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Colombia, comunicato congiunto di Farc ed Eln Le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia e l'Ejército de Liberación Nacional si impegnano a tempo pieno per concretizzare i colloqui di pace. Lo afferma un comunicato congiunto delle due organizzazioni, in cui si sottolineano le difficoltà del dialogo: "Non risulta facile di fronte a un governo profondamente reazionario, neoliberista, compromesso fino al midollo con gli interessi delle transnazionali e dell'imperialismo nordamericano, militarista, guerrafondaio e oligarchico". Il documento sostiene che dietro le parole di pace dell'esecutivo di Juan Manuel Santos si nasconde il desiderio di una resa degli insorti e invita a unire le forze per contribuire all'instaurazione di un governo diverso, aperto a nuove prospettive. Sebbene i due gruppi guerriglieri lavorino separatamente, sono ispirati "dalla convinzione che i due torrenti sono destinati a confluire" quanto prima. "Siamo impegnati a incrementare il nostro lavoro in questo senso", si legge nel testo. Alle rispettive basi viene dunque chiesto di abbandonare "le errate valutazioni delle nostre contraddizioni e gli atteggiamenti negativi di alcuni membri delle nostre forze". Il messaggio è firmato dai comandanti Rodrigo Londoño Timochenko per le Farc e Nicolás Rodríguez Bautista Gabino per l'Eln. Mentre le Farc hanno iniziato dal 2012 i negoziati di pace, l'Eln ha da tempo lanciato un appello per analoghe trattative ed è in attesa di un segnale da parte del governo. E a proposito di guerriglia, un articolo apparso su The Washington Post del 21 dicembre ha rivelato l'appoggio fornito dalla Cia (e dalla National Security Agency) all'esercito colombiano nella guerra contro Farc ed Eln. Secondo le dichiarazioni di una trentina di funzionari statunitensi e colombiani, un programma segreto di assistenza militare avrebbe permesso l'uccisione mirata di numerosi capi guerriglieri attraverso "bombe intelligenti" guidate da un sistema GPS. Il programma, che conta su un finanziamento multimiliardario non compreso nel Plan Colombia (il piano ufficiale di aiuti Usa al governo di Bogotá), venne autorizzato dall'allora presidente George W. Bush e prosegue sotto l'amministrazione Obama. Secondo il quotidiano statunitense, avvenne così l'attacco in territorio ecuadoriano che nel 2008 portò alla morte del leader delle Farc Raúl Reyes. Intervistato dall'emittente Rcn, il generale a riposo Manuel Bonnet, comandante dell'esercito durante la presidenza Samper, ha assicurato che quanto pubblicato da The Washington Post non rappresenta una novità: "C'è sempre stato un rapporto molto stretto con lo spionaggio americano". E non solo con quello americano: secondo Bonnet, in base agli accordi di cooperazione sottoscritti dalla forza pubblica colombiana, nel paese vengono realizzate operazioni con la partecipazione di organi di informazione inglesi, spagnoli, russi, israeliani e dell'Unione Europea. ASSASSINATO CONSIGLIERE DEL POLO DEMOCRATICO. È stato ferito a morte da un sicario che gli ha sparato due colpi alla testa. Gilberto Daza, consigliere comunale di Sucre (dipartimento del Cauca), è stato colpito la sera del 28 dicembre nella sua casa, alla presenza della moglie e dei tre figli. Trasportato all'ospedale di Popayán, è morto poche ore dopo. Militante del Polo Democrático Alternativo, Daza si era sempre battuto a fianco delle organizzazioni comunitarie contro la privatizzazione dell'acquedotto municipale e contro lo sfruttamento minerario del territorio. Per questo era stato più volte minacciato, ma le autorità non gli avevano fornito adeguata protezione. Il suo assassinio "dimostra la mancanza di garanzie per la sinistra nel processo elettorale", ha denunciato il parlamentare Iván Cepeda. 29/12/2013
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Honduras, continua la protesta contro i brogli Continua la protesta contro i brogli nelle presidenziali del 24 novembre, che hanno dichiarato vincitore il candidato del Partido Nacional Juan Orlando Hernández. Nonostante le numerose prove di irregolarità, il Tribunal Supremo Electoral ha annunciato i risultati definitivi, attribuendo a Hernández il 36,8% dei voti, contro il 28,7% di Xiomara Castro. E il 24 dicembre la Corte Suprema ha respinto il ricorso presentato dall'opposizione. Il coordinatore generale di Libre (Libertad y Refundación), Manuel Zelaya, ha comunque ribadito che il partito non riconosce Hernández come presidente e che si rivolgerà agli organismi internazionali. Il primo dicembre migliaia di persone avevano partecipato a Tegucigalpa a una marcia contro "la vittoria rubata". "La lotta non è finita, al contrario; la dimostrazione di oggi è un messaggio molto chiaro che stiamo battendo coloro che si sono prestati alla frode", aveva detto Xiomara durante la mobilitazione. Nel corso del corteo era stato ricordato il militante della Resistenza José Antonio Ardón, assassinato il giorno prima da ignoti killer nei pressi della sua abitazione. Ardón faceva parte del gruppo di motociclisti che fungevano da scorta a Xiomara Castro. Non si è trattato dell'unico attentato di questo teso periodo postelettorale. La notte del 6 dicembre a La Ceiba è stata ferita a morte Graciela Lozano, che per Libre era stata candidata a sindaca del municipio di Brus Laguna. Poche ore dopo, nella sua casa di Danlí, veniva ritrovato senza vita il giornalista Juan Carlos Argeñal, corrispondente locale di Tv Globo: era stato ucciso con due colpi di pistola alla testa. Il 24 novembre si era votato anche per il nuovo Congresso. 48 i seggi conquistati dal Partido Nacional, 37 da Libertad y Refundación, 27 dal Partido Liberal, 13 dal Partido Anticorrupción; Democracia Cristiana, Partido de Innovación y Unidad e Unificación Democrática hanno ottenuto un seggio ciascuno. 24/12/2013 |
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Cile, secondo mandato per Michelle Bachelet "Oggi inauguriamo una nuova fase. È un privilegio guidare la patria in un momento storico in cui il paese ha preso atto delle sue ferite e vede i compiti che lo attendono. Grazie ai giovani che hanno reclamato un modello di educazione senza fini di lucro. Perché i sogni non sono un bene di mercato". Così Michelle Bachelet, parlando ai suoi sostenitori dopo la vittoria al ballottaggio del 15 dicembre, ha promesso di consacrare il suo secondo mandato alla costruzione di un Cile più giusto. Bachelet, che con il 62,1% dei suffragi ha superato nettamente la sua avversaria, Evelyn Matthei, ha voluto ribadire anche il suo impegno a favore di una nuova Costituzione, "nata dalla democrazia". Non è ancora chiaro, però, se la modifica della Carta Magna sarà affidata al Parlamento o a un'Assemblea Costituente. A favore di quest'ultima ipotesi peseranno i risultati dell'iniziativa popolare Marca Tu Voto, una campagna che invitava gli elettori a segnare sulla scheda le lettere AC (Asamblea Constituyente). Il 10% dei votanti ha seguito tale indicazione, mostrandosi favorevole a una decisa rottura con l'eredità della dittatura di Pinochet. Un dato preoccupante emerso il 15 dicembre è l'alto tasso di astensionismo, giunto quasi al 60%: una dimostrazione del profondo malessere che attraversa la società cilena. Riferendosi a quanti hanno disertato le urne, Bachelet ha affermato: "Voglio salutare quelli che non hanno votato. Quelli che sentono che lo Stato non li protegge. Assumiamo un forte impegno perché i cileni tornino a credere nella democrazia, perché credano nella forza del voto, nella giustizia delle leggi". OTTO CONDANNE PER LA CARAVANA DE LA MUERTE. Quattro ex militari sono stati condannati a quindici anni di carcere per l'uccisione di 14 oppositori ad Antofagasta, nel nord del paese, nel quadro della Caravana de la Muerte (l'operazione di rastrellamento e sterminio dei militanti di sinistra all'indomani del golpe). Altri quattro imputati hanno ricevuto pene varianti dai tre ai cinque anni, con la concessione della libertà vigilata. Il 19 ottobre 1973 i 14 prigionieri politici furono portati, legati e bendati, alla Quebrada El Way, dove vennero fucilati. A guidare la Caravana de la Muerte era il generale Sergio Arellano Stark, condannato nel 2008 a sei anni di prigione, che non scontò mai perché colpito da Alzheimer. 23/12/2013 |
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Bolivia, lancio di un satellite per telecomunicazioni "232 anni fa Tupac Katari, prima di essere squartato dall'impero spagnolo, disse: 'Io muoio, ma tornerò e saremo milioni'. Ora il nostro antenato Tupac Katari, trasformato in satellite per le telecomunicazioni, è una luce, una stella che illumina la liberazione del nostro popolo in Bolivia. Tupac Katari che connette milioni di individui, ne mette in comunicazione milioni e ne libera milioni". Con queste parole il presidente Evo Morales ha salutato dal Centro Spaziale di Xichang (Cina) il lancio di Tupac Katari, il primo satellite boliviano, avvenuto alle 00,42 (ora locale) di sabato 21 dicembre. In patria migliaia di persone hanno potuto seguire l'avvenimento attraverso schermi giganti, installati nelle principali città addobbate con bandiere nazionali e whipala indigeni, mentre si svolgevano riti propiziatori e offerta alla Pachamama. Il satellite è costato 302 milioni di dollari, finanziati per l'85% dalla China Development Bank e per il resto dallo Stato boliviano. Quest'ultimo potrà però risparmiare 25 milioni di dollari all'anno, finora destinati a pagare il segnale satellitare ad altri paesi (le telecomunicazioni sono state nazionalizzate dal governo Morales nel 2008). Tupac Katari comincerà a emettere segnali nell'aprile 2014 e verrà controllato da terra da due stazioni poste nei dipartimenti di La Paz e Santa Cruz. Permetterà di migliorare e ampliare i servizi telefonici e radiotelevisivi e le connessioni a Internet e verrà utilizzato anche a fini difensivi e di sicurezza. 21/12/2013 |
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Venezuela, vittoria bolivariana alle municipali Gli antichavisti speravano in un plebiscito contro la Rivoluzione Bolivariana, priva del suo leader storico, ma i risultati delle municipali dell'8 dicembre hanno dato loro torto. Dopo essersi assai ridotta alle presidenziali di aprile, la distanza tra maggioranza e opposizione è tornata a crescere. Il Psuv e i suoi alleati hanno ottenuto il 49,2% dei voti e hanno conquistato un numero maggiore di comuni, anche se la Mesa de la Unidad Democrática (42,7%) ha dimostrato la sua forza nelle città più popolose, mantenendo il governo di Caracas (con Antonio Ledezma confermato alcalde metropolitano) e Maracaibo e conquistando Valencia. Accanto alla contesa elettorale, il presidente Maduro ha dovuto fronteggiare in questi mesi una vera e propria guerra economica, che ha visto il dollaro illegale quintuplicare il suo valore e l'inflazione passare dal 20 al 50%, mentre nei negozi cresceva la scarsità di beni di largo consumo. Il 20 novembre è stata pubblicata sulla Gaceta Oficial la Ley Habilitante, che consente al capo dello Stato di legiferare per decreto, per dodici mesi, in materia di difesa dell'economia e di lotta alla corruzione. Tra le prime misure adottate, il controllo dei prezzi dei prodotti di base e la regolazione del mercato delle automobili. Agli inizi di dicembre l'Asamblea Nacional ha convertito in legge il Plan de la Patria 2013-2019, la piattaforma elettorale con cui Chávez aveva vinto le presidenziali dell'ottobre 2012 e che lo stesso Maduro aveva presentato nelle consultazioni di aprile. Il programma ha come principali obiettivi il consolidamento dell'indipendenza nazionale e la costruzione del socialismo come alternativa al capitalismo. Il risultato dell'8 dicembre conferma che - nonostante le predizioni apocalittiche dell'opposizione, secondo la quale il paese è nel caos - la popolarità del modello bolivariano rimane alta. La spiegazione può essere rintracciata in un dato citato dall'economista Mark Weisbrot, del Center for Economic and Policy Research di Washington, intervistato da Página/12: "Secondo la Banca Mondiale, la povertà è scesa di un 20% l'anno scorso. È la diminuzione più grande in America Latina e probabilmente nel mondo". Novità positive anche sul piano internazionale. Il Parlamento paraguayano ha finalmente approvato il protocollo di adesione di Caracas al Mercosur, chiudendo formalmente la crisi all'interno del blocco regionale (il Venezuela vi era stato ammesso nel periodo di sospensione del Paraguay dopo il golpe contro Lugo). Il Congresso di Asunción ha inoltre ritirato la dichiarazione di "persona non grata" emessa nei confronti di Maduro per la sua presunta ingerenza nelle vicende politiche seguite al colpo di Stato. E il 16 e 17 dicembre Caracas ha ospitato un nuovo vertice dell'Alba, smentendo quanti pronosticavano una dissoluzione di questa alleanza dopo la morte di Hugo Chávez. 18/12/2013 |
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Argentina, "Vogliono installare la paura" Devastazioni e assalti a centri commerciali: il copione è lo stesso dello scorso anno. Nella notte tra il 3 e il 4 dicembre Córdoba, capitale della provincia omonima, ha vissuto un'ondata di saccheggi a negozi e supermercati, con il bilancio di un morto e oltre cento feriti (nelle stesse ore un tentativo di saccheggio provocava un secondo morto a Glew, nei pressi di Buenos Aires). La violenza si è poi estesa a gran parte del paese favorita dall'inerzia della polizia, che in diverse province aveva incrociato le braccia per rivendicazioni salariali. Nella provincia di Tucumán gli incidenti più gravi, con un bilancio di cinque morti; altri quattro morti nel Chaco, uno nella provincia di Jujuy e un altro in quella di Entre Ríos. La concomitanza tra sciopero degli agenti e atti di saccheggio ha fatto parlare di un piano preordinato con fini destabilizzanti e non di azioni spontanee. "Non sono fatti isolati i tentativi di condizionare e sottomettere il potere politico, è una tradizione storica delle forze di sicurezza e delle forze armate", ha scritto sul suo blog il Premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel, sottolineando come tutto questo sia avvenuto in prossimità del trentesimo anniversario del ritorno della democrazia. Il 10 dicembre del 1983 infatti, con l'insediamento del presidente Raúl Alfonsín, l'Argentina si lasciava alle spalle gli orrori della dittatura e iniziava la costruzione di un sistema politico democratico. Proprio intervenendo alle celebrazioni del trentennale, anche la presidente Fernández si è detta convinta di un legame tra i diversi episodi. "Non sono ingenua. Non credo nelle coincidenze e neppure nei fatti che si producono per contagio - ha dichiarato - Alcune cose che accadono in determinate date sono programmate e avvengono perché si vogliono distruggere i valori della democrazia, perché la gente pensi che è meglio vivere in altro modo. Vogliono installare la paura". E a confermare che non si era trattato di semplici coincidenze qualche giorno venivano ritrovati, nelle case di alcuni poliziotti che avevano partecipato alle proteste, oggetti rubati durante i saccheggi. Cristina Fernández ha ripreso da poche settimane le sue attività, dopo una forzata sosta di oltre un mese: l'8 ottobre era stata sottoposta a un intervento chirurgico al cranio, reso necessario dalla scoperta di un ematoma subdurale. Ritornata alle sue funzioni, la presidente aveva operato un rimpasto di governo. Tra le novità, la nomina di Jorge Capitanich a capo di gabinetto al posto di Juan Manuel Abal Medina e di Axel Kicillof alla testa del Ministero dell'Economia in sostituzione di Hernán Lorenzino, chiamato a dirigere l'unità speciale incaricata del delicato compito di rinegoziare il debito. 17/12/2013 |
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Colombia, le Farc proclamano trenta giorni di tregua È iniziata domenica 15 dicembre la tregua unilaterale di trenta giorni proclamata dalle Farc. Nel comunicato che annuncia il cessate il fuoco, la guerriglia manifesta la speranza di un'analoga decisione da parte del governo e avverte comunque che risponderà in caso di attacco. Non sembra però probabile una cessazione, sia pure temporanea, delle operazioni dell'esercito: il presidente Santos ha più volte ribadito la sua intenzione di non fermare l'offensiva militare. La sospensione delle azioni del gruppo guerrigliero è stata accolta con grande favore dal fiscal general Eduardo Montealegre, che ha parlato di "un enorme gesto di buona volontà". Montealegre ha poi ribadito di non considerare il processo di pace in corso come un cedimento da parte delle Farc o come un trionfo dello Stato. "Un patto implica concessioni e non resa", ha affermato. All'Avana si è intanto aperto il confronto sul terzo punto dell'agenda dei colloqui di pace, la coltivazione e il traffico di droga. In maggio era stata raggiunta un'intesa sul primo punto, la questione agraria, e in novembre si era conclusa la discussione sul secondo, la partecipazione politica degli ex guerriglieri, con un accordo sui diritti dell'opposizione e i meccanismi democratici per favorire il pluralismo e la trasparenza del voto. Un colpo al dialogo è però venuto il 9 dicembre dal provvedimento del procuratore generale Alejandro Ordóñez contro Gustavo Petro, primo sindaco di sinistra della capitale. Petro aveva tentato un anno fa di riformare il servizio di raccolta dei rifiuti della città, in mano a operatori privati legati alla mafia paramilitare, per affidarlo all'impresa pubblica Aguas de Bogotá. In difesa dei vecchi concessionari è intervenuto Ordóñez, magistrato noto per le sue posizioni di estrema destra, che con il pretesto di irregolarità e di cattiva gestione ha destituito il sindaco dalle sue funzioni, decretandone l'interdizione dalle cariche pubbliche per quindici anni. Una decisione politica e arbitraria, sostiene la giornalista Juanita León, direttrice del sito web La Silla Vacía. Immediata la reazione delle Farc, che in un comunicato affermano: "Con un solo tratto di penna Ordóñez ha dato a noi insorti una lezione su ciò che per l'oligarchia significa la democrazia in Colombia e sull'assenza di garanzie per un esercizio politico indipendente". E lo stesso Petro si è chiesto: con questo provvedimento "si sta inviando il messaggio che recuperare il potere pubblico è un reato?" In difesa del primo cittadino migliaia di persone si sono mobilitate, manifestando a più riprese nel centro di Bogotá. Alejandro Ordóñez non è nuovo a iniziative di questo genere: nel 2010 aveva destituito e interdetto dai pubblici uffici per 18 anni la senatrice Piedad Córdoba, accusata di presunti legami con le Farc. 15/12/2013 |
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Uruguay, legalizzata la marijuana Dopo un lungo dibattito in Senato, è stato definitivamente approvato il 10 dicembre il progetto di legge che regola la produzione e la vendita della marijuana a scopi medicinali, industriali e ricreativi. L'Uruguay diventa così la prima nazione al mondo a intraprendere la via della legalizzazione. La nuova normativa permette di coltivare in casa fino a sei piante, per una produzione massima di 480 grammi l'anno destinati all'autoconsumo, o di riunirsi (dietro autorizzazione) in circoli di soci per coltivazioni più estese. Spetterà allo Stato esercitare funzioni di controllo: alle farmacie verranno rilasciate le licenze per la vendita della cannabis, che potrà essere acquistata solo da persone maggiorenni e residenti nel paese. Il costo si aggirerà probabilmente intorno a un dollaro al grammo, prezzo studiato proprio per contrastare lo spaccio clandestino. Visto il fallimento della repressione, ha spiegato il presidente José Mujica, con questa legge il governo intende sperimentare una nuova strada, perché "non vogliamo regalare la gente al narcotraffico". Martín Collazo, portavoce di Regulación Responsable (che raggruppa attivisti, medici, artisti, accademici favorevoli al progetto), ha posto invece l'accento sull'ampliamento delle libertà individuali. "Credo che esista un diritto al consumo responsabile, un consumo cioè che non pregiudichi gli altri - ha commentato Collazo - Questa responsabilità implica uno sforzo di informazione ed educazione per divulgare i rischi associati al consumo di sostanze. Se tale informazione non è chiara, il cittadino non ha autonomia per esercitare i suoi diritti". 10/12/2013 |
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Honduras, la destra vince con i brogli Il 24 novembre l'Honduras era chiamato alle urne per scegliere i membri del Parlamento, gli amministratori locali e soprattutto il nuovo capo dello Stato, destinato a succedere a Porfirio Lobo, eletto nelle contestate consultazioni del dopo golpe. Tra gli otto contendenti alla massima carica la favorita era Xiomara Castro, del partito Libre, moglie del deposto presidente Zelaya. Ma chi sperava in un ritorno alla democrazia è rimasto deluso. Il voto si è svolto in un clima di forte militarizzazione ed è stato contrassegnato da brogli e irregolarità. Lo hanno denunciato numerosi osservatori internazionali, che hanno anche documentato intimidazioni e minacce contro elettori dell'opposizione. E a scrutinio non ancora terminato, il Tribunal Supremo Electoral proclamava la vittoria di Juan Orlando Hernández, del Partido Nacional al potere, con il 35% dei suffragi, mentre la candidata di Libre si sarebbe fermata al 29%. Dati che Xiomara Castro ha subito rifiutato, parlando apertamente di manipolazione dei risultati, mentre il Frente Nacional de Resistencia Popular invitava alla mobilitazione. "Ci sono stati voti comprati, credenziali comprate, c'è stato un chiaro condizionamento e tentativi di alterazione attraverso il conteggio elettronico e la trasmissione degli atti", ha affermato l'ex magistrato spagnolo Baltasar Garzón, che faceva parte di una missione della Federazione Internazionale per i Diritti Umani. E il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel ha scritto una lettera aperta di denuncia al segretario generale dell'Organización de los Estados Americanos, José Miguel Insulza. Ma sia gli inviati dell'Oea che quelli dell'Unione Europea hanno dato credito, nei loro rapporti, ai dati ufficiali. Dati avallati naturalmente dall'ambasciatrice statunitense Lisa Kubiske. Del resto, scrive il politologo argentino Atilio Boron, "settimane prima delle elezioni, esponenti del governo avevano dichiarato che il Tribunal Supremo Electoral avrebbe confrontato le sue cifre con quelle presentate dall'ambasciata Usa prima di far conoscere i risultati definitivi! Riassumendo: il vincitore verrebbe proclamato 'dall'ambasciata' e il governo del continuismo golpista di Porfirio Lobo ammetterebbe di aver trasformato l'Honduras in un protettorato statunitense". Nonostante la facciata democratica, dal colpo di Stato del giugno 2009 le violenze contro gli oppositori non sono mai cessate. Il 23 ottobre a Comayagúela è stato rinvenuto il cadavere dell'operatore televisivo Manuel Murillo Varela, assassinato a colpi d'arma da fuoco. Nel 2010 Murillo Varela era stato fermato e torturato da agenti di polizia per la sua attività a Tv Globo, emittente della Resistenza. Il 24 giugno a San Pedro Sula era stato sequestrato Aníbal Barrow, anche lui giornalista di Tv Globo: il suo corpo, fatto a pezzi, era stato ritrovato il 9 luglio. Pochi giorni dopo moriva, in uno strano "suicidio", un altro giornalista, Aldo Calderón di Canal 11, che stava appunto indagando sull'uccisione di Barrow. E continua la persecuzione giudiziaria nei confronti di Berta Cáceres, coordinatrice del Copinh (Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas). Berta è accusata di possesso di armi, ma la sua vera "colpa" è quella di aver appoggiato la comunità lenca di Río Blanco, in lotta per la difesa dell'acqua e contro la costruzione di una centrale idroelettrica nel suo territorio. 28/11/2013 |
