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L'uragano Sandy devasta i Caraibi - Terremoto in Guatemala: 52 morti  (9/11/2012)

Il Venezuela a pieno titolo nel Mercosur  (1/8/2012)

Benedetto XVI alla "riconquista" dell'America Latina  (29/3/2012)

Nuovo viaggio di Ahmadinejad in America Latina  (13/1/2012)

 

Argentina

Saccheggi e fondi avvoltoi - L'avanzata sanguinosa della soia  (27/12/2012)

Storica condanna per i ladri di bambini - La spaccatura nella Cgt  (22/7/2012)

Desaparecidos: la Chiesa sapeva - Due nuove leggi ampliano i diritti  (26/5/2012)

Lo Stato recupera il controllo di Ypf  (19/4/2012)

Tensione con Londra per le Malvinas  (15/2/2012)

 

Bolivia

Nuove nazionalizzazioni nel settore elettrico  (29/12/2012)

Il pericolo di denunciare la corruzione - Risultati parziali del referendum sul Tipnis  (14/11/2012)

 

Brasile

A San Paolo vince il candidato di Lula  (29/10/2012)

Contadini e giornalisti nel mirino  (24/4/2012)

I militari contro Dilma Rousseff  (5/3/2012)

 

Cile

La destra sconfitta nelle elezioni municipali - Sentenza a favore di comuneros mapuche  (30/10/2012)

La regione di Aysén in lotta  (30/3/2012)

 

Colombia

Si chiude il primo mese di negoziato - Ucciso un difensore della natura  (21/12/2012)

Prove di dialogo tra Farc e governo  (4/9/2012)

Dalle Farc un passo verso la pace - Nasce il Consejo Nacional Patriótico  (28/4/2012)

Chi c'è dietro l'ondata di attentati? - Il paese più pericoloso per i sindacalisti  (6/2/2012)

Santos dice no al dialogo - In vigore la Ley de Víctimas  (11/1/2012)

 

Cuba

Viaggi senza restrizioni e riforma fiscale - Nuovo voto Onu contro l'embargo  (28/11/2012)

La Conferenza Nazionale del Pcc - Si rafforzano i legami con il Brasile  (5/2/2012)

 

Ecuador

Correa concede asilo politico ad Assange - Niente più militari alla School of the Americas  (24/8/2012)

I cinque anni di Rafael Correa  (20/1/2012)

 

El Salvador

Dalle urne una sconfitta per il Fmln  (13/3/2012)

"A nome dello Stato chiedo perdono per El Mozote"  (16/1/2012)

 

Guatemala

Polizia ed esercito sparano sui contadini  (6/10/2012)

Ríos Montt sarà processato per genocidio  (26/1/2012)

 

Honduras

Xiomara Castro candidata della resistenza  (29/11/2012)

La resistenza non si arrende  (2/5/2012)

Incendio nel penitenziario: 360 morti - Assassinato un altro dirigente contadino  (21/2/2012)

 

Messico

Il ritorno silenzioso degli zapatisti  (31/12/2012)

Il Pri torna al potere - Leader ecologista assassinata nel Guerrero  (5/12/2012)

Il Pri vince tra proteste e accuse di brogli - Storie di ordinaria violenza  (10/7/2012)

Ucciso leader ambientalista  (16/3/2012)

Joe Biden passa in rassegna i candidati  (6/3/2012)

Morire di fame nella Sierra Tarahumara  (18/1/2012)

 

Nicaragua

Vittoria sandinista alle elezioni locali  (21/11/2012)

 

Panama

Marcia indietro del governo Martinelli - In vigore il Tlc con gli Usa  (2/11/2012)

Martinelli e il caso Lavitola - Polizia sempre più militarizzata  (11/5/2012)

 

Paraguay

Golpe istituzionale contro Lugo  (29/6/2012)

 

Perù

Gli indulti umanitari del presidente Humala  (16/11/2012)

Humala sempre più a destra  (12/6/2012)

 

Repubblica Dominicana

Nel segno della continuità  (22/5/2012)

 

Uruguay

Aborto consentito (con molti ostacoli)  (22/10/2012)

Le responsabilità dello Stato  (21/3/2012)

 

Venezuela

Chávez rieletto presidente  (10/10/2012)

Nuovo intervento chirurgico per Chávez  (24/2/2012)

 


Messico, il ritorno silenzioso degli zapatisti

L'Ejército Zapatista de Liberación Nacional ha fatto la sua ricomparsa la mattina del 21 dicembre, la data che segna per i Maya l'inizio di una nuova era e allo stesso tempo la vigilia del quindicesimo anniversario del massacro impunito di Acteal (45 persone di etnia tzotzil, tra cui parecchi bambini, uccise dai paramilitari). Con perfetta sincronia e in completo silenzio oltre 40.000 indigeni, donne e uomini dai volti nascosti con i passamontagna, hanno occupato pacificamente le piazze centrali di cinque città del Chiapas: San Cristóbal de las Casas, Altamirano, Las Margaritas, Palenque e Ocosingo, testimoniando con la sola presenza la continuità della loro battaglia.

"Avete sentito? È il suono del vostro mondo che sta crollando. È il suono del nostro che sta risorgendo", si legge nel comunicato del subcomandante Marcos. In un successivo documento viene analizzato il significato della mobilitazione del 21 dicembre, la più numerosa dal giorno dell'insurrezione armata del primo gennaio 1994. "Il nostro non è un messaggio di rassegnazione. Non è un messaggio di guerra, di morte e distruzione. Il nostro messaggio è di lotta e resistenza (...) Ci siamo fatti vedere per farvi sapere che se voi non ve ne siete mai andati, neppure noi lo abbiamo fatto". Dopo aver demolito, con le sue critiche, tutti i partiti politici, Marcos pone il potere di fronte a un'alternativa: riprendere la politica fallimentare della controinsurrezione o tener fede ai propri impegni "elevando a rango costituzionale i diritti e la cultura indigena, come stabilito nei cosiddetti Acuerdos de San Andrés firmati dal governo federale nel 1996, guidato allora dallo stesso partito ora nell'esecutivo".

Sulla stampa messicana il ritorno degli zapatisti ha avuto larga eco soprattutto per la loro marcia silenziosa: "Allo stesso modo in cui hanno dovuto coprirsi il volto per essere visti, ora hanno interrotto la parola per essere ascoltati", scrive Luis Hernández Navarro su La Jornada. E aggiunge: "L'Ezln non ha mai abbandonato la scena nazionale. Guidato dal suo calendario politico, fedele alla sua coerenza etica e combattendo contro la forza dello Stato ha rafforzato le sue forme di governo autonome, ha mantenuto viva la sua autorità politica tra i popoli indigeni del paese e attive le reti di solidarietà internazionale. Il fatto che non sia apparso pubblicamente non significa che non sia presente in molte lotte significative nel paese. Nelle cinque juntas de buen gobierno esistenti in Chiapas e nei municipi autonomi le autorità delle basi di appoggio si governano da sole, esercitano la giustizia e risolvono i conflitti agrari. Nei loro territori i ribelli hanno fatto funzionare i loro sistemi sanitari ed educativi al di fuori dei governi statali e federali, hanno organizzato la produzione e la commercializzazione e mantenuto in piedi la loro struttura militare. Hanno risolto con successo la sfida del ricambio generazionale dei loro comandanti. Come se non bastasse, hanno evitato efficacemente le minacce del narcotraffico, dell'insicurezza pubblica e dell'emigrazione".

31/12/2012


Bolivia, nuove nazionalizzazioni nel settore elettrico

Il presidente Morales ha annunciato il 29 dicembre una serie di nazionalizzazioni nel settore dell'energia elettrica. Le aziende interessate sono le distributrici Electropaz ed Elfeo, l'impresa di servizi Eldeser e la Cadeb (Compañía Administradora de Empresas Bolivia), tutte controllate dalla spagnola Iberdrola. Il capo dello Stato ha spiegato di aver dovuto adottare questo provvedimento per assicurare agli utenti tariffe eque e senza squilibri tra aree urbane e aree rurali. Il vicepresidente García Linera ha assicurato che alla compagnia iberica verrà corrisposto un giusto indennizzo.

Questi nuovi interventi di recupero delle ricchezze nazionali si aggiungono a una lunga lista iniziata il primo maggio 2006 con gli idrocarburi, fino ad allora in mano a una dozzina di compagnie petrolifere straniere (in particolare la spagnola Repsol e la brasiliana Petrobras). L'anno successivo è la volta di una fonderia legata alla multinazionale svizzera Glencore, del giacimento di stagno Posokoni sfruttato da gruppi minerari locali e dell'Empresa Nacional de Telecomunicaciones (Entel), controllata dall'italiana Telecom. Nel 2008 lo Stato assume la gestione della compagnia del gas Transredes (legata alla statunitense Ashmore e all'olandese Shell) e della Compañía Logística de Hidrocarburos (controllata dal consorzio Oiltanking-Graña y Montero). Il 2009 inizia con la nazionalizzazione del pacchetto azionario della petrolifera Chaco, filiale dell'anglo-argentina Pan American Energy; segue il recupero di una filiale della British Petroleum per la distribuzione di carburanti per aerei.

Il 2010 vede la nazionalizzazione delle azioni delle società Inversiones Econergy Bolivia SA, della francese GDF Suez, e Guaracachi, della britannica Rurelec PLC. Anche Valle Hermoso, compagnia gestita dal consorzio Bolivian Generating Group, finisce sotto controllo statale, mentre la svizzera Glencore deve cedere un'altra fonderia. Da segnalare poi l'espropriazione delle azioni detenute dal consorzio boliviano-messicano Soboce-Grupo Cementos Chihuahua nella Fábrica Nacional de Cemento e l'approvazione della riforma pensionistica che crea una Gestora Pública de Seguridad Social de Largo Plazo in sostituzione dei fondi pensione privati Previsión BBVA e Futuro de Bolivia (gestiti rispettivamente dal Banco Bilbao Vizcaya Argentaria e da Zurich Financial Service). Infine nell'anno in corso i provvedimenti di dicembre sono stati preceduti dall'espropriazione della partecipazione azionaria di Pan American Energy nel Bloque Caipipendi (giacimenti di gas), per il mancato rispetto da parte dell'impresa del piano di investimenti concordato, e dalla nazionalizzazione della compagnia Transportadora de Electricidad, controllata da Red Electrica Internacional (filiale di Red Eléctrica Española).

29/12/2012


Argentina, saccheggi e fondi avvoltoi

Sono salite a quattro le vittime degli assalti ai centri commerciali avvenuti in diverse località del paese. L'ondata di saccheggi e devastazioni era iniziata il 19 dicembre nella provincia di Río Negro, per poi proseguire in quelle di Santa Fe e Buenos Aires. La data è significativa: in questi stessi giorni del 2001 una rivolta popolare, costata una trentina di morti, portava alla rinuncia del presidente Fernando de la Rúa. Ma il contesto attuale è ben diverso, sostiene il segretario generale della Cta (Central de Trabajadores Argentinos) Hugo Yasky, intervistato da Página/12: "Nel 2001 veniva assassinato un vero militante della causa popolare, Pocho Lepratti, c'erano otto milioni di disoccupati, 185.000 fabbriche chiuse, il 50% dei lavoratori aveva problemi di impiego e due milioni di persone in età pensionabile erano paria sociali. Pretendere che quella realtà sia identica a questa, che il paese non sia cambiato per nulla e che la disperazione sociale giustifichi i saccheggi è un'assoluta menzogna". E in effetti una differenza salta subito agli occhi: allora dagli scaffali dei supermercati venivano sottratti generi alimentari, oggi vengono rubati televisori e computer.

Si tratta dunque di atti organizzati, con il proposito di gettare discredito sulla presidenza di Cristina Fernández? Yasky non ha dubbi: gli istigatori "sono settori di potere che sarebbero felici se questo governo crollasse, che hanno conti in sospeso e difendono i loro privilegi e interessi corporativi, che scommettono sulla restaurazione di vecchie ricette neoliberiste, che non ammettono le condanne ai genocidi". L'analisi è condivisa da una serie di organizzazioni (Abuelas de Plaza de Mayo, Madres de Plaza de Mayo-Línea Fundadora, Familiares de Detenidos y Desaparecidos por Razones Políticas, H.I.J.O.S.), che in un comunicato congiunto parlano di episodi "non spontanei", tendenti a riportare indietro l'Argentina. E la stessa presidente ha definito i saccheggi "una brutta copia di quanto avvenuto in altri momenti storici", vedendoli come parte di un piano di destabilizzazione.

Nel paese è evidente una crescente polarizzazione. Da una parte le manifestazioni (e i cacerolazos) dell'opposizione il 13 settembre e l'8 novembre, che hanno coinvolto un arco composito di forze, dall'estrema destra a gruppi di estrema sinistra, e lo sciopero generale del 19 novembre convocato dalle correnti sindacali antigovernative (la Cgt di Hugo Moyano e la Cta di Pablo Micheli). Dall'altra la vasta adesione alle iniziative promosse il 27 ottobre in diverse città per ricordare Néstor Kirchner, morto due anni prima, e la massiccia partecipazione il 9 dicembre alla Fiesta Patria Popular organizzata dal governo in Plaza de Mayo, alla vigilia dell'anniversario del ritorno della democrazia.

In queste ultime settimane la presidenza Fernández ha dovuto combattere una logorante battaglia su due fronti. Sul fronte interno contro il Grupo Clarín, che detiene un enorme potere nel campo della comunicazione e si oppone con ogni mezzo alla Ley de Servicios de Comunicación Audiovisual, la cosiddetta Ley de Medios. La legge, che limita le concentrazioni editoriali, era stata approvata nel 2009: la sua applicazione però è stata finora impedita dall'ostruzionismo del Clarín, che ha presentato innumerevoli ricorsi giudiziari. Il 7 dicembre era stata fissata l'ultima scadenza per l'entrata in vigore delle nuove norme: entro quella data i grandi consorzi avrebbero dovuto cedere le proprietà che superavano la quota stabilita. Ma ancora una volta la magistratura è intervenuta a favore del gigante mediatico, concedendogli un'ulteriore proroga: per adeguarsi alla legge potrà attendere la decisione definitiva sull'ennesimo ricorso, riguardante la costituzionalità di due articoli. La guerra giudiziaria minaccia dunque di prolungarsi indefinitamente: la sentenza del giudice di prima istanza Horacio Alfonso, che il 14 dicembre ha dichiarato la costituzionalità dei due articoli, rimane senza effetto perché il Grupo Clarín ha subito presentato appello, mentre è stata respinta la richiesta dell'esecutivo di accelerare i tempi portando il caso direttamente alla Corte Suprema.

Sul fronte internazionale il nemico da battere è rappresentato dai fondi avvoltoi. Si tratta di gruppi finanziari speculativi che acquistano a prezzi stracciati i titoli in default rimasti fuori dal concordato fallimentare (nel caso argentino il 7% dei possessori di bonos non ha accettato la ristrutturazione del debito). In seguito, attraverso azioni legali nei tribunali di mezzo mondo, questi fondi tentano di ottenere il rimborso dell'intero valore nominale. Il 2 ottobre la fregata Libertad, nave scuola della marina militare argentina, veniva bloccata nel porto ghanese di Tema in seguito a un ricorso del fondo NML Capital, che reclamava il pagamento di 370 milioni di dollari. Il governo di Buenos Aires rispondeva con fermezza, rifiutando ogni trattativa con gli speculatori e la situazione si sbloccava a metà dicembre, quando il Tribunale Internazionale del Diritto del Mare, con sede ad Amburgo, ordinava alle autorità del Ghana di disporre il rilascio immediato della fregata.

Resta invece aperta la questione sollevata dal giudice statunitense Thomas Griesa, che aveva ingiunto all'Argentina di pagare ai fondi NML e Dart, entro il 15 dicembre, il 100% del valore dei titoli più gli interessi. Il 28 novembre la Corte d'Appello di New York ha sospeso l'ordinanza di Griesa, concedendo all'Argentina un momento di respiro. Lo scontro nelle aule giudiziarie continuerà nel 2013: dal suo esito dipenderà la riaffermazione o meno dei diritti di uno Stato sovrano di fronte alla speculazione finanziaria.

L'AVANZATA SANGUINOSA DELLA SOIA. Ancora un omicidio nelle campagne di Santiago del Estero. Il 10 ottobre Miguel Galván, 40 anni, è stato pugnalato sulla porta di casa da un sicario. Galván era militante del Movimiento Campesino de Santiago del Estero-Vía Campesina e aveva già ricevuto ripetute minacce di morte per aver difeso il territorio della comunità indigena lule-vilela. Su quei terreni hanno messo gli occhi le grandi imprese agricole e zootecniche della zona, che con le loro bande armate (e con la complicità delle autorità locali) tentano di appropriarsene per estendere la coltivazione della soia e l'allevamento intensivo. Il 16 novembre del 2011, nella stessa regione, era stato assassinato Cristian Ferreyra, 23 anni, anche lui membro del Mocase-Vc. Ferreyra, già sposato e padre di un bimbo di due anni, si rifiutava di lasciare la terra dove la sua famiglia viveva da generazioni.

27/12/2012


Colombia, si chiude il primo mese di negoziato

"Si sono registrati passi avanti concreti, tutto nell'ambito delle previsioni", ha affermato il capo della delegazione governativa, l'ex vicepresidente Humberto de la Calle. Più cauto il rappresentante delle Farc, Rodrigo Granda: si è fatto "un grosso sforzo per progredire" sul primo punto dell'agenda, cioè sulla politica agraria, "ma siamo soltanto al momento del preriscaldamento". Si è concluso così, il 21 dicembre, il primo mese di negoziato all'Avana tra il governo Santos e il gruppo ribelle. La delegazione delle Farc, capeggiata da Iván Márquez, comprende tra gli altri la guerrigliera olandese Tanja Nijmeijer. Quanto a Simón Trinidad, formalmente inserito tra i negoziatori, è rinchiuso in un carcere statunitense e Washington ha respinto la richiesta di un indulto che gli avrebbe permesso di prender parte alle trattative.

All'avvio degli incontri nella capitale cubana era stato letto un comunicato del segretariato delle Farc, che ordinava "alle unità guerrigliere in tutta la geografia nazionale la cessazione di ogni tipo di operazione militare offensiva contro la forza pubblica e degli atti di sabotaggio contro l'infrastruttura pubblica o privata nel periodo compreso tra il 20 novembre 2012 e il 20 gennaio 2013". Una decisione tesa a "rafforzare il clima di intesa necessario affinché le parti che iniziano il dialogo raggiungano l'obiettivo desiderato da tutti i colombiani". Il ministro della Difesa, Juan Carlos Pinzón, aveva però ribadito che le forze armate non avrebbero sospeso le ostilità. E infatti esercito e aviazione hanno continuato la loro offensiva: ai primi di dicembre, nel dipartimento di Nariño, tre accampamenti guerriglieri sono stati bombardati e poi attaccati da truppe aviotrasportate.

Nonostante il rifiuto di una tregua da parte governativa, gli incontri dell'Avana hanno destato nel paese aspettative e speranze. Lo testimonia la forte partecipazione alle iniziative con cui la cittadinanza ha potuto esprimersi sul processo di pace. Le Mesas Regionales de Paz, organizzate dal Congresso con l'appoggio delle Nazioni Unite in varie città, hanno raccolto e consegnato ai negoziatori una valanga di proposte sulla soluzione del conflitto. Migliaia di contributi sono giunti anche alla pagina web https://www.mesadeconversaciones.com.co/. Infine il Foro de Política de Desarrollo Agrario Integral, che dal 17 al 19 dicembre a Bogotá ha discusso della situazione nelle campagne, ha visto la presenza di 1.200 rappresentanti della società civile.

UCCISO UN DIFENSORE DELLA NATURA. Selatiel Méndez Secue, un dirigente della comunità nasa noto per le sue battaglie in difesa della natura, è stato ucciso il 3 ottobre nel municipio di Caloto (dipartimento del Cauca), mentre viaggiava a bordo di una moto insieme alla moglie. Secondo l'Asociación de Cabildos Indígenas del Norte del Cauca, responsabili dell'omicidio sarebbero i membri delle Farc. Alcuni osservatori hanno però ricordato che nella regione circolavano negli ultimi tempi volantini di minaccia firmati da bande paramilitari. Violenze e intimidazioni sono in costante aumento di fronte alla resistenza delle popolazioni indigene della zona, decise a riaffermare la propria autonomia e a liberare le terre comunitarie sia dall'esercito che dai gruppi armati.

21/12/2012


Messico, il Pri torna al potere

Il primo dicembre Felipe Calderón, del Partido Acción Nacional, ha ceduto la presidenza della Repubblica a Enrique Peña Nieto, del Partido Revolucionario Institucional. Un cambiamento d'epoca? si chiede José Agustín Ortiz Pinchetti sulle pagine de La Jornada. La risposta è negativa: non c'è da attendersi alcuna svolta nelle politiche economiche né un nuovo impulso alla democratizzazione. "Dal 1989 i governi del Pri e del Pan hanno mantenuto una solida alleanza con occasionali divergenze - scrive Ortiz Pinchetti - Tutti questi governi hanno imposto al Messico la dottrina neoliberista, anche se si è optato per una linea molto più conservatrice: appoggiarsi sui grandi monopoli in cambio di potere e risorse. Per esempio nella sostanza non ci sono differenze tra l'apertura al capitale straniero di Zedillo e quella di Fox. Non dimentichiamo che il Pan legittimò Salinas dopo un'elezione fraudolenta e che questi lo ripagò con numerosi privilegi. Come diceva Fox: il Pri ha governato insieme al Pan. E hanno anche legiferato insieme. Priisti e panisti hanno appoggiato la demolizione dello Stato sociale e l'eliminazione nelle norme e nel bilancio delle politiche veramente popolari. E inoltre si sono garantiti reciprocamente l'impunità. Nessun pesce grosso, panista o priista, ha pagato per le sue malefatte. Entrambi sono stati d'accordo nell'imporre frodi elettorali per impedire un'alternanza a sinistra nel 2006 e nel 2012".

