira. Molti commentatori hanno visto in questa scelta un tentativo di ricomporre i rapporti con gli Stati Uniti, dopo la crisi provocata dalle rivelazioni di Snowden sullo spionaggio Usa ai danni della stessa Rousseff. Il primo febbraio, con il rinnovo del Congresso e l'inizio della nuova legislatura, i problemi di Dilma Rousseff sono aumentati. Il nuovo Parlamento è più conservatore sui temi sociali e più liberista sul piano economico e il governo vede ristretta la sua maggioranza. Calheiros è stato rieletto a presidente del Senato, mentre la Camera sarà presieduta da Eduardo Cunha, anch'egli del Pmdb, ma acerrimo nemico di Rousseff. E per cominciare Cunha ha favorito la richiesta dell'opposizione di creare una Commissione Parlamentare d'Inchiesta sullo scandalo Petrobras. Dopo una serie di arresti eccellenti, la vicenda registra ora le dimissioni della presidente della compagnia, Maria das Graças Foster, che verrà sostituita da Aldemir Bendine, proveniente dai vertici del Banco do Brasil. LE FORZE ARMATE CONTRO LA VERITA'. Tra i temi che il nuovo mandato di Rousseff dovrà affrontare vi è la lotta all'impunità. Il 10 dicembre la Comissão da Verdade ha presentato il suo rapporto, indicando in 434 il numero dei morti e degli scomparsi durante la dittatura e individuando 377 responsabili diretti di violazione dei diritti umani (in gran parte militari e agenti di polizia). Della Commissione ha fatto parte Rosa Cardoso, l'ex avvocata di Dilma ai tempi del regime. Cardoso ha lamentato la mancanza di collaborazione degli Stati Uniti in merito alle informazioni sul Plan Cóndor e ha denunciato gli ostacoli posti dalle forze armate alla ricerca della verità. L'atteggiamento di alcuni alti ufficiali è ben riflesso dalle parole del generale Nilton Cerqueira: "Io, che ho osservato la legge, sono quello che ha violato i diritti umani? E i terroristi? E la terrorista che oggi presiede il paese?" I risultati della Commissione hanno trovato ampia copertura nei media brasiliani. I canali televisivi vi hanno dedicato largo spazio, con documentari e interviste, e più volte sugli schermi è apparsa la figura della presidente con gli occhi umidi durante la cerimonia di consegna del rapporto. Ma i giornali conservatori come O Globo, Folha de S. Paulo, Estado de S. Paulo hanno espresso senza mezzi termini il loro no alla revisione della legge d'amnistia, nonostante già nel 2010 la Corte Interamericana per i Diritti Umani avesse segnalato che i crimini di lesa umanità sono imprescrittibili. 6/2/2015 |
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Cile, le riforme di Michelle Bachelet "Oggi si chiude un lungo cammino. Dopo 25 anni abbiamo detto addio al binominale. Oggi è un giorno storico". Così Ximena Rincón, ministra della Segreteria Generale della Presidenza, ha salutato il 20 gennaio l'approvazione in Parlamento della riforma elettorale, che cancella il sistema binominale istituito dalla dittatura. Un sistema che garantiva il mantenimento di una forte componente conservatrice e che, nonostante tutte le critiche, si era finora conservato intatto per l'opposizione della destra, in particolare del partito pinochetista Udi. Pochi giorni dopo il Congresso ha detto sì a un'altra importante riforma, quella dell'istruzione. La legge, che entrerà in vigore il primo marzo del 2016, mira a "un sistema educativo più moderno, di qualità, gratuito e senza discriminazione", come ha sottolineato la presidente Bachelet. Gli istituti che ricevono contributi pubblici dovranno essere "senza fini di lucro" ed eliminare ogni tipo di selezione nell'ammissione degli alunni; inoltre non potranno chiedere un contributo economico alla famiglia dello studente. La riforma era stata una delle richieste delle grandi mobilitazioni studentesche degli scorsi anni. E proprio una delle leader di quel movimento, l'attuale deputata Camila Vallejo, ha dichiarato: "Ci stiamo mettendo al livello di quei paesi sviluppati che lavorano per porre al primo posto il criterio dell'uguaglianza". È stata poi la volta della legge sulle unioni civili, storica rivendicazione della comunità lgbt. In base alle nuove norme le coppie di fatto, sia etero che omosessuali, potranno condividere beni, ricevere eredità, godere dei benefici del sistema pensionistico e sanitario e ottenere la custodia di minori, nel caso i genitori biologici non possano farlo. Già approvata dal Congresso, la legge passa ora al vaglio del Tribunal Constitucional; successivamente verrà promulgata dalla presidente. E il 31 gennaio Michelle Bachelet ha firmato il progetto legislativo per la depenalizzazione dell'aborto terapeutico. Tre i casi in cui l'interruzione volontaria della gravidanza verrebbe ammessa: rischio di vita per la madre, impossibilità per il feto di sopravvivere dopo il parto e gravidanza come frutto di violenza sessuale. La battaglia si preannuncia dura: il rettore dell'Universidad Católica, Ignacio Sánchez, ha avvertito che a nessun medico della rete sanitaria dell'ateneo sarà concesso di realizzare aborti. 2/2/2015 |
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Una dichiarazione contro la povertà Con una Dichiarazione Politica focalizzata sulla lotta alla povertà si è chiuso il 29 gennaio a San Antonio de Belén (Costa Rica) il terzo vertice della Celac, la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños. Il documento, approvato per alzata di mano, promuove l'unione degli sforzi per giungere a uno sviluppo sostenibile ed equo, l'impegno contro la corruzione e contro la disuguaglianza, il rafforzamento dell'integrazione e della cooperazione. L'elemento centrale del testo è l'adozione immediata di un piano d'azione contro la fame elaborato dalla Fao. La Celac ha inoltre dichiarato il proprio appoggio alla posizione argentina sulle isole Malvinas e ha rinnovato l'impegno per la decolonizzazione di Puerto Rico e per la costruzione di una regione di pace, totalmente libera da armi nucleari. I partecipanti al vertice hanno plaudito al riavvicinamento tra Washington e l'Avana e hanno invitato gli Stati Uniti a revocare l'embargo contro Cuba, ribadendo il diritto di ogni nazione a scegliere la sua forma di organizzazione politica ed economica. Al termine dei lavori la presidenza della Celac è passata dal Costa Rica all'Ecuador, che ospiterà il prossimo vertice. 29/1/2015 |
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Cuba, "Non ho fiducia nella politica degli Stati Uniti" "Non ho fiducia nella politica degli Stati Uniti", ma questo non significa "un rifiuto a una soluzione pacifica dei conflitti o dei pericoli di guerra". Lo scrive Fidel Castro il 26 gennaio in una lettera alla Federación Estudiantil Universitaria, nel suo primo intervento sul riavvicinamento tra Washington e l'Avana. Nel messaggio accetta la prospettiva di un ristabilimento dei rapporti diplomatici, ma solo in nome della pace: "Difenderemo sempre la cooperazione e l'amicizia con tutti i popoli del mondo, compresi quelli dei nostri avversari politici". Per lo storico leader, dunque, il governo Usa rimane un avversario politico. Fidel ammette che "il presidente di Cuba ha fatto i passi opportuni in accordo con le sue prerogative e con le facoltà che gli concedono l'Asamblea Nacional e il Partido Comunista", ma sembra voler mettere un punto fermo sui principi non negoziabili (più sopra, non a caso, cita i nomi di Marx, Lenin, Mao). Pochi giorni dopo Raúl Castro, intervenendo in Costa Rica al vertice della Celac, ha indurito la sua posizione, ponendo precise condizioni agli Stati Uniti. Innanzitutto la fine del blocco economico, commerciale e finanziario (Washington a metà gennaio aveva annunciato un semplice allentamento delle sanzioni). Pur riconoscendo che per una totale eliminazione dell'embargo è necessaria