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Brasile, conclusione di un processo mediatico Le immagini di José Dirceu, capo di gabinetto del primo governo Lula, e di José Genoino, ex presidente del Partido dos Trabalhadores, che varcano la soglia del carcere hanno suggellato il lungo processo per lo scandalo del mensalão, la compravendita di voti in Parlamento per ottenere l'approvazione di determinati progetti di legge. Un processo mediatico, spiega Eric Nepomuceno su Página/12: "Per mesi, e con trasmissioni televisive in diretta, sono stati calpestati principi elementari di giustizia, si è dato spazio a uno sfoggio di eccezionale istrionismo da parte di diversi magistrati e si è arrivati a sentenze degne di un tribunale speciale". Non sono mai state presentate prove concrete dell'esistenza del mensalão, sostiene Nepomuceno, è stato solo abbondantemente dimostrato "il travaso di risorse per coprire spese e debiti di campagna degli alleati. È quello che in Brasile chiamano cassa due, una contabilità irregolare e illegale, caratteristica di tutti i partiti, senza eccezione, a ogni elezione. È un reato previsto e passibile di sanzioni, ma nell'ambito del Codice Elettorale, non del Codice Penale". L'attacco a due figure importanti del Pt - secondo molti commentatori - aveva come bersaglio lo stesso Lula. La prima denuncia risale al 2005 e fu innescata da un'intervista del deputato Roberto Jefferson, già coinvolto in casi di corruzione. I potenti organi di stampa della destra fecero subito da cassa di risonanza sperando di impedire la rielezione di Lula nel 2006. Obiettivo mancato: l'ex sindacalista ottenne un secondo mandato e appoggiò con successo, quattro anni dopo, la candidatura di Dilma Rousseff. L'iter giudiziario intanto proseguiva portando a dure sentenze. Tra queste, dieci anni per Dirceu e sei anni e undici mesi per Genoino. E a metà novembre il discusso presidente della Corte Suprema Federale, Joaquim Barbosa, decideva il loro arresto immediato, nonostante avessero diritto a scontare la pena in regime di semilibertà e nonostante le precarie condizioni di salute di Genoino (che infatti poco dopo veniva ricoverato d'urgenza in ospedale). 24/11/2013 |
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Cile, "Verso un nuovo patto sociale" Carolina Tohá (Partido por la Democracia) è dal 2012 sindaca di Santiago, la comuna centrale del grande agglomerato urbano conosciuto come Gran Santiago. Una realtà di poco più di 300.000 abitanti, che di giorno accoglie due milioni di persone che qui accorrono per lavorare o studiare. Carolina è assai vicina a Michelle Bachelet e a lei abbiamo posto una serie di domande sul programma della Nueva Mayoría. Il 17 novembre non c'è stata l'attesa vittoria di Michelle Bachelet al primo turno. A che cosa attribuisce questi risultati? Quali settori non hanno risposto come ci si aspettava alla campagna della Nueva Mayoría? La candidatura della Nueva Mayoría si richiama a un nuovo ciclo politico e ci sono ancora vasti settori della società che non hanno fiducia nel cambiamento. Sono settori che hanno preferito optare per candidature alternative, indipendenti, molto critiche del sistema, settori che si riconoscono in questo malessere verso la politica. E sebbene il progetto di Michelle Bachelet sottolinei con forza la necessità di un cambiamento nella politica e l'esigenza di profonde riforme, sono ancora restii. La mia impressione è che si tratti di persone sotto i quarant'anni, appartenenti alla classe media. Il ballottaggio comunque sembra avere esito scontato. Ma dopo il 15 dicembre sarà possibile attuare le riforme costituzionali? Non abbiamo la maggioranza per arrivare a riforme costituzionali soltanto con i voti del nostro settore. È un quorum molto alto, praticamente impossibile da raggiungere da un solo settore del Parlamento: di fatto questa modalità è stata ideata proprio per far sì che i cambiamenti importanti si facessero solo con l'appoggio di tutti i gruppi politici rilevanti. Per questo è tanto importante aver migliorato la maggioranza in entrambe le Camere. E sarà altrettanto importante avere un'agenda molto ferma del governo e una cittadinanza molto attiva, che prema per i cambiamenti, perché questo permetterà che alcuni settori della destra accettino di eliminare gli ostacoli che impediscono la riforma. Sappiamo che per giungere a una nuova Costituzione bisogna arrivare a un'intesa almeno con una parte significativa dello spettro politico e questo richiede che alcuni settori, inizialmente intenzionati a impedire la riforma, alla fine la accettino. Non sarà facile da ottenere, ma oggi vi sono maggiori possibilità rispetto a prima, perché i settori finora contrari si sono resi conto che il blocco della riforma genera instabilità: alla fine quello che ottengono è di radicalizzare ancora di più il movimento cittadino che chiede una nuova Costituzione. Per questo ci aspettiamo una situazione diversa oggi rispetto ai governi precedenti. Tra le riforme previste c'è anche l'eliminazione del controverso sistema elettorale binominale, che favorisce le grandi coalizioni a scapito dei partiti minori? Fortunatamente siamo molto vicini a una maggioranza che ci permetta la cancellazione del binominale e pertanto il cambiamento del sistema elettorale non richiederà una riforma costituzionale. Io credo che il problema maggiore sia la sezione programmatica della Costituzione, dove ci sono le dichiarazioni di principio, il riconoscimento delle garanzie individuali, la definizione del ruolo dello Stato, che oggi sono ispirate a un'ideologia estremamente neoliberista. È difficile trovare nel pianeta una Carta fondamentale tanto condizionata, come la nostra, da questa mentalità. Ed è indispensabile che questa parte della Costituzione, che si riferisce ai principi, ai valori, sia maggiormente rappresentativa della società cilena e della sua diversità. Non per escludere ora - penso sia importante chiarirlo - una parte del paese, ma per fare una Costituzione che costituisca un patto sociale di tutti i cileni. Sicuramente l'ideologia neoliberista non compie minimamente questi requisiti e la Costituzione del 1980 è così solo perché è stata dettata durante la dittatura: in nessuno Stato democratico sarebbe mai stata approvata. Tra i temi più discussi nel Cile odierno c'è la riforma del sistema educativo. L'educazione pubblica è praticamente "orfana", perché lo Stato non se ne fa carico. Il sistema educativo attuale si inserisce in una dinamica di mercato, in cui lo Stato è un gestore tra i tanti e un gestore molto precario. La gente accede all'istruzione a seconda della sua possibilità di pagare e questo genera un livello di disuguaglianza che non si spiega visto il livello di sviluppo del paese. Il movimento studentesco ha avuto un impatto tanto grande perché ha posto in evidenza una verità che tutti sapevano: l'educazione è stata come un prisma attraverso cui guardare la realtà cilena, per rendersi conto di una serie di situazioni insostenibili. Il prossimo governo avrà di fronte una grossa sfida: dovrà andare a fondo nella riforma educativa, perché di riforme superficiali ne sono state fatte tante, ma i problemi sono strutturali, hanno a che vedere con le caratteristiche di base del sistema. E in questa situazione nel mondo studentesco si è generata una forte corrente di frustrazione, di sfiducia e di radicalità. Non sarà facile, è il compito più complesso e importante che abbiamo davanti. Altro tema assai controverso è quello della proprietà privata delle risorse idriche. È una conseguenza naturale della forma in cui questa Costituzione definisce il ruolo dello Stato, limitandolo a una funzione sussidiaria del settore privato. La nuova Carta fondamentale darà allo Stato una funzione molto più attiva di garanzia della convivenza, dei diritti sociali e in un tema tanto sensibile come le risorse idriche andrà segnalato che questo bene, fondamentale per la vita, deve avere una salvaguardia pubblica, essere di tutti i cileni, e non oggetto di transazione come lo yoghurt o la pasta. Per quanto riguarda la situazione della popolazione mapuche, pensa che cambierà qualcosa con il governo della Nueva Mayoría? Sarà finalmente abolita la Ley Antiterrorista? Sono questioni su cui non posso dire una parola certa, perché non sono la presidenta. Posso dire però che, nei casi che riguardavano indigeni mapuche, vi è stata un'applicazione erronea della Ley Antiterrorista, a causa di una forte pressione sociale della destra e dei media ad essa legati. In alcuni momenti anche i governi della Concertación hanno accettato tale interpretazione, applicando questa legge a fatti che non avevano carattere terrorista: erano fatti violenti, criminali, che dovevano essere perseguiti dalla giustizia, ma la Ley Antiterrorista ha generato una distorsione del dibattito e ha posto gli accusati in una situazione di grave mancanza di difesa. È nostra convinzione, e lo ha segnalato la stessa presidenta Bachelet, che l'applicazione di questa legge al mondo mapuche sia stata una valutazione sbagliata. Nel mondo mapuche non c'è terrorismo, c'è una violenza sociale estesa, prodotto di un conflitto che non è stato risolto e per il quale la Ley Antiterrorista non è certo la soluzione. In una realtà come quella di Santiago è assai sentito il problema dell'inquinamento atmosferico. Come pensate di fronteggiarlo? Il problema dell'inquinamento è strettamente legato a quello del traffico. L'attuale fase di sviluppo in Cile ha permesso a molti settori sociali l'acquisto di un'automobile e poiché il sistema di trasporto pubblico ha molte carenze, e tutte le riforme fatte per migliorarlo hanno presentato anch'esse molte difficoltà, la gente è stata spinta sempre di più a usare la macchina per i tragitti quotidiani. Ma la città non può resistere a questa crescita dell'auto. Stiamo cercando di scoraggiare l'uso dell'automobile e per questo è necessario un sistema di trasporto pubblico di qualità. A Santiago ci stiamo adoperando in questo senso per quanto ci corrisponde, regolando il transito, restringendo l'orario di circolazione nelle aree saturate del centro, promuovendo l'uso della bicicletta. Ma il trasporto pubblico non è gestito da noi, bensì dal governo centrale: una cosa impensabile in qualsiasi altra parte del mondo. 21/11/2013 |
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Cile, "Lavoreremo per l'attuazione del programma" Claudina Núñez è una dirigente storica della población La Victoria, l'insediamento popolare che è diventato simbolo della resistenza alla dittatura di Pinochet. Comunista da sempre, nel 2008 Claudina è stata eletta sindaca della comuna di Pedro Aguirre Cerda e nel 2012 è stata riconfermata nell'incarico. A lei abbiamo chiesto un'analisi del voto del 17 novembre. I risultati della Nueva Mayoría non sono stati quelli sperati. Si pensava che Michelle Bachelet vincesse al primo turno, invece si dovrà aspettare il ballottaggio. Come mai questi dati apparentemente deludenti? Bisogna considerare che c'erano nove candidati, e per tutti questi il nemico era la Nueva Mayoría, non la destra. In particolare c'è il caso di Marco Enríquez-Ominami, che ha rotto nel 2009 con la Concertación, di cui era deputato. Enríquez-Ominami si è creato nell'élite, è stato in esilio in Francia e la sua figura non è quella di migliaia di giovani che sono cresciuti qui nella lotta e che, come suo padre, il leader del Mir Miguel Enríquez, sono stati imprigionati, assassinati, desaparecidos. E dall'altra parte c'è la disputa nata all'interno di un settore del Partido Demócrata Cristiano intorno al programma di Michelle Bachelet. Un programma valido per questo tempo e in queste condizioni. Non stiamo parlando di un governo socialista, stiamo parlando di un governo che apra uno spiraglio per l'eliminazione dei vincoli ereditati da Pinochet, a cominciare dalla Costituzione. Nel programma c'è una nuova Costituzione, ma gli altri, come Enríquez-Ominami, dicono che si deve obbligatoriamente passare per un'Assemblea Costituente. Michelle Bachelet ha detto: faremo una nuova Costituzione in base alle condizioni reali. Sarà attraverso l'Assemblea Costituente, sarà attraverso una commissione di esperti, ma la faremo. Loro si preoccupano della forma, non del contenuto; per noi l'importante è il contenuto. Avere una nuova Costituzione significa recuperare ciò che abbiamo perso con quella di Pinochet, che non garantisce il diritto all'educazione gratuita e di qualità, il diritto alla casa, il diritto alla sanità pubblica. Una nuova Costituzione significa che la nostra ricchezza deve rimanere proprietà dello Stato ed essere ripartita tra tutti i cileni. Quali sono i problemi principali che il Cile deve oggi affrontare? Sono tante le cose da riformare. La previdenza: c'è gente che prende 80.000 pesos al mese di pensione (poco più di 100 euro). La sanità: eravamo orgogliosi di avere un sistema sanitario statale, dove lo Stato teneva sotto controllo le principali patologie. Oggi sono tornate malattie come la tubercolosi, che era sparita da anni, perché la politica dell'attuale governo è di fare accordi con le cliniche private, ampiamente sovvenzionate, per tutti gli interventi ai quali gli ospedali non possono far fronte, dato che ricevono sempre meno finanziamenti. E non possiamo continuare con il sistema dell'educazione pubblica municipale: lo Stato non si fa carico del costo di queste scuole, ma dà risorse a quelle private. Altrettanto importante è la riforma tributaria. E il recupero della proprietà dell'acqua, oggi in mano essenzialmente a imprese spagnole. E per quanto riguarda il vostro municipio in particolare? Il problema essenziale è quello delle risorse, che l'attuale governo distribuisce solo ai municipi governati dalla destra; speriamo che con la Nueva Mayoría la situazione cambi. C'è carenza nel sistema dei trasporti, manca una politica di riciclaggio dei rifiuti e, per quanto riguarda l'acqua, i pozzi qui sono proprietà di Aguas Andinas, che non fa investimenti: quando il sistema si blocca dobbiamo risolvere noi l'emergenza con i camion cisterna. In questi anni abbiamo comunque fatto passi avanti: abbiamo pavimentato per la prima volta le nostre strade, costruito consultori, avviato una politica di appoggio agli anziani, necessaria perché la nostra popolazione sta invecchiando rapidamente. Pedro Aguirre Cerda conta circa 114.000 abitanti ed è una comuna dormitorio: non abbiamo industrie; per lo più la gente vive di piccoli commerci, nelle fiere e nei mercati delle altre zone. La divisione amministrativa metropolitana è stata voluta dalla dittatura, che ha così isolato i settori popolari più combattivi. La nostra sfida è quella di generare uno sviluppo della comuna senza produrre l'espulsione dei suoi abitanti storici. Abbiamo bisogno dell'appoggio dello Stato per sviluppare microimprese. La Victoria, che fa parte del municipio di Pedro Aguirre Cerda, è stata protagonista di grandi lotte negli anni bui del regime militare. Come vi rapportate con quell'esperienza? Oggi il nostro sforzo principale è quello di recuperare la memoria storica di tutta la comuna, non solo de La Victoria. Stiamo lavorando su questo tema perché i nostri leader comunitari si sentano parte di una realtà più ampia, non si limitino ai metri quadrati del loro quartiere. Non è un processo che si compirà dalla notte alla mattina: bisogna guadagnare le coscienze, riprendere un lavoro interrotto da anni, far capire che si può cambiare la società se si è parte delle decisioni. Quest'anno il Partido Comunista è entrato a far parte della Nueva Mayoría, che sostiene la candidatura di Michelle Bachelet, accanto ai tradizionali partiti della Concertación. Qual è il ruolo del Pc nella coalizione? Il programma della Nueva Mayoría contiene elementi importanti per i lavoratori cileni, come il diritto alla sindacalizzazione. Lavoreremo per l'attuazione di questo programma, combatteremo nelle piazze per farlo avanzare, faremo pressioni, non stiamo rinunciando alle legittime aspirazioni del movimento sociale e sindacale. Questa decisione politica sarà anche alla base del nostro rapporto con il movimento studentesco. Per fortuna abbiamo raddoppiato la rappresentanza nel Congresso: da tre deputati siamo passati a sei e tra questi vi sono due leader che vengono dal mondo degli studenti, Camila Vallejo e Karol Cariola, che saranno il nostro collegamento per difendere i diritti degli studenti in Parlamento e cercare alternative. L'obiettivo è di cambiare la Costituzione e all'interno di questa il sistema elettorale binominale, aprendo lo spazio democratico ai portavoce dei movimenti sociali, delle organizzazioni, della diversità. Stiamo accelerando il dibattito con la comunità, cosa che non hanno fatto i partiti della Concertación, convinti che i problemi andassero risolti attraverso la politica pubblica: così facendo hanno sottratto rappresentatività al movimento sociale, al movimento sindacale. E d'altra parte dobbiamo contrastare il discorso continuamente ripetuto dalla destra attraverso i mezzi di comunicazione, che i partiti non sono necessari: una posizione che porta al populismo. La sfida è quella di avvicinare i giovani, quelli che non sono andati a votare perché "tanto non cambia niente" e "perché dovremmo rafforzare il sistema?" E non si rendono conto che il modello esistente si rafforza proprio non mettendosi in gioco, non impegnandosi. Nessun cambiamento avviene dall'oggi al domani e sempre ci sarà un conto da pagare, ma come diceva la nostra dirigente Gladys Marín quando scendeva in piazza: "Questa è la strada". Al termine dell'intervista Claudina approfitta della presenza dei giornalisti italiani per esprimere la sua riconoscenza verso la popolazione del nostro paese per la solidarietà con cui è venuta incontro ai bisogni della comunità. Tra gli aiuti citati, un autobus completamente dipinto dagli studenti di una scuola ligure, che attualmente serve a trasportare i bambini della comuna alle attività culturali o sportive. E le apparecchiature per il centro dentistico, le matite e i quaderni per le scuole. "Per questo dobbiamo ringraziare il nostro amico, il muralista Mono Carrasco, che ha fatto da tramite con le organizzazioni e i movimenti di sinistra, gli Inti Illimani e tutte le persone che dall'Italia, in forma anonima, hanno dato il loro contributo. A tutti costoro un infinito grazie". Che cosa può essere utile oggi, le chiediamo. "Ciò che la gente ci chiede di più è l'appoggio alle attività sportive e culturali. In gennaio abbiamo un festival del teatro di strada, sarebbero assai utili strumenti di amplificazione. E poi strumenti musicali per la nostra orchestra infantile e reti e palloni da calcio. Ma anche stampelle, bastoni, sedie a rotelle per il centro di riabilitazione comunitario che dobbiamo ampliare". 20/11/2013 |
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Cile, Bachelet e Matthei al ballottaggio Sconfitta della destra e predominio di Michelle Bachelet, che però non raggiunge il quorum necessario per la vittoria al primo turno e dovrà competere con Evelyn Matthei il 15 dicembre: questi i risultati del voto presidenziale del 17 novembre. A ostacolare la marcia trionfale di Michelle sono stati probabilmente due elementi: l'alto numero di contendenti (ben nove) e l'elevato astensionismo (intorno al 50%). Il distacco della candidata della Nueva Mayoría - che raggruppa la Concertación, il Partido Comunista e formazioni minori - rispetto alla sua avversaria dell'Alianza di destra (46,6% contro il 25%) lascia comunque pochi dubbi sull'esito del ballottaggio. Al terzo posto Marco Enríquez-Ominami del Partido Progresista (10,9%), seguito dall'indipendente di destra Franco Parisi (10,1%). Nettamente staccati gli altri candidati: l'umanista Marcel Claude (2,8%), il verde Alfredo Sfeir (2,3%), l'esponente di estrema sinistra Roxana Miranda (1,2%); sotto l'1% il regionalista Ricardo Israel e l'ex democristiano Tomás Jocelyn-Holt. Una nuova Costituzione, la riforma dell'educazione e quella del sistema tributario sono tra i punti principali del programma di Bachelet. Non sarà un compito facile visto che i 67 deputati (su 120) e i 21 senatori (su 38) eletti il 17 novembre dalla Nueva Mayoría non garantiscono la maggioranza necessaria a far passare modifiche costituzionali. Ma il nuovo ciclo politico e sociale promesso da Michelle Bachelet non è più rinviabile in questo paese tra i più disuguali della regione, dove - afferma l'economista Manuel Riesco Larraín, del Centro de Estudios Nacional de Desarrollo Alternativo - "dieci grandi compagnie minerarie possiedono 'concessioni pienÈ su 30 milioni di ettari, un 40% del territorio nazionale, pagando un dollaro all'anno per ettaro; due imprese possiedono il 90% dei diritti sull'acqua; sette famiglie il 90% dei diritti di pesca; due imprese possiedono milioni di ettari di boschi e così via". 18/11/2013 |