Solo un mutamento di facciata, dunque, che non risolverà i gravi problemi del paese: la corruzione, la violenza e le profonde disuguaglianze sociali. La gestione Calderón è stata contrassegnata da un conflitto armato con la delinquenza organizzata che è costato migliaia di morti, in gran parte cittadini innocenti, e che ha permesso innumerevoli violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la criminalità è più potente di prima, le istituzioni sono indebolite e la sovranità dello Stato è intaccata dalla massiccia ingerenza di Washington, che manda i suoi agenti a coordinare le azioni antinarco e i suoi droni a sorvegliare lo spazio aereo messicano. E proprio un quotidiano della capitale statunitense, The Washington Post, è venuto in possesso di un documento agghiacciante: un elenco, compilato dalla Procura Generale e mai reso pubblico, di oltre 25.000 persone desaparecidas durante i sei anni di Calderón. Tra i casi recenti, quello della giornalista televisiva Adela Jazmín Alcaraz López, scomparsa dal 26 ottobre nello Stato di San Luis Potosí.

La seconda presidenza del Pan si chiude con l'economia in stagnazione, un alto tasso di disoccupazione, l'incremento di imposte e tariffe, la svendita di risorse nazionali al capitale straniero e l'aumento allarmante di povertà e miseria. Con conseguenze terribili: secondo il dottor Avila, ricercatore dell'Instituto Nacional de Nutrición Salvador Zubirán, durante questi sei anni circa centomila bambini sono morti per disturbi legati alla denutrizione, come diarrea e malattie respiratorie. L'attacco ai diritti dei lavoratori è culminato con la Riforma Laboral, approvata con i voti di Pri, Pan e Pvem (Partido Verde Ecologista, alleato del Pri) e promulgata da Calderón due giorni prima della conclusione del suo mandato: con il pretesto di una maggiore competitività delle imprese, le nuove norme rendono l'impiego più flessibile e precario, abbattono il costo della manodopera e facilitano i licenziamenti.

Sabato primo dicembre, mentre in Parlamento si svolgeva la cerimonia di insediamento del nuovo presidente, nelle strade adiacenti al Palacio Legislativo si scatenavano le proteste del movimento YoSoy132 contro un'elezione tutt'altro che limpida. Gli scontri tra i dimostranti e la polizia, intervenuta con estrema brutalità, hanno provocato decine di feriti, tra cui alcuni gravi. Nei giorni successivi i manifestanti tornavano in piazza per chiedere la liberazione delle 69 persone arrestate durante gli incidenti e accusate di reati che comportano fino a trent'anni di carcere. Intanto Peña Nieto annunciava che i tre principali partiti, Pri, Pan e Prd (Partido de la Revolución Democrática), avevano firmato il Pacto por México. Un accordo con obiettivi ambiziosi: assicurare la governabilità, promuovere la crescita economica e l'occupazione, realizzare la sicurezza e la giustizia, garantire la trasparenza. L'adesione sottoscritta dal dirigente del Prd Jesús Zambrano ha però scatenato, all'interno della formazione politica, accese polemiche: secondo gli oppositori alcuni punti del Pacto sono contrari al programma del partito e alla stessa Costituzione.

LEADER ECOLOGISTA ASSASSINATA NEL GUERRERO. Juventina Villa Mojica, dirigente dell'Organización de Campesinos Ecologistas de la Sierra de Petatlán y Coyuca de Catalán, è stata assassinata il 28 novembre a colpi d'arma da fuoco insieme al figlio di dieci anni. Due mesi prima la leader ecologista aveva presentato una denuncia contro la Procura dello Stato del Guerrero: tra il 2011 e il 2012 otto suoi parenti erano stati uccisi e niente era stato fatto per individuare i responsabili. Lei stessa era stata più volte minacciata, insieme alle famiglie della sua comunità, da gruppi paramilitari al servizio del narcotraffico e del taglio illegale di alberi.

5/12/2012


Honduras, Xiomara Castro candidata della resistenza

Si sono svolte il 18 novembre le primarie in vista delle elezioni generali del 2013. Xiomara Castro, moglie del deposto presidente Manuel Zelaya, è stata confermata candidata presidenziale del Partido Libertad y Refundación (Libre): il suo nome aveva già raccolto il consenso di tutte le componenti della coalizione. Dalle primarie sono emersi anche i nomi di Juan Orlando Hernández, leader del movimento Azules Unidos, come candidato per il Partido Nacional al governo e di Mauricio Villeda, membro dell'Opus Dei, per il Partido Liberal. A Xiomara Castro sono dunque affidate le speranze di un ritorno alla democrazia dopo il colpo di Stato del 2009 e la vittoria di Porfirio Lobo nelle consultazioni promosse dalla dittatura.

Intanto il paese continua a vivere un clima di repressione e di violenza, in particolare nelle campagne dell'Aguán. Il 29 novembre è stato assassinato il giovane contadino Wesly Santos, militante del Mocra (Movimiento Campesino Recuperación Aguán): mentre viaggiava a bordo di una moto è stato intercettato da sicari in auto, che hanno esploso contro di lui numerosi colpi d'arma da fuoco. Il 9 novembre era stato sequestrato e ucciso il presidente della Cooperativa El Despertar José Cecilio Pérez Martínez, membro del Marca, il Movimiento Auténtico Reivindicador Campesino del Aguán. Il 22 settembre era stato assassinato il legale di El Despertar e di altre cooperative, Antonio Trejo Cabrera. L'avvocato Trejo era stato più volte minacciato di morte per essersi battuto contro i potenti latifondisti Miguel Facussé e René Morales, che avevano acquisito illegalmente le terre di centinaia di famiglie contadine. E proprio in una tenuta di Miguel Facussé era stato trovato il 6 luglio il corpo di Gregorio Chávez, sequestrato pochi giorni prima mentre lavorava nel suo appezzamento. La sua "colpa"? Aver sempre appoggiato la lotta per la terra.

Continuano anche le uccisioni di giornalisti e oppositori politici. Il 15 maggio a Tegucigalpa è stato trovato morto, con due proiettili in testa, il capo redattore di Hrn Radio de Honduras Alfredo Villatoro: era stato sequestrato una settimana prima. Il cadavere era vestito con l'uniforme di un reparto della polizia militarizzata particolarmente noto per la sua brutalità. Pochi giorni prima era stato strangolato e gettato in una cunetta Erick Alexander Martínez, candidato a deputato per il partito Libre in rappresentanza della comunità gay e lesbica.

29/11/2012


Cuba, viaggi senza restrizioni e riforma fiscale

La politica delle riforme sta cambiando la vita sull'isola. Forse la novità più rilevante è quella introdotta in ottobre che elimina, a partire dal 14 gennaio dell'anno prossimo, le pesanti restrizioni esistenti sui viaggi all'estero. Il cittadino cubano non dovrà più munirsi di un permesso d'uscita e di una lettera d'invito e potrà soggiornare in altri paesi per periodi più lunghi. Avranno bisogno di un'autorizzazione speciale solo i quadri dirigenti, le persone impegnate in attività vitali per lo sviluppo economico, in progetti di ricerca o nei servizi sanitari e gli atleti, gli allenatori e i tecnici "essenziali" per il movimento sportivo nazionale. Vengono infine introdotte norme più permissive per gli emigrati che desiderano tornare in patria a visitare parenti e amici.

In novembre la Gaceta Oficial ha pubblicato la legge sulla riforma fiscale: si tratta di norme che non entreranno subito in vigore, ma saranno introdotte gradualmente a partire dal gennaio 2013. Per la prima volta viene fissata un'imposta sui salari e una tassa sulla proprietà della casa. Le imprese e le cooperative pagheranno un contributo ai municipi in cui operano: tali risorse saranno destinate a finanziare progetti di sviluppo sul territorio. Contro gli evasori sono previste multe e sanzioni.

Sempre in novembre è stata avviata la riforma del settore farmaceutico, una delle principali fonti di entrate per l'economia cubana. La produzione di medicinali, apparecchiature e servizi medici ad alta tecnologia sarà governata d'ora in poi secondo principi imprenditoriali. Le imprese saranno libere di decidere il personale necessario e potranno disporre degli utili per investimenti e sviluppo della forza lavoro. In pratica si allenta sempre più il controllo del governo e del partito sulla produzione. In precedenza gli stessi cambiamenti erano stati introdotti nell'industria dello zucchero.

NUOVO VOTO ONU CONTRO L'EMBARGO. Ennesima votazione all'Onu contro il blocco economico che gli Stati Uniti impongono da cinquant'anni a Cuba. 188 i paesi contrari all'embargo, due gli astenuti (Micronesia e Isole Marshall) e solo tre quelli a favore: Usa, Israele e Palau. Nel suo discorso all'Assemblea Generale il ministro degli Esteri dell'Avana, Bruno Rodríguez, ha denunciato che nel corso del primo mandato di Barack Obama si è registrato "un inasprimento" delle misure economiche e commerciali contro l'isola. Un solo esempio: le sanzioni comminate a governi e imprese straniere per aver cooperato o lavorato con Cuba superano i due miliardi di dollari, il doppio della cifra corrispondente ai due periodi di George W. Bush. Rodríguez ha comunque ribadito la volontà dell'Avana di andare verso una normalizzazione delle relazioni con Washington attraverso un dialogo "rispettoso, senza precondizioni, su basi di reciprocità e di uguaglianza sovrana". Ha poi proposto alla Casa Bianca l'avvio di trattative per accordi di cooperazione sulla lotta al narcotraffico, al terrorismo e alla tratta di persone, sulla prevenzione dei disastri naturali e sulla protezione dell'ambiente.

28/11/2012


Nicaragua, vittoria sandinista alle elezioni locali

Sono stati resi noti il 21 novembre dalle autorità elettorali i risultati definitivi delle consultazioni municipali svoltesi domenica 4. Come ampiamente previsto il vincitore è il Frente Sandinista di Daniel Ortega, che trionfa in 134 comuni su 153. Non solo il Fsln conserva il governo della capitale, ma rispetto al 2008 conquista 25 municipi, compresi alcuni storici bastioni della destra (che furono scenario negli anni Ottanta della guerriglia antisandinista della Contra, sponsorizzata dagli Usa). Il Partido Liberal Independiente ottiene 13 comuni, tre il raggruppamento politico indigeno della Costa Atlantica Yatama, due il Partido Liberal Constitucionalista, uno l'Alianza Liberal Nicaragüense.

La giornata è stata però contrassegnata da un elevato astensionismo (secondo dati ufficiali intorno al 44%), in controtendenza con la tradizionale partecipazione al voto dei nicaraguensi. L'opposizione ha denunciato diverse irregolarità, ma i suoi ricorsi sono stati respinti dal tribunale elettorale.

21/11/2012


Perù, gli indulti umanitari del presidente Humala

Jaime Ramírez Pedraza era in prigione dal novembre 1995: era stato condannato a 25 anni per la sua militanza nel Mrta, il Movimiento Revolucionario Túpac Amaru. Da tempo era malato di sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neurodegenerativa che porta alla progressiva paralisi muscolare e alla morte. Nel caso di Jaime Ramírez il male era già in fase avanzata: i suoi compagni di cella dovevano aiutarlo in tutto perché da solo non riusciva neppure a portarsi il cibo alla bocca. Per questo era stato chiesto un indulto umanitario che permettesse al detenuto di passare le ultime settimane di vita accanto alla famiglia. Ma l'appello, che era accompagnato da numerose firme di esponenti politici, di rappresentanti della Chiesa cattolica, di semplici cittadini, era stato ripetutamente respinto dal capo dello Stato.

Il 27 ottobre Jaime è morto in carcere, con le manette ai polsi: le guardie temevano forse che il prigioniero, immobilizzato da mesi, potesse tentare la fuga. Nel frattempo il presidente Humala moltiplica i segnali di distensione verso il fujimorismo e fa capire di essere disposto a concedere l'indulto umanitario, negato a Ramírez Pedraza, ad Alberto Fujimori, che sta scontando una pena di 25 anni per violazione dei diritti umani. Il pretesto è quello del tumore di cui l'ex dittatore soffre e che - affermano i familiari - è assai grave e verrebbe ancor più aggravato dalle dure condizioni di detenzione. In realtà l'oncologo che ha visitato Fujimori ha parlato di un "cancro lieve" e "con poche possibilità" di metastasi. Quanto alle condizioni di reclusione, si tratta di un carcere a quattro stelle, dove entrano ed escono amici e parenti a tutte le ore e addirittura si celebrano feste e si organizzano incontri politici. Dopo aver rotto con la sinistra che lo ha portato al potere, Ollanta Humala conta così di ottenere nel Congresso l'appoggio del potente gruppo fujimorista.

E pensare che mesi fa Humala aveva aspramente criticato la sentenza della Corte Suprema che aveva annullato in appello la condanna per crimini di lesa umanità - sostituendola con quella per omicidio e riducendo di conseguenza le pene - ai membri del famigerato Grupo Colina, lo squadrone della morte del regime di Fujimori. La decisione della Corte Suprema era stata invece celebrata dai sostenitori dell'ex dittatore, che del Grupo Colina era il mandante.

La tendenza autoritaria del governo Humala si è manifestata apertamente nella regione di Cajamarca. Agli inizi di luglio le forze di sicurezza hanno risposto con una brutale repressione alle proteste della popolazione contro il progetto minerario Conga, provocando cinque morti e decine di feriti. In seguito il nuovo primo ministro Juan Jiménez Mayor, chiamato a sostituire l'ex colonnello Oscar Valdés, ha comunicato la sospensione temporanea del progetto. Ma si è trattato solo di una manovra per calmare le acque: in novembre il governo ha annunciato di voler riprendere "il dialogo" con le autorità di Cajamarca sul caso Conga, mettendo immediatamente in allarme gli ambientalisti.

Nel frattempo si sviluppava una campagna contro Javier Diez Canseco, "colpevole" di aver abbandonato la coalizione governativa Gana Perú in polemica con la decisa svolta a destra di Humala. Diez Canseco, che era stato il responsabile delle commissioni d'inchiesta sulla corruzione del regime Fujimori, è stato a sua volta accusato di conflitto d'interessi e sospeso per novanta giorni dal Congresso. La sanzione - da molti interpretata come una vendetta del fujimorismo - è stata approvata solo grazie al voto di 21 congressisti di Gana Perú. Un altro bersaglio di pesanti attacchi politici è Susana Villarán, prima cittadina di Lima: esponenti conservatori hanno raccolto le firme per un referendum tendente a revocarne il mandato. C'è chi teme la popolarità che Villarán sta acquistando presso gli abitanti della capitale, una popolarità che potrebbe portarla ad aspirare alla presidenza della Repubblica.

16/11/2012


Bolivia, il pericolo di denunciare la corruzione

Sarebbero gruppi di potere locale i mandanti della brutale aggressione sofferta il 29 ottobre a Yacuiba (dipartimento di Tarija) dal giornalista Fernando Vidal. Mentre Vidal, dai microfoni di Radio Popular, denunciava episodi di corruzione, alcuni sconosciuti irrompevano nei locali dell'emittente, cospargevano di benzina il giornalista e gli davano fuoco, procurandogli ustioni sul 40% del corpo. Anche l'operatrice Karen Anze rimaneva leggermente ferita. Quattro individui sospettati dell'attacco sono stati arrestati e uno è stato riconosciuto dallo stesso Vidal. Che in un'intervista concessa il 14 novembre ha accusato dell'attentato i membri del Poder Autonómico Nacional (Pan), raggruppamento formato da ex esponenti delle formazioni di destra Mir, Mnr e Adn. Il Pan, attualmente alleato con il Mas, è guidato dal sindaco di Yacuiba, Carlos Bru.

Anche Daguimar Rivera Ortiz, consigliera comunale di Guayaramerín (dipartimento del Beni), stava indagando su presunti episodi di corruzione. È stata assassinata il 19 giugno da due sicari mascherati, che le hanno esploso due colpi di arma da fuoco alla testa.

RISULTATI PARZIALI DEL REFERENDUM SUL TIPNIS. Il 71% delle comunità del Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro Sécure (Tipnis) finora consultate ha dato parere favorevole alla costruzione dell'arteria che dovrà collegare i dipartimenti di Cochabamba e del Beni attraversando la riserva naturale e ha respinto la Ley 108 de Intangibilidad, che proibisce la realizzazione di infrastrutture nella zona. Questo risultato parziale (si riferisce al 72% degli abitanti) del referendum sulla controversa questione del Tipnis è stato reso noto il 22 ottobre dal ministro per le Opere Pubbliche, Vladimir Sánchez.

Il caso Tipnis, emblematico del conflitto tra sviluppo economico e salvaguardia dell'ambiente, è stato ampiamente sfruttato dall'opposizione come dimostrazione delle contraddizioni tra il governo Morales e la sua base. Intervenendo sul tema nel suo recente libro Geopolítica de la Amazonia, il vicepresidente García Linera afferma che il progetto di collegamento viario rientra negli sforzi dell'esecutivo per unificare le diverse regioni del paese e sviluppare l'agricoltura del Beni. "Un altro aspetto riguarda una presunta immagine del Tipnis come una riserva vergine, che sarebbe violata dalla strada che il governo pensa di costruire - scrive il sociologo brasiliano Emir Sader presentando il lavoro di García Linera - Il libro dimostra con fatti, mappe e fotografie che quella regione è intensamente sfruttata da grandi imprese internazionali del settore del legno, del bestiame e della caccia allo yacaré, insieme ad altre attività. Per tali scopi ci sono diversi scali aerei clandestini e un intenso turismo internazionale. Così le ong internazionali e alcuni movimenti indigeni che propugnano l'assenza dello Stato difendono non l'inespugnabilità della riserva, ma la permanenza e l'estensione di questo sfruttamento". Difendendo in tal modo "gli interessi delle grandi imprese multinazionali e dei governi stranieri".

La protesta di una parte delle comunità native contro la costruzione della strada aveva registrato momenti drammatici in occasione dell'Octava Marcha Indígena, attaccata con violenza dalle forze di polizia nel settembre 2011. Anche la Novena Marcha aveva visto momenti di tensione: i manifestanti erano arrivati nei pressi di La Paz nell'ultima settimana di giugno, proprio mentre era in corso un duro braccio di ferro tra il governo e i poliziotti che reclamavano miglioramenti salariali. L'agitazione degli agenti, che erano giunti a scontrarsi con le organizzazioni contadine alleate del presidente Morales, era terminata solo con la firma di un accordo con cui l'esecutivo accettava parte delle richieste, e dopo che era stata sfiorata la guerra civile. A tale proposito García Linera aveva denunciato che il paese aveva vissuto "un'avvisaglia di colpo di Stato" e aveva accusato "politici infiltrati" di aver fomentato il conflitto per abbattere la democrazia.

14/11/2012


L'uragano Sandy devasta i Caraibi

Sandy non ha colpito solo gli Stati Uniti, anche se questa è l'immagine rimandata dalla stampa nostrana. Il 25 ottobre l'uragano si è abbattuto violentemente, con raffiche di vento fino a 200 chilometri all'ora, sulla regione orientale di Cuba, provocando undici morti e lasciando migliaia di persone senza casa. "Sembra una città bombardata", ha commentato il presidente Raúl Castro visitando Santiago, il secondo centro del paese con quasi mezzo milione di abitanti: ovunque macerie, alberi sradicati e devastazione. Agli ingenti danni materiali si sono aggiunte le ripercussioni della mancanza, per diversi giorni, di acqua potabile ed energia elettrica.

Ancora più drammatica la situazione ad Haiti, dove tre giorni di piogge torrenziali e di forti venti hanno causato 54 vittime; migliaia di famiglie hanno visto la loro abitazione distrutta o semidistrutta. Tra i più colpiti quanti vivevano in rifugi di fortuna, dopo il terremoto del 2010 da cui il paese non si è ancora ripreso. La furia degli elementi non ha risparmiato strade e ponti e soprattutto ha danneggiato le coltivazioni proprio durante la stagione del raccolto: le perdite in agricoltura si calcolano intorno ai 104 milioni di dollari. La Fao ha lanciato l'allarme: per 600.000 haitiani si profila il rischio dell'insicurezza alimentare.

La minaccia più grossa viene però dal colera. Le inondazioni provocate dal passaggio dell'uragano hanno portato a un aumento dei casi, mentre molti centri sanitari sono stati distrutti. Secondo i dati forniti il 6 novembre dal dottor Ronald François, coordinatore nazionale per la lotta alla malattia, si contano già 21 morti e oltre 2.200 malati. Sandy è la terza calamità naturale nel giro di pochi mesi: tra maggio e giugno si era registrata una grave siccità, in agosto la tormenta tropicale Isaac (24 morti ad Haiti, 5 nella Repubblica Dominicana).

TERREMOTO IN GUATEMALA: 52 MORTI. Un terremoto di 7,4° della scala Richter ha colpito il 7 novembre il Guatemala provocando 52 morti, centinaia di feriti e più di un milione di sfollati. Il sisma, con epicentro nel Pacifico, è stato avvertito anche in Salvador e Nicaragua. Alla prima scossa sono seguite innumerevoli repliche: la più forte il 9 novembre (4,5° Richter).

9/11/2012


Panama, marcia indietro del governo Martinelli

Il governo Martinelli ha dovuto cedere di fronte alla mobilitazione popolare. Il 28 ottobre l'Assemblea Nazionale, con voto unanime, ha abrogato la Ley 72 che promuoveva la privatizzazione dei terreni statali nella Zona Libre de Colón. Il provvedimento, approvato il 19 ottobre, aveva scatenato un'ondata di proteste con manifestazioni, scioperi e blocchi stradali soprattutto nella città di Colón e nella capitale. Policía Nacional e Senafront (Servicio Nacional de Fronteras), corpo militarizzato addestrato dal Southern Command statunitense, avevano risposto con una repressione brutale. Gli scontri tra forze di sicurezza e dimostranti avevano provocato tre morti, tra cui un bambino di nove anni, e decine di feriti; centinaia gli arrestati.