l'approvazione del Congresso Usa, il presidente cubano ha ricordato che Obama "potrebbe utilizzare con determinazione le sue ampie facoltà esecutive per modificare sostanzialmente l'applicazione del blocco". Altre condizioni per una normalizzazione delle relazioni sono il ritiro di Cuba dalla lista delle nazioni che promuovono il terrorismo, la restituzione del territorio di Guantanamo e cambiamenti nelle norme migratorie statunitensi che attualmente favoriscono l'emigrazione illegale dall'isola. "È ciò che la nostra delegazione ha detto al Dipartimento di Stato nei colloqui bilaterali della settimana scorsa e ci vorranno altre riunioni per trattare questi temi", ha aggiunto Raúl. Una frenata dopo le parole di Fidel. Raúl Castro si riferiva agli incontri del 21 e 22 gennaio tra le delegazioni dei due paesi, capeggiate da Josefina Vidal, del Ministero degli Esteri dell'Avana, e da Roberta Jacobson, sottosegretaria di Stato per l'Emisfero Occidentale. Le riunioni si erano tenute a porte chiuse, ma le dichiarazioni alla stampa dei rappresentanti dell'isola erano apparse concilianti. In precedenza lo stesso ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, aveva detto a sei parlamentari statunitensi in visita che Cuba era aperta a maggiori legami diplomatici e commerciali. Un altro gesto distensivo da parte cubana era stata la liberazione, nella prima metà di gennaio, di 53 persone considerate dagli Stati Uniti prigionieri politici. Per niente distensivo invece, da parte statunitense, l'incontro del 23 gennaio tra Roberta Jacobson e alcuni dissidenti, tra cui Martha Beatriz Roque, Guillermo Fariñas, Elizardo Sánchez e José Daniel Ferrer (assente la leader della Damas de Blanco, Berta Soler, secondo la quale "non c'era equilibrio tra i partecipanti in quanto a diversità di opinioni"). Al termine la funzionaria statunitense ha affermato: "È stato molto importante per me ascoltare i loro punti di vista e come possiamo appoggiare la società civile in futuro". Gli anticastristi possono stare tranquilli: Washington non li lascerà soli. 28/1/2015 |
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Perù, abrogata la legge sul lavoro giovanile Con 91 voti a favore, 18 contrari e cinque astenuti il Congresso ha abrogato una legge sul lavoro giovanile che, fin dalla sua promulgazione in dicembre, aveva suscitato un'ondata di proteste, con quattro imponenti manifestazioni nell'arco di un mese. Le norme ora annullate limitavano i diritti dei nuovi assunti tra i 18 e i 24 anni, riducendo le ferie da 30 a 15 giorni ed eliminando gratifiche, assegni familiari e indennizzo in caso di licenziamento. La legge, giustificata dai promotori con la necessità di favorire l'accesso dei giovani al mondo del lavoro, è stata dettata dalla crescente influenza della destra neoliberista che controlla il Ministero dell'Economia. La sua cancellazione "è il trionfo della popolazione peruviana contro gli abusi che ha tentato di imporre questo governo", ha commentato Michael Ortiz, presidente della Fep (Federación de Estudiantes del Perú). Organizzazioni studentesche e sindacati avevano condannato subito e senza mezzi termini l'iniziativa legislativa. I settori di destra invece avevano mostrato al riguardo un deciso opportunismo: con un occhio alle presidenziali del prossimo anno, di fronte all'opposizione popolare si erano scoperti paladini dei lavoratori. I fujimoristi di Fuerza Popular avevano attaccato l'esecutivo per aver promulgato una legge che pure era stata approvata con i loro voti. Stesso comportamento da parte dell'ex presidente Alan García (che durante il suo secondo mandato aveva difeso la riduzione dei diritti sindacali) e del banchiere Pedro Pablo Kuczynski (inizialmente uno dei più entusiasti sostenitori della riforma). La vicenda costituisce una dura sconfitta per il capo dello Stato la cui gestione, secondo un sondaggio, è approvata solo dal 25% della popolazione. A colpire la sua immagine una serie di scandali, come l'accusa di aver fatto spiare esponenti politici e le denunce per corruzione contro Belaúnde Lossio, suo stretto collaboratore durante la campagna elettorale. In Parlamento Gana Perú ha subito il 25 gennaio l'ennesima defezione, perdendo la maggioranza a favore di Fuerza Popular. Intanto la crescita economica del paese ha subito un rallentamento, passando dal 6 al 3%. 26/1/2015 |