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Brasile, crisi con Washington per il Datagate È stata presentata all'Onu la bozza di risoluzione elaborata da Germania e Brasile sul problema delle intercettazioni internazionali venute alla luce con lo scandalo Datagate. Il documento ribadisce che nessuno può essere oggetto di ingerenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, come stabilito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, e chiede che tali principi vengano estesi a Internet e a tutte le altre forme di comunicazione elettronica. Le rivelazioni di Edward Snowden hanno suscitato l'irritazione di gran parte dei governi dell'America Latina, anche di quelli che - come il Brasile - intrattengono buone relazioni con Washington. Il 24 settembre Dilma Rousseff, parlando all'Assemblea delle Nazioni Unite, aveva usato toni insolitamente duri. Dopo aver avvertito che "il cyberspazio non può essere utilizzato o manipolato come arma di guerra mediante lo spionaggio o il sabotaggio", aveva proposto la creazione di un nuovo sistema legale globale per il governo della rete (sottraendone il controllo a Washington e alle sue transnazionali). Senza citare direttamente gli Stati Uniti, aveva affermato che "la scusa della lotta al terrorismo da parte di quanti hanno realizzato le attività di spionaggio è insostenibile. Il Brasile sa come difendersi e proteggersi, come lottare contro il terrorismo internazionale. Siamo un paese democratico circondato da paesi democratici". Scrive Horacio Verbitsky su Página/12: Dilma "è arrivata a dire che colpendo il diritto alla privacy gli Stati Uniti avevano pregiudicato le libertà di espressione e di opinione, senza le quali 'non c'è democrazia'. Non è comune che qualcuno denunci gli Usa, in questi termini giuridici e non ideologici, di violare i diritti umani e le libertà civili. Mai un leader internazionale alleato degli Stati Uniti aveva denunciato in forma tanto dirompente l'utilizzo spurio delle politiche di sicurezza giustificate dagli attentati del settembre 2001". A suscitare l'ira di Brasilia era stata soprattutto la rivelazione che tra i bersagli delle intercettazioni figuravano anche l'ufficio presidenziale e l'impresa petrolifera statale Petrobras. Pochi giorni prima dell'intervento all'Onu la presidente brasiliana aveva annunciato la sospensione della sua visita di Stato a Washington, prevista per il 23 ottobre. Una decisione tanto più grave in quanto, nella gerarchia dei rapporti diplomatici, una visita di Stato è ben più importante di un viaggio ufficiale (la precedente era avvenuta quasi vent'anni fa, con Fernando Henrique Cardoso). "In assenza di una tempestiva verifica dell'accaduto, con le adeguate spiegazioni e l'impegno a cessare ogni attività di intercettazione, non vi sono le condizioni per la realizzazione della visita nella data anteriormente accordata", affermava la nota ufficiale a conferma della profondità della crisi. 2/11/2013 |
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Argentina, la Ley de Medios è costituzionale Dopo quattro anni di controversie giudiziarie, la Corte Suprema ha finalmente emesso il suo verdetto: la Ley de Servicios de Comunicación Audiovisual, la cosiddetta Ley de Medios, è costituzionale e anche il potente Grupo Clarín, che ha tentato di opporsi in tutti i modi, dovrà ora adeguarsi a quanto prescritto. Secondo la legge, ogni gruppo operante nel settore non potrà controllare oltre il 35% del mercato (con il suo impero mediatico, Clarín supera ampiamente questo tetto). Rispondendo ai numerosi ricorsi, i giudici sostengono che "non viene leso il diritto alla libertà di espressione del Grupo Clarín" e che "non è stato provato che il sistema delle licenze stabilito dalla legge metta a rischio la sua sostenibilità economica". In compenso le norme anti-monopolio costituiscono uno strumento per "il rafforzamento della libertà di espressione e del diritto all'informazione di tutti gli individui". La storica sentenza ha rivitalizzato i sostenitori del governo, non proprio entusiasti dei risultati delle legislative del 27 ottobre. Il Frente para la Victoria si conferma prima forza politica del paese. Al secondo posto Unión Cívica Radical, Partido Socialista e raggruppamenti alleati. Ma il kirchnerismo guarda con preoccupazione all'affermazione di Sergio Massa, personaggio proveniente dalle sue file e ora migrato a destra. Il Frente Renovador di Massa, terzo a livello nazionale, trionfa nello strategico bastione della provincia di Buenos Aires, dove si raggruppa oltre un terzo dell'elettorato. All'altro lato dello schieramento politico, il Frente de Izquierda y de los Trabajadores, di orientamento trotskista, ottiene tre deputati e fa così il suo ingresso nel Congresso. 29/10/2013 |
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Cuba, nuova condanna dell'Onu al blocco Usa Ancora una volta l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha condannato, quasi all'unanimità, l'embargo Usa a Cuba. Contro il blocco economico, commerciale e finanziario hanno votato 188 paesi, tre si sono astenuti (Micronesia, Isole Marshall e Palau) e agli Stati Uniti è rimasto solo l'appoggio di Israele. La risoluzione chiede la fine dell'embargo e ribadisce l'importanza del rispetto della sovranità degli Stati, della non interferenza negli affari interni e della libertà di navigazione e di commercio. Nel documento si censura inoltre, per i suoi effetti extraterritoriali, la cosiddetta legge Helms-Burton, che nel 1996 ha rafforzato le sanzioni contro l'isola. VERSO L'ELIMINAZIONE DELLA DOPPIA MONETA. Con un comunicato pubblicato sul Granma del 22 ottobre il Consejo de Ministros ha annunciato la prossima unificazione delle due unità monetarie esistenti sull'isola, il peso nazionale e il CUC o peso cubano convertible equivalente a 25 pesos. Non è stata però fissata una data precisa per questo processo, che dovrà tener conto "della produttività del lavoro e dell'efficacia dei meccanismi di distribuzione e redistribuzione" e che, per la sua complessità, "esigerà una rigorosa preparazione ed esecuzione, sia sul piano oggettivo che soggettivo". 29/10/2013 |
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Paraguay, gli alleati di Horacio Cartes Il 15 agosto si è tenuto l'insediamento del presidente Horacio Cartes, del Partido Colorado. Il nuovo capo dello Stato, su cui pesano non pochi sospetti di legami con il narcotraffico, ha già mostrato quali saranno i suoi alleati: i militari e il settore imprenditoriale. Per compiacere i primi ha subito varato la ley de militarización, in base alla quale l'esercito può essere chiamato "ad affrontare qualsiasi forma di aggressione esterna e interna che ponga in pericolo la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale del paese". Come reazione a una serie di azioni attribuite all'Ejército del Pueblo Paraguayo, tra cui l'uccisione - due giorni dopo la presa di possesso di Cartes - di cinque guardie di una hacienda nel dipartimento di San Pedro, il provvedimento è stato approvato in tempi record dal Congresso. Immediate le critiche dell'opposizione e delle organizzazioni per i diritti umani: l'invio delle forze armate nelle campagne con il pretesto di combattere la guerriglia, hanno denunciato, serve solo alla repressione delle lotte contadine. Lotte che non si arrestano nonostante le continue violenze delle squadracce al soldo dei latifondisti: il 14 agosto è stato assassinato da sicari Lorenzo Areco Valiente, del direttivo dell'Organización Campesina Regional de Concepción. Per i suoi amici imprenditori Cartes ha ottenuto a fine ottobre un'altra vittoria: il sì dei parlamentari alla cosiddetta alianza público-privada, una riforma economica che apre le porte alla privatizzazione dei beni pubblici, ai tagli della spesa sociale, alla precarizzazione del lavoro. Contro la nuova legge, di netta impronta neoliberista, sono scesi in piazza sindacati, partiti, organizzazioni studentesche, movimenti sociali, riuniti nella Coordinadora Democrática. Manifestazioni e proteste si sono registrate in tutto il paese, spesso duramente attaccate dalla polizia. La politica estera del nuovo presidente non riserva nessuna sorpresa: saldamente legata a Washington, accetta senza problemi la presenza, su territorio paraguayano, di personale militare statunitense, colombiano, israeliano. La stessa scelta del ministro degli Esteri è significativa: Eladio Loizaga Caballero fu promotore a livello regionale della Liga Anticomunista Mundial, uno dei pilastri del Plan Cóndor, ed è segnalato come responsabile di crimini di lesa umanità. Ragioni economiche hanno però suggerito ad Asunción un riavvicinamento agli altri paesi del Sud America, dopo la rottura seguita al golpe istituzionale contro Fernando Lugo. Ritorno del Paraguay in seno all'Unasur e ripristino delle relazioni diplomatiche con il Venezuela hanno marcato dunque i primi mesi del governo Cartes. 29/10/2013 |
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Messico, assassinata leader contadina Rocío Mesino Mesino, leader dell'Organización Campesina de la Sierra del Sur, è stata assassinata a colpi d'arma da fuoco il 19 ottobre, nei pressi della comunità di Mexcaltepec (Stato del Guerrero). Stava revisionando l'opera di ristrutturazione di un ponte danneggiato dalle recenti violente piogge che hanno colpito la regione. Proprio per aiutare i sinistrati, l'organizzazione aveva allestito una mensa comunitaria. Da anni Rocío Mesino, insieme alla sorella Nora, lottava per la difesa della terra e contro ogni sopruso. Per questo aveva più volte denunciato persecuzioni e minacce da parte delle forze di sicurezza e dei gruppi paramilitari che operano nella zona. Gli stessi che il 5 agosto avevano assassinato Raymundo Velázquez Flores, leader della Liga Agraria Revolucionaria del Sur Emiliano Zapata e segretario generale del Partido Comunista de México nel Guerrero, insieme ad altri due dirigenti contadini. I tre erano stati trovati con le mani legate, crivellati di colpi e con chiari segni di tortura. Tre giorni prima di quest'ultima strage era stato ucciso ad Amatlán de los Reyes, nello Stato di Veracruz, l'ambientalista Noé Vázquez Ortíz. Mentre stava preparando la cerimonia per l'apertura del decimo incontro nazionale del Movimiento Mexicano en Defensa de los Ríos, Noé Vázquez - che si opponeva ai tanti progetti idroelettrici miranti a sfruttare le risorse idriche del paese - era stato assalito a colpi di pietra da una squadraccia, che lo aveva poi finito con un coltello. CONTRO LE RIFORME DI PEÑA NIETO. Si estende l'opposizione alla proposta di riforma energetica presentata in agosto dal presidente Peña Nieto, che prevede modifiche costituzionali per aprire alla partecipazione privata nel settore. Da allora si sono tenute numerose mobilitazioni, convocate dal Movimiento de Regeneración Nacional (Morena) e che hanno visto una massiccia partecipazione. Parlando davanti a decine di migliaia di persone durante la manifestazione del 27 ottobre, l'ex candidato presidenziale López Obrador ha ribadito: "Non accettiamo gli impegni vergognosi che Peña Nieto ha contratto con i padroni di corporazioni straniere per legalizzare la svendita della rendita petrolifera e la privatizzazione del settore energetico nel suo complesso". E continua la battaglia della combattiva Cnte (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación) contro la riforma dell'educazione, e soprattutto contro le norme che dall'oggi al domani hanno cancellato conquiste fondamentali come la sicurezza dell'impiego. Scioperi, manifestazioni, blocchi stradali si susseguono in tutto il paese, mobilitando decine di migliaia di insegnanti. L'azione più emblematica è stata l'occupazione dello Zócalo (la piazza centrale) della capitale, durata più di quattro mesi e terminata il 13 settembre con lo sgombero ad opera dei blindati delle forze di sicurezza. Gli scontri che ne sono seguiti hanno provocato una trentina di feriti e decine di detenuti. Un massiccio spiegamento di agenti ha accompagnato anche, il 2 ottobre, il corteo per il 45° anniversario del massacro di Plaza de las Tres Culturas, che riuniva studenti, dirigenti storici del movimento del '68, maestri in lotta. La presenza di pochi provocatori ha giustificato l'intervento violento della polizia, con il bilancio di decine di feriti e di fermati. 27/10/2013 |
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Repubblica Dominicana, senza cittadinanza i figli di immigrati Questo atto "ci ricorda i provvedimenti che precedettero il genocidio nel 1937 di 30.000 haitiani perpetrato dal dittatore Rafael Leonidas Trujillo, emulo di Hitler. E più recentemente potrebbe assomigliare al genocidio ruandese, che fu preceduto da un clima analogo a quello che certi settori razzisti e xenofobi vogliono creare nella Repubblica Dominicana". Così il regista haitiano Arnold Antonin, in un appello pubblicato sul quotidiano argentino Página/12, stigmatizza la sentenza emessa il 23 settembre dal Tribunal Constitucional della Repubblica Dominicana, secondo la quale non può essere riconosciuta la cittadinanza a una persona di ascendenza straniera, anche se nata su territorio dominicano, se i genitori al momento della sua nascita non erano "residenti legali". La decisione fa riferimento al caso di Juliana Deguis Pierre, figlia di immigrati haitiani, da sempre vissuta nel paese e iscritta all'anagrafe come cittadina della Repubblica Dominicana. Secondo il Tribunale, Juliana Deguis non possiede i requisiti necessari e dunque né lei né i suoi quattro figli hanno diritto alla nazionalità dominicana. Non solo. I giudici costituzionali sollecitano le autorità a revisionare tutti i registri a partire dal 1929 per identificare casi analoghi. Un provvedimento che, per il suo carattere retroattivo, rischia di trasformare in apolidi decine di migliaia di persone, in gran parte di origine haitiana. Proprio quel settore della popolazione da tempo vittima di discriminazioni e razzismo potrebbe vedersi privato non solo del diritto di voto, ma anche dell'accesso ai servizi di base, come l'educazione e la sanità. In un comunicato l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) ha espresso "profonda preoccupazione" per le possibili conseguenze della sentenza. "È difficile immaginare quale effetto devastante abbia per un individuo sentirsi dire che non è più un cittadino del paese dove è nato e ha vissuto tutta la sua vita", ha commentato Gonzalo Vargas Llosa, capo missione di Acnur a Santo Domingo. 26/10/2013 |
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Colombia, contadini in lotta contro il Tlc La campagna colombiana è in rivolta contro i trattati di libero commercio sottoscritti dal governo di Bogotá. L'apertura delle frontiere a merci a basso costo provenienti dai paesi ricchi, contro cui i produttori locali non possono competere, sta portando alla rovina i piccoli coltivatori. Senza contare che, per poter firmare tali accordi, il paese ha dovuto riformare la propria legislazione introducendo nuove regole. In particolare la Risoluzione 9.70 del 2010 che - con il pretesto di motivi fitosanitari - proibisce agli agricoltori di riutilizzare, per la semina, i semi nativi tenuti in serbo dal raccolto precedente. Viene così criminalizzata una pratica ancestrale, che tra l'altro ha il pregio di salvaguardare la biodiversità tramandando sementi migliorate nei secoli dal lavoro di generazioni. Ad eccezione di non più di cinque ettari destinati al consumo familiare, gli agricoltori dovranno utilizzare solo i semi "certificati" dall'Instituto Colombiano Agropecuario, che guarda caso sono in gran parte quelli, geneticamente modificati, prodotti dalle multinazionali. E naturalmente, per proteggere il brevetto degli ogm, tali semi potranno essere usati una sola volta: a ogni semina si dovrà provvedere a un nuovo acquisto. Si veda, sull'argomento, il documentario diretto da Victoria Solano che racconta quanto avvenuto il 31 maggio 2011 a Campoalegre, nel dipartimento di Huila, rinomato centro di produzione del riso. Soldati armati di tutto punto fanno irruzione nel comune sequestrando e distruggendo oltre settanta tonnellate di sementi, tenute in serbo dai contadini per l'anno successivo. Il paro nacional agrario, iniziato il 19 agosto, ha visto subito la mobilitazione di migliaia di contadini, cui si sono presto affiancati camionisti, minatori, studenti, insegnanti, medici. Con cortei, scioperi e blocchi stradali i manifestanti, che avevano dato vita alla Mesa Nacional Agropecuaria y Popular de Interlocución y Acuerdos, hanno costretto alla fine il governo a trattare. Non è stato facile: la risposta iniziale dell'esecutivo era stata infatti la repressione, con violenti attacchi di polizia ed esercito contro i dimostranti, perquisizioni e detenzioni arbitrarie e addirittura la militarizzazione della capitale. Bilancio: una decina di morti, centinaia di feriti e di arrestati (tra cui il dirigente sindacale contadino Húber Ballesteros, accusato di legami con le Farc). E prima di sedersi al tavolo del negoziato il presidente Santos si era visto costretto a unrimpasto di governo, con il cambiamento dei titolari di cinque dicasteri chiave. Il risultato finale del lungo paro è una serie di accordi settoriali che, pur non accogliendo completamente le rivendicazioni alla base delle proteste, soprattutto quelle riguardanti la rinegoziazione dei trattati di libero commercio con Europa e Stati Uniti, hanno comunque segnato importanti passi avanti. E se la famigerata Risoluzione 9.70 non è stata cancellata, è stata almeno congelata. Il paro nacional agrario era stato preceduto, a partire dall'11 giugno, da mobilitazioni e blocchi stradali nella zona del Catatumbo (dipartimento di Norte de Santander, alla frontiera con il Venezuela), colpita da una forte crisi sociale. Anche qui, dopo una prima risposta repressiva che aveva provocato quattro morti e decine di feriti, il governo era stato costretto ad avviare una trattativa. I contadini protestavano in particolare contro la decisione delle autorità di distruggere le coltivazioni di coca senza offrire un piano di colture alternative. ANCORA SANGUE NELLE CAMPAGNE. Il 17 settembre è stato assassinato Nelson Giraldo Posada, dirigente del Movimiento Ríos Vivos Antioquia che da tempo lotta contro il megaprogetto Hidroituango. La costruzione dell'enorme diga prevista dal progetto comporterà la perdita di case e lavoro per gli abitanti della zona, provocando centinaia di sfollati (tra cui lo stesso Nelson). Pochi giorni prima dell'omicidio, il tribunale di Medellín aveva ordinato l'adozione di misure di protezione in favore degli aderenti al movimento, continuamente minacciati per la loro battaglia contro la centrale. Meno di due settimane dopo, esattamente il 30 settembre è stata la volta di Adelina Gómez Gaviria, leader contadina di Almaguer, nel dipartimento del Cauca. Attivista del Comité de Integración del Macizo Colombiano, Adelina lottava contro l'espansione delle compagnie minerarie transnazionali nella regione e per questo era già stata minacciata. È stata colpita da ignoti killer mentre usciva da una riunione in compagnia del figlio, che è rimasto ferito. 1/10/2013 |
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Cile, quarant'anni fa il golpe di Pinochet Alla testa del corteo c'erano le foto di duemila persone vittime della dittatura di Pinochet. Così domenica 8, tre giorni prima di quel tragico 11 settembre, i cileni hanno ricordato il quarantesimo anniversario del golpe. Oltre 30.000 persone hanno partecipato alla manifestazione, che partendo dal centro di Santiago si è diretta al Cementerio General, dove sorge il Memorial del Ejecutado Político y el Detenido Desaparecido. In occasione di questo anniversario il presidente della Corte Suprema, Rubén Ballesteros, in una storica dichiarazione pubblica, ha riconosciuto che "la rottura delle istituzioni democratiche, a partire dal settembre 1973, permise un regime civico-militare che violò le garanzie dei cittadini del nostro paese, che portò alla morte di molti di loro, a detenzioni irregolari e ad altri abusi", che in parte furono possibili "per le omissioni di giudici dell'epoca". E il senatore Hernán Larraín, dell'Udi (Unión Demócrata Independiente), ha chiesto perdono "per non aver collaborato in maniera sufficiente alla riconciliazione". Ma non vi può essere riconciliazione senza lotta all'impunità. Come ha sottolineato Lorena Pizarro, presidente dell'Agrupación de Familiares de Detenidos Desaparecidos, "le richieste di perdono sono tutte carenti di contenuto, perché nessuno ha invitato a farla finita con il patto del silenzio, perché nessuno ha detto che ci deve essere verità e giustizia, perché nessuno ha detto dove sono i desaparecidos, chi sono i militari e i civili coinvolti in questi crimini". Anche nella campagna elettorale per le presidenziali del 17 novembre si è discusso del passato regime. Le due principali candidate, Michelle Bachelet ed Evelyn Matthei, sono entrambe figlie di generali, ma i loro padri nel 1973 fecero scelte ben diverse. Alberto Bachelet si oppose al colpo di Stato e per questo venne arrestato e torturato: morirà in carcere per le conseguenze dei maltrattamenti subiti. Il generale Fernando Matthei aderì in pieno al golpe: divenne ministro e poi membro della Junta Militar e comandante in capo dell'Aviazione ed è sospettato di violazione dei diritti umani. Oggi Evelyn difende e giustifica l'operato di Pinochet. La candidatura di Evelyn Matthei per Alianza por Chile (destra) è emersa dopo il ritiro dalla competizione dell'ex ministro dell'Economia Pablo Longueira, che aveva vinto le primarie ma era stato poi colpito da una forte depressione. Tutti i pronostici danno però per favorita l'ex presidente Michelle Bachelet, che nelle primarie del centrosinistra aveva sbaragliato tutti gli avversari. La coalizione che la sostiene, Nueva Mayoría, vede per la prima volta la presenza del Partido Comunista accanto alle tradizionali forze della Concertación. ASSASSINATO GIOVANE MILITANTE MAPUCHE. Rodrigo Melinao, 26 anni, è stato assassinato a colpi d'arma da fuoco a Ercilla, nel sud del paese. Il suo corpo senza vita è stato trovato il 6 agosto. In luglio Melinao era stato condannato a cinque anni di carcere per incendio doloso e a 541 giorni per danneggiamento di automezzi. I suoi legali avevano presentato ricorso. I fatti erano avvenuti nel 2011 nell'ambito della lotta della sua comunità per il recupero delle terre. L'uccisione del giovane militante mapuche ha provocato violente proteste nella regione dell'Araucania. 11/9/2013 |