"Abbiamo dato al presidente Martinelli una lezione importante. Non tutto il patrimonio pubblico può essere oggetto della sua ambizione personale. La proprietà del popolo si rispetta", ha detto Edgardo Voitier, dirigente del Frente Amplio Colonense che ha promosso la ribellione contro la legge. La zona franca di Colón, creata nel 1948, conta oltre 3.000 imprese in attività, dà lavoro a 30.000 persone ed è considerata la seconda al mondo per importanza dopo Hong Kong. Nel 2011 ha mosso merci per quasi 30.000 milioni di dollari, con un apporto di 1.700 milioni al prodotto interno lordo panamense. Vi transitano prodotti provenienti da Cina, Giappone, Stati Uniti e destinati ai paesi dell'America Latina e dei Caraibi.

IN VIGORE IL TLC CON GLI USA. Con l'entrata in vigore il 31 ottobre del Tratado de Libre Comercio con gli Stati Uniti, gran parte delle merci Usa entrerà a Panama senza dover pagare alcuna imposta; il resto dei dazi sarà eliminato gradatamente nei prossimi anni. Ma se il governo si attende da questo accordo un aumento degli investimenti nordamericani, forti sono i timori degli imprenditori locali di non poter reggere la concorrenza. Il più vulnerabile appare il settore agricolo, visto che i prodotti statunitensi godono in patria di ampi sussidi.

I negoziati per il Tlc erano iniziati più di dieci anni fa. Il trattato venne firmato nel 2007 e ratificato poco dopo dal Parlamento panamense. Dal Congresso statunitense invece il sì venne solo nell'ottobre 2011. L'accordo finale è stato raggiunto qualche settimana fa con l'accettazione, da parte del governo Martinelli, di nuove imposizioni, tra cui l'applicazione a Panama della legislazione statunitense su proprietà intellettuale e brevetti.

Su Alai, América Latina en Movimiento Marco Gandásegui riassume così l'asimmetria esistente: "Nel 2010 le esportazioni statunitensi a Panama raggiunsero un totale di 8.200 milioni di dollari. Da parte sua Panama, esclusi i servizi marittimi (Canale di Panama) e bancari, esportò negli Usa meno di 500 milioni di dollari. Con il trattato, gli Usa prevedono che le loro esportazioni crescano fino a 20.000 milioni di dollari. Il Panama non ne trarrà alcun beneficio".

2/11/2012


Cile, la destra sconfitta nelle elezioni municipali

Le municipali del 28 ottobre hanno segnato una vera e propria débâcle per la destra al governo, che ha perso comuni importanti come Santiago (dove si è imposta Carolina Tohá, ex ministra del governo Bachelet) e Concepción (che ha visto la vittoria del democristiano Alvaro Ortiz). Da segnalare anche il trionfo a Providencia, municipio dell'area metropolitana di Santiago, di Josefa Errázuriz, espressione dei movimenti sociali: Josefa ha sconfitto il sindaco uscente Cristián Labbé, colonnello a riposo ed ex guardia del corpo del dittatore Pinochet.

Va detto però che tali risultati sono stati raggiunti in un quadro di forte astensionismo: quasi il 60% degli aventi diritto non si è recato alle urne. Un debutto non entusiasmante per il nuovo sistema di voto, che ha eliminato l'obbligatorietà e reso automatica e non più volontaria l'iscrizione nei registri elettorali. In questi registri sono comparsi sorprendentemente nomi di persone desaparecidas o defunte, compreso quello dell'ex presidente Salvador Allende.

Come si vede, da queste consultazioni - considerate l'anticamera delle presidenziali del 2013 - emergono segnali contraddittori. Da una parte un risveglio dell'opposizione, dall'altra un accentuato distacco dell'elettorato nei confronti dei partiti tradizionali. La politica cilena continua intanto a essere movimentata dalle lotte degli studenti per un'educazione "pubblica, gratuita e di qualità". Imponenti manifestazioni e occupazioni di istituti hanno contrassegnato negli ultimi mesi la vita delle scuole e delle università. La risposta del governo Piñera a questa ondata di proteste è stata, come sempre, la repressione. Anche l'11 ottobre il corteo di migliaia di giovani, scesi in piazza nella capitale per chiedere un adeguato incremento dei fondi destinati all'istruzione, si è concluso con violenti scontri tra dimostranti e forze di polizia e con decine di arresti.

SENTENZA A FAVORE DI COMUNEROS MAPUCHE. Importante sentenza della Corte Suprema a favore di due detenuti mapuche della comunità Wente Winkul Mapu. Nel caso di Daniel Levinao la Corte ha annullato la condanna, comminata da un tribunale militare, per il tentato omicidio di un ufficiale dei carabineros (il processo dovrà essere rifatto) e ha confermato unicamente la condanna per porto illegale di armi da fuoco. Quanto a Paulino Levipán, è stata disposta la sua liberazione perché la pena, inizialmente di dieci anni, è stata ridotta a tre anni e 541 giorni e potrà essere scontata fuori dal carcere. Levinao e Levipán erano rinchiusi nel penitenziario di Angol dove da due mesi attuavano lo sciopero della fame insieme ad altri due comuneros, Rodrigo ed Eric Montoya, in attesa di giudizio per tentato omicidio. Tutti e quattro hanno deciso di sospendere il digiuno. La comunità Wente Winkul Mapu rivendica diritti ancestrali su un'area di 2.500 ettari controllata da un'impresa forestale.

Alle richieste delle popolazioni indigene il governo continua a opporre solo la violenza poliziesca. Il 15 ottobre a Santiago il corteo "della dignità e della resistenza mapuche" è stato attaccato con idranti e gas lacrimogeni. Si è ripetuto così lo stesso copione del 27 luglio, quando un'imponente manifestazione (oltre mezzo milione di persone) era stata caricata dai carabineros. La mobilitazione era stata indetta per protestare contro la brutalità con cui, giorni prima, le forze di polizia avevano cacciato gli occupanti di quattro tenute nel municipio di Ercilla: numerosi i feriti, tra cui alcuni ragazzini. In quell'occasione le autorità avevano accusato le famiglie mapuche di usare i bambini come scudi umani: un'affermazione che aveva suscitato lo sdegno generale ed era stata contestata anche dall'Unicef.

30/10/2012


Brasile, a San Paolo vince il candidato di Lula

A giudicare unicamente dal numero delle città conquistate o perse, i risultati delle elezioni municipali del 7 e del 28 ottobre non sono stati particolarmente esaltanti per il Partido dos Trabalhadores, sconfitto in alcune importanti capitali tra cui Recife (nello Stato di Pernambuco, da cui proviene Lula), Belo Horizonte (Minas Gerais), città natale di Dilma Rousseff, e quello che un tempo era il suo tradizionale bastione, Porto Alegre (Rio Grande do Sul). Ma a controbilanciare questi insuccessi c'è un aumento considerevole dei consensi rispetto alle municipali del 2008. E c'è la vittoria a San Paolo, centro industriale e finanziario del paese. Una vittoria soprattutto di Lula che ha imposto un candidato semisconosciuto, l'ex ministro dell'Istruzione Fernando Haddad, superando lo scetticismo dei suoi compagni di partito. E invece Haddad ce l'ha fatta battendo José Serra, del Partido da Social Democracia Brasileira. Qualcosa di più di un trionfo locale: il "socialdemocratico" Serra, che non nasconde la sua simpatia per il Cile di Piñera e l'opposizione venezuelana, era stato l'avversario di Dilma Rousseff nelle presidenziali del 2010.

E un trionfo tanto più importante in quanto il Partido dos Trabalhadores, proprio nel pieno della campagna per il ballottaggio, ha dovuto far fronte a uno dei momenti più difficili della sua storia: il 22 ottobre il Tribunale Supremo Federale ha chiuso infatti, con una raffica di condanne, il processo per lo scandalo del mensalão. Il termine designa i pagamenti mensili che, durante il primo mandato di Lula, sarebbero stati versati a parlamentari delle formazioni alleate in cambio del voto favorevole ai progetti legislativi dell'esecutivo. Tra i condannati figurano tre esponenti di primo piano del Pt: l'ex capo di gabinetto José Dirceu, l'ex presidente del partito José Genoíno e l'ex tesoriere Delúbio Soares.

Il caso naturalmente è stato sfruttato fino in fondo dalla destra brasiliana. "È stato un giudizio atipico - scrive Eric Nepomuceno sul quotidiano argentino Página/12 - che si è sviluppato sotto l'insolita pressione dei mezzi di comunicazione, con l'applauso frenetico delle classi medie condotte per mano dai grandi gruppi mediatici e che termina senza grosse sorprese. Come si temeva, la Corte si è lasciata piegare dalla pressione esterna e ha politicizzato un processo che doveva essere esclusivamente giuridico". Con accuse basate in gran parte su illazioni e supposizioni, non su prove concrete, "due veterani combattenti delle lotte popolari, José Dirceu e José Genoíno, che negli anni della dittatura furono vittime di tribunali speciali (il primo fu espulso dal paese, l'altro scontò cinque anni di carcere e di tortura), sono ora vittime di un processo speciale". Il cui impatto sull'elettorato è stato comunque minore di quanto l'opposizione sperasse.

Mentre l'attenzione dell'opinione pubblica era tutta rivolta a quanto accadeva nelle aule del Tribunale Supremo, in un'altra Corte si faceva un passo avanti nella lotta all'impunità. Un magistrato di San Paolo ha avviato un procedimento penale a carico di un colonnello a riposo e due commissari, accusati del sequestro del giovane oppositore Edgar Aquino Duarte durante il regime militare. È la seconda volta che la magistratura brasiliana decide di procedere contro i responsabili di violazioni dei diritti umani, finora protetti dall'amnistia del 1979, argomentando che il reato di sequestro non si estingue finché la vittima permane desaparecida. Già a fine agosto una giudice federale di Marabá (Stato del Pará) aveva accolto le denunce presentate dal pubblico ministero contro due ufficiali della riserva, che negli anni Settanta conducevano la repressione della guerriglia dell'Araguaia. Durante le operazioni sotto il loro comando vennero catturati Divino Ferreira, Maria Corrêa, Hélio Navarro, Daniel Ribeiro, Antônio de Pádua Costa e Telma Cordeira: tutti furono torturati e poi fatti sparire.

29/10/2012


Uruguay, aborto consentito (con molti ostacoli)

A differenza di Tabaré Vázquez, che nel 2008 pose il veto alla depenalizzazione opponendosi alla volontà del suo stesso schieramento, il presidente José Mujica ha prontamente promulgato la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza. L'Uruguay si affianca dunque ai pochi paesi della regione - Cuba, Guyana, Puerto Rico, il Distrito Federal in Messico - in cui l'aborto è permesso. Ma le norme approvate il 17 ottobre dal Senato di Montevideo, con 17 voti a favore e 14 contrari (la Camera si era già espressa il 25 settembre con 50 sì e 49 no), prevedono una serie di ostacoli e di restrizioni.

L'intervento sarà possibile senza limiti di tempo in caso di pericolo per la salute o la vita della madre ed entro le prime quattordici settimane di gestazione in caso di stupro. A parte queste eccezioni, l'aborto sarà consentito entro le prime dodici settimane, ma la donna dovrà sottoporre a un medico del servizio sanitario nazionale le ragioni economiche, sociali, familiari o di età per le quali ritiene di non poter portare a termine la gravidanza. Il medico disporrà un incontro con un'équipe interdisciplinare che esponga all'interessata i rischi dell'operazione e le sue alternative: accedere ai programmi di aiuto socio-economicoalla maternità o dare in adozione il bambino. Seguirà un periodo obbligatorio di riflessione di cinque giorni al termine del quale, se la decisione viene confermata, si procederà all'interruzione della gravidanza. Le minorenni andranno accompagnate in questa trafila da un genitore, un tutore o qualcuno che le rappresenti, altrimenti dovranno ricorrere al parere di un giudice.

In un'intervista pubblicata su il manifesto del 19 ottobre la coordinatrice del Colectivo Cotidiano Mujer, Lilian Celiberti, definisce "profondamente umiliante" tale procedura: "Nessuna arriva alla decisione di abortire senza aver riflettuto sul proprio progetto di vita di fronte a una gravidanza indesiderata. Supporre che le donne abbiamo bisogno di essere 'orientatÈ da un gruppo di tecnici significa mortificare i loro diritti di cittadinanza. È come dover riconoscere come naturale la supervisione tecnica sui propri corpi e le proprie vite. In definitiva, questa legge obbliga ad accettare questa tutela per non essere considerate delle criminali".

Nonostante tali critiche, il collettivo riconosce in una dichiarazione che "questa legge costituisce un progresso", considerando "il contesto di criminalizzazione che in America Latina e nei Caraibi condanna alla clandestinità milioni di donne al momento di decidere sul loro corpo". Basti pensare che l'interruzione volontaria della gravidanza è considerata reato in qualsiasi circostanza in Salvador, Honduras, Nicaragua, Haiti, Repubblica Dominicana, Suriname e Cile (in quest'ultimo paese il Senato ha recentemente respinto i progetti di legge miranti a reintrodurre l'aborto terapeutico, reso illegale durante la dittatura Pinochet).

22/10/2012


Venezuela, Chávez rieletto presidente

Hugo Chávez è stato riconfermato il 7 ottobre per un nuovo mandato presidenziale fino al 2019, imponendosi con il 55% dei voti sul suo diretto avversario, Henrique Capriles, che si è fermato al 44%. La giornata di voto è trascorsa nella calma e ha registrato l'affluenza record dell'80%. Chávez si è affermato in 22 Stati (dei 24 complessivi), tra cui bastioni dell'opposizione come Miranda, Zulia e Carabobo.

Il risultato era ampiamente previsto, nonostante l'intensa campagna mediatica della destra volta a presentare l'immagine di un paese stanco del caudillo e pronto a voltar pagina. Un'immagine presa per buona all'estero, ma assai lontana dalla realtà: "Prima del 7 ottobre molti degli indicatori del grado di approvazione popolare del presidente venezuelano erano sotto gli occhi di chi volesse vederli - scrive Luis Hernández Navarro su La Jornada del 9 ottobre - Secondo il Rapporto sulla Felicità Mondiale 2012, realizzato dalla statunitense Columbia University, il Venezuela occupa il secondo posto in America Latina e il numero 19 nel mondo nella lista dei paesi più felici, superando Francia, Spagna, Messico, Brasile, Germania, Colombia, Giappone e Italia. Tra i parametri valutati nella ricerca si trovano l'istruzione, la salute, l'aspettativa di vita, le relazioni umane, l'impiego e il reddito economico familiare. Dallo studio di Latinobarómetro 2011, in cui si misura la percezione che la popolazione di 18 paesi latinoamericani ha dei suoi governi, delle sue istituzioni e dei suoi processi socioeconomici, il Venezuela è uscito molto bene. È il terzo paese della regione in cui la distribuzione della ricchezza è vista come molto giusta o giusta. Curiosamente il Cile, il paese che è presentato dagli apologeti del libero mercato come esempio da seguire, si è qualificato in questo campo all'ultimo posto".

La valutazione positiva dell'operato dell'esecutivo non è il frutto di una propaganda di regime: su 111 canali televisivi, 37 sono comunitari, 13 pubblici e ben 61 privati. Anche le emittenti radiofoniche sono in gran parte in mano privata. Quanto ai giornali, quattro su cinque sono controllati da oppositori. Eppure il successo dei programmi sociali (le Misiones) portati avanti in questi anni sui temi dell'educazione, della sanità, della casa è tale che persino Capriles, nei suoi comizi, è stato costretto ad assicurare che non li avrebbe eliminati.

Il governo dovrà ora impegnarsi ad affrontare i problemi irrisolti su cui la campagna dell'opposizione aveva puntato, primo tra tutti l'alto tasso di criminalità. Come ammette Rodrigo Cabezas, deputato del Partido Socialista Unido de Venezuela in un'intervista a Página/12, "la sicurezza è un tema urgente. Dobbiamo riuscire ad avere una presenza definitiva della polizia nazionale bolivariana che sia il modello di lotta alla mafia, alle bande, ai contrabbandieri". L'altra sfida riguarda la possibilità di affrancarsi da un'economia basata quasi unicamente sul petrolio: "Dobbiamo essere capaci di sviluppare un'industria e questo ci porta al Mercosur - afferma sempre Cabezas - Il Venezuela dovrebbe avviare un'aggressiva politica di industrializzazione orientata all'esportazione".

Il 10 ottobre il capo dello Stato ha annunciato che il ministro degli Esteri, Nicolás Maduro, è stato designato nuovo vicepresidente in sostituzione di Elías Jaua. Quest'ultimo lascerà l'incarico per candidarsi il 16 dicembre alla guida dello Stato di Miranda: dovrà competere con l'attuale governatore, proprio quell'Henrique Capriles appena sconfitto da Chávez.

10/10/2012


Guatemala, polizia ed esercito sparano sui contadini

Otto morti e una quarantina di feriti: è questo il bilancio della violenta repressione del 4 ottobre contro una mobilitazione di contadini maya del dipartimento di Totonicapán. I dimostranti avevano occupato la Carretera Panamericana per protestare contro il proibitivo costo dell'energia elettrica e per contestare un progetto di riforma delle scuole magistrali e soprattutto la proposta di emendamento costituzionale che eliminerebbe ogni riconoscimento alle autorità tradizionali indigene (facilitando così, come sta già avvenendo, la concessione delle terre comunitarie alle transnazionali minerarie ed energetiche). La polizia, intervenuta con l'appoggio dell'esercito, ha attaccato i picchetti facendo massiccio ricorso alle armi da fuoco.

Di fronte al pesante numero di vittime, il governo prima si è sforzato di giustificare l'operato delle forze di sicurezza affermando che avevano reagito a una provocazione, poi ha cercato di accreditare la versione che i colpi fossero stati sparati dagli stessi manifestanti. Versione prontamente smentita dalle testimonianze dei presenti e da numerose fotografie e filmati.

La repressione feroce di ogni opposizione è la politica dichiarata dell'esecutivo, come ha chiarito il ministro dell'Interno, Mauricio López Bonilla, nel corso di una conferenza stampa subito dopo il massacro. Con tono minaccioso Bonilla ha detto che "i guatemaltechi sono stufi dell'anarchia, dell'assenza di autorità, del mancato rispetto della legge. Per questo abbiamo avvertito, non è una minaccia, che i blocchi stradali sono assolutamente illegali, che violano il diritto di movimento". In base a tali considerazioni, un pacifico assembramento può essere disperso a fucilate. Un ritorno agli anni delle dittature militari, quando secondo le accuse il presidente Pérez Molina, allora alto ufficiale dell'esercito, si rendeva responsabile di ripetute violazioni dei diritti umani.

Del resto l'ex generale Pérez fin dall'inizio della sua gestione ha mostrato di voler criminalizzare il dissenso: militarizzazione dei territori comunitari, perquisizioni e arresti arbitrari sono ormai all'ordine del giorno. In maggio era stato imposto lo stato d'assedio per un mese a Santa Cruz Barillas, nel dipartimento di Huehuetenango, dopo la rivolta seguita all'uccisione di un leader contadino e al ferimento di altri due da parte delle guardie private della società spagnola Hidro Santa Cruz. I tre avevano già subito intimidazioni per essersi opposti alla decisione dell'impresa di costruire una centrale idroelettrica senza consultare gli abitanti della zona, come confermato dal rappresentante dell'Alto Commissariato dell'Onu per i Diritti Umani, Alberto Brunori. Ma il ministro dell'Interno, assecondando la versione del portavoce della Hidro Santa Cruz, sostenne che alla base dei disordini non c'era il proditorio attacco dei sicari dell'impresa, bensì una rissa tra ubriachi durante la festa del paese.

6/10/2012


Colombia, prove di dialogo tra Farc e governo

Come era prevedibile, Alvaro Uribe non si è unito al plauso generale all'annuncio dell'avvio del dialogo tra governo e guerriglia delle Farc. Fedele alla sua politica di "sicurezza democratica" (che puntava tutto sulla soluzione militare), l'ex presidente ha sconfessato l'operato del suo successore, Juan Manuel Santos. Quando rivestiva l'incarico di ministro della Difesa nel governo Uribe, Santos era considerato un esponente dell'ala dura; ma i tempi cambiano e da buon pragmatico ha deciso di adeguarsi. In luglio nella martoriata regione del Cauca settentrionale, sottoposta a settimane di sanguinosi scontri tra esercito e ribelli, era scoppiata la rivolta della comunità locale, che esigeva il ritiro di entrambi i contendenti. Come ha spiegato James Yatafué, dell'Asociación de Cabildos Indígenas del Norte del Cauca, "il principale obiettivo di questo processo di resistenza indigena è di consolidare un territorio autonomo, con un governo proprio, e promuovere una proposta di pace".