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Bolivia, Morales inizia il suo terzo mandato Il 21 gennaio, alla vigilia della cerimonia ufficiale per l'inizio del suo terzo mandato presidenziale, Evo Morales è stato consacrato leader dei popoli indigeni presso le rovine preispaniche di Tiwanaku. Al termine di un complesso rituale ha ricevuto dalle mani degli amauta (i saggi) due bastoni di comando con motivi ancestrali. "Oggi è un giorno storico, di riaffermazione della nostra identità, della nostra rivoluzione democratica e culturale", ha affermato Morales, che ha iniziato il discorso in aymara per terminarlo in spagnolo. Aver riscattato questa identità, ha spiegato, non significa un ritorno romantico al passato, ma un "recupero scientifico" della sua parte migliore per combinarla con la modernità, una modernità che ci permetta di costruire industrie senza danneggiare la Madre Terra, di promuovere lo sviluppo nell'equilibrio con la Pachamama. All'investitura presidenziale hanno assistito numerosi capi di Stato tra cui il venezuelano Nicolás Maduro, la brasiliana Dilma Rousseff, l'ecuadoriano Rafael Correa, il paraguayano Horacio Cartes. Era presente anche una delegazione statunitense ad alto livello: un segnale di riavvicinamento tra La Paz e Washington che potrebbe portare al ristabilimento delle relazioni diplomatiche. Il giorno successivo all'insediamento Morales ha formato il nuovo governo. Otto ministri sono stati riconfermati: tra questi Juan Ramón Quintana alla Presidenza, David Choquehuanca agli Esteri e Luis Alberto Arce all'Economia. Come promesso in campagna elettorale, nel corso del suo terzo mandato Morales si propone di sconfiggere definitivamente la povertà, portare a termine l'industrializzazione nei settori degli idrocarburi e del litio, rendere la Bolivia autonoma nella produzione di alimenti e realizzare una moderna rete ferroviaria che attraversi il paese da est a ovest. 23/1/2015 |
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Haiti, crisi politica in atto A cinque anni dal devastante terremoto che il 12 gennaio provocò centinaia di migliaia di morti, la ricostruzione ad Haiti non può dirsi conclusa. Quasi centomila persone vivono ancora sotto le tende in condizioni drammatiche, come ammette la stessa Onu, e anche se la maggior parte dei rifugiati ha ormai lasciato i campi, la miseria colpisce tuttora un'altissima percentuale della popolazione. Il 12 gennaio ha segnato anche la scadenza dei due terzi del Senato e della totalità della Camera: da questa data in poi il presidente Michel Martelly può governare solo per decreto. Un estremo tentativo di convincere i senatori dell'opposizione ad approvare un'estensione dei termini parlamentari, fino a giungere a nuove elezioni, è fallito. Martelly può comunque contare sull'appoggio del gruppo ristretto di nazioni che, con il pretesto degli aiuti post terremoto, esercita la sua influenza su tutti gli aspetti della vita politica haitiana: Stati Uniti, Brasile, Canada, Unione Europea.
Il 25 dicembre Martelly aveva nominato primo ministro l'ex
sindaco della capitale Evans Paul. Quest'ultimo è vicino all'ex presidente Aristide, il cui partito ha accettato di avviare
conversazioni per risolvere la crisi in atto. Il
predecessore di Paul, Laurent Lamothe, si era dimesso a metà dicembre dopo
ripetute proteste di piazza a Port-au-Prince, Cap-Haïtien e Petit-Goâve.