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Guatemala, strage in una comunità maya È stato un massacro a freddo. La sera del 7 settembre un gruppo di uomini armati a bordo di un'auto ha assalito la comunità maya kakchiquel di San José Nacahuil, sparando all'impazzata e provocando la morte di undici persone e il ferimento di altre 15. Tra le vittime anche alcuni minori. Il ministro di Gobernación (Interno), Mauricio López Bonilla, ha subito indicato le pandillas, le bande criminali, come responsabili dell'accaduto e ha disposto un contingente di forze di sicurezza a protezione dell'abitato. Ma gli abitanti accusano la stessa polizia di aver favorito o addirittura guidato l'attacco. Quella stessa sera una pattuglia era entrata nel villaggio per controllare i locali ancora aperti: un intervento inusuale, visto che dal 2005 la gestione della sicurezza interna è affidata alle autorità comunitarie. Dieci minuti dopo, i killer facevano irruzione seguendo lo stesso percorso degli agenti. Da tempo, del resto, membri della Policía Nacional Civil intimidiscono e minacciano la comunità di San José Nacahuil, che fa parte del movimento di resistenza pacifica all'industria estrattiva. La popolazione contesta in particolare la costruzione della miniera El Tambor ad opera dell'impresa statunitense Kappes, Cassiday & Associates e della sua filiale guatemalteca Exmingua. Dietro la strage del 7 settembre, dunque, si intravvedono chiaramente gli interessi delle transnazionali minerarie. 8/9/2013 |
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Venezuela, complotti Usa contro Maduro "La cospirazione viene direttamente dagli Stati Uniti e ne abbiamo prove sufficienti". Così si è espresso il capo dello Stato, Nicolás Maduro, commentando la scoperta di un nuovo complotto per attentare alla sua vita. Protagonisti due cittadini colombiani, arrestati il 15 agosto in un hotel della Carretera Panamericana, nello Stato di Miranda. Facevano parte di un gruppo più ampio, composto da una decina di persone, ed erano entrati in Venezuela due giorni prima armati di fucili di precisione. La rivelazione segue di poco la denuncia di un altro progetto mirante ad assassinare Maduro e il presidente dell'Asamblea Nacional, Diosdado Cabello. L'operazione avrebbe avuto tra gli ispiratori l'ex presidente colombiano Alvaro Uribe, l'ex dittatore dell'Honduras Roberto Micheletti e il terrorista cubano-statunitense Luis Posada Carriles, responsabile di diversi attentati, tra cui l'esplosione nel 1976 di un aereo della Cubana de Aviación. Posada vive oggi tranquillamente negli Usa, sotto la protezione degli apparati di potere statunitensi. Il ruolo di collegamento con la destra venezuelana sarebbe stato svolto dall'imprenditore di origine cubana Eduardo Macaya, membro dei gruppi anticastristi Coru (Coordinadora de Organizaciones Revolucionarias Unidas), Omega 7 e Comandos F4, tutti legati alla Cia. Il piano, per il quale sarebbero stati raccolti due milioni e mezzo di dollari, avrebbe dovuto scattare il 24 luglio, durante le celebrazioni per l'anniversario della nascita di Simón Bolívar. 26/8/2013 |
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Argentina, campanello d'allarme per il governo Un campanello d'allarme per il governo di Cristina Fernández. Questo, secondo molti osservatori, il dato che emerge dalle Primarias Abiertas, Simultáneas y Obligatorias (Paso), con cui l'elettorato ha scelto, domenica 11 agosto, i candidati al Congresso. Il Frente para la Victoria, pur confermandosi il primo partito a livello nazionale (seguito dalla Unión Cívica Radical), è stato sconfitto in distretti chiave come Buenos Aires, Mendoza, Córdoba, Santa Fe. Risultati che pongono una seria ipoteca sulle legislative parziali, previste per il 27 ottobre. In un articolo su Alai, América Latina en Movimiento del 20 agosto, il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel ammonisce l'esecutivo a correggere gli errori politici, ad "agire con valori e proposte chiare, ad aprire il dialogo con tutti i settori sociali". E scrive: "La presidente dice di governare per 40 milioni di argentini, ma il governo privilegia gli interessi economici di diverse transnazionali e di poteri di fatto nazionali, consegnando terre a imprese transnazionali come la Chevron". Con quest'ultima la compagnia statale Ypf (Yacimientos Petrolíferos Fiscales) ha raggiunto un accordo per lo sfruttamento del giacimento di Vaca Muerta, nella provincia di Neuquén. L'intesa è duramente contestata da movimenti ambientalisti e popolazioni mapuche. Sull'argomento era intervenuto poche settimane prima lo stesso Pérez Esquivel, ricordando gli antecedenti della compagnia statunitense: "L'impresa Chevron-Texaco, dopo vent'anni di processo in Ecuador, è stata condannata al pagamento di 19.000 milioni di dollari per i danni provocati dal versamento di milioni di litri di petrolio e per l'inquinamento di fiumi e di circa 500.000 ettari in territorio indigeno. Danni che sono stati denunciati dalle comunità indigene e dalla Conaie. L'impresa condannata se ne è andata dall'Ecuador ed è atterrata in Argentina con il beneplacito del governo, e la giustizia argentina ha accolto la richiesta giudiziaria ecuadoriana e ha posto l'embargo per l'ammontare del debito. L'impresa ha presentato ricorso alla Corte Suprema di Giustizia argentina che ha tolto l'embargo, motivando la decisione con gli accordi Ypf-Chevron, stabilendo un precedente di impunità giuridica che danneggerà tutti i popoli latinoamericani". 20/8/2013 |
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Ecuador, sospeso il Proyecto Yasuní Il presidente Rafael Correa ha annunciato la sospensione del Proyecto Yasuní per mancanza di adeguati apporti esterni. In base a tale progetto lo Stato avrebbe rinunciato a sfruttare i ricchi giacimenti petroliferi del Parque Yasuní, nella foresta amazzonica, contribuendo così alla battaglia contro il riscaldamento globale e salvaguardando la biodiversità; in cambio la comunità internazionale avrebbe dovuto garantire al paese un contributo economico. "Con profonda tristezza, ma anche con assoluta responsabilità verso il nostro popolo e la nostra storia, ho dovuto prendere una delle decisioni più difficili di tutto il mio governo", ha affermato Correa. Il capo dello Stato, che chiederà ora al Parlamento l'autorizzazione per lo sfruttamento del greggio nel Parque Yasuní, dichiarato dall'Unesco Riserva Naturale della Biosfera, si è impegnato a utilizzare la migliore tecnologia disponibile per minimizzare l'impatto ambientale e a destinare il ricavato alla lotta contro la povertà. Ambientalisti e comunità indigene hanno però contestato la decisione. Il presidente della Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador), Humberto Cholango, ha affermato che tocca ora a tutti gli ecuadoriani difendere il parco e le popolazioni che lo abitano. UNA NUOVA LEGGE PER LA COMUNICAZIONE. "L'articolo 384 della Costituzione della Repubblica stabilisce che il sistema di comunicazione sociale deve assicurare l'esercizio dei diritti alla comunicazione, all'informazione e alla libertà d'espressione e rafforzare la partecipazione cittadina". È questo il principio ispiratore della Ley Organica de Comunicación, in vigore dal 25 giugno. "Da oggi in poi la parola è di tutti": così il parlamentare Mauro Andino ha salutato la nuova legge, fortemente criticata invece dall'opposizione come un tentativo di mettere il bavaglio alla stampa. La legge proibisce la concentrazione e garantisce la ripartizione delle frequenze: 33% a privati, 33% a enti pubblici e 34% a media comunitari. Vengono creati due organi di controllo, la Superintendencia de Información y Comunicación e il Consejo de Regulación de Medios. Sono inoltre previste sanzioni per i giornalisti che incorrano nel reato di "linciamento mediatico", la pubblicazione reiterata di notizie aventi lo scopo di screditare personalità pubbliche. 16/8/2013 |
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Il Brasile torna in piazza Tutto era cominciato il 6 giugno a São Paulo, con una manifestazione di non più di duemila persone contro l'aumento di 20 centesimi di real del biglietto dei mezzi pubblici. A promuovere la protesta il Movimento Passe Livre, organizzazione sorta nel 2005 che si ispira ai principi del Forum Sociale Mondiale e che chiede trasporti gratuiti per lavoratori e studenti. Una settimana dopo i dimostranti, più di 50.000, venivano attaccati con violenza dalla polizia militarizzata. Le immagini della sanguinosa repressione voluta dal governatore statale Geraldo Alckmin (vicino all'Opus Dei) provocavano l'indignazione generale e il giovedì successivo oltre un milione di persone scendevano in piazza nelle principali città del paese. Le richieste non si limitavano più alla cancellazione dell'aumento, obiettivo ben presto raggiunto quasi ovunque, ma si ampliavano al miglioramento della sanità e dell'educazione, alla lotta alla corruzione e al rifiuto delle spese spropositate previste per Mondiali di Calcio e Olimpiadi. A questo punto, scrive in una sua interessante analisi José Luiz Del Roio, i grandi media - che fino ad allora avevano plaudito alla repressione - cominciarono ad appoggiare le proteste, tentando di trasformarle in una gigantesca rivolta antigovernativa. "La stessa potente rete televisiva Globo sospese le sue famose telenovelas per impegnare l’intera programmazione nell’invito a partecipare alle manifestazioni. Le sue riprese erano inoltre sempre dall’alto, tese a mostrare una massa amorfa, senza obiettivi precisi, semplicemente ostile a qualcosa, concretamente al potere centrale". Quest'ultimo era stato preso di sorpresa dagli avvenimenti, che portavano allo scoperto l'insoddisfazione latente in ampi strati della popolazione. Eppure il Partido dos Trabalhadores, ricorda il sociologo Ariel Goldstein, era nato "come una forza antisistema, fermamente ancorata ai movimenti sociali e critica delle esperienze del populismo desarrollista. Il suo carattere antisistema presupponeva un'opposizione ai patti tra élites che avevano definito i momenti fondamentali della storia politica brasiliana". Le sconfitte di Lula nel 1989 contro Collor de Mello e nel 1994 e 1998 contro Cardoso avevano però spinto il Pt (soprattutto quando alla guida del partito era giunto José Dirceu) a una maggiore flessibilità nelle alleanze e a una moderazione del discorso ideologico. E nel 2002 era arrivata la tanto attesa vittoria, "con una coalizione che comprendeva partiti come il Partido Liberal, del vicepresidente José Alencar, che difficilmente corrispondevano alle aspettative di cambiamento che il Pt pretendeva di tradurre dal governo verso la società brasiliana. L'accesso del Pt al potere lo ha portato a orientarsi verso l'arena politico-governativa e a focalizzarsi su compiti di gestione, che gli hanno sottratto capacità di mobilitazione e lo hanno integrato nell'ordinamento politico, togliendogli in certa misura quell'orientamento contestatore che possedeva agli inizi". Le amministrazioni petiste hanno introdotto indubbi miglioramenti: nell'ultimo decennio il tasso di povertà è sceso dal 37,5 al 20,9% e l'indigenza dal 13,2 al 6,1% (dati Cepal). I programmi del governo Rousseff a favore degli strati più disagiati beneficiano quasi 50 milioni di persone e contano su un bilancio di 11,5 milioni di dollari, 60% in più rispetto alla fine della presidenza Lula. Il tasso di disoccupazione è attualmente il più basso della storia brasiliana. Ma tutto questo non è bastato ad assicurare la promessa trasformazione: le disuguaglianze economiche e sociali restano enormi. Con una popolarità in caduta libera, Dilma Rousseff ha cercato di venire incontro alle richieste della piazza invitando partiti e amministratori locali a collaborare nel miglioramento dei servizi pubblici e ha lanciato l'idea di un referendum sulla riforma politica che il paese attende da tempo. Ma le sue proposte hanno trovato l'opposizione dei parlamentari, compresi gli alleati della maggioranza. E le iniziative presidenziali non sono bastate a scongiurare il Dia Nacional de Luta dell'11 luglio, convocato da centrali sindacali e movimenti sociali con scioperi, occupazioni e blocchi stradali, per chiedere tra l'altro la riduzione della settimana lavorativa da 44 a 40 ore. Un chiaro segnale al governo quando manca poco più di un anno alle elezioni presidenziali.
ASSASSINATO AMBIENTALISTA SPAGNOLO. Il biologo spagnolo Gonzalo Alonso Hernández,
49 anni, è stato assassinato a colpi d'arma da fuoco per la sua
lotta in difesa delle specie in via d'estinzione. Il suo cadavere
è stato rinvenuto il 6 agosto sotto una cascata della riserva naturale di Cunhambebe
(distretto di Lídice, Stato di Rio de Janeiro), ma secondo gli
inquirenti il delitto sarebbe avvenuto nell'abitazione di Hernández,
dove sono state ritrovate numerose tracce di sangue e da cui è stato
rubato il computer. Da un decennio in Brasile, il biologo lavorava per
la ong Instituto Terra ed era consulente del Consiglio
Municipale dell'Ambiente di Lídice. Negli ultimi tempi stava cercando di documentare gli
inquinamenti da scarichi industriali nelle acque della riserva. Le sue
denunce contro la deforestazione illegale e la caccia di frodo gli avevano procurato molti nemici.
Tra il 2011 e il 2012 - afferma Amnesty International - venti
ecologisti sono stati uccisi in Brasile da gruppi paramilitari, bande
criminali o forze di sicurezza.
7/8/2013 |
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Nicaragua, il miliardario cinese e il Gran Canal L'impresa cinese Hknd Group, con sede a Hong Kong, ha ottenuto diritti esclusivi per cinquant'anni (prorogabili per altri cinquanta) sulla progettazione, la costruzione e la gestione di un nuovo canale interoceanico che attraverserà il Nicaragua e sulla realizzazione delle infrastrutture collegate: porti, zone franche, ecc. L'accordo è stato ratificato il 13 giugno dall'Asamblea Nacional (dove il Frente Sandinista di Daniel Ortega conta su una massiccia maggioranza) e sottoscritto il giorno successivo dallo stesso Ortega e dal presidente e direttore esecutivo di Hknd Group, Wang Jing. Il Gran Canal de Nicaragua, che rivaleggerà con quello di Panama, a detta di Wang sarà ultimato entro il 2019. Avrà un costo stimato di 40 miliardi di dollari, più di quattro volte il prodotto interno lordo che il paese centroamericano aveva registrato nel 2011. Il progetto ha subito suscitato le proteste dell'opposizione, che ha accusato Ortega di aver svenduto la sovranità nazionale, e i timori degli ecologisti, preoccupati per le ripercussioni della colossale opera sull'ambiente naturale. Poche settimane dopo, le polemiche si sono riaccese per le dichiarazioni di Wang che, senza che fossero terminati gli studi di fattibilità, ha annunciato un tracciato del canale diverso da quello originariamente previsto, mettendo in imbarazzo il governo di Managua. Ma chi è Wang Jing? Di lui si sa ben poco. Nato a Pechino, dice di aver studiato medicina tradizionale, ma non vuol rivelare in quale Università. Si è arricchito prima con l'attività mineraria in Cambogia, poi con le telecomunicazioni (è presidente e principale azionista di Xinwei Telecom). Il gruppo Hknd risulta registrato nel paradiso fiscale delle Isole Cayman. Il governo cinese nega qualsiasi coinvolgimento nel progetto del nuovo canale: del resto Pechino e Managua non hanno rapporti diplomatici perché il Nicaragua riconosce Taiwan. È indubbio però l'interesse della Cina per l'accordo Wang-Ortega, destinato a rafforzare la sua influenza nella regione. 4/8/2013 |
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L'America Latina reagisce allo "schiaffo" europeo Si è conclusa il 2 agosto, dopo tre giorni di lavori, la prima Cumbre Antimperialista che ha riunito, nella città boliviana di Cochabamba,; rappresentanti di movimenti sociali, sindacati e partiti latinoamericani ed europei. Il vertice ha voluto essere una risposta al "sequestro" subito da Evo Morales il 2 luglio nell'aeroporto di Vienna. Qui il presidente boliviano era rimasto bloccato per quasi 14 ore: il velivolo che da Mosca lo riportava in patria era stato costretto a un atterraggio di emergenza perché Francia, Italia, Spagna e Portogallo - in aperta violazione a tutti i trattati internazionali - avevano rifiutato l'autorizzazione a sorvolare il loro territorio. Il pretesto era stato fornito dal caso Snowden, il tecnico informatico "colpevole" di aver rivelato al mondo le intercettazioni illegali compiute dal governo Usa. Morales, che nella capitale russa aveva partecipato alla riunione del Foro dei Paesi Esportatori di Gas, parlando con i giornalisti si era detto disponibile a concedere asilo politico al giovane statunitense. E dunque i governanti europei, su pressione di Washington, volevano sincerarsi che Snowden non si nascondesse proprio nell'aereo presidenziale: nel corso della forzata sosta in Austria, l'ambasciatore spagnolo giungeva a chiedere il permesso di ispezionare il velivolo (ricevendo naturalmente un netto rifiuto). "Non posso intendere come paesi europei si sottomettano al governo degli Stati Uniti": questo il commento di Morales. L'affronto del Vecchio Continente al capo di Stato boliviano era stato censurato immediatamente dai membri dell'Unasur, riuniti d'urgenza il 4 luglio, che con la Declaración de Cochabamba avevano condannato "l'inaccettabile restrizione alla libertà" del presidente Morales (da segnalare però l'assenza all'incontro del colombiano Santos, del cileno Piñera e soprattutto del peruviano Humala, presidente pro tempore dell'Unasur). Qualche giorno dopo era venuta la critica del segretario generale dell'Oea, José Miguel Insulza, e poi il "fermo ripudio" del Mercosur al comportamento europeo. E finalmente in ordine sparso Francia, Italia, Spagna e Portogallo avevano presentato le loro scuse, che Morales aveva accettato pur dichiarandosi "non pienamente soddisfatto". 2/8/2013 |
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Perù, pochi consensi per il biennio di Humala Ollanta Humala ha concluso il 28 luglio il suo secondo anno di mandato con un misero 32% di consensi, crollati di venti punti in soli tre mesi. E al suo discorso alla nazione letto nell'aula del Congresso hanno fatto eco in piazza le proteste - prontamente represse dalla polizia - di migliaia di persone. I sindacati (in prima fila la Cgtp, che due anni fa aveva sostenuto la candidatura di Humala) chiedevano aumenti salariali e il ripristino di una serie di diritti dei lavoratori. Studenti e movimenti civici contestavano la corruzione della classe politica e soprattutto l'accordo tra il partito di governo, la formazione dell'ex presidente Toledo Perú Posible e il gruppo fujimorista per ripartirsi gli incarichi di nomina parlamentare in seno al Tribunal Constitucional, alla Defensoría del Pueblo e al Banco Central de Reserva. Un accordo su cui il Congresso, di fronte all'indignazione generale, aveva dovuto fare rapidamente marcia indietro. Tra le nomine che più avevano scandalizzato l'opinione pubblica quella di Pilar Freitas, ex funzionaria del governo Toledo accusata di corruzione, alla guida della Defensoría del Pueblo, e quella di Rolando Sousa, avvocato di Alberto Fujimori, a membro della massima Corte. Contro quest'ultima designazione erano insorti i difensori dei diritti umani ricordando come, quando era parlamentare, Sousa si fosse battuto per assicurare l'impunità ai responsabili di crimini di lesa umanità. E a proposito di tali crimini in giugno Humala aveva negato l'indulto a Fujimori, senza intaccare però i privilegi di cui l'ex dittatore gode nella sua prigione dorata. I diritti umani sono stati i grandi assenti nel discorso presidenziale per il secondo anniversario. Ollanta Humala non si discosta dai suoi predecessori non solo su questo tema, ma sulla continuità del modello economico neoliberista, appena temperato da programmi sociali di stampo assistenziale. Tali programmi, non in grado di incidere sulle forti disuguaglianze sociali, rischiano in un prossimo futuro di essere ridimensionati per i contraccolpi della crisi economica internazionale, che comincia a farsi sentire anche in Perù. 28/7/2013 |
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Honduras, quattro anni fa il golpe Migliaia di persone sono scese in piazza a Tegucigalpa nel quarto anniversario del colpo di Stato che il 28 giugno 2009 depose il legittimo presidente Manuel Zelaya. La marcia era stata convocata dal Frente Nacional de Resistencia Popular, che raggruppa movimenti e partiti d'opposizione. I manifestanti, che si erano radunati nei pressi dell'Universidad Pedagógica Nacional Francisco Morazán, si sono diretti in corteo verso il parco centrale della capitale, dove Zelaya ha tenuto un discorso. Per ragioni di salute non era presente la moglie del deposto presidente, Xiomara Castro, che concorrerà alla massima carica dello Stato nelle elezioni del 24 novembre. La candidatura di Xiomara alle presidenziali per il partito Libre (Libertad y Refundación) era stata lanciata ufficialmente il 16 giugno a Tegucigalpa, con una massiccia mobilitazione, alla presenza di delegazioni di diversi partiti latinoamericani: il Psuv venezuelano, il Fmln salvadoregno, il Fsln nicaraguense, il Pt brasiliano e quello messicano. Nel suo discorso, Xiomara Castro aveva reso omaggio alla resistenza contro la dittatura e aveva assicurato: "La lunga egemonia del bipartitismo sta per terminare". 28/6/2013 |
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L'America Latina che guarda a Washington
Il governo di
Bogotá ha firmato il 25 giugno a
Bruxelles un accordo con la Nato per la cooperazione e lo scambio di
informazioni nel campo della sicurezza. Si tratta del primo documento di
questa natura sottoscritto dall'Alleanza Atlantica in America Latina. L'accordo "permetterà che le esperienze della Colombia
nella lotta contro il narcotraffico e il terrorismo internazionale e le
altre competenze sviluppate possano essere conosciute da altri paesi"
e consentirà a Bogotá di "acquisire conoscenze in materia di formazione
dei membri delle forze armate" e di raggiungere "gli alti livelli della
Nato su temi quali le emergenze civili e le operazioni umanitarie e di
pace": queste le motivazioni addotte dal ministro della Difesa, Juan Carlos Pinzón.