Non è solo la popolazione civile a non poterne più di questo conflitto infinito: per le stesse classi dominanti il prezzo da pagare comincia a essere troppo alto. La guerra, foraggiata dai milioni di dollari di aiuti statunitensi del Plan Colombia, permette forse di procrastinare la riforma agraria conservando sulle terre il dominio dei latifondisti, ma rischia di isolare il paese mentre in Sud America avanzano veloci i processi di integrazione. E c'è da considerare, come sottolinea in un'intervista a Página/12 l'analista Ariel Avila, del centro studi Corporación Nuevo Arco Iris, che "gran parte della ricchezza petrolifera ed energetica si trova nelle zone sotto controllo delle Farc; ci sono investitori che premono in questo senso". Non sorprende dunque che la svolta dialogante dell'esecutivo sia stata accolta positivamente dai diversi settori politici e sociali, dalla Chiesa alle organizzazioni imprenditoriali, dalle ong al Congresso alla magistratura; il generale Alejandro Navas, comandante delle forze militari, ha espresso "appoggio patriottico e sostegno incondizionato" alle scelte del capo dello Stato. Tra le poche voci critiche, oltre a Uribe e alla destra più radicale, il presidente della Federación Colombiana de Ganaderos (l'associazione degli allevatori), José Félix Lafaurie. Sul piano internazionale, dichiarazioni favorevoli sono giunte dagli Stati Uniti, dall'Unione Europea, dall'Unasur, dall'Organización de los Estados Americanos.

La gestione Uribe aveva lasciato la Colombia circondata da vicini ostili, in particolare il Venezuela di Chávez, più volte accusato da Bogotá di proteggere gli insorti, e l'Ecuador di Correa, teatro di sconfinamenti e di bombardamenti da parte dell'aviazione colombiana a caccia di guerriglieri (si veda l'episodio che portò alla morte di Raúl Reyes nel 2008). E tra i primi atti di governo di Santos c'è stato proprio il lento riavvicinamento a Caracas e a Quito.

In ottobre dunque inizieranno i colloqui, prima in Norvegia poi a Cuba, le due nazioni garanti, mentre a Venezuela e Cile è stato affidato il ruolo di "accompagnare" il processo di pace. Che non sarà semplice né breve, visto che si tratta di porre fine a un conflitto in corso da quasi cinquant'anni. E visto che i precedenti tentativi sono finiti nel nulla, come avvenne alla fine degli anni Novanta durante la presidenza Pastrana, o sono terminati in modo tragico come negli anni Ottanta, quando i guerriglieri che avevano deciso di deporre le armi e di confluire nel movimento politico Unión Patriótica vennero assassinati a migliaia dai paramilitari e dalle forze di sicurezza.

Pur tra mille difficoltà, le speranze di pace appaiono questa volta più concrete anche se, almeno finora, Santos ha escluso qualsiasi accordo per un cessate il fuoco durante il negoziato, anzi ha detto chiaramente che "verranno mantenute le operazioni e la presenza militare su ogni centimetro del territorio nazionale". Una contraddizione che pone una seria ipoteca sulle trattative. Inutili gli appelli a una tregua da parte della dirigente di Colombianas y Colombianos por la Paz, Piedad Córdoba, e di Todd Rowland, rappresentante in Colombia dell'Alto Commissariato dell'Onu per i Diritti Umani: gli scontri continuano e la lista dei caduti si allunga.

Il 4 settembre le due parti hanno formalmente resa pubblica l'agenda dei colloqui, che inizieranno in ottobre a Oslo. In un intervento televisivo il presidente Santos ha esposto temi e condizioni del negoziato. Poche ore dopo il numero uno delle Farc, Timochenko, in un discorso filmato presentato nella capitale cubana, ha ribadito l'opzione di una soluzione pacifica. Del resto era stato proprio il suo predecessore, Alfonso Cano, a lanciare chiari segnali di distensione nell'agosto 2011, quando in un video si era rivolto ai partecipanti all'Encuentro por la Paz di Barrancabermeja affermando: "Crediamo nel dialogo, riteniamo praticabile la parola centrale di questo evento e la consideriamo giusta". L'uccisione di Cano in novembre aveva rappresentato un colpo alle speranze di pace. Ma il seme era gettato: l'appello è stato raccolto nel gennaio scorso dallo stesso Timochenko e ha portato, a partire dal 23 febbraio all'Avana, a una serie di conversazioni esplorative sfociate in un accordo preliminare.

Le trattative vere e proprie verteranno su cinque punti fondamentali: le garanzie per la partecipazione politica dei futuri ex guerriglieri, la fine del confronto armato, la lotta contro il narcotraffico, i diritti delle vittime e soprattutto il tema agrario. La rivendicazione di un meno iniquo accesso alla terra è una delle ragioni dello scoppio, decenni fa, del conflitto. E tutt'oggi nelle campagne continua a scorrere il sangue: in giugno, in una zona rurale del dipartimento di Sucre, è stato assassinato da sicari il leader contadino Jairo Martínez, colpevole di aver guidato la lotta per la restituzione delle terre.

4/9/2012


Ecuador, Correa concede asilo politico ad Assange

Una vera e propria crisi diplomatica è scoppiata tra Londra e Quito dopo la decisione del governo Correa, annunciata il 16 agosto, di concedere asilo politico a Julian Assange. L'australiano fondatore di WikiLeaks si era rifugiato due mesi fa nell'ambasciata ecuadoriana dopo aver perso la sua battaglia legale contro la richiesta di estradizione avanzata dalla giustizia svedese, di fronte alla quale deve rispondere di due accuse di stupro. Assange teme, una volta giunto in Svezia, di venire consegnato agli Stati Uniti, dove un'eventuale incriminazione per spionaggio (con l'accusa di aver divulgato migliaia di documenti confidenziali, rivelando le pressioni e i condizionamenti di Washington sui governi di tutto il mondo) potrebbe comportare la pena di morte.

La protezione concessa dall'Ecuador ad Assange non è stata ben accolta dalla Gran Bretagna, che ha sfoderato toni da potenza imperialista, giungendo a minacciare un attacco alla sede diplomatica per procedere all'arresto. Ferma la risposta del ministro degli Esteri di Quito, Ricardo Patiño: "Non siamo una colonia britannica". E il presidente Correa ha ribadito: "In Ecuador c'è un governo sovrano che non si inginocchia davanti a nessuno".

A favore della posizione ecuadoriana si sono immediatamente schierate quasi tutte le nazioni latinoamericane. Prima i paesi dell'Alba, poi quelli dell'Unasur (entrambi i blocchi si erano riuniti a Guayaquil) hanno espresso il loro appoggio a Quito respingendo le minacce britanniche. La stessa Organización de los Estados Americanos, nell'incontro del 24 agosto a Washington, ha approvato una risoluzione di "solidarietà e sostegno" all'Ecuador di fronte ai tentativi di intimidazione di Londra. Come prevedibile, sul documento hanno manifestato riserve i rappresentanti di Stati Uniti, Canada, Panama e Trinidad and Tobago. Difficilmente comunque si arriverà a un assalto all'ambasciata: un simile gesto costerebbe assai caro al governo Cameron sul piano dei rapporti internazionali. Siamo dunque di fronte a una situazione di stallo, dato il rifiuto della Gran Bretagna di rilasciare ad Assange un lasciapassare perché possa raggiungere l'aeroporto e abbandonare il paese.

NIENTE PIU' MILITARI ALLA SCHOOL OF THE AMERICAS. Dopo l'Argentina, l'Uruguay, la Bolivia e il Venezuela, anche l'Ecuador ha deciso di non inviare più militari o agenti di polizia alla famigerata School of the Americas. L'annuncio formale è arrivato a fine giugno, dopo un incontro del presidente Rafael Correa con il religioso statunitense Roy Bourgeois, che da tempo si batte contro questa istituzione. Nata negli anni del dominio incontrastato di Washington sul continente, la School of the Americas - che nel 2001 si è trasformata in Western Hemisphere Institute for Security Cooperation senza mutare però le sue finalità - è stata definita "la scuola degli assassini". Ha infatti addestrato alla repressione e all'uso della tortura personaggi tristemente noti nella storia dell'America Latina, dal dittatore boliviano Hugo Banzer a quello argentino Leopoldo Galtieri, al leader degli squadroni della morte salvadoregni Roberto D'Aubuisson.

24/8/2012


Il Venezuela a pieno titolo nel Mercosur

Con l'ingresso a pieno titolo del Venezuela nel Mercosur, sancito il 31 luglio a Brasilia, il blocco commerciale si rafforza in maniera significativa. Non solo perché il suo pil complessivo si aggira ora intorno ai tre miliardi e mezzo di dollari, ma anche perché il nuovo socio può contare - a detta della Opep - sulle maggiori riserve certificate di petrolio del pianeta. Non per nulla la presidente brasiliana Dilma Rousseff ha plaudito alla nascita della "quinta potenza del mondo" (dopo Stati Uniti, Cina, India e Giappone), mentre l'argentina Cristina Fernández ha sottolineato che "l'incorporazione del Venezuela completa definitivamente l'equazione di ciò che sarà questo XXI secolo: energia, minerali, alimenti e scienza e tecnologia".

Non appare dunque eccessivo l'entusiasmo di Hugo Chávez, che ha salutato "la più grande locomotiva esistente per preservare l'indipendenza e accelerare lo sviluppo integrale dell'America Latina". "Mai nella storia abbiamo avuto un'opportunità come questa: è adesso o mai più e la sfida è enorme", gli ha fatto eco l'uruguayano José Mujica.

Al coro mancava solo la voce del governo paraguayano, sospeso dal Mercosur dopo la destituzione del presidente Lugo. Proprio tale assenza aveva consentito di rimuovere gli ostacoli alla candidatura di Caracas, a lungo bloccata dai veti del Parlamento di Asunción. E qui risiede - nell'opinione del politologo Atilio Boron (Página/12, 1 agosto) - l'importanza politica dell'inclusione del Venezuela nel blocco sudamericano: "L'isolamento di quel paese e la sua trasformazione in uno Stato paria era l'obiettivo strategico numero uno degli Stati Uniti dopo la sconfitta dell'Alca a Mar del Plata. Il Senato paraguayano si era prestato a quel gioco in cambio di una sostanziosa ricompensa per i suoi tribuni, ma il colpo di Stato perpetrato in un momento inopportuno contro Fernando Lugo ha rovinato, con sorpresa di Washington, i piani dell'impero. La Casa Bianca non si era resa conto che i tempi in cui i suoi desideri erano ordini erano stati definitivamente superati e mai avrebbe pensato che i governanti di Argentina, Brasile e Uruguay avrebbero avuto l'audacia di approfittare della sospensione del Paraguay a causa della violazione della clausola democratica del Mercosur per porre fine a un'assurda attesa di sei anni".

Un altro evento in aprile aveva già dimostrato il tramonto dell'incontrastato dominio di Washington in America Latina: a Cartagena, in Colombia, il sesto Vertice delle Americhe aveva registrato un sostanziale fallimento come i due precedenti (Port of Spain, Trinidad and Tobago 2009 e appunto Mar del Plata, Argentina 2005) concludendosi, per mancanza di consenso, senza una dichiarazione finale.

Meno di due mesi dopo a Tiquipaya (Bolivia), nel corso dell'Assemblea Generale dell'Oea i rappresentanti di Bolivia, Ecuador, Nicaragua e Venezuela, tutti paesi appartenenti all'Alba, annunciavano la decisione dei loro governi di ritirarsi dal Tiar (Tratado Interamericano de Asistencia Recíproca), il sistema di assistenza militare che dovrebbe garantire le nazioni del continente da attacchi esterni. Come ricordava il ministro degli Esteri di Quito, Ricardo Patiño, il Tiar aveva subito un colpo durissimo nel 1982 durante la guerra delle Malvinas, quando gli Stati Uniti avevano negato il loro appoggio all'Argentina privilegiando l'alleanza con la Gran Bretagna. "I nostri paesi - queste le parole di Patiño - hanno deciso di seppellire ciò che merita di essere seppellito, di gettare nel bidone della spazzatura ciò che non serve più".

1/8/2012


Argentina, storica condanna per i ladri di bambini

Si trattò di "delitti di lesa umanità eseguiti mediante una pratica sistematica e generalizzata di sottrazione, appropriazione e occultamento di minori d'età, sfumando, alterando o sopprimendo la loro identità in occasione del sequestro, della prigionia, della scomparsa o della morte delle loro madri, nel quadro di un piano generale di annichilamento che si esercitò su parte della popolazione civile, con il pretesto di combattere la sovversione utilizzando metodi del terrorismo di Stato". Lo ha stabilito il 5 luglio la storica sentenza del tribunale federale presieduto da María del Carmen Roqueta, chiamato a giudicare il furto dei bambini nati nei centri clandestini di detenzione durante il regime militare.

Per questo reato il dittatore Jorge Rafael Videla è stato condannato a cinquant'anni di prigione. Pene severe anche per altri sette repressori, tra cui Reynaldo Bignone, Santiago Riveros, Antonio Vañek e Jorge El Tigre Acosta. "È un giorno memorabile per l'Argentina e per tutto il mondo civile, che sa che in un paese dove non c'è giustizia non può esserci democrazia", ha commentato la presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo, Estela de Carlotto.

E a proposito delle violazioni dei diritti umani durante la dittatura, sono emersi nuovi particolari sul ruolo dell'allora nunzio apostolico Pio Laghi e dell'episcopato argentino. Un ruolo più attivo di quanto non si fosse finora pensato: la Chiesa non si limitò a tacere su quegli orrori, ma in alcuni casi "offrì i suoi buoni uffici" per informare della morte dei figli le famiglie di cui si era certi che non avrebbero divulgato la notizia, per indurle a cessare le ricerche. Le gerarchie cattoliche insomma si fecero garanti del silenzio dei parenti delle vittime. Lo ha rivelato lo stesso Videla in un'intervista concessa alla rivista El Sur tempo fa, ma resa nota solo recentemente e di cui riferisce il 22 luglio il quotidiano Página/12.

LA SPACCATURA NELLA CGT. Si è consumata il 12 luglio la spaccatura nella Cgt, la Confederación General del Trabajo. Hugo Moyano è stato rieletto segretario generale nel corso di un congresso invalidato dal Ministero del Lavoro (in Argentina viene riconosciuta un'unica centrale dei lavoratori) e contestato da diverse federazioni sindacali, che hanno fissato per il 3 ottobre un congresso alternativo. Moyano, dirigente dei camionisti, era stato a lungo sostenitore dei governi kirchneristi, passando all'opposizione dopo la rielezione di Cristina Fernández.

Lo strappo con l'esecutivo si era consumato in giugno, prima con un'agitazione dei camionisti guidata dal figlio di Hugo Moyano, Pablo, agitazione che aveva provocato gravi problemi di trasporto e di approvvigionamento nel paese, poi con uno sciopero generale contro il governo e con una manifestazione in Plaza de Mayo appoggiata dai grandi media conservatori, che aveva avuto scarse ripercussioni nelle regioni dell'interno. Va detto che la divisione nella Cgt non corrisponde a una distinzione destra-sinistra: in entrambi gli schieramenti sono presenti, infatti, categorie corporative e talvolta conniventi con gli interessi del padronato.

Nella Cgt era già avvenuta nel 2008 una prima rottura, con la separazione di una frazione di orientamento antigovernativo denominata Cgt Azul y Blanca, condotta da Luis Barrionuevo. Anche la Cta, la Central de Trabajadores de la Argentina che da anni lotta per ottenere il riconoscimento legale, è divisa in due tronconi: da una parte il settore filogovernativo che fa capo a Hugo Yasky, dall'altra quello d'opposizione di Pablo Michelli. A questo quadro vanno aggiunti i sindacati di base, che hanno dimostrato in molti casi un forte potere di mobilitazione.

22/7/2012


Messico, il Pri vince tra proteste e accuse di brogli

Le elezioni del primo luglio hanno incoronato presidente Enrique Peña Nieto, del Partido Revolucionario Institucional. Lo dice l'Instituto Federal Electoral che l'8 luglio ha pubblicato i risultati definitivi dello scrutinio, dopo aver proceduto a ricontare circa la metà dei suffragi per tacitare le molteplici proteste: il candidato del Pri ha ottenuto il 38,2% contro il 31,5% di Andrés Manuel López Obrador (coalizione Movimiento Progresista), il 25,4 di Josefina Vázquez Mota (Pan) e il 2,2% di Gabriel Quadri (Panal). Fin qui i dati ufficiali. Ma sono stati in molti ad accoglierli con scetticismo, visto che da ogni parte emergono prove di brogli e testimonianze di una sfacciata compravendita di voti e su YouTube fioriscono i filmati che documentano la distribuzione di regali agli elettori (come i buoni della catena di grandi magazzini Soriana) e perfino i reclami di chi, pur avendo votato come richiesto, non ha ricevuto il compenso promesso.

Per non parlare dei finanziamenti occulti che sono andati ben al di là del tetto consentito, dei sondaggi truccati, dell'appoggio aperto delle tv e in particolare di Televisa, che ha costruito l'immagine di Peña Nieto come il candidato "nuovo" in lotta contro la corruzione e ha contemporaneamente lavorato per demonizzare il suo avversario López Obrador (come ha rivelato il quotidiano britannico The Guardian, erano stati stipulati veri e propri contratti in tal senso tra il Pri e il canale televisivo). Del resto brogli e anomalie hanno sempre contraddistinto le elezioni messicane: basti ricordare il 1988, quando a metà dello spoglio un improvviso blocco nel sistema informatico interruppe il flusso dei dati, che davano in vantaggio l'esponente del Prd Cuauhtémoc Cárdenas; una volta sistemato il "guasto", era passato in testa il priista Carlos Salinas de Gortari. O il 2006, quando il panista Felipe Calderón sconfisse per uno strettissimo margine lo stesso López Obrador.

"Questo primo luglio nelle urne in Messico si sono confrontati due paesi. Uno, cittadino e critico, che anela a un destino differente. L'altro clientelare, timoroso del cambiamento, obbediente alle gerarchie politiche. Ha vinto il paese della restaurazione, quello che ha scambiato il proprio voto con i buoni spesa di Soriana, i pacchi di generi alimentari, la promessa di un lavoro". Così, su La Jornada del 3 luglio, Luis Hernández Navarro, che aggiunge: "Le elezioni hanno lasciato un'amara sensazione di offesa in ampi settori della popolazione, specie tra i giovani universitari. La loro volontà democratica è stata presa in giro dalla telecrazia, dai dinosauri del Jurassic Park priista e dalle autorità elettorali che hanno chiuso gli occhi. Le irregolarità che hanno visto e patito per la strada e nei seggi non esistono ufficialmente. Per loro, la restaurazione autoritaria è una realtà".

I giovani sono stati la grande rivelazione della campagna elettorale 2012. Senza sostenere apertamente nessun candidato, hanno espresso il rifiuto della parte migliore della popolazione contro la manipolazione informativa dei grandi media. "La primavera messicana", come è stata definita, era iniziata l'11 maggio, giorno in cui Peña Nieto si era recato all'Universidad Iberoamericana, un ateneo privato frequentato dai rampolli delle classi alte, per un intervento elettorale. Accolto da urla e fischi e costretto a una poco dignitosa ritirata, il candidato aveva attribuito l'attacco a falsi studenti pagati dai suoi avversari. Per controbattere tali accuse, 131 universitari in un video avevano rivendicato la protesta dimostrando, credenziali alla mano, di essere effettivamente iscritti alla Iberoamericana. Il video innescava sulle reti sociali la nascita del movimento YoSoy132 (Sono il 132°), che subito raccoglieva migliaia di adesioni vivacizzando, con mobilitazioni e cortei, la campagna elettorale.

La protesta è continuata anche dopo il voto: già il giorno seguente migliaia di dimostranti, in gran parte giovani, manifestavano a Città del Messico per chiedere trasparenza nei risultati elettorali. Il 7 luglio la mobilitazione si estendeva a tutto il paese coinvolgendo centinaia di migliaia di persone. Bersaglio preferito degli slogan lo strapotere televisivo: Peña no ganó, Televisa le ayudó (Peña non ha vinto, Televisa l'ha aiutato) e Queremos escuelas, no telenovelas (Vogliamo scuole, non telenovelas).

STORIE DI ORDINARIA VIOLENZA. Un paese in guerra: questo è il Messico a giudicare dalla cronaca quotidiana. Il 28 aprile a Xalapa (Stato di Veracruz) viene trovato nella sua casa il cadavere di Regina Martínez: presenta segni di strangolamento e contusioni in tutto il corpo. Corrispondente della rivista di sinistra Proceso, Martínez era da tempo impegnata nella denuncia della criminalità organizzata e della corruzione statale. Pochi giorni dopo, esattamente il 3 maggio a Boca del Río, sempre nello Stato di Veracruz, vengono ritrovati i corpi smembrati di altri tre giornalisti e dell'impiegata di un quotidiano locale. Il 18 maggio a Hermosillo, Stato di Sonora, è rinvenuto il cadavere torturato e avvolto in sacchi di plastica di Marco Antonio Avila García, che lavorava per alcuni media locali. Cinque giorni prima René Orta Salgado, ex redattore del quotidiano El Sol de Cuernavaca, era stato trovato ucciso all'interno della sua auto a Cuernavaca (Morelos). Orta Salgado aveva lasciato da qualche mese il giornalismo per partecipare alla campagna elettorale del candidato presidenziale del Pri, Peña Nieto. Il 14 giugno, di nuovo a Xalapa, viene trovato il cadavere mutilato di Víctor Manuel Báez Chino, che curava la cronaca nera di Milenio El Portal de Veracruz ed era direttore di Reporteros Policiacos.com: accanto al corpo un messaggio de Los Zetas rivendica l'omicidio.

Accanto ai giornalisti, le vittime principali sono i leader delle comunità indigene. Il 16 maggio viene rinvenuto il cadavere dell'insegnante Teódulo Santos Girón: insieme a Trinidad de la Cruz Crisóforo, assassinato in dicembre, era stato tra i promotori del recupero nel 2009 delle terre comunitarie di Ostula (Stato del Michoacán). In quell'occasione aveva dichiarato in un'intervista: "Il nostro movimento è legale, pacifico, civile e costituzionale ed è stato creato per far rispettare i nostri diritti e la nostra autonomia. Le leggi sono dalla nostra parte. L'articolo due della Costituzione dice che abbiamo diritto a esercitare la nostra autonomia e i nostri costumi".