I manifestanti accusavano il governo di corruzione e chiedevano la
rinuncia di tutte le autorità e la fine dell'ingerenza della comunità
internazionale negli affari interni del paese. Il 13 dicembre nella
capitale il violento
intervento della polizia aveva provocato un morto;
il giorno precedente, sempre a Port-au-Prince, due persone erano state ferite dai proiettili dei
soldati della Minustah, la Missione di Stabilizzazione delle Nazioni
Unite.
15/1/2015 |
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Colombia, trattative di nuovo a rischio "È forse decisione del governo mantenere uno scontro che continua a generare altre vittime e altri dolori di guerra?" Se lo chiede un comunicato delle Farc dell'11 gennaio, denunciando gli attacchi contro le unità della guerriglia che dal 20 dicembre osservano una tregua unilaterale e a tempo indefinito. Il documento enumera una serie di operazioni militari scatenate dal 24 dicembre in poi nella zona degli Llanos Orientales e nel Cauca. "Se davvero il governo desidera arrivare alla firma di un accordo finale, i suoi atti devono essere conseguenti con il discorso di pace", avvertono le Farc. La sospensione delle ostilità era stata annunciata all'Avana da Iván Márquez, capo delegazione del gruppo guerrigliero, al termine dell'ultimo ciclo del 2014 dei negoziati di pace. Il presidente Santos aveva però rifiutato, come già altre volte, di concordare una tregua bilaterale e aveva anche respinto la richiesta di una verifica del cessate il fuoco affidata all'Unasur, alla Celac, alla Croce Rossa Internazionale e alla ong Frente Amplio por la Paz. A metà novembre il dialogo aveva subito una seria battuta d'arresto: il governo aveva interrotto le trattative in seguito al sequestro, da parte delle Farc, di due militari, tra cui il generale Rubén Alzate, e dell'avvocata Gloria Urrego. A fine mese i tre erano stati liberati; in precedenza erano stati rilasciati anche due soldati catturati nel corso di un combattimento il 9 novembre. In tal modo la guerriglia mostrava una chiara volontà di pace e il negoziato poteva riprendere. Un ulteriore gesto di distensione era avvenuto dopo Natale, con la liberazione di un altro soldato che era caduto nelle mani delle Farc il giorno prima dell'entrata in vigore della tregua. 11/1/2015 |
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Guatemala, sospeso il processo contro Ríos Montt Un altro schiaffo alle vittime: il nuovo processo contro l'ex dittatore Efraín Ríos Montt è stato subito interrotto. Il 5 gennaio il tribunale ha deciso la sospensione del dibattimento accettando un ricorso della difesa, che aveva chiesto la ricusazione della giudice Jeannette Valdez. I legali di Ríos Montt accusavano Valdez di non essere imparziale perché, in una tesi accademica del 2004, aveva esaminato i criteri di applicazione del reato di genocidio. "È deplorevole per la democrazia del paese, non si fa che porre ostacoli allo sviluppo della giustizia", ha commentato Francisco Soto, direttore del Caldh (Centro de Acción Legal para los Derechos Humanos). Il 10 maggio del 2013 Ríos Montt era stato condannato a ottant'anni di carcere per genocidio "commesso in maniera sistematica contro la popolazione maya ixil". La sentenza era stata però annullata dalla Corte Costituzionale, che aveva accolto i ricorsi presentati dalla difesa. Mentre tenta di rallentare con ogni mezzo i procedimenti a suo carico, l'ex dittatore conduce una battaglia legale per beneficiare dell'amnistia concessa ai combattenti della guerra civile. Finora la sua richiesta è stata respinta: la Ley de Reconciliación Nacional del 1996 esclude dall'amnistia i delitti di genocidio, tortura e sparizione forzata. 6/1/2015 |
Latinoamerica-online.it a cura di Nicoletta Manuzzato |