Finora l'unica nazione latinoamericana giunta al rango di "alleato extra
Nato" era stata l'Argentina della presidenza Menem (quando il ministro
degli Esteri preconizzava "relazioni carnali" con gli Usa). L'annuncio dell'accordo ha suscitato la preoccupazione della maggior parte
dei paesi del continente. Particolarmente duro il commento del presidente
boliviano Evo Morales: "È un'aggressione, una provocazione, una
cospirazione contro i governi antimperialisti". "Una pugnalata al cuore
dei popoli della Nostra America", l'ha definita il nicaraguense Daniel
Ortega. E il venezuelano Nicolás Maduro ha affermato che "questo
contraddice la dottrina e la legalità internazionale sulla quale si basa
l'unione nell'emisfero".
Sotto comando Nato operano anche una ventina di soldati
salvadoregni di stanza in Afghanistan. El Salvador è infatti l'unico paese
latinoamericano ad aver inviato suoi militari come
consulenti di Kabul nella guerra contro i talebani. Paradossalmente è stato il presidente del primo governo di
sinistra del paese, Mauricio Funes, a decidere nell'agosto del 2011
la spedizione del contingente, con il pieno sostegno della destra e
l'opposizione del Fmln. Funes segue così le orme dei suoi predecessori
Flores e Saca (entrambi di Arena),
che avevano mandato truppe in Iraq. Militari
salvadoregni sono inoltre presenti - su richiesta dell'Onu - ad Haiti e in Libano.
Nel frattempo il nuovo governo paraguayano di Horacio Cartes ha sottoscritto con
il maggior alleato degli Stati Uniti, Israele, un accordo di cooperazione nel campo
della sicurezza, dell'istruzione e della gestione delle risorse idriche.
Già da tempo presenti in Paraguay, gli israeliani fungono da istruttori delle forze
militari e di polizia impegnate "nella lotta contro la sovversione".
25/6/2013 |
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Messico, risposta sanguinosa alla protesta sociale Protestare in Messico può costare la vita. Tre militanti dell'organizzazione contadina Unidad Popular di Iguala, nello Stato del Guerrero, sono stati sequestrati e assassinati dopo aver partecipato a un blocco stradale lungo l'Autopista del Sol: chiedevano alle autorità la distribuzione di fertilizzanti e la costruzione di opere comunitarie. I loro corpi senza vita e con segni di tortura sono stati rinvenuti il 3 giugno; tra le vittime anche il dirigente del Prd Arturo Hernández Cardona. E in Chiapas il Frayba (Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas) ha denunciato il costante aumento di aggressioni e violenze contro i difensori dei diritti umani. Tra gli episodi più recenti l'uccisione il 24 aprile del leader tzeltal Juan Vázquez Guzmán, che si era sempre battuto per la salvaguardia delle terre comunitarie e dell'autonomia indigena. MUORE IL LEADER COMUNISTA MARTINEZ VERDUGO. Dirigente storico della sinistra messicana, Arnoldo Martínez Verdugo è morto il 24 maggio a 88 anni. Nel corso della sua lunga militanza prima nel Partido Comunista Mexicano, poi nel Psum e infine nel Prd aveva sempre lottato per l'unificazione delle forze progressiste. Guardando con speranza al futuro, era convinto che sarebbe arrivato il momento di una nuova offensiva dei popoli contro la dominazione della proprietà privata, "che oggi si presenta come una fatalità storica". E ribadiva: "Il nostro progetto politico deve andare al di là della politica. Dobbiamo confermare la nostra leadership ideologica e promuovere una profonda trasformazione della società". 3/6/2013 |
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Bolivia, tensione tra governo e Cob per le pensioni È durato 16 giorni lo sciopero generale proclamato dalla Cob, la Central Obrera Boliviana, per ottenere un miglioramento del trattamento pensionistico. Dopo una lunga trattativa, il 21 maggio è stato raggiunto un accordo: i lavoratori andranno in pensione con il 70% del salario, calcolato sulla media delle ultime 24 buste paga. La richiesta iniziale di mantenere, al ritiro dal lavoro, il 100% della retribuzione era stata respinta dall'esecutivo perché avrebbe messo a rischio il Fondo Solidario, creato per aiutare i pensionati a più basso reddito. La mobilitazione aveva visto non solo cortei e manifestazioni in diverse città, ma blocchi stradali e violenti scontri con la polizia, con decine di feriti e centinaia di arresti. Ai minatori (in prima fila i dipendenti dell'impresa statale di Huanuni) si erano presto uniti insegnanti, operai delle fabbriche, lavoratori della sanità. I dimostranti avevano fatto ricorso anche ai candelotti di dinamite, danneggiando gravemente il ponte di Caihuasi, nel dipartimento di Oruro. Durissimo il commento del presidente Morales, secondo il quale dietro la protesta si nascondevano interessi golpisti: "Non è più una rivendicazione, ma un'azione politica. Per questo vi invito, compagne e compagni, a difendere per prima cosa la democrazia", aveva detto ai suoi sostenitori riuniti davanti al Palacio Quemado (il palazzo di governo) di La Paz. "La Cob garantisce, con fermezza, la democrazia nel nostro paese", aveva replicato il leader della Central Obrera Juan Carlos Trujillo. E il portavoce del Movimiento Sin Miedo, Edwin Herrera, aveva accusato Morales di agitare il fantasma del colpo di Stato per giustificare "una brutale repressione contro i dirigenti e le stesse basi che stanno radicalizzando le mobilitazioni di fronte alla sordità del governo del Mas". La battaglia sulla Ley de Pensiones ha evidenziato insomma una preoccupante spaccatura tra il governo e una parte dei sindacati. Due giorni dopo l'accordo, a La Paz una grande manifestazione a sostegno dell'esecutivo ha visto la partecipazione non solo del movimento contadino (tradizionale alleato del governo), ma di molte altre categorie. "Sto vedendo tutti i settori concentrati per difendere il processo di cambiamento - ha detto il presidente Morales - Solo un settore della Cob cerca i suoi benefici, perché quella che vedo qui è la vera Central Obrera Boliviana". MORALES ESPELLE L'USAID. "Gli Stati Uniti continuano a cospirare. Pertanto, approfittando di questo concentramento, abbiamo deciso di espellere l'Usaid dalla Bolivia". Lo ha detto il presidente Morales durante la manifestazione del Primo Maggio in Plaza Murillo, a La Paz. Una decisione già annunciata più volte e finora mai concretizzata: non è un mistero per nessuno che la United States Agency for International Development, presente in Bolivia dal 1964, si è resa spesso colpevole di ingerenza negli affari interni del paese. Tra le accuse mosse da Morales ai funzionari dell'agenzia statunitense, quella di dare "elemosine" a dirigenti di organizzazioni sociali contadine e indigene per renderli funzionali ai propri interessi. "Saremo un piccolo paese, ma meritiamo rispetto. Chiediamo rispetto al governo degli Stati Uniti. Sicuramente penseranno che qui si può ancora manovrare la politica e l'economia, ma questi sono tempi passati", ha concluso Morales. La cacciata dell'Usaid costituisce anche una forma di protesta contro le recenti parole di John Kerry, che si è riferito all'America Latina come al "cortile di casa" degli Usa, rispolverando una vecchia formula cara all'impero. 23/5/2013 |
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Guatemala, impunità garantita al genocida Ríos Montt La Corte Costituzionale ha annullato la condanna a ottant'anni di carcere comminata il 10 maggio all'ex dittatore Efraín Ríos Montt. La decisione è stata presa a maggioranza (tre voti a favore, due contrari) dopo l'esame dei ricorsi presentati dalla difesa dell'imputato. In teoria il processo dovrebbe riprendere dal punto in cui era giunto lo scorso 19 aprile, ma molti temono che venga definitivamente affossato. "Un colpo devastante per le vittime", ha dichiarato Amnesty International. "È una beffa al sistema di giustizia, al popolo ixil, alla comunità internazionale e allo stesso tempo manda un messaggio molto chiaro: in Guatemala ci sono settori che non possono essere toccati", ha affermato sconsolato Nery Rodenas, direttore dell'Ufficio per i Diritti Umani dell'Arcivescovato. Nel corso di una conferenza stampa, sopravvissuti e militanti di organizzazioni umanitarie hanno espresso la loro indignazione. È una dimostrazione del razzismo esistente nel paese, ha detto Ana Laynez, sindaca indigena di Nebaj (uno dei teatri delle stragi), mentre il sacerdote maya Manuel Vail ha lamentato la situazione della giustizia in Guatemala, "ostaggio del potere economico, politico e militare". La sentenza di condanna, emessa dal Tribunal A de Mayor Riesgo presieduto dalla giudice Jazmín Barrios, era stata subito definita storica: per la prima volta un ex capo di Stato latinoamericano veniva dichiarato colpevole di genocidio. Per tale reato, "commesso in maniera sistematica contro la popolazione maya ixil", Efraín Ríos Montt avrebbe dovuto scontare cinquant'anni di carcere, cui si aggiungevano altri trenta per crimini di lesa umanità. La Corte aveva anche disposto l'immediato arresto del condannato, revocando gli arresti domiciliari. "È uno show politico internazionale": così Ríos Montt aveva commentato il verdetto. L'altro imputato al processo, l'ex generale José Mauricio Rodríguez, era stato invece assolto. Nel corso del dibattimento si erano susseguiti racconti agghiaccianti sulle violenze e i massacri perpetrati dai militari nei confronti della popolazione civile e le parole dei testimoni erano state confermate dal ritrovamento delle fosse comuni in cui erano stati gettati i cadaveri delle persone assassinate. Quanto accadeva nella regione ixil non poteva essere ignorato da Ríos Montt, comandante generale dell'esercito e capo di Stato dopo il golpe del 1982, aveva sentenziato la giudice Barrios motivando la condanna. Il processo aveva avuto un percorso assai accidentato, con rinvii, interruzioni e ricusazioni e, in aprile, una temporanea sospensione. Sul suo svolgimento avevano pesato le pressioni di movimenti di destra, vertici militari, organizzazioni di proprietari terrieri e imprenditori (gli stessi settori che oggi hanno ottenuto l'annullamento), appoggiati da una campagna di stampa che definiva "terroristi" i militanti per i diritti umani e "burattini" i familiari delle vittime. Senza dimenticare - come denunciato dal giornalista statunitense Allan Nairn - "l'intervento segreto" dell'attuale presidente Otto Pérez Molina, che nel corso del dibattimento era stato indicato da un testimone come uno dei responsabili delle atrocità. E a favore di Pérez Molina il 10 aprile centinaia di contadini erano stati forniti di cartelli e striscioni e trasportati con i pullman a manifestare. Dieci giorni dopo, un'assemblea di delegati e autorità tradizionali del nord del Quiché aveva risposto a queste provocazioni con una solenne dichiarazione: "È il momento di dire che siamo vivi, nonostante tutto ciò che storicamente è stato fatto per farci scomparire; è giunto il tempo come comunità di potenziare le nostre vite e di proclamare ciò che vogliamo". La rilevanza politica del giudizio a Ríos Montt era stata sottolineata da Helen Mack, sorella dell'antropologa Myrna uccisa nel 1990 per le sue ricerche sulla repressione delle comunità maya: secondo Helen il processo aveva segnato uno spartiacque nella storia giuridica del Guatemala, soprattutto perché per la prima volta la popolazione indigena aveva avuto la possibilità di far sentire la propria voce e di essere ascoltata in un tribunale. Un risultato tanto più importante in quanto, come rimarcava lo scrittore Rodrigo Rey Rosa sul periodico El Faro, quasi il 90% dei giornalisti guatemaltechi nega che nel paese si sia commesso un genocidio. "Essere riusciti a far sì che la causa per crimini contro il popolo ixil fosse portata avanti in tribunali stranieri e nazionali ha richiesto una fatica e una perseveranza enormi da parte dei sopravvissuti ed è prova della loro forza d'animo - scriveva Rey Rosa - La fiducia che gli ixil hanno deciso di depositare nelle istituzioni democratiche di una nazione dai cui governi sono stati attaccati in maniera sistematica lungo tutta la storia è degna di un encomio". Quanta fiducia potranno ora conservare le comunità indigene in queste istituzioni? La decisione della Corte Costituzionale costituisce anche una sconfitta per la giudice Barrios, da tempo impegnata - nonostante minacce e intimidazioni - nella lotta contro l'impunità (nel 2001, quando partecipava come giurata al processo per l'uccisione del vescovo Gerardi, due granate erano esplose all'ingresso della sua abitazione). Nel 2011 Barrios aveva presieduto la Corte che aveva comminato pene esemplari a quattro kaibiles, le truppe d'élite dell'esercito, responsabili del massacro di 201 persone a Dos Erres nel dicembre 1982. 22/5/2013 |
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Argentina, muore in carcere il genocida Videla Jorge Rafael Videla è morto il 17 maggio nel carcere di Marcos Paz, dove scontava la pena dell'ergastolo. Aveva 87 anni. Una prima condanna gli era stata comminata nel 1985, nel corso del processo ai massimi responsabili della più sanguinosa dittatura argentina; a salvarlo era però intervenuto nel 1990 l'indulto del presidente Menem. Otto anni dopo era stato arrestato per l'appropriazione dei bambini nati nei centri clandestini di detenzione: era questo l'unico reato che non veniva coperto dalle leggi dell'impunità. Nel 2010, con la ripresa dei processi per crimini di lesa umanità, aveva ricevuto una seconda condanna all'ergastolo per la fucilazione di 31 prigionieri politici e nel 2012 cinquant'anni per il "furto" di venti bambini. Attualmente era sotto processo per il suo ruolo nel coordinamento repressivo dei paesi del Cono Sur, il cosiddetto Plan Cóndor e altri procedimenti giudiziari stavano per aprirsi. Davanti ai giudici, Videla non ha mai mostrato segni di dubbio o di pentimento e anzi ha sempre rivendicato gli orrori del suo regime, che portarono alla distruzione di un'intera generazione, come una "guerra giusta" contro la sovversione. In quest'ottica si spiega anche l'esistenza dei campi di concentramento e di sterminio che - scrive Pilar Calveiro in Poder y Desaparición - va compresa "come un'azione istituzionale, non come un'aberrazione prodotta da un piccolo gruppo di menti malate o di uomini mostruosi; non si trattò di eccessi né di atti individuali, ma di una politica repressiva perfettamente strutturata". Il terrorismo di Stato consentì a Videla, e al suo ministro Martínez de Hoz, l'attuazione di una politica economica "che marcò una rottura nella storia argentina. Permise che i militari, alleati all'oligarchia latifondista, al grande capitale transnazionale e alla banca internazionale con i suoi soci locali, dessero per conclusa la fase dell'industrializzazione che aveva forgiato l'alleanza di classe tra i lavoratori e la borghesia locale", sostiene Javier Lewkowicz su Página/12. "Deindustrializzazione, speculazione finanziaria, indebitamento e fuga di capitali sono concetti chiave di questa fase. (...) L'economia della dittatura spiega in buona parte la bancarotta degli anni Ottanta, che servì per giustificare l'offensiva neoliberista negli anni Novanta". 18/5/2013 |
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Perù, la scomparsa di Javier Diez Canseco Lutto nella sinistra peruviana: il 4 maggio è morto, stroncato da un tumore, il congressista Javier Diez Canseco Cisneros. Fin dagli anni dell'Università, pur provenendo da una famiglia dell'alta borghesia, Diez Canseco si schierò a favore degli strati più emarginati. Espulso dal paese dal regime militare di Morales Bermúdez, al suo rientro in patria venne eletto nell'Assemblea Costituente e si batté per l'estensione del voto agli analfabeti, che ancora costituivano una parte importante della popolazione. In seguito nel Congresso si occupò di difesa dei diritti umani e dei diritti di minoranze sessuali e handicappati (lui stesso zoppicava per i postumi di una poliomielite). Dopo aver militato in Vanguardia Revolucionaria e nel Partido Unificado Mariateguista, che fece parte di Izquierda Unida, nel 2006 fu tra i fondatori del Partido Socialista del Perú candidandosi, senza successo, alla massima carica dello Stato. Aderì infine alla coalizione Gana Perú (che portò alla presidenza il leader del Partido Nacionalista Ollanta Humala). Ben presto però prese le distanze da Humala, denunciandone la svolta a destra. Nel corso della sua attività parlamentare combatté senza sosta contro la corruzione e per questo, durante il regime di Fujimori, fu bersaglio di una serie di attentati. La "vendetta" dell'ex dittatore lo raggiunse alla fine del 2012 quando il Congresso, dietro denuncia del gruppo fujimorista e con l'appoggio decisivo dei parlamentari di Gana Perú, lo sospese per novanta giorni per un presunto conflitto d'interessi. In un articolo apparso sul periodico argentino Marcha, Manuel Martínez racconta un episodio che dimostra tutto il coraggio di Diez Canseco: "Nel 1989, quando un'insurrezione contadina a Pucallpa sfidò la politica di Alan García, ci fu una feroce repressione, con un bilancio di otto morti, una ventina di desaparecidos e numerosi feriti. L'ancor giovane Alan incolpò dell'accaduto lo storico dirigente contadino Hugo Blanco, che fu sequestrato, torturato e portato a Lima. Qui si resero conto che gli atti giudiziari erano un pastrocchio insostenibile e decisero di restituire il prigioniero a Pucallpa. Blanco fece resistenza battendosi contro gli agenti e apparve il deputato Diez Canseco: si sedette sopra di lui per evitare che se lo portassero via. Gli sbirri vinsero la resistenza di entrambi e trascinarono Blanco a un automezzo per issarlo a forza su un aereo. Ma l'aereo non partiva. Che cosa era successo? Superando il suo handicap fisico, Javier era abbracciato a una delle ruote dell'aeronave". 15/5/2013 |
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Brasile, frena la crescita economica Le previsioni di crescita economica per il 2013 sono state riviste al ribasso dopo la diffusione, da parte dell'Instituto Brasileiro de Geografia e Estatistica, dei dati sulla produzione industriale di marzo. Produzione che è in leggero rialzo rispetto al mese precedente, ma rimane al disotto delle aspettative del mercato. A influire sugli insoddisfacenti risultati è stato in particolare il settore alimentare, a causa dell'aumento dell'inflazione e delle ripercussioni della crisi globale, che ha colpito duramente le esportazioni. Come conseguenza, scrive il 4 maggio il quotidiano Folha de S. Paulo, il Banco Bradesco ha ridotto dal 3,5 al 2,8% le aspettative di espansione del pil per l'anno in corso e dal 4 al 3,5% per il 2014. Ancora più pessimistiche le previsioni per il 2013 dell'agenzia Tendências, che passano dal 2,2 al 2%. Una prospettiva non certo entusiasmante per il Brasile e per i suoi partner commerciali, in particolare l'Argentina che negli ultimi anni ha costruito con il paese vicino una solida alleanza politica ed economica. UCCISO DIRIGENTE DEI SEM TERRA. Fábio dos Santos Silva, dirigente del Movimento dos Trabalhadores Sem Terra nello Stato di Bahia, è stato assassinato il 2 aprile a Iguaí: due sicari in moto hanno fermato la macchina in cui si trovava insieme alla moglie e alla figlia e lo hanno crivellato di colpi. Fábio dos Santos era stato più volte minacciato di morte per la sua lotta a favore della riforma agraria in una regione dominata dai grandi latifondi: nel 2009-2010 aveva partecipato all'occupazione della Fazenda Três Lajedos e per questo era finito in carcere. 5/5/2013 |
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Paraguay, torna al potere il Partido Colorado Horacio Cartes Jara è stato eletto il 21 aprile nuovo presidente del Paraguay. Il Partido Colorado del dittatore Stroessner torna così al potere dopo la parentesi progressista di Fernando Lugo, interrotta bruscamente dal colpo di Stato istituzionale del giugno 2012. Il Plra (Partido Liberal Radical Auténtico), che con il vicepresidente Federico Franco ha gestito il governo dopo la destituzione di Lugo, non è stato favorito da questo periodo di interregno: il suo candidato, Efraín Alegre, è giunto al secondo posto distaccato di nove punti percentuali. Neppure l'accordo elettorale sottoscritto nelle ultime settimane tra Plra e Unace, il raggruppamento del defunto generale Lino Oviedo, è servito a intaccare il successo dei colorados. Ancora peggio è andata ai candidati delle tre formazioni di sinistra, che si erano presentate all'elettorato in ordine sparso: il medico Aníbal Carrillo di Frente Guazú, l'ex presentatore televisivo Mario Ferreiro di Avanza País e la femminista Lilian Soto di Kuña Pyrenda hanno raccolto complessivamente meno del 10% dei voti. Pur avendo contribuito a migliorare la situazione dei settori più poveri grazie ai suoi programmi sociali, l'amministrazione Lugo non era riuscita a riunire attorno a sé una forza popolare in grado di mobilitarsi in sua difesa. Quanto al favore delle classi medie, era già venuto meno in seguito allo scandalo suscitato dalle paternità che l'ex vescovo aveva dovuto riconoscere (tema ampiamente sfruttato dai media, tutti in mano alla destra). Horacio Cartes non è un politico di vecchia data: entrato nei colorados solo nel 2009, ha fondato l'anno seguente il movimento interno Honor Colorado (HC, che è anche la sigla del suo nome), guadagnandosi in breve tempo la fiducia dei dirigenti storici del partito. In precedenza si era arricchito con il commercio e con una serie di affari poco puliti: la giustizia brasiliana e quella statunitense hanno aperto indagini su di lui per riciclaggio e contrabbando di sigarette e in patria è sospettato di narcotraffico, ma è sempre riuscito a evitare il rinvio a giudizio. Grazie a una costosa campagna pubblicitaria si è costruito l'immagine dell'imprenditore di successo lontano dai tradizionali giochi di potere, facendo presa soprattutto sui giovani, attratti dalla promessa di nuovi posti di lavoro. CONTINUANO LE UCCISIONI DI LEADER CONTADINI. L'ultima vittima è Benjamín Lezcano, segretario generale della Coordinadora Campesina Dr. Gaspar Rodríguez de Francia, assassinato il 19 febbraio ad Arroyito (dipartimento di Concepción) da due sicari che gli hanno sparato sulla porta di casa. Lezcano era impegnato attivamente nella battaglia contro le coltivazioni transgeniche e contro l'insediamento di un impianto della Rio Tinto Alcan, transnazionale canadese per la produzione dell'alluminio. Il primo settembre a Puentesiño, sempre nel dipartimento di Concepción, era stato ucciso il dirigente dell'Organización Nacional Campesina Sixto Pérez: anch'egli aveva partecipato alla campagna contro la Rio Tinto Alcan. Come già avvenuto per Pérez, così per Lezcano gli inquirenti (prontamente ripresi dai media) hanno parlato di un possibile legame con l'Ejercito del Pueblo Paraguayo: un chiaro tentativo di criminalizzare la lotta sociale. 22/4/2013 |