Sempre nel Michoacán è drammatica la situazione dei comuneros di Cherán, da anni in lotta contro il taglio indiscriminato degli alberi operato dai commercianti di legname, che agiscono con l'appoggio del crimine organizzato. Stanchi del disinteresse delle autorità, gli abitanti hanno costituito una sorta di autogoverno e realizzato turni di vigilanza per proteggere i loro boschi, ma questa battaglia è già costata numerose vite. Il 24 maggio è stato rinvenuto il corpo del dirigente comunitario Jesús Sebastián Ortiz, 70 anni, scomparso da una settimana. Poco più di un mese prima, uno scontro a fuoco con gli abitanti del vicino villaggio di El Cerecito si era chiuso con il pesante bilancio di otto morti. E il 10 luglio sono stati trovati assassinati altri due contadini di Cherán, Urbano Macías Rafael y Guadalupe Gerónimo Velázquez: i corpi presentavano tracce di tortura.

10/7/2012


Paraguay, golpe istituzionale contro Lugo

Come già in Honduras nel 2009 il golpismo istituzionale è tornato a colpire, questa volta in Paraguay. Per il successo del colpo di Stato ad Asunción è stato determinante il voltafaccia del Partido Liberal Radical Auténtico (centrodestra) del vicepresidente Federico Franco, che ha appoggiato con i suoi voti la richiesta di processo politico a carico del presidente Lugo presentata dal Partito Colorado (destra) e sostenuta dagli altri partiti di opposizione (Unace e Patria Querida). Così, dopo un giudizio sommario durato meno di due giorni, e senza concedere all'accusato nemmeno il tempo necessario per preparare la difesa, il 22 giugno un Congresso screditato ha decretato la destituzione di Lugo per "cattiva gestione". Il vice Franco guiderà il paese fino al termine dell'attuale mandato, nell'agosto del prossimo anno, ma il suo sarà un governo debole, privo di legittimità popolare e ostaggio dei colorados che detengono la maggioranza in Parlamento.

Già in precedenza vi erano stati tentativi di deporre Lugo per via parlamentare, tutti andati a vuoto: i tradizionali gruppi di potere non si erano mai rassegnati a un governo progressista, sia pure assai moderato. Questa volta hanno saputo sfruttare gli avvenimenti della settimana precedente a Curuguaty, nel dipartimento di Canindeyú, dove la Liga Nacional de Carperos (i sin tierra) aveva occupato una porzione della vastissima tenuta di Blas Riquelme, ex senatore colorado e uno dei più ricchi imprenditori del paese. Gli occupanti chiedevano che quegli ettari, ottenuti da Riquelme grazie a cavilli legali, venissero assegnati a contadini poveri (secondo le ultime stime, l'80% dei terreni è in mano al 2% dei proprietari).

In seguito all'intervento di sgombero da parte della polizia scoppiavano violenti scontri, che provocavano 17 morti (tra cui sei agenti) e decine di feriti. I media legati al potere economico attribuivano la responsabilità agli occupanti, parlando di un attacco armato contro le forze dell'ordine e chiamando in causa anche i guerriglieri dell'Ejército del Pueblo Paraguayo. Una ricostruzione che non stupisce il noto militante per i diritti umani Martín Almada. "Da molti anni e dopo la dittatura - ha dichiarato Almada a La Jornada - continuiamo a registrare uccisioni di contadini e di poveri e di nuovo si vuole far credere che siano loro gli attaccanti armati o qualche confusa versione su presunti guerriglieri". Secondo il giornalista Idilio Méndez Grimaldi, il gruppo di poliziotti "è caduto in un'imboscata di franchi tiratori, mescolati con i contadini che reclamavano le terre per poter sopravvivere".

Un massacro costruito dunque come monito alle organizzazioni in lotta per la riforma agraria e divenuto poi un ottimo pretesto per sbarazzarsi del governo. A nulla era valso il tentativo del presidente di comporre la crisi sostituendo il ministro dell'Interno, Carlos Filizzola, con l'esponente colorado Rubén Candia Amarilla, fautore di una linea dura di fronte alle occupazioni di terre. Del resto questo è stato fin dall'inizio l'errore più grosso di Lugo: cercare di uscire dall'isolamento politico accontentando i poteri forti anziché consolidando la base popolare che lo aveva eletto e che da lui si attendeva delle vere riforme.

Ma perché la destra ha scelto di sferrare la sua offensiva proprio adesso, a pochi mesi dalle presidenziali in cui - a detta di molti osservatori - appare favorita? Un'analisi di Alai, América Latina en Movimiento del 25 giugno, cita tra le cause "la messa in discussione dei circa otto milioni di ettari di terra acquistati in modo illecito (distribuiti illegalmente dal dittatore Stroessner e dai suoi successori colorados), che sono attualmente utilizzati per la coltivazione di soia transgenica, e le azioni del Senave, il Servicio Nacional de Calidad y Sanidad Vegetal y de Semillas, che hanno frenato la liberazione commerciale di altre colture transgeniche". Si riferisce in particolare al cotone della Monsanto, che il responsabile del Senave, Miguel Lovera, aveva rifiutato di autorizzare per mancanza del parere favorevole dei ministri della Sanità, Esperanza Martínez, e dell'Ambiente, Oscar Rivas. Per tutta risposta la Monsanto aveva scatenato durissimi attacchi contro Lovera attraverso l'Unión de Gremios de Producción e una campagna denigratoria nei confronti dei due ministri dalle pagine del quotidiano Abc Color, controllato dal potente Grupo Zuccolillo. Ai tradizionali interessi dei latifondisti, dunque, si sono aggiunti quelli delle transnazionali del settore biotecnologico. Per non parlare di Washington: mentre era in corso il processo politico contro il legittimo presidente, rappresentanti delle forze armate statunitensi si incontravano con deputati paraguayani per trattare l'installazione di una base militare nel Chaco.

"Oggi non è Fernando Lugo che subisce un golpe, ma la storia paraguayana, è la sua democrazia quella che è stata ferita profondamente", ha dichiarato il capo dello Stato subito dopo la destituzione, denunciando il modo codardo e sleale con cui erano stati violati tutti i principi della difesa. Si è poi rivolto ai suoi sostenitori, che a migliaia circondavano il Congresso, invitandoli a protestare in modo pacifico: "Che il sangue dei giusti non venga mai più versato per interessi meschini nel nostro paese", ha esclamato. La risposta di organizzazioni sociali e movimenti politici di sinistra è stata immediata: Frente Guazú e altre forze progressiste hanno dato vita al Frente por la Defensa de la Democracia, che nel suo primo comunicato "respinge e condanna il governo golpista di Federico Franco e convoca tutto il popolo paraguayano a difendere il processo democratico e le istituzioni repubblicane con una mobilitazione permanente". L'appello è stato raccolto soprattutto nelle campagne, con manifestazioni e blocchi stradali in diverse zone del paese.

Da parte delle nazioni vicine la condanna del golpe è stata pressoché unanime. Argentina e Venezuela hanno ritirato il loro ambasciatore ad Asunción (il governo di Caracas ha anche interrotto l'esportazione di idrocarburi). Brasile, Uruguay e Cile hanno richiamato per consultazioni i loro rappresentanti diplomatici. E il 29 giugno, nella località argentina di Mendoza, si è consumato l'isolamento dei golpisti a livello regionale: il vertice del Mercosur e la riunione straordinaria dell'Unasur hanno sancito la sospensione del Paraguay fino alle elezioni dell'aprile 2013. Il Mercosur ha inoltre deciso l'ingresso del Venezuela come membro a pieno titolo: era dal 2006 che il governo di Caracas attendeva questa ammissione, bloccata proprio dal Parlamento paraguayano. Sul fronte opposto, Stati Uniti e Germania si sono affrettati a riconoscere Federico Franco come presidente. Ma il primo in assoluto a rendere omaggio al nuovo governo è stato il nunzio apostolico, Eliseo Ariotti. Del resto i rappresentanti della Conferenza Episcopale, ancor prima della destituzione, avevano esercitato pressioni su Lugo perché si dimettesse, giustificando tale richiesta con il desiderio di evitare incidenti.

29/6/2012


Perù, Humala sempre più a destra

Con una lettera in cui accusano il presidente Humala di "esser venuto meno alla sua parola e agli impegni presi con il paese", i congressisti Javier Diez Canseco e Rosa Mavila Lima hanno annunciato la loro decisione di abbandonare il gruppo parlamentare Gana Perú, come già aveva fatto la rappresentante del Cuzco, Verónika Mendoza. Quest'ultima, nella sua dichiarazione di rinuncia, sottolineava come il governo, anziché realizzare i profondi cambiamenti promessi, in realtà "mantiene il modello neoliberista. Un modello primario esportatore che non genera sviluppo interculturale e democratico né mercati locali articolati, che conserva la precarizzazione del lavoro e che difende gli interessi dei gruppi di potere economico".

Il messaggio di Diez Canseco e Mavila Lima entra maggiormente nel dettaglio, criticando lo stravolgimento della Ley de Consulta Previa (l'obbligo di consultazione delle comunità indigene in merito ai progetti di sfruttamento nei loro territori), la mancanza di un'adeguata strategia contro la corruzione, la continuazione delle privatizzazioni e la promozione di un enorme concentramento della proprietà della terra. Anche sul piano dei rapporti internazionali - affermano i due parlamentari - il Perù è ritornato nel solco tracciato da Alan García, che nell'aprile 2011 aveva favorito la nascita dell'Alianza del Pacífico con l'obiettivo di "ridimensionare l'orizzonte di integrazione latinoamericana rappresentato da Unasur". L'Alianza, che raggruppa gli alleati di Washington nella regione (Messico, Colombia, Perù, Cile e, in qualità di osservatori, Costa Rica e Panama), si è formalmente costituita il 6 giugno nella località cilena di Paranal.

Ma la critica maggiore alla politica di Humala riguarda la connivenza nei confronti dell'industria estrattiva, responsabile di enormi danni all'ecosistema. In diverse regioni le comunità si sono mobilitate con scioperi e manifestazioni in difesa dell'ambiente: ricordiamo la Marcha Nacional por el Agua da Cajamarca a Lima, che in febbraio ha visto la partecipazione di migliaia di persone. "Di fronte a un'azione dello Stato priva di autonomia nei confronti delle grandi compagnie minerarie, i problemi ambientali e sociali si acutizzano", scrivono Diez Canseco e Mavila Lima. E il governo per tutta risposta "decreta con facilità lo stato d'emergenza e disconosce il dialogo con le organizzazioni sociali", alimentando violenza e militarizzazione. A Espinar, nel dipartimento del Cuzco, in maggio è esplosa la rivolta contro l'impresa svizzera Xstrata Tintaya, che nella sua attività di estrazione del rame inquina le risorse idriche con metalli pesanti. Puntuale è scattata la repressione: due morti, decine di feriti, oltre venti detenuti, sospensione delle garanzie costituzionali.

Tra gli arrestati anche il sindaco di Espinar, Oscar Mollohuanca, colpevole di aver appoggiato la protesta e di aver denunciato che la polizia aveva fatto fuoco a bruciapelo contro la popolazione (Mollohuanca è stato liberato dopo una decina di giorni). In questa regione dove Humala aveva raccolto, lo scorso anno, l'80% dei voti, ora i manifestanti urlano: "Ollanta assassino, il popolo ti ripudia". Non è sorprendente se si considera il risultato di dieci mesi di governo, riassunto da Diez Canseco su La República dell'11 giugno: "Dodici morti in conflitti sociali, decine di feriti (civili e poliziotti), varie zone in stato d'emergenza o in procinto di esserlo (con soppressione dei diritti democratici) e governi municipali o regionali perseguitati o semplicemente sospesi illegalmente dall'esecutivo".

12/6/2012


Argentina, desaparecidos: la Chiesa sapeva

Anche se le gerarchie cattoliche lo hanno sempre negato, erano in pochi a credere che la Chiesa, durante la dittatura, fosse all'oscuro della sorte riservata ai prigionieri politici, torturati e poi fatti sparire dai militari. Ora però è ufficiale: i vescovi sapevano e non fecero nulla per fermare il genocidio. Affrontarono la questione con il dittatore Jorge Videla, ma solo per decidere come comportarsi di fronte alle sempre più pressanti denunce dei familiari dei desaparecidos.

Il colloquio avvenne nel corso di un pranzo il 10 aprile 1978 ed ebbe come protagonisti, oltre a Videla, l'allora presidente della Conferenza Episcopale, cardinale Raúl Primatesta, e i suoi due vice, Juan Aramburu e Vicente Zazpe. Conosciamo i contenuti dell'incontro da una nota segreta destinata al Vaticano, tuttora conservata nell'archivio dell'Episcopato e resa pubblica in maggio dal quotidiano Página/12. Videla spiegò che non era facile ammettere l'uccisione dei sequestrati, perché tale rivelazione avrebbe dato origine a nuovi interrogativi sulle circostanze di quelle morti, sui responsabili, sul destino dei cadaveri, "una serie di domande cui l'autorità di governo non può rispondere con sincerità per le conseguenze sulle persone" (cioè sui repressori). A questa preoccupazione del dittatore, il cardinale Primatesta rispose assicurando tutta la comprensione e la cooperazione della Chiesa, "cosciente dello stato di caos in cui si trovava il paese". La riunione terminava così con una sostanziale assoluzione di assassini e torturatori.

Una copia della nota pubblicata da Página/12 è stata inviata dall'Episcopato alla giudice Martina Forns, che conduce la causa intentata dai familiari di Roberto Santucho (il comandante dell'Erp abbattuto dall'esercito nel 1976 e i cui resti non sono mai stati ritrovati). In tal modo i vescovi hanno confermato l'autenticità del documento. Del resto, a chiarire la natura dei loro rapporti con il regime bastano le parole dello stesso Videla, recentemente intervistato da un giornalista spagnolo: "La mia relazione con la Chiesa cattolica è stata eccellente, molto cordiale, sincera e aperta".

DUE NUOVE LEGGI AMPLIANO I DIRITTI. Due leggi che collocano l'Argentina all'avanguardia nel campo della bioetica sono state approvate il 9 maggio dal Senato (la Camera aveva già dato parere favorevole). La prima stabilisce il diritto a una morte dignitosa: il paziente - o un suo familiare se il malato non è cosciente - può rinunciare alle cure quando queste non offrano possibilità di recupero e servano solo a prolungare l'agonia o la vita vegetativa. La seconda riguarda il riconoscimento dell'identità di genere, che d'ora in poi dipenderà dalla percezione individuale e non da quanto riportato sull'atto di nascita: chiunque potrà recarsi all'anagrafe e chiedere che sui suoi documenti vengano modificati nome e sesso.

Sui giornali argentini questi due importanti traguardi sono stati legati al nome di due donne. Selva Herbón, madre di Camila, si è battuta a lungo perché alla figlia venisse staccato il respiratore, ponendo fine così a una vita che non è mai stata veramente tale: da quando Camila è venuta al mondo, tre anni fa, versa in stato vegetativo permanente. La travestita Malva, novant'anni, ha salutato con gioia la fine di una discriminazione per la quale ha dovuto soffrire ingiurie, percosse e arresti in diversi paesi del continente: "Mi perseguitavano dovunque. Non avevo diritto a niente, non l'ho mai avuto", ha raccontato a Página/12.

26/5/2012


Repubblica Dominicana, nel segno della continuità

Con oltre il 51% dei voti Danilo Medina Sánchez si è aggiudicato la vittoria al primo turno nelle elezioni presidenziali del 20 maggio. Una vittoria nel segno della continuità: Medina appartiene al Partido de la Liberación Dominicana, al governo dal 2004 con Leonel Fernández (già capo dello Stato in un precedente mandato dal 1996 al 2000), e la sua vice sarà Margarita Cedeño, moglie di Fernández. Non si attendono dunque grossi cambiamenti nell'attuale linea politica neoliberista. Del resto il diretto avversario di Medina, Hipólito Mejía, del Partido Revolucionario Dominicano (presidente dal 2000 al 2004), era espressione degli stessi interessi economici e degli stessi gruppi di potere, tanto che nel corso della campagna risultava difficile differenziare i programmi politici dei due candidati.

Entrambi i partiti furono fondati da Juan Bosch, primo presidente democraticamente eletto del paese e simbolo della resistenza alla dittatura prima e all'invasione straniera poi. Ma il Prd non è più lo stesso che, dopo essersi opposto per anni al regime di Trujillo, combatté nel 1963 il golpe e lottò nel 1965 contro l'intervento militare Usa. E il Pld non onora certo il suo impegno originario, quello di farsi portavoce dei bisogni dei settori popolari. Dopo il trionfo, Medina ha riaffermato le sue priorità: favorire gli investimenti esteri, lo sviluppo di zone franche e un accordo di libero commercio con Haiti.

22/5/2012


Panama, Martinelli e il caso Lavitola

Il caso Lavitola continua ad agitare le acque politiche di Panama. Il capo dello Stato Martinelli ha denunciato il vicepresidente Juan Carlos Varela, chiedendo 30 milioni di dollari di risarcimento per i danni che gli sarebbero stati causati dalle "false" accuse di corruzione mossegli dal suo vice. In precedenza Martinelli aveva chiesto pubblicamente a Varela di dimettersi, accusandolo di "non far nulla" per il paese. Aveva ottenuto un netto rifiuto: "Servo un popolo e non un governo corrotto", era stata la risposta. La rottura tra i due data dall'agosto scorso, quando è venuta meno l’alleanza tra il partito Cambio Democrático di Martinelli, che detiene la maggioranza in Parlamento, e il Partido Panameñista di Varela.

La cifra di 30 milioni di dollari è proprio quella che - secondo Varela - il presidente avrebbe ricevuto come tangente dal faccendiere Valter Lavitola, in cambio dell'assegnazione a una società italiana di un contratto (poi sfumato) per la costruzione di quattro istituti di pena. Lavitola, attualmente detenuto in Italia, sta fornendo agli inquirenti numerosi elementi sui collegamenti d'affari tra i due paesi. Dalle sue dichiarazioni emerge il pesante coinvolgimento di Martinelli nello scandalo delle carceri e nei favori al gruppo Finmeccanica (commesse per l'acquisto di radar, elicotteri e sistemi di cartografia da satellite). Lavitola risulta legato anche all'impresa dominicana IBT Group, vincitrice di contratti miliardari per la realizzazione di ospedali e altre strutture sanitarie. I rapporti del faccendiere con i centri di potere a Panama erano molto stretti: il segretario privato del presidente forniva all'italiano ogni facilitazione per gli spostamenti. Come "ricompensa" Martinelli otteneva non solo denaro, ma lussuose vacanze in Sardegna insieme alla moglie e ad altri membri del governo.

POLIZIA SEMPRE PIU' MILITARIZZATA. Prosegue, in maniera sempre più accelerata, la militarizzazione della polizia. Lo denuncia il docente universitario Marco Gandásegui su Alai, América Latina en Movimiento del 29 marzo: "Invece di creare un esercito per difendere le frontiere o vigilare il nostro spazio aereo o le acque territoriali, si è creato un apparato militarizzato per controllare tutti gli aspetti relativi alla vita politica del paese. Le comunità, le città, le strade e le zone rurali sono oggetto di un permanente presidio militare. Il poliziotto confonde il cittadino con un pericoloso nemico dello Stato".

E il nemico appare ancora più pericoloso se appartiene alle comunità indigene. In febbraio il governo ha represso con durezza le manifestazioni della popolazione ngöbe-buglé, guidata dalla cacica general Silvia Carrera, contro una proposta di legge in discussione in Parlamento. La proposta minacciava di vanificare l'accordo raggiunto lo scorso anno, che impegnava l'esecutivo a proteggere le risorse idriche e a proibire lo sfruttamento minerario nella zona (ricchissima di rame). Due morti, una cinquantina di feriti e un centinaio di persone arrestate: questo il bilancio degli scontri tra dimostranti e forze di sicurezza. La mediazione della Chiesa cattolica ha portato alla sospensione delle proteste e all'avvio di un dialogo tra le parti, ma la tensione nella regione rimane alta.

11/5/2012


Honduras, la resistenza non si arrende

"L'impunità è molto forte. Stanno eliminando giornalisti, avvocati, maestri, stanno disarticolando i movimenti sociali e i sindacati con il terrore e la persecuzione. I giovani vengono perseguitati. E mai come ora ci sono tante donne assassinate". Così Bertha Oliva, coordinatrice del Cofadeh (Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos en Honduras), intervistata in marzo dal quotidiano argentino Página/12, descrive la drammatica situazione del suo paese. Una situazione non certo migliorata dopo il formale riconoscimento del governo Lobo da parte della comunità internazionale: "A partire dal ritorno dello Stato in seno all'Oea si sono sentite legittimate tutte le strutture di terrore esistenti. Rappresentano un potere consolidato. L'Honduras vive uno stato d'emergenza in materia di diritti umani uguale o peggiore a quello degli anni Ottanta". Bertha Oliva sa bene di che cosa sta parlando: suo marito, Tomás Nativí, è desaparecido dal 1981. Era un insegnante impegnato nelle lotte sociali, che aveva contribuito alla nascita dell'Unión Revolucionaria del Pueblo.

A dimostrare che il massacro di oppositori non si è fermato bastano pochi esempi. L'11 aprile è stato assassinato Adonis López Alvarado, del Movimiento Unificado Campesino del Aguán (Muca): è stato raggiunto da sei proiettili di grosso calibro mentre in moto si dirigeva verso La Confianza, proprietà recuperata dal Muca e ora oggetto di trattative tra latifondisti, governo e organizzazioni contadine. Il giorno prima ignoti killer avevano teso un'imboscata a un gruppo di contadini, uccidendo il cinquantenne Arnold Robles e ferendone altri tre. A quanto pare i sicari dei grandi proprietari terrieri possono agire del tutto indisturbati nonostante la presenza, nella zona dell'Aguán, dei soldati impegnati nell'operazione di "pacificazione" Xatruch II.

Il primo maggio è stata la volta del giovane indigeno lenca Santos Alberto Domínguez Benítez, membro del Copinh, il Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas. Santos Alberto è stato freddato da un agente per aver osato protestare contro l'irruzione della polizia nell'abitazione della madre a San Bartolo, dipartimento di Intibucá. La tensione nella zona è molto alta: da tempo la comunità lotta per la difesa dell'ambiente e contro la prevista costruzione di una diga.

La resistenza comunque non si arrende. In aprile sono continuate le mobilitazioni, culminate il 19 nel Día de la Protesta Nacional contro l'alto costo della vita e gli aumenti di combustibili e servizi pubblici: migliaia di persone sono scese in piazza a Tegucigalpa e a San Pedro Sula, mentre in diversi punti del paese si realizzavano blocchi stradali. Anche il Primo Maggio ha visto massicce manifestazioni in almeno 14 dipartimenti. Nella capitale, al termine del corteo ha preso la parola Xiomara Castro, moglie del deposto presidente Zelaya e candidata alle elezioni del 2013 per il Partido Libertad y Refundación (Libre). Fondata proprio da Manuel Zelaya, Libre è una coalizione di organizzazioni sociali e contadine e raggruppamenti di sinistra.

2/5/2012


Colombia, dalle Farc un passo verso la pace

Come "gesto umanitario" e senza contropartita sono stati liberati il 2 aprile gli ultimi dieci soldati e agenti di polizia ancora in mano alle Farc. Il rilascio, più volte annunciato e poi rinviato a causa degli scontri in atto nella zona prescelta, è avvenuto infine in un villaggio nei pressi del fiume Guaviare. Ad accogliere gli ex prigionieri la commissione composta dai rappresentanti di Colombianas y Colombianos por la Paz, del governo brasiliano e della Croce Rossa Internazionale.

Parlando con i giornalisti l'ex senatrice Piedad Córdoba, che era accompagnata dalla guatemalteca Rigoberta Menchú, ha definito le liberazioni "un atto di pace delle Farc". Al rilascio si è aggiunta infatti l'assicurazione, da parte della dirigenza della guerriglia, che la pratica del sequestro verrà abbandonata. Una posizione che non va intesa come un segno di debolezza, sostiene su La Jornada del primo aprile il giornalista Jorge Enrique Botero: "La decisione presa dal nuovo capo delle Farc, Timochenko, più che una conseguenza dei colpi subiti negli ultimi anni dalla guerriglia, con la successiva morte dei suoi massimi capi, Tirofijo, Raúl Reyes, Iván Márquez, Mono Jojoy, Alfonso Cano, è il prodotto di un cambiamento generazionale, cambiamento di mentalità di un gruppo armato che mantiene una grande capacità di fuoco e d'azione".

La palla passa ora al governo, sostiene ancora Botero: "Il presidente Juan Manuel Santos ha sempre detto che avrebbe negoziato con le Farc se avessero consegnato tutti gli ostaggi e avessero smesso di sequestrare. Queste due condizioni si stanno compiendo. Ora Santos ha la possibilità di usare la sua famosa chiave per aprire la porta della pace, avanzando in un dialogo per la soluzione pacifica". E uno dei primi passi potrebbe riguardare la situazione dei circa 9.000 detenuti politici: non solo membri dei gruppi armati, ma difensori dei diritti umani, dirigenti contadini, sindacalisti, studenti. Per ora comunque nessun segno concreto è giunto dall'esecutivo, neppure di fronte all'intervento divulgato dall'agenzia Anncol il 18 aprile, con cui Timochenko ribadisce la volontà di dialogo del gruppo guerrigliero.

NASCE IL CONSEJO NACIONAL PATRIOTICO. Più di 80.000 persone hanno sfilato in corteo il 23 aprile a Bogotá per celebrare la costituzione della nuova forza di sinistra, il Consejo Nacional Patriótico, nato dal movimento Marcha Patriótica. Al Consejo, che raggruppa oltre 1.500 organizzazioni sociali e politiche, hanno aderito Piedad Córdoba, l'ex parlamentare Gloria Cuartas, la senatrice Gloria Inés Ramírez, l'attrice Gloria Ariza e Jaime Caycedo, tra i promotori negli anni Ottanta dell'Unión Patriótica (i cui membri furono assassinati a migliaia dai paramilitari e dall'esercito).

Il Consejo Nacional Patriótico è ideologicamente vicino all'Alba, l'Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América, e ai partiti progressisti latinoamericani. Sul fronte opposto, il governo Santos ha denunciato che dietro la nuova formazione si nascondono le Farc: un pretesto per giustificare le imponenti misure di sicurezza, i posti di blocco sulle strade di accesso alla capitale e le foto e le riprese filmate di aderenti e simpatizzanti.

E alle intimidazioni sono presto seguiti i fatti. Il 18 aprile Hernán Henry Díaz, dirigente contadino del dipartimento di Putumayo, è scomparso mentre preparava la partecipazione della locale delegazione alla manifestazione di Bogotá. Anche Martha Cecilia Guevara Oyola, leader comunitaria di San Vicente del Caguán, risulta desaparecida: è stata vista l'ultima volta il 20 mentre si apprestava a partire per la capitale. Il 27 è stato ucciso, a colpi d'arma da fuoco, Mao Enrique Rodríguez: faceva parte della scorta di Carlos Lozano Guillén, direttore dell'organo del Pcc Semanario Voz. Lo stesso giorno, nel dipartimento di Valle del Cauca, veniva assassinato Daniel Aguirre, segretario generale del sindacato dei tagliatori di canna.

Anche il mese di marzo aveva registrato le sue vittime. Il 15 era caduto sotto i colpi di un killer il giornalista Argemiro Cárdenas Agudelo, direttore di una radio comunitaria del dipartimento di Risaralda ed ex sindaco del comune di Dosquebradas. Otto giorni dopo Manuel Ruiz e il figlio quindicenne Samir erano stati sequestrati e uccisi da un gruppo di paramilitari nel dipartimento del Chocó. Manuel Ruiz era stato più volte minacciato per essersi battuto a favore dei contadini che reclamano le terre strappate loro dai latifondisti.

28/4/2012


Brasile, contadini e giornalisti nel mirino

Nello Stato di Pernambuco due lavoratori rurali sem terra sono stati assassinati in poco più di una settimana. Il 23 marzo a Jataúba due uomini incappucciati hanno ucciso Antônio Tiningo, uno dei coordinatori dell'accampamento della fazenda Ramada. La fazenda, occupata da più di tre anni da famiglie contadine, era stata fatta sgomberare senza alcun mandato giudiziario dal nuovo proprietario, un imprenditore del ramo della speculazione immobiliare. Le famiglie avevano però rioccupato l'area e da quel momento venivano costantemente minacciate.

Il primo aprile nel comune di Gameleira è stato colpito a morte Pedro Bruno. Secondo il Movimento Sem Terra, il crimine costituisce una risposta alla rioccupazione della tenuta Pereira Grande, di proprietà dell'impresa Usina Estreliana. Nel 2003 l'area era stata dichiarata di interesse sociale ai fini della riforma agraria, ma con una serie di ricorsi l'impresa era riuscita a bloccare il processo di esproprio.

Il giorno prima a Nova Califórnia (Rondônia) era stata assassinata un'altra lavoratrice rurale, Dinhana Nink, 28 anni. I killer erano penetrati nella sua abitazione sparandole a bruciapelo di fronte al figlioletto di cinque anni. La giovane, che aveva già ricevuto ripetute minacce, lo scorso anno era stata aggredita e la sua casa data alle fiamme. La sua colpa: aver denunciato il taglio illegale di alberi nella zona.

E il 23 aprile è caduto sotto i colpi di un sicario il reporter del quotidiano O Estado do Maranhão, Décio Sá. Il giornalista teneva anche un noto blog in cui affrontava i temi della politica statale, con inchieste e denunce: per questo si era guadagnato numerosi consensi, ma anche molti nemici.

24/4/2012


Argentina, lo Stato recupera il controllo di Ypf

Nata nel 1922 come compagnia petrolifera pubblica, Ypf (Yacimientos Petrolíferos Fiscales) venne privatizzata negli anni Novanta, nel quadro dello smantellamento del patrimonio nazionale attuato dal presidente Menem. Fu una vera e propria truffa ai danni dello Stato, come racconta Eric Toussaint: "Menem ha affidato alla banca nordamericana Merrill Lynch la valutazione del valore di Ypf. La Merrill Linch ha ridotto deliberatamente del 30% le riserve petrolifere disponibili, per sminuire il valore di Ypf prima che fosse messa in vendita. Una volta realizzata la privatizzazione, la parte delle riserve occultate è riemersa nei conti. Gli operatori finanziari che avevano comprato a basso prezzo le azioni dell'impresa hanno potuto così ricavare guadagni formidabili grazie all'aumento delle quotazioni in borsa".

Adesso lo Stato recupera il controllo della compagnia per decisione del governo di Cristina Fernández, che il 16 aprile ha decretato l'espropriazione del 51% delle azioni in mano alla spagnola Repsol, dichiarando di interesse pubblico l'approvvigionamento di idrocarburi. "Non siamo di fronte a un fatto inedito - ha spiegato la presidente - In America Latina siamo l'unico paese che non gestisce le sue risorse naturali". In tal modo l'esecutivo ha voluto rispondere a una situazione ormai insostenibile: l'Argentina, un tempo esportatrice di combustibili, a causa del crollo della produzione si era vista costretta ad acquistarli all'estero, con pesanti conseguenze sulla bilancia commerciale. E questo mentre la multinazionale moltiplicava i suoi dividendi.

L'annuncio della nazionalizzazione di Ypf ha ricevuto il pieno sostegno dei sindacati ed è stato accolto da manifestazioni spontanee di giubilo in Plaza de Mayo. Ben diverse le reazioni all'estero, dove il governo Fernández, scrive La Jornada nel suo editoriale del 18 aprile, "è stato oggetto di una campagna di linciaggio politico e mediatico". Alle proteste e alle minacce di ritorsione da parte di Madrid si sono aggiunte le pressioni del Fondo Monetario Internazionale e dell'Unione Europea e le critiche di diversi paesi, in particolare gli Stati Uniti. Sulla stampa spagnola il provvedimento è stato definito con una vasta gamma di espressioni negative: "saccheggio", "arbitrio", "populismo intimidatorio", "azione ostile". Gli attacchi non hanno spaventato Buenos Aires: tre giorni dopo, l'esproprio del 51% delle azioni veniva esteso all'impresa Ypf Gas, anch'essa controllata da Repsol.

In marzo, con un altro importante progetto di legge approvato in via definitiva dal Congresso, erano state introdotte importanti modifiche al quadro normativo (di stampo neoliberista) del Banco Central. Gli obiettivi della massima autorità monetaria sono stati significativamente ampliati: oltre al controllo dell'inflazione, la Banca Centrale argentina può ora adottare politiche volte alla stabilità finanziaria, all'occupazione e allo sviluppo economico con equità sociale. Una proposta in tal senso era già stata presentata nel 2007 dall'allora deputata Mercedes Marcó del Pont, ma si era scontrata con la resistenza delle istituzioni finanziarie. Nel 2010 Mercedes Marcó veniva chiamata a presiedere il Banco Central e finalmente quest'anno la riforma ha potuto essere concretizzata.

19/4/2012


Cile, la regione di Aysén in lotta

La regione di Aysén, nella Patagonia cilena, è il simbolo dell'isolamento. Ma da qualche tempo è diventata anche il simbolo della mobilitazione contro la centralizzazione del potere. Dal 13 febbraio la comunità è scesa in lotta, con occupazione di edifici pubblici e blocchi stradali, per protestare contro l'alto costo della vita e l'abbandono in cui è stata lasciata dal governo. Tra le richieste, sussidi per la piccola e media impresa, riduzione del prezzo dei combustibili, investimenti nella costruzione di infrastrutture. Il Movimiento Social por la Región de Aysén, che raggruppa una trentina di organizzazioni, può contare sull'appoggio di Marisol Martínez, sindaca di Puerto Aysén. Ma da parte ufficiale la risposta è stata l'invio di agenti antisommossa, che hanno fatto ampio uso di lacrimogeni e proiettili di gomma.

"Conosco la povertà fino in fondo e sento tutti i giorni il dolore altrui, e questo gli dà un senso, il fatto di poter dire che c'è qualcosa che possiamo fare". Così Iván Fuentes, portavoce del movimento, ribadiva con parole semplici la decisione degli abitanti di andare avanti, nonostante gli attacchi della polizia e le irruzioni dei carabineros nelle case. "La violenza non inizia con le barricate - affermava Fuentes - comincia molto prima. C'è una violenza nel disprezzo, nell'abbandono, nei bisogni della gente, nel dimenticarsi di quelli che avremmo dovuto rappresentare".

La mobilitazione dunque non si è fermata, neanche quando 22 persone, pescatori, contadini, casalinghe, sono state denunciate in base alla legge sulla sicurezza dello Stato. E la protesta, accompagnata dall'efficace slogan Aysén: tu problema es mi problema, ha trovato vasta eco nel paese: in diverse città si sono svolte manifestazioni di sostegno; artisti e leader studenteschi si sono recati nella regione per portare la loro solidarietà. Questo appoggio a livello nazionale ha rafforzato le posizioni del movimento, che il 23 marzo è riuscito a strappare al governo un primo accordo (da perfezionare in una serie di incontri successivi). Tra i punti principali previsti dall'intesa vi è la creazione di una zona franca, che risolva in parte i problemi di emarginazione della regione. In seguito alla "tregua" raggiunta, a fine mese sono state ritirate anche le 22 denunce.

A uscire sconfitto dal patto tra popolazione ed esecutivo è stato il ministro dell'Energia, Rodrigo Alvarez, del raggruppamento di estrema destra Unión Demócrata Independiente: dopo aver seguito le direttive de La Moneda, che gli imponevano la linea dura, ha appreso dell'accordo solo dai giornali. Per questo non gli è rimasta altra alternativa che rassegnare le dimissioni. Resta invece saldamente al suo posto il ministro dell'Interno, Rodrigo Hinzpeter, nonostante le aspre critiche che si è attirato per il ricorso indiscriminato alla violenza poliziesca. Hinzpeter del resto era già tristemente noto per la repressione delle manifestazioni studentesche e per l'atteggiamento razzista con cui, in gennaio, aveva attribuito alla comunità mapuche la responsabilità degli incendi nei boschi del Bío Bío e dell'Araucanía (costati la vita a sette guardie forestali).

Nel pieno del conflitto dell'Aysén, il presidente Sebastián Piñera ha celebrato l'11 marzo il secondo anniversario del suo insediamento. Un compleanno non molto felice, visto che i sondaggi indicano la sua popolarità in forte calo. Probabilmente irritato da tali risultati, nel corso di un programma televisivo il capo dello Stato si è scagliato contro ogni forma di protesta, affermando che "c'è gente disposta a incendiare tutto il Cile perché a questo governo non vada bene" e che gli oppositori sono guidati da "malvagità nell'anima".

Tra questi oppositori rimangono in prima linea gli studenti, che alla fine dello scorso anno avevano costretto Piñera a cambiare nuovamente il ministro dell'Istruzione, rimpiazzando Felipe Bulnes con il "tecnico" Harald Beyer. E mentre l'esecutivo mostrava la crisi della sua politica educativa, Camila Vallejo, fino a dicembre presidente della Federación de Estudiantes, figurava nei sondaggi come uno dei quattro personaggi meglio valutati del paese.

Anche nel primo trimestre del 2012 il movimento studentesco è sceso in piazza, collegandosi con le lotte sociali (non ultima quella dell'Aysén) e scontrandosi a più riprese con la polizia. Ed erano soprattutto studenti quelli che in migliaia hanno manifestato nel Día del Joven Combatiente, anniversario dell'uccisione il 29 marzo 1985, da parte dei carabineros, dei fratelli Rafael ed Eduardo Vergara Toledo. A Santiago, Valparaíso, Concepción e Lota si sono registrati incidenti tra dimostranti e agenti, con il bilancio di decine di feriti e centinaia di detenuti. Nella capitale i carabineros sono entrati senza autorizzazione nel campus dell'Usach (Universidad de Santiago de Chile), arrestando numerosi giovani.

30/3/2012


Benedetto XVI alla "riconquista" dell'America Latina

L'America Latina è da tempo al centro delle preoccupazioni del Vaticano. L'avanzare delle sette evangeliche, le lotte della società civile per la legalizzazione dell'aborto e per i matrimoni gay, il continuo emergere di casi di abusi sessuali perpetrati da membri del clero stanno erodendo il tradizionale consenso in una delle regioni del mondo più importanti per la Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, con la loro battaglia contro la Teologia della Liberazione, hanno chiuso gli occhi di fronte alla miseria e all'ingiustizia, scegliendo invece il dialogo con il potere.

Non si può dimenticare l'incontro nel 1987 del papa polacco con il dittatore Pinochet, con cui conversò amabilmente all'arrivo in Cile e a fianco del quale si affacciò al balcone de La Moneda per salutare la folla, a cui mandò le felicitazioni per le sue nozze d'oro e per il quale si adoperò nel 1999 contro la richiesta di estradizione avanzata dal giudice Garzón. In quell'occasione Giovanni Paolo II addusse "motivi umanitari": motivi che aveva dimenticato quando le Madres de Plaza de Mayo gli avevano chiesto aiuto per i figli massacrati da un altro dittatore, l'argentino Videla (anche a favore di quest'ultimo Wojtyla intervenne, appoggiando la decisione di Menem di concedere l'indulto a lui e agli altri membri della giunta militare).

Anche il successore Ratzinger ha sempre cercato la vicinanza con i potenti. E in Messico, prima tappa del suo breve viaggio latinoamericano (cinque giorni in tutto, dal 23 al 28 marzo), i candidati presidenziali si sono disciplinatamente presentati alla messa del pontefice. Quando al presidente Calderón, ha voluto essere il primo a ricevere la comunione. In cambio della benedizione papale a un governo che ha portato il paese sull'orlo del baratro, in Senato si discuteva una riforma costituzionale favorevole agli interessi della Curia (la riforma è stata approvata il 28 marzo, a porte chiuse, con i voti di Pri e Pan e attende ora la ratifica dei Congressi locali). La modifica dell'articolo 24, che consiste nell'aggiungere al principio di libertà di religione, già presente nella Carta Magna, quello di libertà di coscienza e di convinzioni etiche, è stata portata avanti nonostante le proteste del mondo laico. Si apre così la strada alla possibilità per i sacerdoti di officiare - senza previa autorizzazione - cerimonie religiose al di fuori dei luoghi di culto, di gestire mezzi di comunicazione di massa, di presentare la propria candidatura alle elezioni e soprattutto di insegnare religione nelle scuole pubbliche.

Le decine di corrispondenti stranieri giunti in Messico per l'occasione hanno però potuto partecipare, a León, alla presentazione del libro La voluntad de no saber, di José Barba, Alberto Athié e Fernando M. González (ed. Grijalbo), che riporta documenti e rivelazioni sui reati di pedofilia di Marcial Maciel, il fondatore dei Legionarios de Cristo. Secondo gli autori, se tali documenti fossero stati resi pubblici prima, avrebbero potuto mettere in discussione la beatificazione di Giovanni Paolo II, grande protettore di Maciel. Quanto a Benedetto XVI, si è rifiutato di ricevere le vittime del prete pedofilo.

I media occidentali hanno comunque dato risalto soprattutto alla visita del pontefice a Cuba. Parlando con i giornalisti durante il volo d'andata, Ratzinger si era già espresso sui cambiamenti in corso sull'isola. "È evidente che al giorno d'oggi l'ideologia marxista come era concepita non corrisponde più alla realtà", aveva sentenziato, aggiungendo che è necessario trovare "nuovi modelli" e che la Chiesa intende aiutare tale processo. Si stanno aprendo nuovi spazi, insomma, e il Vaticano intende approfittarne per rafforzare la propria influenza nella società cubana. Passi significativi in questa direzione erano già stati compiuti nel 2011: in febbraio era stata resa nota la firma di un accordo di ricerca e di collaborazione sul piano didattico tra il Centro di Bioetica Giovanni Paolo II e l'ateneo statale dell'Avana. E qualche mese dopo l'Universidad Católica San Antonio de Murcia aveva inaugurato due sedi per il conseguimento di master e dottorati in Sviluppo Sociale e Direzione d'Impresa.

L'apertura di centri d'insegnamento sull'isola testimonia la rilevanza che la Chiesa ha acquistato nel paese, superiore alla sua reale presenza tra la popolazione (i cattolici dichiarati sono circa il 10%). Quanto alla visita papale, grazie alla copertura garantita da radio e televisione di Stato è diventata un vero evento mediatico, che ha richiamato centinaia di migliaia di cubani. Un tale successo ben valeva la rottura con la dissidenza (cui Ratzinger ha negato qualsiasi udienza), il colloquio di mezz'ora con Fidel Castro e la critica all'embargo statunitense, che Benedetto XVI ha formulato in termini generici prima di ripartire per Roma. Una critica che non inciderà minimamente sulle decisioni di Washington, come ha fatto subito sapere il Dipartimento di Stato Usa. In ogni modo, con il viaggio papale, il governo di Raúl e la sua politica di riforme hanno ottenuto un considerevole rafforzamento sul piano internazionale.

Chiusura totale invece da parte del pontefice nei confronti dei rappresentanti della santería (nata dal sincretismo tra elementi del cattolicesimo e credenze tradizionali yoruba), che gli avevano chiesto un incontro. Considerati con sufficienza dalle gerarchie ecclesiastiche, i culti afro sono praticati dall'80% dei cubani e negare la loro esistenza, ha fatto notare Lázaro Cuesta, uno dei sacerdoti della santería, significa "negare il nostro patrimonio nazionale".