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Venezuela, destra all'attacco dopo l'elezione di Maduro Nicolás Maduro ha vinto di stretta misura le elezioni presidenziali del 14 aprile, ottenendo il 50,7% contro il 48,9% del candidato dell'opposizione Henrique Capriles. La decisione di quest'ultimo di non riconoscere la sconfitta, chiedendo il riconteggio dei voti e appellandosi alla piazza, ha scatenato la violenza dell'estrema destra: gli assalti alle sedi del Partido Socialista Unido de Venezuela e le aggressioni ai militanti chavisti nei centri di salute e nei mercati di prodotti a prezzi sussidiati hanno provocato otto morti e decine di feriti. "È in corso il disconoscimento delle istituzioni democratiche. Questo si chiama golpismo", ha denunciato il neoeletto presidente: "Il progetto della destra è uccidere la rivoluzione e farla finita con i progressi rivoluzionari". Maduro ha poi accusato Washington di finanziare i gruppi responsabili degli attacchi. A questa cospirazione, ha aggiunto, va ascritto anche il sabotaggio alla rete elettrica, che ha l'obiettivo di "lasciare senza luce il Venezuela". Nonostante la presenza dei tanti osservatori internazionali che hanno garantito sulla correttezza del voto, gli Stati Uniti continuano ad appoggiare i reclami di Capriles. Ben diversa la posizione dei paesi della regione che, a cominciare dall'Argentina e dal Brasile, si sono affrettati a congratularsi con il nuovo presidente. Dopo un iniziale allineamento agli Usa, anche il segretario generale dell'Organización de los Estados Americanos, José Miguel Insulza, ha riconosciuto la vittoria di Maduro. E l'Unasur ha ribadito in maniera chiara il suo sostegno al successore di Chávez nel corso di una riunione straordinaria a Lima il 19 aprile, qualche ora prima della cerimonia di insediamento. Intanto all'interno del movimento bolivariano è iniziato il dibattito sui risultati insoddisfacenti del 14 aprile: solo sei mesi prima Chávez si era imposto su Capriles con il 55% dei voti contro il 44%. Questi dati "ci obbligano a una profonda autocritica - ha affermato il presidente dell'Asamblea Nacional Diosdado Cabello - È contraddittorio che settori poveri del popolo votino per i loro sfruttatori di sempre". Tra i fattori che hanno pesato sulla scelta degli elettori, ancor più dell'alto tasso di criminalità su cui tanto insiste la destra, vi è la difficile situazione economica: in febbraio il governo ad interim di Maduro si era visto costretto a una svalutazione del 32% della moneta nazionale (il bolívar) nei confronti del dollaro, con pesanti ripercussioni sul potere d'acquisto dei salari. Il malcontento generato dall'aumento dei prezzi e dalla scarsità di alcuni prodotti è stato ampiamente sfruttato da Capriles, che si è presentato come il candidato in grado di risolvere queste storture, promettendo al tempo stesso di mantenere le conquiste sociali del chavismo. Un discorso opportunista che ha avuto presa su parte dell'elettorato. 19/4/2013 |
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Uruguay, approvato il matrimonio igualitario Con 71 voti a favore e 21 contrari, la Camera ha approvato il 10 aprile la Ley de Matrimonio Igualitario, che autorizza il matrimonio tra persone dello stesso sesso. L'Uruguay segue così l'esempio dell'Argentina, diventando il secondo paese latinoamericano a legalizzare le nozze omosessuali. Il primo articolo della nuova legge riconosce "l'unione di due contraenti, qualunque sia la loro identità di genere o il loro orientamento sessuale, nei medesimi termini, con le stesse conseguenze e forme di scioglimento stabilite fino a qui dal Codice Civile". Una settimana prima era arrivato il sì del Senato, con 23 voti a favore su 31. In entrambe le Camere la legge è passata con l'appoggio non solo del Frente Amplio, ma anche di parte dei parlamentari dell'opposizione. Già in dicembre il testo aveva avuto il via libera dei deputati, ma le modifiche apportate dai senatori avevano imposto un nuovo passaggio alla Camera. L'opinione pubblica uruguayana, affermano recenti sondaggi, vede in maniera positiva il provvedimento. Dura invece la reazione delle gerarchie cattoliche, secondo le quali il matrimonio omosessuale si pone "contro il progetto di Dio". Tra gli aspetti significativi della nuova legge va sottolineata la norma sui cognomi che verranno trasmessi ai figli: il loro ordine sarà deciso dai due coniugi o - in mancanza di accordo - mediante sorteggio e tale regola sarà estesa anche alle coppie eterosessuali. 10/4/2013 |
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Colombia, migliaia in piazza per la pace Almeno 30.000 persone hanno manifestato il 9 aprile a Bogotá, per esprimere il loro appoggio al dialogo di pace in corso tra il governo e le Farc. In piazza si sono ritrovati ex guerriglieri e soldati, movimenti di sinistra e membri del Partido de la U. Era presente lo stesso capo dello Stato, Juan Manuel Santos. Unici assenti: gli esponenti dell'estrema destra fautori della soluzione militare (tra questi i membri del Puro Centro Democrático dell'ex presidente Alvaro Uribe) e - sul fronte opposto - alcuni militanti del Polo Democrático Alternativo, che hanno accusato Santos di voler sfruttare l'iniziativa per promuovere la sua rielezione l'anno prossimo. La mobilitazione ha testimoniato il desiderio dell'intera società di vedere la fine del conflitto. "La pace è in marcia nelle strade del paese", ha detto l'ex senatrice Piedad Córdoba, di Marcha Patriótica. Al coro si è unito l'Eln, Ejército de Liberación Nacional, che in un comunicato ha invitato i colombiani a "unirsi in una voce unica per la speranza e per la pace". Intanto la delegazione delle Farc impegnata nelle trattative è stata rafforzata con l'arrivo all'Avana di altri sei membri, tra cui il comandante del Bloque Occidental Pablo Catatumbo: una conferma dell'importanza che il gruppo guerrigliero attribuisce al dialogo. Per permettere l'uscita dalla Colombia di questi nuovi negoziatori la Procura aveva sospeso 51 ordini di cattura emessi nei loro confronti. SI ALLUNGA LA LISTA DEI SINDACALISTI UCCISI. Juan Carlos Pérez Muñoz, dirigente sindacale dei tagliatori di canna da zucchero, è stato assassinato a colpi d'arma da fuoco il 28 gennaio a Corinto, nel dipartimento del Cauca. Nelle settimane precedenti la sua morte, Pérez Muñoz aveva guidato una vertenza per migliori condizioni di lavoro. Per tutta risposta i proprietari delle piantagioni La Cabaña e María Luisa avevano licenziato più di cento dipendenti, tutti iscritti al sindacato. L'11 dicembre a Puerto Gaitán, dipartimento del Meta, era stato ucciso da sicari Milton Enrique Rivas Parra, dell'Unión Sindical Obrera. Elettricista presso l'impresa Termotécnica, Milton Rivas aveva già ricevuto minacce di morte per la sua attività in difesa dei diritti dei lavoratori. 9/4/2013 |
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Argentina, decine di morti per le inondazioni Otto morti a Buenos Aires, più di cinquanta a La Plata e dintorni per le inondazioni seguite alle piogge torrenziali che all'inizio di aprile hanno colpito la regione. Un disastro annunciato: già lo scorso anno si erano registrati straripamenti e allagamenti, sia pure meno gravi. Come ha denunciato a Página/12 il professor Eduardo Reese, dell'Universidad Nacional de General Sarmiento, la responsabilità ricade nella mancanza di politiche pubbliche in difesa del territorio: tutta l'area metropolitana "ha conosciuto una crescita incontrollata: sono stati occupati bacini di fiumi, di torrenti, non si sono lasciati spazi verdi per il drenaggio delle acque". Tra le vittime di La Plata figura l'abuela de Plaza de Mayo Lucila Ahumada. Il figlio di Lucila, Daniel Inama, era stato sequestrato nel novembre 1977 insieme alla moglie Noemí Macedo, incinta. Sulla sorte del bambino, nato in prigionia, non si è mai saputo nulla, nonostante tutti gli sforzi della nonna per ritrovarlo. IN PLAZA DE MAYO PER IL 24 MARZO. Decine di migliaia di persone hanno riempito Plaza de Mayo il 24 marzo, anniversario del sanguinoso colpo di Stato del 1976. "A 37 anni dal golpe civico-militare, per una giustizia democratica. Basta con le corporazioni", questa la parola d'ordine con cui le organizzazioni per i diritti umani avevano promosso la manifestazione: "Non ci rappresentano i giudici della dittatura che hanno commesso delitti di lesa umanità e sono ancora in attività, non ci rappresentano i membri della corporazione giudiziaria che impediscono la piena entrata in vigore della ley de medios. E non ci rappresenta questo potere giudiziario che criminalizza la povertà e la protesta". Come di consueto le commemorazioni del 24 marzo in Plaza de Mayo hanno visto anche un altro concentramento: quello dei movimenti e partiti di sinistra critici verso il kirchnerismo. L'avvicendamento tra i due gruppi ha registrato qualche momento di tensione e la solita guerra di slogan. I partecipanti all'Encuentro Memoria, Verdad y Justicia hanno attaccato la magistratura e il governo per i ritardi nei processi contro i responsabili di violazione dei diritti umani: "320 repressori sono morti impuniti prima di comparire davanti alla giustizia - hanno accusato - Denunciamo i giudici e il potere esecutivo, che ha la possibilità di adottare provvedimenti per accelerare i dibattimenti e non lo fa". Qualcosa però si muove sul fronte giudiziario: il 12 marzo sono stati condannati all'ergastolo i maggiori responsabili dei crimini commessi nel centro clandestino di detenzione di Campo de Mayo: Santiago Omar Riveros, Reynaldo Bignone, Luis Sadi Pepa, Eduardo Corrado e Carlos Macedra. Ad altri quattro imputati sono state comminate pene tra i 16 e i 25 anni. 15 e 12 anni di prigione, infine, per la coppia che si era appropriata di Catalina de Sanctis Ovando, nata a Campo de Mayo e i cui veri genitori sono tuttora desaparecidos. Non si erano conclusi invece i procedimenti a carico di José Alfredo Martínez de Hoz, morto il 16 marzo mentre era agli arresti domiciliari. Ministro dell'Economia della dittatura, con le sue riforme Martínez de Hoz distrusse l'industria nazionale per favorire i gruppi finanziari e le transnazionali, portò la disoccupazione a livelli altissimi e lasciò in eredità al paese un debito estero enorme, che per anni ne condizionò pesantemente lo sviluppo. 5/4/2013 |
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Perù, confermata la prima cittadina di Lima Susana Villarán rimarrà prima cittadina di Lima. Il referendum che chiedeva la sua destituzione si è concluso, il 17 marzo, con la vittoria del no. Un risultato non scontato: fino a una settimana prima i sondaggi attribuivano al sì un vantaggio di dieci punti. Per la revoca del mandato di Villarán si erano battuti in prima fila personaggi squalificati come l'ex presidente Alan García e il precedente sindaco della capitale Luis Castañeda (la cui gestione è stata denunciata per corruzione), appoggiati dal partito fujimorista, da gruppi fondamentalisti evangelici e da quei lavoratori del trasporto pubblico contrari alla riforma del settore per il timore di perdere i benefici acquisiti. Sul fronte opposto erano schierati sindacati e movimenti progressisti, ma anche imprenditori ed esponenti non certo di sinistra, come l'ex presidente Alejandro Toledo e Lourdes Flores, leader del Partido Popular Cristiano, che nel 2010 era stata la principale avversaria di Villarán alle elezioni municipali. Si era invece mantenuto neutrale l'attuale capo dello Stato, Ollanta Humala, che comunque - a detta dei commentatori - esce rafforzato da questo referendum: un trionfo del sì avrebbe significato un punto a favore della destra più conservatrice e autoritaria. Nata in una famiglia di classe medio-alta, Susana Villarán si definisce di sinistra moderata e ha come riferimenti politici Michelle Bachelet e Lula. Tra il 1995 e il 1997, durante il regime Fujimori, fu segretaria esecutiva della Coordinadora Nacional de Derechos Humanos e sotto il governo di transizione di Valentín Paniagua divenne ministra della Donna e dello Sviluppo Sociale. Nel 2006 si candidò, senza fortuna, alla presidenza della Repubblica. Pur professandosi cattolica, si è espressa a favore dell'aborto e dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. A Lima, una città che oggi conta oltre 8 milioni di abitanti, ha avviato una serie di programmi sociali e ha dato forte impulso agli investimenti privati nelle infrastrutture. 18/3/2013 |
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Papa Bergoglio, una figura controversa Sono piaciuti i suoi primi atti: dalla scelta del nome Francesco alla decisione di non indossare i lussuosi paramenti papali. Il suo stile semplice e austero ha conquistato anche i non credenti. Un'elezione storica la sua: per la prima volta ascende al soglio pontificio un latinoamericano e un gesuita. Ma in Argentina la figura di Jorge Bergoglio, l'arcivescovo di Buenos Aires designato dal conclave a sostituire Benedetto XVI, è controversa e molte sono le ombre sul suo passato. Durante la dittatura Bergoglio, ancor giovane, era già provinciale della Compagnia di Gesù. Alcuni testimoni lo accusano di aver consegnato ai repressori due sacerdoti, Orlando Yorio e Francisco Jalics, che svolgevano lavoro sociale nelle villas miserias della capitale. Bergoglio avrebbe detto a Yorio e Jalics di abbandonare tale impegno e, al loro rifiuto, li avrebbe obbligati a lasciare la congregazione. Privati così della protezione ecclesiastica, nel maggio del 1976 i due furono sequestrati dai militari e "interrogati" per cinque mesi come sospetti sovversivi. Yorio morì nel 2000 in Uruguay senza essersi mai ripreso dalle torture subite. Questo e altri fatti emergono dal libro El silencio. De Paulo VI a Bergoglio: las relaciones secretas de la Iglesia con la Esma (traduzione italiana: L’isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina. Fandango Libri), del giornalista Horacio Verbitsky. I rapporti del clero argentino con i militari sono analizzati criticamente anche in Iglesia y dictadura, opera scritta da un uomo profondamente cattolico, il difensore dei diritti umani Emilio Mignone, morto nel 1998. Sul nuovo pontefice la condanna dell'associazione Hijos, che raggruppa i figli dei desaparecidos, è senza appello: "Ci fu una Chiesa che optò per il silenzio e per la vicinanza a Videla: lì era Bergoglio. La Chiesa del popolo fu massacrata e fatta sparire". Più sfumata la posizione di Estela de Carlotto, presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo. È disposta a concedergli "un voto di fiducia", ma senza dimenticare la "nube nera" che pesa su di lui: Bergoglio appartiene a una Chiesa la cui gerarchia "non ha compiuto un passo per collaborare con la verità, la memoria e la giustizia". Nessuna assoluzione piena neppure dal Premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel. Bergoglio non fu complice della dittatura, afferma Pérez Esquivel, "credo però che gli sia mancato il coraggio di affiancare la nostra lotta per i diritti umani nei momenti più difficili". E forse anche in seguito: molti denunciano il silenzio di Bergoglio al ritorno della democrazia, la mancanza di una condanna netta del regime militare, la sua reticenza nel testimoniare contro i repressori. Che non esitano a considerarlo uno di loro: il giorno successivo alla sua nomina, nel processo in corso per le torture e gli omicidi nel campo di concentramento di La Perla, molti imputati portavano sul petto un nastro con i colori del Vaticano. Nel 2007 al sacerdote Christian Von Wernich veniva comminata la pena dell'ergastolo per genocidio. Nel comunicato sulla sentenza la Conferenza Episcopale, presieduta proprio dal futuro papa, definisce un grave peccato "contro Dio, l'umanità e la propria coscienza", qualsiasi avallo alla violenza repressiva, ma termina invitando il popolo argentino a prendere le distanze "tanto dall'impunità come dall'odio o dal rancore", per incamminarsi verso "la riconciliazione". Un appello che mette sullo stesso piano le vittime e i carnefici, i familiari degli scomparsi e i torturatori e assassini. E nonostante lo scandalo espresso da ambienti cattolici, Von Wernich continua a celebrare la messa in carcere senza che dai suoi superiori venga preso alcun provvedimento. Un altro elemento va sottolineato in quel comunicato del 2007: si sostiene che qualsiasi membro del clero connivente con il regime militare "avrebbe agito sotto sua responsabilità personale". Questo tentativo di salvare l'istituzione verrà vanificato, nel maggio 2012, dalla pubblicazione sul quotidiano Página/12 di un documento che inchioda l'intera gerarchia ecclesiastica. È il resoconto di un incontro avvenuto nel 1978 tra l'allora presidente della Conferenza Episcopale, cardinale Primatesta, i suoi due vice Aramburu e Zazpe e il generale Videla per discutere l'atteggiamento da assumere di fronte ai parenti dei desaparecidos che sollecitavano notizie. Al dittatore, preoccupato per le conseguenze che le rivelazioni sulla sorte dei sequestrati avrebbero potuto provocare, Primatesta aveva risposto assicurando la comprensione e la cooperazione della Chiesa, "cosciente dello stato di caos in cui si trovava il paese". Jorge Bergoglio non è il cardinale Primatesta: non ha collaborato apertamente con la dittatura e forse negli ultimi tempi - come sostiene - si è adoperato per salvare qualche vita. Fa però parte di quella folta schiera di persone che, simpatizzando con i settori più conservatori (è nota la sua avversione per la Teologia della Liberazione), ha giustificato e minimizzato gli "eccessi" del regime. Le sue convinzioni politiche non sono mutate da allora: si è scontrato con il governo di Néstor Kirchner prima e di Cristina Fernández poi, mentre ha instaurato buoni rapporti con l'opposizione di destra. E negli ultimi tempi ha intrapreso una crociata contro la legge argentina sui matrimoni gay e contro ogni depenalizzazione dell'aborto, anche in caso di stupro. La sua opzione per i poveri è sincera, ma rimane nell'ambito della carità. "Se do da mangiare ai poveri, mi chiamano santo. Se domando perché i poveri non hanno da mangiare, mi chiamano comunista", ebbe a dire dom Hélder Câmara. Papa Francesco probabilmente non si chiederà mai perché i poveri non hanno da mangiare. 16/3/2013 |
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Venezuela in lutto, è morto Hugo Chávez
Il presidente Hugo
Chávez è morto alle 16.25 (ora locale) del 5 marzo
all'Hospital Militar Carlos Arvelo di Caracas, dove era stato ricoverato
il 18 febbraio al
suo rientro da Cuba. L'annuncio è stato dato dal vicepresidente Maduro con
un messaggio televisivo a reti unificate, nel corso del quale ha
invitato la popolazione a vigilare per la pace. "Porteremo avanti il suo
progetto", ha promesso Maduro. Poco dopo il ministro della Difesa,
Diego Molero, accompagnato dagli alti comandi militari ha ribadito la
fedeltà delle forze armate ai vertici dello Stato e la loro volontà
di adempiere alla Costituzione.
In precedenza il vicepresidente aveva denunciato che la malattia di cui
soffriva Chávez gli era stata inoculata dai "nemici storici", come era
avvenuto con il leader palestinese Arafat. Qualche ora prima dell'annuncio
della morte del capo dello Stato, Maduro aveva anche informato
dell'espulsione di un addetto militare dell'ambasciata statunitense, David Del Monaco, accusato di aver contattato membri delle forze armate
venezuelane a fini di destabilizzazione. Poco dopo il ministro degli Esteri,
Elías Jaua, annunciava l'espulsione di un secondo funzionario Usa, Devlin
Costal.