29/3/2012


Uruguay, le responsabilità dello Stato

"Lo Stato uruguayano riconosce la sua responsabilità istituzionale per la sparizione forzata di María Claudia García Iruretagoyena de Gelman". Questa la frase letta il 21 marzo dal presidente Mujica nel Palacio Legislativo di Montevideo, alla presenza del poeta argentino Juan Gelman e della nipote Macarena. All'atto pubblico hanno assistito anche i comandanti in capo delle tre armi e l'ex presidente Tabaré Vázquez. Assenti invece i predecessori Julio María Sanguinetti, Luis Alberto Lacalle e Jorge Batlle. Quest'ultimo, pochi giorni prima, aveva affermato polemicamente che a chiedere perdono dovrebbero essere i tupamaros: "Se non ci fosse stata la guerriglia, non ci sarebbe stata la dittatura militare".

María Claudia García Iruretagoyena, al settimo mese di gravidanza, e il marito Marcelo, figlio di Juan Gelman, furono sequestrati a Buenos Aires nell'agosto del 1976. Marcelo venne ucciso in Argentina e i suoi resti furono ritrovati nel 1989. María Claudia venne trasportata in Uruguay, dove fu assassinata dopo aver dato alla luce la piccola Macarena (il suo nome figura ancora tra i desaparecidos). Ignara della sua vera origine, la bambina venne cresciuta da un commissario di polizia e da sua moglie e solo nel 2000, grazie all'instancabile ricerca del nonno, ha potuto recuperare la sua identità.

La storica dichiarazione del 21 marzo - come ha ricordato lo stesso Mujica - è stata dettata dalla sentenza della Corte Interamericana per i Diritti Umani del 24 febbraio 2011. Una sentenza che è riuscita a spezzare il lungo periodo di impunità di cui hanno goduto i repressori anche dopo il ritorno della democrazia. La Ley de Caducidad impediva il rinvio a giudizio dei responsabili dei crimini di quegli anni. Rarissime le eccezioni: tra queste l'ex dittatore Juan María Bordaberry, condannato per una serie di sequestri e omicidi oltre che per attentato alla Costituzione (Bordaberry è morto nel luglio dello scorso anno mentre era agli arresti domiciliari).

Solo nell'ottobre scorso il Parlamento ha finalmente approvato la legge che dichiara di lesa umanità i crimini del regime militare e annulla di fatto la Ley de Caducidad (in merito dovrà comunque pronunciarsi la Corte Suprema). Il primo dicembre giungeva la conferma che le spoglie ritrovate qualche settimana prima nella sede del Batallón de Infantería 14 appartenevano al docente e giornalista Julio Castro, scomparso nel 1977, fondatore del settimanale Marcha e tra gli iniziatori del Frente Amplio. E proprio riferendosi all'uccisione di Julio Castro, il comandante in capo dell'esercito, Pedro Aguerre, rompeva pochi giorni dopo il patto d'omertà vigente nelle forze armate. "L'esercito non accetterà, tollererà o coprirà assassini e delinquenti nelle proprie file", affermava Aguerre sollecitando appoggio, dentro e fuori l'istituzione, per raccogliere informazioni sulle responsabilità dei militari in questo e in altri casi. Era la prima volta dalla fine della dittatura che un alto ufficiale si esprimeva in quel modo: un altro segno di una svolta nella storia uruguayana.

21/3/2012


Messico, ucciso leader ambientalista

Bernardo Vásquez Sánchez, della Coordinadora de Pueblos Unidos del Valle de Ocotlán, era un punto di riferimento nella battaglia contro la devastazione ambientale provocata dall'impresa Mina Cuzcatlán, filiale della canadese Fortuna Silver Mines, a San José del Progreso (Stato di Oaxaca). Il 15 marzo Bernardo Vásquez è stato assassinato da un commando armato, probabilmente al soldo della compagnia mineraria. Il leader ecologista era stato più volte minacciato per la sua coraggiosa opposizione all'attività estrattiva, che sfruttando le risorse idriche locali sta mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa della comunità. Nella zona la tensione è altissima: già in gennaio era stato ucciso un altro attivista, Bernardo Méndez Vásquez.

L'attacco contro militanti ambientalisti e dirigenti contadini si aggiunge alla violenza dello Stato, denunciata nella relazione presentata il 5 marzo a Ginevra, al Consiglio per i Diritti Umani dell'Onu, dal gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate. Secondo il rapporto, sono tremila le persone scomparse dal 2006 e il loro sequestro, anche quando avvenuto ad opera di bande criminali, ha spesso contato sull'appoggio e la complicità di funzionari pubblici. Tra le vittime figurano soprattutto donne, immigrati, difensori dei diritti umani, giornalisti. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno documentato inoltre arresti arbitrari, torture, trattamenti inumani o degradanti da parte dell'esercito e delle altre forze di sicurezza. Nel loro atto d'accusa affermano che il Messico non si adopera a sufficienza "per punire i responsabili e garantire verità e riparazione del danno" e parlano di "impunità cronica".

Un'impunità che viene da lontano: da decenni le forze armate costituiscono lo strumento utilizzato dalle classi dominanti per reprimere e mantenersi al potere. Lo ha ricordato in febbraio la presidente della Commissione Diritti Umani del Senato e del Comité Eureka, Rosario Ibarra: "Dal governo di Gustavo Díaz Ordaz elementi dell'esercito hanno fatto sparire e hanno assassinato civili. Sono una vittima di queste violazioni: mi hanno strappato mio figlio e ho una lista di oltre cinquecento scomparsi dell'epoca di Echeverría".

Uno dei principali responsabili della guerra sucia di quegli anni, Miguel Nazar Haro, ex responsabile della Dirección Federal de Seguridad, è morto in gennaio nella sua abitazione, senza aver pagato per i suoi crimini se non con un breve periodo di detenzione. "Tale inefficacia nell'assicurare e nell'impartire giustizia ha costituito uno dei segni di continuità più evidenti lungo le passate amministrazioni presidenziali, tanto del Pri come del Pan: la volontà di coprire violazioni dei diritti umani e crimini di lesa umanità perpetrati dal predecessore nell'incarico e dai suoi subordinati - si legge nell'editoriale de La Jornada del 28 gennaio - Questo progetto di copertura, negato nel discorso ufficiale, risulta impossibile da occultare se si esamina la mancanza di conseguenze penali con cui si sono concluse verifiche e procedimenti riferiti alla barbarie repressiva in cui incorsero i governanti degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta o, per venire a tempi più recenti, l'assenza di indagini sulle uccisioni di centinaia di militanti del Prd sotto Salinas de Gortari, i massacri nelle campagne - soprattutto nel Guerrero e nel Chiapas - durante il governo di Ernesto Zedillo e gli abusi della polizia ai tempi di Vicente Fox contro gli operai di Sicartsa, gli ejidatarios di San Salvador Atenco e gli attivisti dell'Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca".

16/3/2012


El Salvador, dalle urne una sconfitta per il Fmln

Arena (Alianza Republicana Nacionalista, destra) torna ad essere il primo partito con 33 deputati, mentre il Fmln retrocede a 31 (quattro in meno rispetto alle elezioni del 2009). Al terzo posto Gana (Gran Alianza por la Unidad Nacional, nata da una scissione di Arena) con undici parlamentari, seguita da Cn (Concertación Nacional, ex Partido de Conciliación Nacional) con sei. Un seggio ciascuno ottengono il Pes (Partido de la Esperanza, ex Democrazia Cristiana), Cambio Democrático e la coalizione Pes/Cn.

Il risultato del voto di domenica 11 marzo costituisce per il Fmln un segnale allarmante in vista delle presidenziali del 2014. Alla sconfitta delle legislative si aggiunge la batosta delle amministrative: a San Salvador il sindaco uscente, Norman Quijano di Arena, vince con ampio margine nonostante gli sforzi del suo avversario Jorge Schafik Handal (figlio del defunto leader comunista). E il Frente perde bastioni storici nella zona metropolitana della capitale: Mejicanos, Soyapango, Ilopango, Apopa, San Martín, Tonacatepeque, Ayutuxtepeque, Santo Tomás. La classe media e gli strati popolari urbani, che ne avevano decretato la vittoria tre anni fa, ora gli hanno voltato le spalle, in parte disertando le urne, in parte riversando i loro suffragi su altri partiti, come Gana. Quest'ultima formazione infatti non ha eroso consensi ad Arena, ma ha pescato voti da Cn, Pes e Fmln.

Eppure innegabili progressi sono stati realizzati dal governo Funes su impulso del Frente: dai programmi sociali a favore degli studenti meno abbienti, all'avvio della riforma sanitaria per estendere l'assistenza medica all'intera popolazione. Agli inizi di marzo è stata promulgata la Ley de Medicamentos, che garantisce al Ministero della Sanità il controllo di prezzi, commercializzazione e distribuzione dei farmaci. Ma il Fmln paga la perdita di contatto con la base, da cui alcuni suoi quadri si sono allontanati per rincorrere privilegi e posti di potere.

Arena dal canto suo ha saputo trarre profitto dalla debole risposta del governo alle difficoltà economiche, alla disoccupazione, al continuo aumento della criminalità. Su tali temi la destra ha condotto un'incessante campagna contro il Frente, fingendo di ignorare che questo partito non ha mai avuto alcuna influenza sulle scelte economiche dell'esecutivo e che nel novembre scorso ha dovuto cedere il controllo del Ministero della Giustizia e della Sicurezza all'ex generale David Munguía Payés.

In gennaio un altro generale, Francisco Salinas, è stato posto a capo della Policía Nacional Civil. Le due nomine sono state assai criticate da ampi settori democratici e dalla stessa Universidad Centroamericana (retta dai gesuiti), che vedono con preoccupazione il ritorno dei militari a un ruolo repressivo. Non si può dimenticare che il Salvador ha sperimentato, durante la guerra civile, innumerevoli violazioni dei diritti umani commesse proprio dalle forze armate.

13/3/2012


Messico, Joe Biden passa in rassegna i candidati

Gli Stati Uniti vogliono esercitare un controllo diretto sul processo politico messicano. Questa la conclusione che molti commentatori hanno tratto dalle riunioni del 5 marzo tra il vicepresidente Usa, Joe Biden, e i tre principali candidati presidenziali. A Città del Messico Biden era stato preceduto, nella seconda metà di gennaio, dal nuovo direttore della Cia generale Petraeus e dalla segretaria di Stato Hillary Clinton e in febbraio dalla segretaria per la Sicurezza Interna, Janet Napolitano. "In due mesi scarsi Obama ha già chiarito il ruolo del Messico nell'orbita della sicurezza nazionale di Washington: la sottomissione - scrive Carlos Ramírez il 6 marzo su Debate - E l'incontro di Biden con i precandidati presidenziali messicani è avvenuto sui tre temi principali dell'agenda statunitense: sicurezza nazionale, terrorismo e narcotraffico, senza toccare naturalmente il tema di interesse messicano dell'emigrazione e la promessa non mantenuta di Obama di una riforma migratoria".

Il primo a incontrare Biden è stato il candidato della sinistra, Andrés Manuel López Obrador, che al termine si è detto soddisfatto del colloquio: la Casa Bianca si sarebbe impegnata a rispettare il risultato delle consultazioni (un dato non scontato, visti i rapporti di forza tra i due paesi). È stato poi il turno di Enrique Peña Nieto, "il nuovo volto del vecchio Pri" come viene definito. L'ex governatore dell'Estado de México ha studiato presso l'Universidad Panamericana, retta dall'Opus Dei, e ha fatto carriera politica grazie all'appoggio di alcune tra le più ricche famiglie messicane. Peña Nieto ha centrato le sue dichiarazioni sulla necessità di continuare la lotta alla criminalità organizzata, nel tentativo di controbattere quanti accusano il Pri di venire a patti con i narcos.

Infine la candidata del Pan, l'economista Josefina Vázquez Mota, alla fine dell'incontro ha affermato che Washington vede con favore l'eventualità di una donna alla presidenza. Va sottolineato che l'annuncio della sua candidatura non ha riempito di entusiasmo i gruppi femministi: come deputata e come ministra dell'Istruzione Pubblica e dello Sviluppo Sociale, Josefina Vázquez non si è mai battuta per i diritti delle donne e non ha mai contrastato la criminalizzazione dell'aborto portata avanti negli ultimi anni dai governi del Pan in molti Stati messicani.

Il vicepresidente Biden non ha ricevuto invece il quarto candidato, Gabriel Quadri de la Torre, presentato dal Partido Nueva Alianza (Panal) dopo la rottura della coalizione con il Pri. Il Panal è una formazione politica controllata dalla leader del potente Sindicato Nacional de Trabajadores de la Educación, Elba Esther Gordillo.

6/3/2012


Brasile, i militari contro Dilma Rousseff

"Il tema della memoria, della verità e della giustizia è stato appena sfiorato in Brasile negli ultimi 27 anni, da quando i civili sono ritornati al potere. I responsabili dei crimini di lesa umanità continuano a rimanere impuniti". E, aggiunge Eric Nepomuceno su Página/12 del 5 marzo, "pieni di superbia nella loro sacrosanta impunità". Non solo i militari mostrano la loro insofferenza di fronte all'istituzione della Comissão da Verdade. Ma sono giunti a chiedere pubblicamente alla presidente di riprendere le ministre Maria do Rosário Cunha ed Eleonora Menicucci (quest'ultima ex guerrigliera ed ex compagna di cella della stessa Rousseff), "colpevoli" di aver criticato il regime dittatoriale che resse il paese dal 1964 al 1985.

Protagonisti dell'atto di insubordinazione (che ha suscitato la pronta reazione della presidente) decine di alti ufficiali non più in servizio attivo. E un altro ex generale, Luiz Rocha, ha messo in dubbio il fatto che Dilma Rousseff sia stata torturata durante la sua prigionia negli anni Settanta. Tutte prese di posizione che testimoniano lo stato d'animo di alcuni settori delle forze armate.

In realtà a preoccupare i militari non è tanto la Commissione Verità, che ha solo funzioni conoscitive, non penali. A toglier loro il sonno è piuttosto l'iniziativa del procuratore Otávio Bravo, che ha deciso di aprire un'indagine giudiziaria su alcuni casi di desaparecidos, basandosi su una sentenza del massimo tribunale che equipara la sparizione forzata al sequestro (un reato che perdura nel tempo e per il quale non esiste prescrizione né amnistia finché il corpo della vittima non viene ritrovato).

L'esigenza di far luce sulle violazioni dei diritti umani durante la dittatura è una delle grandi sfide che attendono l'attuale presidenza. Dilma Rousseff ha celebrato in gennaio il suo primo anno di mandato con un alto grado di popolarità, superiore a quello raggiunto, nello stesso periodo, dai suoi predecessori Cardoso e Lula. Un anno in cui l'economia è cresciuta ancora (anche se a un tasso minore del previsto), portando il Brasile a superare la Gran Bretagna e a balzare al sesto posto nella classifica mondiale.

L'opinione pubblica sembra guardare con favore la determinazione con cui la presidente conduce la sua battaglia contro la corruzione. In febbraio è stato licenziato l'ennesimo ministro sospettato di irregolarità, Mário Negromonte, del Pp (Partido Progressista, di tendenza conservatrice a dispetto del nome). Ma per garantirsi l'appoggio degli alleati, nella scelta dei componenti del gabinetto Dilma Rousseff è costretta a rispettare delicate alchimie politiche. Così, come successore di Negromonte al dicastero delle Città, ha dovuto designare un altro esponente del Pp, Aguinaldo Ribeiro. Nella stessa logica si situa la recente nomina, a ministro della Pesca, del pastore evangelico Marcelo Crivella del Prb (Partido Republicano Brasileiro): questa formazione da tempo reclamava perché priva di rappresentanza nella compagine governativa.

5/3/2012


Venezuela, nuovo intervento chirurgico per Chávez

Un'altra grande sfida attende Hugo Chávez che il 24 febbraio, salutato da migliaia di sostenitori, è partito alla volta di Cuba per essere sottoposto a intervento chirurgico. La scoperta di quello che potrebbe essere un nuovo tumore maligno giunge in un momento delicato della vita del paese, dove è iniziata la campagna elettorale per il voto del 7 ottobre. Chávez aveva già subito l'anno scorso due operazioni, seguite da una serie di sedute di chemioterapia.

Il nuovo problema di salute del capo dello Stato getta un'ombra sulle elezioni di ottobre e sulla continuità dello stesso processo di cambiamento. "Che nessuno si allarmi e io direi che nessuno si rallegri perché, indipendentemente dal mio destino finale, questa rivoluzione ha ormai preso impulso e niente e nessuno potrà fermarla", ha dichiarato Chávez. Ma ha dovuto più tardi ammettere che, se si trattasse di un tumore maligno, "sarà necessaria di sicuro un'altra fase di chemioterapia e questo, naturalmente, mi limiterebbe".

Intanto l'opposizione sembra aver ritrovato una sua unità con le primarie che hanno consacrato la vittoria dell'avvocato Henrique Capriles Radonski, governatore dello Stato di Miranda ed esponente dell'alta borghesia venezuelana. Eletto deputato alla fine degli anni Novanta con i voti dell'ala più conservatrice del vecchio partito Copei, Capriles tenta ora di accreditarsi come un moderato: si dichiara ammiratore di Nelson Mandela e di Lula e riconosce a Chávez il merito di aver reso prioritario il tema della povertà. Ma difficilmente riuscirà a far dimenticare l'appoggio dato al golpe del 2002, durante il quale fu tra gli assedianti dell'ambasciata cubana.

Ora Capriles è il candidato della Mesa de la Unidad Democrática (Mud), l'eterogeneo raggruppamento in cui sono confluiti gli avversari del chavismo. Secondo i promotori, alle primarie hanno partecipato circa tre milioni di persone. Va segnalato comunque che il supporto tecnico per queste consultazioni è stato fornito dal Consejo Nacional Electoral, la cui funzione super partes è stata in tal modo implicitamente riconosciuta dall'opposizione.

Come già in altre occasioni, anche di fronte alla malattia presidenziale il paese si è spaccato: da una parte i settori conservatori, che si augurano senza mezzi termini un'uscita di scena di Chávez. Dall'altra i ceti popolari, che affollano le veglie di preghiera per la salute del capo dello Stato. Sono loro i migliori testimoni dei progressi apportati dalla Rivoluzione Bolivariana: il rapporto 2011 della Cepal (Comisión Económica para América Latina y el Caribe) afferma che tra il 1999 (primo anno di governo di Hugo Chávez) e il 2010 la percentuale di poveri è scesa dal 49,4% al 27,8%. Un risultato ottenuto soprattutto destinando gran parte dei proventi del petrolio alle spese sociali, in particolare all'educazione. È stato così possibile sradicare l'analfabetismo, raggiungere nell'istruzione secondaria uno dei tassi più alti della regione e raddoppiare il numero di studenti universitari. Altri settori in cui lo Stato ha fortemente investito sono la sanità e gli alloggi popolari. Non stupisce dunque che la Cepal ponga il Venezuela tra i paesi latinoamericani con il più basso indice di disuguaglianza (misurato con il coefficiente di Gini).

24/2/2012


Honduras, incendio nel penitenziario: 360 morti

Una notizia più di tutte rende lo strazio di chi ha perso un familiare nel gigantesco rogo del 14 febbraio nella prigione di Comayagua: dopo aver atteso per sei giorni un corpo su cui piangere, i parenti - in gran parte donne - hanno fatto irruzione nell'obitorio della capitale, nel disperato tentativo di recuperare i cadaveri dei loro congiunti. Prima di essere allontanati dagli agenti con i gas lacrimogeni, sono riusciti ad aprire alcune borse di plastica allineate sul pavimento e contenenti i resti carbonizzati ancora senza nome. Delle 360 vittime (353 decedute subito, altre sette dopo il ricovero in ospedale) solo poche decine sono state finora identificate.

Per quanto riguarda lo scoppio dell'incendio, gli esperti sostengono che fu "accidentale". Ma la tragedia ha messo in luce la tremenda situazione di sovraffollamento delle carceri honduregne: nel centro penale di Comayagua, costruito per ospitare 250 detenuti, ne erano stipati più di 850. Da quanto emerge dalle testimonianze dei sopravvissuti e dalle immagini di un video amatoriale, le guardie non aprirono le celle per permettere ai prigionieri di salvarsi e anzi fecero fuoco contro chi cercava di sfuggire alle fiamme. "Li hanno lasciati morire": questa l'accusa dei familiari. E l'alta commissaria per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Navanethem Pillay, ha chiesto che venga svolta un'inchiesta indipendente sull'accaduto. Già nel maggio del 2004, in un disastro analogo nel penitenziario di San Pedro Sula, erano morte più di cento persone.

Quattro giorni dopo la tragedia di Comayagua, un altro incendio ha distrutto alcuni mercati di una zona popolare di Tegucigalpa, provocando undici feriti e ingenti danni materiali. Molte le ipotesi sulle cause: non si esclude neppure l'origine dolosa.

ASSASSINATO UN ALTRO DIRIGENTE CONTADINO. Il 27 gennaio Porfirio Lobo ha "festeggiato" il secondo anniversario del suo mandato con risultati tutt'altro che positivi: funzionari del governo coinvolti in casi di corruzione, un'ondata di criminalità senza precedenti e la delusione dell'elettorato di fronte alle mancate promesse di nuovi posti di lavoro. Da qui il crollo nella popolarità di Lobo rivelato da un recente sondaggio.