Che cosa succederà adesso? Nicolás Maduro ha giurato
l'8 marzo come presidente incaricato: reggerà il paese fino al
14 aprile, data in cui sono state fissate le elezioni che lo vedranno
candidato del Psuv (Partido Socialista Unido de Venezuela) contro Henrique Capriles,
l'avversario di Chávez uscito sconfitto il 7 ottobre. Secondo
l'opposizione, che ha subito gridato alla "violazione dell'ordine
costituzionale", a guidare la transizione avrebbe dovuto essere il presidente dell'Assemblea Nazionale Cabello,
e non Maduro. Il tentativo di giocare la carta di una
presunta rivalità tra i due è però fallito: tra le file chaviste non
appaiono per ora segnali di rottura. E la straordinaria
testimonianza di centinaia di migliaia di persone, molte con le lacrime agli
occhi, in coda per 12-14 ore in attesa di dare l'ultimo saluto al leader
scomparso dimostra quanto abbia inciso nel profondo, in questi anni, la
Rivoluzione Bolivariana.
In meno di tre lustri Chávez ha saputo trasformare il Venezuela. Ha
approfittato del boom del prezzo del petrolio per avviare
un eccezionale programma di redistribuzione sociale, garantendo servizi
sanitari, istruzione, alloggio a quanti ne erano stati finora esclusi: per la prima volta
questa risorsa nazionale veniva utilizzata per aiutare la grande
maggioranza della popolazione e non per arricchire una ristretta oligarchia.
Ha nazionalizzato imprese, provocando le ire delle compagnie straniere
colpite. Ha dato forte impulso
all'integrazione regionale, guidato dall'ideale della Patria Grande
di Simón Bolívar. Ha promosso una serie di alleanze (Alba, Unasur, Celac)
con cui l'America Latina ha cominciato a
emanciparsi dalla secolare dipendenza dagli Stati Uniti: questa politica gli è
valsa una vera e propria demonizzazione da parte della stampa occidentale, che non gli ha mai perdonato l'attacco ai tradizionali
equilibri di potere. Il suo governo era stato ratificato da ripetute
consultazioni, riconosciute dagli osservatori internazionali (tra cui
l'ex presidente Usa Carter) come estremamente corrette, eppure sui
media statunitensi ed europei veniva dipinto come un caudillo e Washington e
Madrid non hanno esitato ad appoggiare il golpe che nel 2002 tentò
di allontanarlo dal potere.
Forse la sfida più grande affrontata dalla Rivoluzione Boliviariana è stata
il tentativo di porre le basi della democrazia partecipativa. Scrive il
sociologo Boaventura de Sousa Santos: "Chávez sapeva che la macchina statale
costruita dalle oligarchie che sempre hanno dominato il paese avrebbe fatto
tutto il possibile per bloccare il nuovo processo rivoluzionario, che a
differenza dei precedenti nasceva con la democrazia e se ne alimentava. Per
questo cercò di creare strutture parallele. Prima furono le missioni e le
grandi missioni, un ampio programma di politiche pubbliche in diversi
settori, ciascuna con un nome suggestivo (per esempio la Misión Barrio
Adentro per offrire servizi sanitari alle classi popolari), con la
partecipazione sociale e l'aiuto di Cuba. Poi ci fu l'istituzionalizzazione
del potere popolare, un ordinamento territoriale parallelo all'esistente
(Stati e municipi) con la comuna come cellula di base, la proprietà
sociale come principio e la costruzione del socialismo come obiettivo
principale".
DIRIGENTE INDIGENO ASSASSINATO NELLO STATO DI ZULIA. Sabino Romero, leader
della protesta dell'etnia yukpa contro i latifondisti della Sierra de
Perijá (Stato di Zulia), è stato ucciso la sera del 3 marzo. Due
sicari, a bordo di una moto, hanno aperto il fuoco contro la macchina in cui
Romero viaggiava insieme alla moglie, Lucía Martínez, che è rimasta
gravemente ferita. Da tempo il dirigente indigeno riceveva minacce di
morte e nel 2010 era sfuggito a un attentato. Lo scorso anno anche
suo padre, José Romero, era stato assassinato. Lo Stato di Zulia,
considerato un bastione dell'opposizione, è passato sotto il governo del
Psuv nelle elezioni del 16 dicembre.
10/3/2013 |
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Cuba, cambiamenti economici e politici Proseguendo nel suo programma di "modernizzazione", il governo cubano ha autorizzato il mercato all'ingrosso di beni e servizi. Il provvedimento, pubblicato il 7 marzo sulla Gaceta Oficial, crea l'Empresa Comercializadora Mayorista de Productos Alimenticios y Otros Bienes de Consumo, che venderà a "persone giuridiche e altre forme di gestione non statali". Le transazioni verranno effettuate in moneta nazionale o in pesos convertibili (cuc). Era questa una richiesta formulata già da tempo dai lavoratori autonomi, che finora erano costretti ad acquistare materie prime e strumenti dalle rivendite statali (da più parti accusate di favorire l'aumento dei prezzi) o dalle persone che avevano il permesso di commercializzare prodotti esteri. In campo politico, con l'elezione il 24 febbraio dei 31 membri del Consejo de Estado, la nuova Asamblea Nacional del Poder Popular ha avviato un primo cambio della guardia ai vertici del potere. Il presidente Raúl Castro, 81 anni, è stato riconfermato per un altro quinquennio, ma lui stesso ha annunciato che sarà il suo ultimo mandato. E primo vicepresidente è stato designato Miguel Díaz-Canel Bermúdez, 52 anni, appartenente dunque a una generazione che non ha vissuto la Rivoluzione in prima persona, ma si è formata nell'ambito del sistema socialista. Come ha spiegato lo stesso Castro, si tratta di un passo fondamentale verso la configurazione della futura direzione del paese. Un altro segnale di cambiamento, ha detto Raúl, è la composizione del nuovo Consejo, costituito per il 41,9% da donne (di cui due vicepresidenti) e per il 38,6% da neri e meticci. 7/3/2013 |
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Messico, la conversione neoliberista del Pri Il Partido Revolucionario Institucional, tornato al potere dopo l'intermezzo panista del periodo 2000-2012, cambia volto. Grazie a una modifica degli statuti adottata all'unanimità dall'assemblea dei delegati, i parlamentari del partito potranno votare a favore di una maggiore partecipazione privata nel settore petrolifero e dell'applicazione dell'Iva a medicinali e alimenti (provvedimento, quest'ultimo, che il Pri aveva bocciato quando era stato proposto dal Pan). Siamo di fronte a una trasformazione in senso neoliberista che pone l'attuale governo in sostanziale continuità con le due amministrazioni precedenti. Insieme all'alleato Partido Verde, il Pri può contare sulla maggioranza relativa in entrambe le Camere e ha già preannunciato la presentazione entro l'anno di riforme in materia energetica e fiscale. Intanto è stata varata un'altra importante riforma costituzionale, quella dell'educazione, approvata dal Congresso con il sostegno del Pacto por México (in cui al Pri si affiancano Pan e Prd). Le nuove norme sono state contestate dai docenti, che vi hanno visto un attacco all'occupazione e un'ulteriore spinta verso la privatizzazione. Ma la protesta del corporativo Sindicato Nacional de Trabajadores de la Educación (Snte) è stata indebolita dal discredito della sua dirigenza, protagonista di molteplici scandali. E il presidente Peña Nieto ne ha approfittato per liberarsi di ogni opposizione: il 26 febbraio, il giorno successivo alla promulgazione della legge, la leader del Snte Elba Esther Gordillo è stata arrestata alla discesa dal suo jet privato. Nota come La Maestra, Elba Gordillo era da quasi un quarto di secolo alla testa del sindacato più forte dell'America Latina. In tutti questi anni aveva costruito una vasta rete di potere grazie alla corruzione, al sequestro, all'omicidio (è indicata come la mandante dell'assassinio nel 1981 di Misael Núñez Acosta, membro di un movimento sindacale dissidente). Con simili antecedenti, l'arresto della Maestra sotto l'accusa di malversazione può apparire dettato dal desiderio di fare pulizia. Ma la stampa non allineata lo vede piuttosto come un atto di forza voluto da Peña Nieto per mettere a tacere chi, dopo averlo sostenuto nella sua scalata alla massima carica dello Stato, minacciava di rivoltarglisi contro. La detenzione di Elba Gordillo, scrive La Jornada nel suo editoriale, "risulta poco credibile come messaggio di volontà politica per assicurare la giustizia e combattere l'impunità: se fosse questo il caso, il governo federale avrebbe dovuto procedere, per elementare coerenza, contro tutti gli altri implicati nella rete di trasferimento di risorse creata da Gordillo nel sindacato docenti, ma anche contro le reti di complicità politico-imprenditoriali (i cosiddetti delinquenti dai colletti bianchi) che operano nel paese e le cui ruberie si suppone siano molto maggiori di quella attribuita alla leader dei docenti". GIORNALISTA UCCISO NELLO STATO DI CHIHUAHUA. Il direttore del sito web ojinaganoticias, Jaime Guadalupe González Domínguez, è stato assassinato il 3 marzo a Ojinaga, località nei pressi della frontiera con il Texas. Tre uomini armati lo hanno crivellato di colpi mentre si trovava in macchina, in compagnia di una donna che è rimasta illesa, e gli hanno poi rubato la macchina fotografica. Il giorno successivo i redattori di ojinaganoticias hanno annunciato la morte di González, aggiungendo che probabilmente quella sarebbe stata la loro ultima notizia: qualche ora dopo, infatti, il sito è stato chiuso. 4/3/2013 |
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Cile, sindacalista ucciso sul posto di lavoro È stato trovato morto all'interno dell'azienda nel pomeriggio del 21 febbraio, ucciso con un colpo d'arma da fuoco alla testa. Juan Pablo Jiménez Garrido, 34 anni, presiedeva il sindacato dell'impresa Ingeniería Eléctrica Azeta che lavora in subappalto per la Chilectra, la maggiore distributrice di elettricità del Cile. Sindacalista combattivo, lo scorso anno Jiménez Garrido aveva guidato una dura vertenza che in dicembre aveva portato allo sciopero. Aveva inoltre segnalato più volte la mancata osservanza delle norme di sicurezza, che nel giugno 2012 aveva provocato un mortale incidente sul lavoro. Negli ultimi tempi le divergenze tra sindacato e Azeta si erano acutizzate. Il giorno successivo all'assassinio era stata fissata un'udienza presso la Dirección del Trabajo, dove Jiménez avrebbe denunciato una serie di abusi e di licenziamenti arbitrari da parte della compagnia elettrica. I compagni l'hanno visto per l'ultima volta al termine del suo turno di lavoro, mentre controllava la documentazione relativa all'attività sindacale. Poche ore dopo la morte, la polizia investigativa aveva già trovato il responsabile: una pallottola vagante che sarebbe stata esplosa durante un conflitto a fuoco tra bande nei pressi dell'azienda, nella zona meridionale di Santiago. La spiegazione non ha convinto i familiari e gli amici di Juan Pablo (che tra l'altro sembra avesse già ricevuto minacce) e neppure la Procura, che ha deciso di seguire varie piste compresa quella dell'omicidio volontario. L'uccisione di Juan Pablo Jiménez si inserisce in un momento difficile per il sindacato cileno, sottoposto a molteplici attacchi. Il ritorno della democrazia nel 1990 aveva fatto nascere tante speranze, ma non è stato accompagnato dal ripristino dei diritti cancellati dalla dittatura. Ulteriori problemi sono emersi, negli ultimi anni, con la diffusione del subappalto (come nel caso dell'Azeta), che si calcola coinvolga ormai il 35% della forza lavoro. Si registra così un calo del tasso di sindacalizzazione passato, secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, dal 15,5% del 1993 all'11% di oggi. 26/2/2013 |
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Honduras, ancora sangue nelle campagne dell'Aguán Non si arrestano gli attacchi ai contadini delle campagne dell'Aguán, colpevoli di lottare contro lo strapotere dei latifondisti. Alle centinaia di procedimenti penali in corso per occupazione di terre si aggiungono le violenze dei militari impegnati nell'operazione Xatruch III e gli omicidi commessi da gruppi armati al soldo dei grandi proprietari. Il 24 febbraio sono stati rinvenuti i cadaveri di Yoni Adolfo Cruz, del Muca (Movimiento Unificado Campesino del Aguán), e Manuel Ezequiel Guillén, del Mocra (Movimiento Campesino Recuperación del Aguán), sequestrati tre giorni prima: i corpi presentavano segni di torture. Al Mocra apparteneva anche Juan Pérez, padre di nove figli (il maggiore di 11 anni), assassinato da sconosciuti il 2 febbraio. Nello stesso giorno veniva ucciso il giovane Wiliam Alvarado, del Muca. Due settimane dopo, in due distinti agguati, cadevano sotto i colpi dei killer Santos Cartagena, anch'egli membro del Muca, e José Trejo Cabrera, del Marca (Movimiento Auténtico Reivindicador Campesino del Aguán). José era fratello di Antonio Trejo Cabrera, l'avvocato assassinato nel settembre scorso per aver difeso in tribunale le ragioni delle famiglie contadine. E l'11 gennaio due giovani aderenti al Mocra, José Luis Reyes e Antonio Manuel Pérez, erano stati crivellati dai colpi sparati da un'auto in corsa. 25/2/2013 |
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Uruguay, ritorno all'impunità? Centinaia di persone si sono concentrate il 25 febbraio davanti alla sede della Corte Suprema per protestare contro la decisione di dichiarare incostituzionali i due primi articoli della legge 18.831 che, riconoscendo come "crimini di lesa umanità" i delitti della dittatura, invalidava la Ley de Caducidad (l'amnistia ai repressori). Alla manifestazione, promossa dal Frente Amplio, dalla centrale sindacale Pit-Cnt e dai familiari dei desaparecidos, hanno partecipato anche la senatrice Lucía Topolansky, moglie del presidente Mujica, e lo scrittore Eduardo Galeano. La legge 18.831 ristabiliva il pieno esercizio dell'azione penale per i reati commessi "nell'applicazione del terrorismo di Stato fino al primo marzo 1985", che dunque non erano più soggetti a prescrizione. Quattro dei cinque giudici della Corte Suprema, rispondendo a un ricorso presentato da due colonnelli, hanno sentenziato che tali norme non possono avere valore retroattivo. Contrario all'incostituzionalità soltanto Ricardo Pérez Manrique, l'unico ad essere entrato in magistratura dopo la fine del regime militare. A difesa del massimo tribunale si sono schierati tre ex presidenti: Julio Sanguinetti, Luis Lacalle e Jorge Batlle hanno definito "atteggiamenti antidemocratici" gli attacchi alla Corte Suprema e hanno ricordato che la Ley de Caducidad venne ratificata dai referendum del 1989 e del 2009. Un'argomentazione ben misera, visto che il rispetto dei diritti umani - come ribadito anche dalla Corte Interamericana - non può essere sottoposto a consultazione popolare. Qualche giorno prima della discussa sentenza, la Corte Suprema aveva compiuto un altro passo verso il ritorno all'impunità, disponendo il trasferimento al foro civile della magistrata Mariana Mota. La giudice stava seguendo una cinquantina di procedimenti per crimini commessi durante la dittatura e per questo era da tempo nel mirino degli ambienti militari. La rimozione era stata fortemente criticata dalle organizzazioni impegnate nella ricerca della verità e della giustizia. 25/2/2013 |
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Ecuador, doppia vittoria per Rafael Correa Rafael Correa riconfermato presidente al primo turno con circa il 57% dei voti e dominio assoluto di Alianza País in Parlamento: questi i risultati della giornata elettorale del 17 febbraio. Per Correa è stato un vero trionfo: il suo avversario immediato, il banchiere Guillermo Lasso, si è attestato attorno al 23%. Lasso comunque sembra accreditarsi come il leader di una nuova opposizione di destra, che raggruppa il mondo dell'industria e della finanza e che fa capo al neonato movimento Creo (Creando Oportunidades). Deludente il risultato dell'ex presidente Lucio Gutiérrez (Partido Sociedad Patriótica 21 de Enero), che non è arrivato al 7%, mentre il rappresentante dell'oligarchia bananiera Alvaro Noboa (Partido Renovador Institucional Acción Nacional) e l'outsider di destra Mauricio Rodas (Sociedad Unida Más Acción) sono rimasti sotto il 4%. Quanto all'opposizione di sinistra, l'economista Alberto Acosta (ex ministro del governo Correa, ora alleato del movimento Pachakutik), con il suo partito Unidad Plurinacional de las Izquierdas ha ottenuto attorno al 3% e Norman Wray, di Ruptura 25, si è fermato a poco più dell'1%. Entrambe le formazioni avevano basato la loro campagna sulla difesa dell'ambiente e sulla critica alla politica governativa di sfruttamento del sottosuolo, accusata di tradire i diritti della natura sanciti nella Costituzione. La vittoria di Correa era ampiamente prevista: alla vigilia del voto il presidente in carica poteva vantare indici di approvazione tra il 78 e l'80%. La sua gestione ha introdotto trasformazioni concrete, tanto che la Cepal (Comisión Económica para América Latina y El Caribe), nel suo rapporto 2012, indica l'Ecuador come il paese latinoamericano che ha maggiormente ridotto le disuguaglianze: un dato confermato dal fatto che negli ultimi sei anni un milione di persone è uscito dalla condizione di povertà. Disoccupazione in costante calo, riduzione a un terzo del debito estero (attraverso la cancellazione di quello dichiarato illegittimo), riforma tributaria con l'abolizione delle tasse sui redditi più bassi e l'aumento del carico fiscale sui settori privilegiati, rinegoziazione dei contratti con le compagnie petrolifere e minerarie a condizioni molto più vantaggiose per lo Stato. E ancora: sussidi concessi a madri singole e a disoccupati a patto che i figli frequentino la scuola e siano sottoposti a controllo medico due volte all'anno, borse di studio destinate agli studenti emigrati, offerte di incarichi ben remunerati negli ospedali pubblici agli specialisti per convincerli a tornare in patria. "Governare per approfondire il cambiamento" era lo slogan del presidente e della sua Revolución Ciudadana e gli ecuadoriani hanno puntato su questo cambiamento. Dal balcone di Palacio Carondelet, sede del governo, il rieletto capo dello Stato ha salutato la marea di sostenitori affermando: "Questa rivoluzione non la ferma nessuno. Stiamo costruendo la patria chica, l'Ecuador, e la patria grande, la nostra America". 19/2/2013 |
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Cuba, Fidel Castro al seggio Le consultazioni legislative di domenica 3 febbraio hanno registrato la consueta alta affluenza, anche se con una flessione rispetto agli scorsi anni. Gli elettori erano chiamati alle urne per scegliere i 612 deputati dell'Asamblea Nacional e i membri delle Asambleas Provinciales del Poder Popular. La percentuale di votanti è stata del 90,8% (96,8% nel 2008) e le schede bianche o nulle si sono attestate intorno al 6% (erano meno del 5% cinque anni fa). Il freddo e la pioggia che hanno colpito buona parte del paese spiegano forse l'aumento dell'astensionismo, un dato che l'opposizione anticastrista ha invece interpretato come la testimonianza di una crescente disaffezione dei cubani nei confronti del sistema politico. Tra quanti si sono recati alle urne ha fatto la sua comparsa a sorpresa Fidel Castro. Era dal 2006, anno del suo ritiro dalla vita politica attiva, che l'anziano leader non si recava a votare, preferendo inviare la scheda da casa in busta chiusa. Questa volta si è presentato al suo tradizionale seggio nel quartiere del Vedado, all'Avana. Camminava curvo e a piccoli passi, con l'aiuto di un bastone e il sostegno di un assistente, ma non si è sottratto all'incontro con i giornalisti, con i quali ha parlato per quasi un'ora e mezza. In merito alla riforma economica ha sostenuto la necessità di modernizzare il modello socialista, "senza però commettere errori". Con questa apparizione in pubblico Fidel ha smentito le voci, circolate insistentemente nei mesi scorsi, di un aggravamento del suo stato di salute. 8/2/2013 |
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Messico, esplosione a Pemex: incidente o attentato? Nel pomeriggio del 31 gennaio una potente deflagrazione scuoteva l'edificio B2 del complesso che ospita gli uffici amministrativi di Pemex (Petróleos Mexicanos) a Città del Messico. L'esplosione, che sorprendeva gli impiegati del palazzo in piena attività, provocava 37 morti, decine di feriti e ingenti danni materiali. Fin dall'inizio si rincorrevano diverse ipotesi sulle cause, non ultima quella di un attentato. Il 4 febbraio il quotidiano La Jornada riportava le seguenti dichiarazioni di un comandante della polizia della capitale: "La squadra antiesplosivi della Secretaría de Seguridad Pública del Distretto Federale, giunta sul luogo dei fatti prima delle autorità federali, è riuscita a estrarre dalle macerie una valigia, che all'interno conteneva un congegno di colore nero con vari cilindri". La sera di quello stesso giorno il silenzio ufficiale veniva rotto da una conferenza stampa cui partecipavano tra gli altri il procuratore generale Jesús Murillo Karam, responsabile dell'inchiesta sul sinistro, il ministro di Gobernación, Miguel Angel Osorio Chong, e il direttore di Pemex, Emilio Lozoya. Secondo i risultati delle prime indagini, affermava Murillo Karam, l'attentato era da escludere: la tragedia era stata provocata da una concentrazione nel sottosuolo di gas metano, esploso a contatto di una fonte di calore. Quanto alla valigia rinvenuta sul posto, conteneva unicamente una scatola di cosmetici. Spiegazioni che non bastavano certo a dissipare tutti i dubbi. Tre giorni dopo, sempre su La Jornada, venivano pubblicate le obiezioni di alcuni docenti dell'Universidad Autónoma Metropolitana, che respingevano le ipotesi degli inquirenti. Il metano è una sostanza infiammabile ed esplosiva, sosteneva Guillermo Garduño, esperto in sicurezza: se questo gas fosse stato la causa dello scoppio "si sarebbe prodotto un incendio colossale; la nuvola di fumo generata sarebbe stata enorme e le vittime sarebbero state arse dalle fiamme, ma nessun ferito presenta segni di bruciature". In conclusione, le versioni ufficiali sono "un'offesa per l'intelligenza di chiunque". A rendere ancora più inquietante la vicenda c'è da segnalare un articolo apparso il primo febbraio sul giornale statunitense Financial Times: nel suo blog The World, John Paul Rathbone si sofferma sulle conseguenze politiche dell'accaduto. Unito al calo della produzione petrolifera, questa la tesi di Rathbone, il disastro dimostra il declino di Pemex e offre al presidente Peña Nieto la possibilità di accelerare la riforma della compagnia, aprendola agli investimenti privati. 7/2/2013 |
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Paraguay, muore l'ex generale golpista Lino Oviedo L'ex generale Lino Oviedo, candidato presidenziale alle elezioni di aprile, è morto nelle prime ore del 3 febbraio quando l'elicottero in cui viaggiava si è schiantato al suolo a nord di Asunción. In quella stessa data, 24 anni prima, Oviedo era stato tra i protagonisti del golpe che aveva posto fine alla lunghissima dittatura di Alfredo Stroessner. In seguito aveva partecipato al tentato colpo di Stato contro il presidente Juan Carlos Wasmosy (1996) e nel marzo 1999 era stato accusato dell'omicidio del vicepresidente Luis María Argaña e di sette giovani manifestanti. Per questo aveva alternato il potere ai vertici dell'esercito con il carcere e l'esilio. All'interno del Partido Colorado aveva dato vita alla corrente Unace (Unión Nacional de Colorados Eticos), che si era poi trasformata in raggruppamento indipendente come Unión Nacional de Ciudadanos Eticos. Negli ultimi tempi aveva preso parte a una serie di cospirazioni contro il governo Lugo, culminate con la destituzione dell'ex vescovo nel giugno scorso. Sulle circostanze che hanno portato alla morte di Oviedo, del pilota e di un uomo della scorta, sono stati avanzati numerosi dubbi: anche se l'ipotesi più accreditata è quella dell'incidente provocato dal maltempo, non si esclude la pista dell'attentato. L'ex militare scompare dalla scena alla vigilia di consultazioni in cui - come già successo in passato - la sua formazione avrebbe potuto costituire l'ago della bilancia tra i colorados e il Partido Liberal Radical Auténtico di Federico Franco (l'autore del golpe istituzionale contro Lugo). "L'azione politica di Oviedo è stata marcata dal suo coinvolgimento in gravissimi fatti di violenza che hanno scosso il Paraguay nel primo decennio della transizione post-dittatura - scrivono Rocco Carbone e Clyde Soto su Página/12 - L'assassinio del vicepresidente Argaña e il massacro di manifestanti nelle piazze di fronte al Congresso nel marzo 1999 rappresentano un momento fondamentale nella dura battaglia tra il ritorno di un potere maggiormente legato al periodo dittatoriale e la possibilità di costruire un paese in cui i conflitti politici vengano risolti in maniera istituzionale e pacifica. A più di un decennio da quegli avvenimenti, il recente colpo di Stato dimostra ancora una volta quanto sia difficile questa costruzione. E un altro elemento da non tralasciare è il fatto che Oviedo fu un personaggio politico formatosi a partire dall'impunità. Alla fine la giustizia paraguayana lo prosciolse dalle accuse che lo collegavano al marzo '99. Non si indagò mai sull'origine della sua fortuna e dell'apparentemente inesauribile fonte di finanziamento della sua attività politica. L'ombra del suo coinvolgimento in diversi illeciti, così come il suo ruolo nella violazione di diritti umani (il caso dell'occupazione di terre di una comunità Pai Tavytera nel 1986), non sono mai stati chiariti perché la giustizia è stata posta al servizio del potere e del denaro". 5/2/2013 |
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Guatemala, confermato il rinvio a giudizio per Ríos Montt Nonostante tutti gli sforzi dei difensori, che erano riusciti a far ricusare la giudice Patricia Flores (accusata di essere troppo di parte), l'ex dittatore Efraín Ríos Montt e l'ex capo dello spionaggio dell'esercito Mauricio Rodríguez Sánchez saranno processati per genocidio e crimini contro l'umanità. Lo ha deciso il giudice Miguel Angel Gálvez, riconoscendo valore probatorio alle decine di testimonianze, perizie e atti presentati dalla Procura, che provano la sanguinosa repressione militare effettuata contro le comunità ixil del Quiché tra il 1982 e il 1983. Mentre in tribunale si svolgeva l'udienza, all'esterno i militanti delle organizzazioni per i diritti umani ricordavano le 1771 vittime documentate di quei massacri, tra cui molti bambini. Ríos Montt, agli arresti domiciliari dal gennaio 2012, sarà dunque il primo capo di Stato a comparire davanti alla giustizia per rispondere delle stragi commesse nel corso del conflitto armato. Durante il suo regime, e sotto la responsabilità diretta di Rodríguez Sánchez, venne promossa la politica di "terra bruciata" che aveva come bersaglio le comunità indigene, considerate la base sociale dei movimenti guerriglieri. Interi villaggi vennero cancellati dalle carte geografiche e solo qualcuno degli abitanti riuscì a salvarsi, rifugiandosi sulle montagne o attraversando il confine con il Messico. Ancora oggi c'è chi cerca, nelle fosse comuni e negli archivi dell'esercito, le tracce dei familiari scomparsi. 29/1/2013 |
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Celac-Unione Europea: visioni opposte sull'economia < Un confronto tra due opposte visioni dei rapporti economici internazionali: questo il risultato del primo vertice tra Celac (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños) e Unione Europea, svoltosi a Santiago del Cile il 26 e 27 gennaio. Da una parte il blocco delle nazioni latinoamericane progressiste, che puntano a stabilire nuove regole del gioco, dall'altra il tradizionale approccio neoliberista degli Stati europei, che si è riflesso nel documento finale, la Declaración de Santiago, e nei discorsi conclusivi dell'anfitrione, il cileno Sebastián Piñera, e del presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy. In particolare Piñera ha chiarito, con toni più realisti del re, la base di questa "nuova alleanza strategica" tra i due blocchi prefigurata nella Dichiarazione: "più libero commercio e meno protezionismo". I rappresentanti europei si sono mostrati interessati a un rafforzamento delle relazioni con i membri dell'Alianza del Pacífico (Messico, Cile, Colombia e Perù), a una revisione dei trattati di libero commercio firmati a suo tempo con Messico e Cile e a un'accelerazione dei negoziati con il Mercosur. Su questi temi la Cumbre de los Pueblos (riunitasi parallelamente al vertice ufficiale) non ha mancato di rimarcare la sua preoccupazione: "I rapporti esistenti tra l'Unione Europea e l'America Latina e i Caraibi, che antepongono i privilegi e i guadagni degli investitori ai diritti dei popoli attraverso accordi commerciali e accordi bilaterali di investimento, approfondiscono questo modello che pregiudica le popolazioni di entrambe le regioni". Accenti ben diversi nel successivo incontro, ristretto ai paesi Celac, in cui Hugo Chávez ha fatto giungere la sua voce attraverso un messaggio letto dal vicepresidente Maduro. "L'unica risposta alla crisi che hanno trovato i paesi del Primo Mondo è stata il taglio della spesa sociale e degli investimenti pubblici. Dalla Celac noi possiamo sostenere la crescita economica con un forte investimento sociale, concordando un'agenda comune per l'uguaglianza - ha detto il presidente venezuelano - La crisi sta colpendo Stati Uniti ed Europa precipitando nella miseria migliaia di esseri umani. Migliaia di donne, uomini, bambine e bambini hanno perso la casa, il lavoro, la sicurezza sociale, i diritti più elementari". L'America Latina, invece, sta evitando la tempesta con politiche eterodosse, costituendo "un esempio per il mondo di unità nella diversità, in funzione della giustizia, del benessere sociale e della felicità". Per la sua stessa conformazione la Celac, nata dall'unione di tutte le nazioni del continente ad eccezione di Stati Uniti e Canada, dimostra la distanza che separa il Primo Mondo dall'America Latina. E quale miglior segnale di indipendenza, se non quello di scegliere all'unanimità il cubano Raúl Castro per succedere a Piñera nella carica di presidente pro tempore? 28/1/2013 |
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Venezuela, appoggio popolare al presidente malato I sostenitori della Rivoluzione Bolivariana hanno invaso la capitale il 23 gennaio, in occasione del 55° anniversario del ritorno della democrazia dopo la dittatura di Pérez Jiménez, in quella che è stata chiamata La Toma de Caracas, la presa di Caracas. Migliaia e migliaia di persone hanno voluto così esprimere il loro appoggio a Hugo Chávez, che a Cuba si riprende dal quarto intervento chirurgico contro il cancro cui è stato sottoposto l'11 dicembre. L'assenza del capo dello Stato in queste settimane ha ridato fiato all'opposizione, che insiste su due argomenti: il governo nasconde ai venezuelani la gravità della situazione sanitaria del presidente; nel paese esiste un vuoto politico che rende necessaria la convocazione a nuove elezioni.
Gli attacchi erano stati particolarmente violenti
alla vigilia del 10 gennaio, data in cui avrebbe dovuto iniziare il nuovo
mandato presidenziale. E questo nonostante il Tribunale Supremo avesse
avallato la continuità amministrativa del governo e avesse
deliberato che, "nella sua condizione di presidente rieletto", Chávez
poteva effettuare il giuramento in seguito, una volta ristabilito. Una
grandiosa mobilitazione nel centro della capitale aveva ribadito, nel
giorno del mancato insediamento, l'appoggio popolare al leader malato. Non era mancato il
deciso sostegno dei paesi della regione: rappresentanti di 22 Stati del
continente avevano firmato la Declaración de Caracas, impegnandosi a collaborare negli spazi internazionali con il governo
venezuelano per impedire che la salute di Hugo Chávez potesse servire da
"pretesto per attentare alle istituzioni democratiche".
Nel corso della manifestazione del 23 gennaio il vicepresidente
Maduro ha denunciato la scoperta di un piano per attentare alla sua vita e
a quella di Diosdado Cabello, neorieletto presidente dell'Assemblea
Nazionale. L'opposizione ha tentato a più riprese di accreditare la
voce di divergenze tra i due, sottolineando la differenza di
formazione tra l'ex militare Cabello e l'ex sindacalista Maduro.
Quest'ultimo era stato designato dallo stesso Chávez suo erede
politico, nel corso dell'ultimo messaggio alla nazione trasmesso in tv l'8
dicembre, prima di partire per l'Avana. Se qualcosa mi impedisse di assumere il
mandato, aveva detto Chávez, "Nicolás Maduro non solo deve concludere il periodo come impone la
Costituzione, ma la mia ferma opinione è che in tale
scenario, che obbligherebbe a convocare le elezioni, venga da voi eletto
come presidente". Forse preoccupato di possibili reazioni
all'interno delle forze armate, quel giorno Chávez aveva anche messo in
guardia gli alti comandi contro eventuali tentativi di destabilizzazione e
aveva raccomandato di rafforzare l'unità. Era tornato a Natale su questo
concetto, con una lettera in cui invitava i
militari a difendere quella grande conquista storica che è l'unità con i
civili. Il 16 gennaio, giorno in cui la Gaceta Oficial pubblicava il
decreto di nomina (firmato da Chávez) di Elías Jaua a ministro degli
Esteri, il vicepresidente Maduro si riuniva a Fuerte Tiuna con i vertici
militari, che ratificavano la loro lealtà al capo dello Stato.
Il 23 gennaio anche gli antichavisti si sono mobilitati, per
accusare il governo di mantenere il paese in una situazione di incertezza
e di essere sottomesso alla volontà cubana. Ma
è opinione degli osservatori che l'opposizione, reduce da due batoste
elettorali, non miri in questo momento a nuove consultazioni. Dopo la
netta vittoria di Chávez il 7 ottobre, il voto del 16 dicembre (con il
presidente già in ospedale a Cuba) ha confermato infatti il forte
radicamento del movimento bolivariano nell'elettorato: il Psuv ha conquistato venti dei
23 Stati in lizza, in particolare Zulia, un tempo bastione degli
oppositori. Questi ultimi si sono dovuti accontentare degli Stati di
Lara, Amazonas e Miranda (qui è stato riconfermato governatore
Henrique Capriles, il candidato presidenziale sconfitto in ottobre).
Il 24 gennaio il quotidiano spagnolo El País ha pensato di
dare una mano alla destra pubblicando, sull'edizione cartacea e su quella
digitale, una foto del presidente venezuelano morente accompagnata dal
titolo "Il segreto della malattia di Chávez". Ma la fotografia era un falso: l'immagine dell'uomo intubato su un letto d'ospedale proveniva da
un video reperibile in YouTube fin dal 2008. Il giornale ha
dovuto chiedere scusa e ritirare in tutta fretta le copie appena inviate
in edicola. "La pubblicazione della foto della copertina, senza nessuna
verifica, evidenzia il predominio dell'interesse morboso di un quotidiano
senza etica - ha commentato Andrés Izarra, che fu anche direttore di
Telesur - Come ex ministro della Comunicazione, ma anche come
conoscitore dei media e come lettore, non posso fare altro che constatare
il livello di degrado a cui è arrivato questo giornale". 24/1/2013 |
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Bolivia, l'Onu depenalizza la masticazione della coca La Bolivia tornerà ad aderire alla Convenzione Unica sugli Stupefacenti, dopo l'accettazione da parte delle Nazioni Unite dell'acullicu, la masticazione della foglia di coca, come costume tradizionale del paese. "È una vittoria della nostra cultura, dei nostri popoli indigeni e dei movimenti sociali. Dopo quasi cinquant'anni viene corretto un errore storico. La coca nel suo stato naturale non è droga", ha affermato con soddisfazione Dionisio Núñez, viceministro della Coca e dello Sviluppo Integrale. Il governo di La Paz aveva annunciato nel 2011 il suo ritiro dalla Convenzione perché in un articolo si vietava la masticazione della coca, con la motivazione che nella pianta sono presenti gli alcaloidi base per l'elaborazione della cocaina. In seguito la Bolivia aveva chiesto la riammissione al trattato a condizione che l'acullicu venisse depenalizzato. La richiesta è stata ora accettata perché si sono dichiarati contrari solo quindici dei 184 Stati membri (per la precisione Messico, Stati Uniti, Canada, Russia, Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Francia, Italia, Olanda, Svezia, Finlandia, Portogallo, Israele, Giappone). Il 14 gennaio il governo e le organizzazioni sociali e dei cocaleros hanno festeggiato la notizia con una "giornata dell'acullicu" in tutto il paese. Con questa adesione condizionata, ha dichiarato il presidente Morales, la Bolivia si riserva il diritto di permettere sul suo territorio non solo la masticazione per finalità naturali e medicinali, "ma anche la coltivazione, il commercio e il possesso della foglia di coca nella quantità necessaria per tali scopi leciti". Il vicepresidente García Linera ha annunciato inoltre l'avvio di una "campagna pedagogica" per spiegare alla comunità internazionale il significato di questa pratica millenaria delle popolazioni andine, una pratica difesa nella Costituzione del 2009. 14/1/2013 |
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Cile, sale la tensione nell'Araucania Il conflitto nell'Araucania ha conosciuto il 4 gennaio una svolta drammatica con la morte di due anziani coniugi a Vilcún. L'imprenditore agricolo Werner Luchsinger e la moglie Vivianne McKay sono stati uccisi dal fuoco appiccato alla loro abitazione da un gruppo di individui a volto coperto. Fin dal primo momento le indagini si sono indirizzate verso la comunità mapuche, in seguito al ritrovamento di alcuni volantini sul luogo dell'incendio. Nei manifestini si ricordava il quinto anniversario dell'assassinio dello studente Matías Catrileo, raggiunto dai proiettili di un carabinero durante l'occupazione di una tenuta di proprietà di Jorge Luchsinger, cugino di Werner. Per la morte della coppia sono attualmente in carcere due giovani comuneros, i fratelli José e Celestino Córdova Tránsito. Quest'ultimo è stato arrestato nelle vicinanze della casa bruciata con una ferita d'arma da fuoco: secondo gli inquirenti a sparargli sarebbe stato lo stesso Luchsinger nel tentativo di difendersi. Il governo Piñera ha reagito all'attentato (preceduto da una lunga serie di attacchi alla proprietà privata) accentuando la militarizzazione della regione e invocando l'applicazione della Ley Antiterrorista, che dà poteri speciali alle forze di polizia e aggrava le imputazioni delle persone rinviate a giudizio. Il ministro dell'Agricoltura, Luis Mayol, è andato più in là giustificando la risposta armata dei proprietari in difesa delle loro famiglie e dei loro beni. Affermazione che si inserisce in un clima di crescente odio e di razzismo nei confronti delle popolazioni native. Gli atti di violenza avvenuti nell'Araucania, e in particolare l'attacco incendiario costato la vita ai due coniugi, sono stati condannati da Jorge Huenchullán, autorità della Comunidad Autónoma Temucuicui. E in un comunicato il prigioniero politico Ramón Llanquileo afferma: "Invitiamo le comunità a continuare la mobilitazione per le sue richieste storiche, ma allo stesso tempo le invitiamo a essere responsabili nelle loro azioni di lotta. Poiché ciò che tenterà di fare il nostro nemico, attraverso i suoi mezzi di comunicazione di massa, è di infangare le nostre giuste richieste per il territorio e l'autonomia". Sul sito revoluciontrespuntocero.com la Cam (Coordinadora Arauco Malleco) denuncia "gruppi alieni alla nostra organizzazione", che stanno "demonizzando il popolo mapuche nel suo complesso e delegittimando le sue giuste rivendicazioni con l'obiettivo di isolarci di fronte all'opinione pubblica". In questi gruppi opererebbero infiltrati di destra, con il compito di istigare azioni che possano fornire un pretesto alla repressione. Un sospetto accresciuto dall'ultimo attacco perpetrato dagli incappucciati: il 9 gennaio a Collipulli è stata data alle fiamme una scuola elementare frequentata soprattutto da bambini mapuche. RINVIO A GIUDIZIO PER GLI ASSASSINI DI VICTOR JARA. A fine dicembre sono stati rinviati a giudizio sette ex militari accusati dell'uccisione di Víctor Jara. Il cantautore venne assassinato il 16 settembre 1973, cinque giorni dopo il colpo di Stato di Pinochet, nell'Estadio Nacional di Santiago dove erano stati rinchiusi i prigionieri politici. Secondo il magistrato incaricato del caso, i principali responsabili sarebbero Hugo Sánchez Marmonti e Pedro Barrientos Núñez: per quest'ultimo, che risiede negli Stati Uniti, è stato spiccato un mandato di cattura internazionale. Per gli altri cinque imputati l'accusa è di complicità. 9/1/2013 |
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Paraguay, il massacro impunito di Curuguaty Sorprendente dichiarazione del procuratore Jalil Rachid, incaricato delle indagini sui sanguinosi avvenimenti del 15 giugno 2012 a Curuguaty, quando lo sgombero di una proprietà terriera occupata da famiglie di carperos (senza terra) si concluse con 17 morti, tra cui sei poliziotti. Per quei fatti furono arrestati dodici contadini, ritenuti responsabili di aver dato inizio agli scontri sparando contro le forze di sicurezza. In gennaio il magistrato ha pubblicamente ammesso di aver basato le sue accuse solo sulla versione degli agenti e di non aver ascoltato nessun altro testimone. Ma la vicenda di Curuguaty non è solo un caso di brutale repressione poliziesca. Quegli incidenti fornirono infatti all'opposizione il pretesto per la destituzione del presidente Lugo, dopo una parodia di processo politico. E dunque, come ha denunciato lo stesso Lugo, "il governo golpista non ha alcun interesse né alcuna volontà politica di indagare seriamente e di chiarire il caso". In realtà sia gli occupanti che i poliziotti caddero in un'imboscata mentre stavano trattando: lo sostiene il rapporto di un gruppo di lavoro guidato da un giurista spagnolo, che include testimonianze di contadini, fotografie e filmati. Nel rapporto si segnala la presenza di infiltrati, che diedero inizio alla sparatoria, e si dimostra l'uso di armi automatiche, che gli occupanti certo non possedevano. Tutte prove trascurate o negate da Rachid, di cui si era chiesto inutilmente che fosse sollevato dall'inchiesta, visti i suoi rapporti personali con il proprietario del terreno occupato, il latifondista Blas Riquelme (deceduto due mesi e mezzo dopo la strage). In carcere quattro dei dodici sospettati, Luis Olmedo, Lucía Agüero, Juan Carlos Tillería e Alcides Ramírez attuarono un lungo sciopero della fame che rese necessario un loro ricovero d'urgenza in ospedale, inducendo infine le autorità a concedere gli arresti domiciliari. Ma l'elenco dei morti di Curuguaty era destinato ad allungarsi: il primo dicembre uno dei testimoni principali, il leader contadino Vidal Vega, veniva assalito nella sua abitazione da due sicari mascherati, che lo assassinavano davanti ai suoi familiari. Giustizia per Vidal Vega e individuazione dei veri responsabili del massacro sono state tra le richieste delle migliaia di persone che il 10 dicembre, ad Asunción, hanno partecipato alla Marcia per i diritti umani e il ritorno della democrazia. SINISTRA DIVISA AL VOTO DI APRILE. Le riunioni tenutesi in dicembre per l'unità delle forze progressiste in vista delle prossime elezioni non hanno raggiunto l'obiettivo sperato. In aprile dunque Frente Guazú (il movimento che fa capo a Lugo), Avanza País (una scissione del precedente) e Kuña Pyrenda (Piattaforma di Donne, in lingua guaraní) presenteranno tre differenti liste. I candidati presidenziali saranno rispettivamente il medico Aníbal Carrillo, l'ex presentatore televisivo Mario Ferreiro e Lilian Soto, ex ministra del governo Lugo. 8/1/2013 |
Latinoamerica-online.it a cura di Nicoletta Manuzzato |