Accanto alla delinquenza comune cresce, nella più totale impunità, la violenza politica. Il 20 gennaio l'ennesima uccisione di un dirigente contadino: Matías Valle Cárdenas, ex presidente del Muca (Movimiento Unificado Campesino del Aguán), assassinato a Tocoa da due killer in moto. Matías Valle, che l'anno scorso aveva denunciato la ricomparsa degli squadroni della morte nella zona del Bajo Aguán, era stato più volte minacciato.

21/2/2012


Argentina, tensione con Londra per le Malvinas

In una lettera al presidente dell'Assemblea Generale dell'Onu, Nassir Abdulaziz Al-Nasser, il governo di Cristina Fernández ha ribadito la volontà di trovare una soluzione pacifica alla controversia con Londra sulla sovranità delle isole Malvinas/Falkland. Il tema è tornato d'attualità in questi ultimi tempi, nel trentennale del conflitto anglo-argentino (scoppiato il 2 aprile 1982), in seguito a una serie di iniziative britanniche che hanno preoccupato le autorità di Buenos Aires: l'invio della nave da guerra HMS Dauntless, armata di missili per la difesa antiaerea; l'arrivo sulle isole del principe William per ricevervi addestramento militare; l'installazione di una nuova piattaforma petrolifera che parteciperà ai lavori di prospezione iniziati già due anni fa (e che avevano portato a una crisi diplomatica tra i due paesi). Il greggio presente nelle acque dell'arcipelago è più che sufficiente a giustificare l'interesse inglese.

Ma non si tratta solo di petrolio. La "Fortezza Malvinas", a poche centinaia di chilometri dalla costa argentina, "è diventata una delle cinque principali enclave militari straniere dell'emisfero occidentale e funziona in collegamento con la rete mondiale di basi di controllo e spionaggio che la Nato possiede sul pianeta", scrive Rina Bertaccini su Alai, América Latina en Movimiento del 14 febbraio. E non va dimenticato che dal 2008 la Quarta Flotta statunitense è tornata a pattugliare, dopo 58 anni, le acque latinoamericane.

Il 25 gennaio la presidente argentina ha affrontato l'argomento Malvinas nella sua prima apparizione pubblica dopo il periodo di assenza dovuto a un intervento alla tiroide (gli esami clinici hanno escluso la presenza di cellule cancerogene). Respingendo l'accusa inglese di colonialismo, Cristina Fernández ha affermato che la rabbiosa reazione della Gran Bretagna risponde al tentativo di distogliere l'attenzione dai problemi politici interni, proprio come era avvenuto in Argentina quando la dittatura aveva cercato, scatenando il conflitto, di nascondere la realtà dei 30.000 desaparecidos e di un'economia devastata.

A trent'anni di distanza e con la situazione politica completamente mutata, Buenos Aires non vuole certo un nuovo scontro armato, ma l'apertura di negoziati bilaterali. In questa battaglia può contare sull'appoggio di tutta la regione: dichiarazioni a sostegno delle rivendicazioni argentine sull'arcipelago sono venute dalle nazioni dell'Alba, della Celac e dell'Unasur. In segno di solidarietà i paesi del Mercosur, già nel dicembre scorso, avevano deciso di proibire l'attracco nei loro porti alle imbarcazioni provenienti dalle Falkland. Al blocco ha aderito anche il governo cileno, come Piñera ha confermato il 14 febbraio parlando al telefono con il premier inglese Cameron. Sono lontani i tempi il cui il Cile di Pinochet collaborava con la Gran Bretagna di Margaret Thatcher per sconfiggere le truppe argentine.

Da Londra intanto giungono notizie che alimentano la tensione. Si è appreso che un gruppo di parlamentari britannici, membri della Commissione Difesa della Camera, giungerà in marzo alle Malvinas per ispezionarvi le installazioni militari. E alla HMS Dauntless si aggiungerebbe, nella zona contesa, un sottomarino con testate atomiche, in contrasto con il Trattato di Tlatelolco del 1967 che proibisce le armi nucleari in America Latina e nei Caraibi.

15/2/2012


Colombia, chi c'è dietro l'ondata di attentati?

È stata una delle peggiori ondate di attentati degli ultimi anni: agli inizi di febbraio lo scoppio di una serie di ordigni, in diverse località dei dipartimenti di Nariño, Cauca e Tolima, ha provocato 18 morti e un centinaio di feriti. Non si esclude che i responsabili vadano ricercati tra i gruppi di narcos attivi nella regione, ma il presidente Santos ha subito incolpato i guerriglieri delle Farc, invitandoli a "non essere ipocriti, a non parlare di pace da una parte e commettere atti terroristici dall'altra". Netta la risposta degli insorti che, in una dichiarazione pubblica riportata dall'agenzia Anncol, respingono l'accusa come "assolutamente falsa" e sottolineano: "Niente di più lontano dalle nostre convinzioni che le azioni indiscriminate contro la popolazione civile. I nostri unici obiettivi militari sono le forze armate dello Stato colombiano e le bande criminali al loro servizio".

Nel comunicato le Farc ribadiscono anche il loro appello alla trattativa, ricordando che alla guerra si può trovare una via d'uscita "dialogata, politica, senza imposizioni arroganti, che cerchi una soluzione delle cause alla base del conflitto". In dicembre la guerriglia aveva annunciato la prossima liberazione di sei ostaggi, ma ha poi rinviato il rilascio a data da destinarsi perché la zona scelta "è stata militarizzata in modo ingiustificato dal governo".

IL PAESE PIU' PERICOLOSO PER I SINDACALISTI. La Colombia continua a essere il paese più pericoloso al mondo per i sindacalisti. Secondo Human Rights Watch, pur registrandosi un miglioramento rispetto a un decennio fa, negli ultimi quattro anni sono state 175 le persone assassinate per aver difeso i diritti dei lavoratori. Nel suo rapporto annuale, reso noto il 22 gennaio, l'organizzazione statunitense denuncia l'impunità generalizzata di cui godono i responsabili di questi omicidi e sottolinea come, dal 2007, la maggior parte delle minacce contro i leader sindacali provenga dalle bande criminali emergenti. Questi gruppi, legati al traffico di droga, hanno preso il posto dei paramilitari di estrema destra e mantengono stretti vincoli con membri delle forze di sicurezza e con funzionari locali.

E la strage di sindacalisti non si ferma. Il 17 gennaio Mauricio Arredondo, dell'Unión Sindical Obrera de la Industria del Petroleo, è stato assassinato a Puerto Asís insieme alla moglie, Janeth Ordóñez Carlosama. Nove giorni dopo, a Barranquilla, i killer hanno colpito a morte Ricardo Ramón Paublott Gómez, dirigente sindacale e dipendente dell'Industria Nacional de Gaseosas S.A. (Coca-Cola).

6/2/2012


Cuba, la Conferenza Nazionale del Pcc

Come era stato deciso l'anno scorso dal Sesto Congresso, si è svolta il 28 e 29 gennaio all'Avana la Prima Conferenza Nazionale del Partido Comunista. Tra gli obiettivi delineati nella risoluzione finale, "la difesa dei valori della nostra società e l'unità nazionale intorno al partito e alla Rivoluzione, incentivando la partecipazione attiva del popolo nell'adozione delle decisioni e il rafforzamento della nostra democrazia socialista", una maggiore promozione "di donne, neri, meticci e giovani a responsabilità di direzione", la lotta "alla corruzione, all'illegalità e all'indisciplina".

Sul tema della corruzione è tornato Raúl Castro nel suo discorso conclusivo, definendola "uno dei principali nemici della Rivoluzione, molto più dannosa del multimilionario programma sovversivo e interventista del governo Usa e dei suoi alleati interni ed esterni". Secondo voci non ufficiali, sono circa trecento i funzionari pubblici e i dirigenti d'impresa nazionali e stranieri già arrestati nell'ambito delle indagini per malversazione.

Castro ha anche affrontato le critiche di quanti chiedono la restaurazione di un sistema multipartitico, come se Cuba fosse "un paese in condizioni normali e non una fortezza assediata". Rinunciare al principio del partito unico, ha detto l'oratore, "equivarrebbe semplicemente a legalizzare il partito o i partiti dell'imperialismo su suolo patrio e sacrificare l'arma strategica dell'unità dei cubani". Raúl ha poi riaffermato la decisione di limitare a due periodi consecutivi di cinque anni le principali cariche istituzionali e ha ribadito che al partito spetta il compito di "stimolare, promuovere, coadiuvare al meglio il lavoro degli organi di governo, ma in nessun caso sostituirli". Un cambiamento di prospettiva fondamentale, perché rompe con la tradizione consolidata che assegnava al Pcc l'ultima parola su qualsiasi provvedimento.

Nel frattempo ha perso credibilità la notizia, diffusa dall'opposizione, della morte in carcere del dissidente Wilmar Villar Mendoza in seguito a uno sciopero della fame. Un comunicato ufficiale riferisce che Villar Mendoza, deceduto per setticemia il 19 gennaio a Santiago, nell'ospedale dove era stato ricoverato per problemi respiratori, era in prigione per reati comuni e non stava attuando alcun digiuno volontario. Le autorità dell'Avana hanno quindi respinto gli attacchi di quei paesi (Stati Uniti in testa) che avevano approfittato della vicenda per criticare il governo cubano.

SI RAFFORZANO I LEGAMI CON IL BRASILE. "Vogliamo parlare di diritti umani? Allora cominciamo a parlare di diritti umani in Brasile, negli Stati Uniti e della situazione a Guantanamo". Con queste parole il 31 gennaio la presidente brasiliana Dilma Rousseff, alla sua prima visita ufficiale sull'isola, ha chiuso la bocca a quanti speravano da lei una condanna della "dittatura" cubana. E in seguito, parlando con i giornalisti, ha espresso la sua contrarietà all'embargo statunitense e l'interesse di Brasilia nel rafforzare i rapporti economici con l'Avana. In quest'ambito si inseriscono la concessione di un credito di 350 milioni di dollari per l'acquisto di alimenti e di altri 200 milioni per macchinari agricoli e gli investimenti in corso per l'ampliamento del porto di Mariel.

L'impresa brasiliana impegnata a Mariel, la Odebrecht, ha anche annunciato la firma di un contratto con il gruppo statale Azcuba (che ha sostituito il Ministero dello Zucchero) per la gestione produttiva di uno zuccherificio a Cienfuegos. È la prima volta che Cuba accetta la partecipazione straniera in questo settore, un tempo colonna portante della sua economia.

5/2/2012


Guatemala, Ríos Montt sarà processato per genocidio

Come previsto, uno dei primi provvedimenti adottati dal governo di Otto Pérez Molina è stato quello di affidare all'esercito la lotta contro il crimine organizzato. Il nuovo presidente ricalca così le scelte adottate dal messicano Calderón (con il catastrofico risultato di un aumento esponenziale della violenza). Del resto l'ex generale aveva centrato la sua campagna elettorale sulla promessa di mano dura contro il narcotraffico, che del Guatemala ha fatto uno degli snodi principali nella rotta dalla Colombia al grande mercato statunitense.

La cerimonia di insediamento di Pérez Molina, il 14 gennaio, alla presenza di decine di delegazioni internazionali, si è svolta in un clima di tensione: il giorno prima, nel centro della capitale, il deputato Oscar Valentín Leal, del partito di destra Libertad Democrática Renovada, e il fratello Erick erano caduti sotto i colpi di ignoti killer. Nel suo discorso Pérez ha alternato appelli alla riconciliazione nazionale a pesanti critiche al suo predecessore, Alvaro Colom, che avrebbe portato il paese vicino al "fallimento economico e morale", a causa del disordine amministrativo e finanziario e di programmi sociali "clientelari e populisti".

Con Pérez Molina, espressione dell'oligarchia tradizionale, torna al potere - sia pure attraverso il voto - un militare sospettato di crimini di lesa umanità. Si interrompe così il ciclo di governi civili inaugurato nel 1986 dal democristiano Vinicio Cerezo: un pericoloso segno di involuzione nella vita democratica del paese. Eppure le organizzazioni per i diritti umani, che il 29 dicembre 2011 hanno ricordato il 15° anniversario della firma degli accordi di pace, continuano a lottare per la verità e la giustizia. In gennaio due ex generali-dittatori sono comparsi in tribunale sotto l'accusa di genocidio. In considerazione delle sue cattive condizioni di salute, per Oscar Humberto Mejía Víctores, la giudice Patricia Flores ha deciso la sospensione del procedimento. Per Efraín Ríos Montt invece, che non essendo stato rieletto nelle ultime legislative ha perso l'immunità parlamentare, la stessa magistrata ha disposto il rinvio a giudizio e gli arresti domiciliari.

Ma la battaglia contro l'impunità è ancora lunga e difficile. Come scrive Magdalena Gómez su La Jornada del 17 gennaio, non è un caso che "il mese scorso siano state presentate accuse formali a numerosi giornalisti e attivisti per partecipazione al terrorismo durante il conflitto armato. È evidente che si tratta di un'azione di intimidazione".

26/1/2012


Ecuador, i cinque anni di Rafael Correa

Ha lasciato Quito la missione dell'Onu incaricata di indagare gli avvenimenti del 30 settembre 2010, quando la rivolta di alcuni reparti di polizia sfociò nel sequestro del capo dello Stato e in scontri che provocarono morti e feriti. Dopo una serie di incontri con autorità civili e militari, esponenti politici e rappresentanti della società civile, in un comunicato emesso il 20 gennaio i delegati delle Nazioni Unite hanno espresso le loro conclusioni: si trattò di "un tentativo di destabilizzazione politica e una minaccia all'ordine costituzionale e democratico". L'inchiesta era stata sollecitata dal governo ecuadoriano per confutare le posizioni dell'opposizione, che ha sempre negato l'ipotesi di un fallito colpo di Stato.

La polemica ha avuto eco anche negli Stati Uniti, dove The Washington Post, nel suo editoriale del 12 gennaio, ha definito il presidente Correa "un autocratico accolito di Hugo Chávez", che "dovrebbe essere noto per il più completo e spietato assalto alla libertà dei media in corso nell'emisfero occidentale". L'articolo si riferiva al processo intentato da Correa contro il giornale El Universo, che riferendosi ai fatti del 30 settembre lo aveva accusato di aver ordinato di sparare contro persone innocenti. Una risposta alle affermazioni del quotidiano statunitense è venuta da Nathalie Cely, da poche settimane ambasciatrice a Washington. Dopo aver rivendicato per il capo dello Stato, come per qualsiasi cittadino, il diritto di "difendere il suo onore di fronte a eventuali offese", la diplomatica segnala come sia giunta l'ora "di realizzare una discussione lucida sui privilegi e le responsabilità della stampa. È questo il processo in corso in maniera pubblica, problematica e democratica in Ecuador".

La nomina di Nathalie Cely, e quella contemporanea di Adam E. Namm come rappresentante Usa a Quito, hanno segnato il ristabilimento dei rapporti diplomatici tra i due paesi, messi in crisi nell'aprile scorso dalle rivelazioni di WikiLeaks. In un cablogramma del 2009 venivano infatti riportati i giudizi negativi dell'ambasciata nordamericana sul generale Humberto Vaca, implicato in casi di corruzione, e veniva insinuato il sospetto che Correa lo avesse posto deliberatamente a capo delle forze di sicurezza per poterlo manipolare.

Il tentativo di golpe ha rappresentato il momento più drammatico della presidenza di Rafael Correa, che a metà gennaio ha celebrato il suo quinto anno al potere con una popolarità del 55%. Un record per questo paese, dove nell'ultimo decennio nessun capo di Stato è riuscito a terminare il suo mandato senza essere cacciato dalla protesta popolare. Come scrive Emir Sader su Alai, América Latina en Movimiento (16/1/2012), la Revolución Ciudadana guidata da Correa "privilegia le politiche sociali e non il riequilibrio fiscale, i processi di integrazione regionale e le alleanze tra il Sud del mondo e uno Stato forte, promotore della crescita economica e garanzia dei diritti sociali e non lo Stato minimo, che rinuncia a favore del mercato. Oltre a ciò, il governo ha ripreso gli investimenti di base - come strade, energia, porti, infrastrutture in generale - che hanno permesso di imprimere dinamismo all'economia ecuadoriana. Nel 2011, nonostante le pressioni esterne negative - diminuzione del credito internazionale, variazioni dei prezzi del petrolio, diminuzione drastica dell'invio delle rimesse degli emigrati alle loro famiglie - l'economia è cresciuta di un 8%, uno degli indici più alti, se non il più alto, di tutta l'America Latina".

20/1/2012


Messico, morire di fame nella Sierra Tarahumara

Già a fine novembre era stato lanciato l'allarme: a causa della prolungata siccità, le riserve di cibo delle comunità della Sierra Tarahumara (Stato di Chihuahua) stavano esaurendosi. "Molta gente non ha da mangiare; poiché non ha piovuto non è cresciuto il mais e neppure i fagioli; da mesi abbiamo dovuto uccidere le capre perché non c'era erba per alimentarle; gli asini e le mule stanno morendo e ancora non è arrivato l'inverno": questa la denuncia di una rappresentante della popolazione, che aveva bussato a diverse istituzioni statali e federali senza ottenere risposta. Ora si apprende che quattro persone (sei secondo altre versioni) sono morte d'inedia e si è diffusa la voce - poi smentita - che altre decine si sarebbero suicidate per la fame. Ma, come scrive Víctor Quintana su La Jornada del 17 gennaio, "nella Tarahumara la fame non è una notizia, è un fatto cronico, strutturale". Le etnie di questa regione "furono spinte dalla conquista spagnola prima, dall'avidità di bianchi e meticci poi, verso le zone più alte e inospitali di quel territorio: pendici, cime e gole sassose. Questo le condannò a praticare un'agricoltura non sufficiente alla sussistenza, che li mantiene in uno stato di denutrizione permanente". Eppure la Sierra Tarahumara possiede enormi risorse minerarie e forestali (spesso sfruttate dalle grandi compagnie straniere); qui nascono numerosi corsi d'acqua che irrigano le valli vicine, o che vengono dirottati verso gli Stati Uniti in base a un trattato internazionale del 1944. Di queste ricchezze nulla rimane agli abitanti, condannati da sempre alla miseria.

Il dramma che si sta consumando nel nord del Messico ha avuto eco anche nella rete, dove si moltiplicano gli appelli e i richiami alla solidarietà. Ma intanto c'è chi trae profitto dalla situazione: il governatore priista di Chihuahua, César Duarte, si è recato nella zona e si è fatto ampiamente riprendere mentre distribuiva viveri. Gli aiuti non erano sufficienti per tutti i convenuti, ma poco importa: il risultato politico è stato raggiunto. L'accusa di Angela Ramos, leader comunitaria, è precisa: "Dicono alla gente di venire, che qui distribuiranno razioni di cibo; arrivano da lontano tutti affamati, fanno file e file e alla fine se ne vanno come sono arrivati: con le mani vuote, senza aver ricevuto niente; in compenso il governatore si fa fotografare e dice che tutta la gente che era lì ha ricevuto una razione e non è vero".

18/1/2012


El Salvador, "A nome dello Stato chiedo perdono per El Mozote"

"Per quel massacro, per le aberranti violazioni dei diritti umani e per gli abusi perpetrati, a nome dello Stato salvadoregno chiedo perdono alle famiglie delle vittime". Con queste parole il presidente Funes si è rivolto alle centinaia di persone raccolte nel villaggio di El Mozote, dove nel dicembre del 1981 soldati del battaglione Atlacatl (corpo d'élite addestrato dagli Stati Uniti) assassinarono un migliaio di civili, molti dei quali bambini. Funes ha voluto citare anche i nomi dei responsabili della strage, come risultano dal rapporto della Comisión de la Verdad: il tenente colonnello Domingo Monterrosa, il maggiore José Armando Azmitia, il maggiore Natividad de Jesús Cáceres.

Il discorso di Mauricio Funes, con il riconoscimento delle violazioni dei diritti umani commesse dalle forze armate e la richiesta di perdono, è stato il momento culminante delle celebrazioni per il ventesimo anniversario degli accordi di pace, che il 16 gennaio 1992 posero fine a dodici anni di guerra civile. Ma tra i tanti impegni assunti da Funes verso le vittime e i loro familiari, mancava quello più atteso: la cancellazione della Ley de amnistía del 1993, che garantisce l'impunità ai colpevoli di quelle violazioni.

Se il conflitto si è concluso, il Salvador resta comunque alle prese con problemi drammatici. La crisi economica spinge migliaia di persone a emigrare: un viaggio lungo e pericoloso verso il miraggio del Nord. Per chi resta c'è la miseria quotidiana, che colpisce il 36,5% della popolazione (l'11,2% vive nella completa indigenza), secondo le cifre del Ministero dell'Economia. E c'è la realtà di un paese tra i più violenti al mondo: 70 omicidi ogni 100.000 abitanti.

L'elezione nel 2009 dell'indipendente Mauricio Funes, sostenuto dal Fmln, aveva suscitato molte speranze di cambiamento. Ma il presidente ha progressivamente preso le distanze dagli ex guerriglieri e gli avvicendamenti dello scorso anno all'interno del governo mostrano con chiarezza una svolta politica in direzione sempre più moderata. Ai primi di giugno veniva "licenziata" la ministra del Lavoro, Victoria Velásquez de Avilés: si era opposta alla richiesta dell'Asociación Nacional de la Empresa Privada, la Confindustria locale, di poter estendere la giornata lavorativa a dodici ore. Victoria Velásquez veniva sostituita da Humberto Centeno, del Fmln, che però perdeva l'importante dicastero di Gobernación (Interno) a favore del suo vice, Ernesto Zelayandía.

Cinque mesi dopo lasciava il governo un altro esponente del Fmln, Manuel Melgar, ministro della Giustizia e della Sicurezza. A indurre Funes a rimpiazzarlo con l'ex generale David Munguía Payés (già titolare della Difesa) erano state le pressioni della Casa Bianca: Washington, che rimproverava a Melgar di aver partecipato, come comandante guerrigliero, a un attentato contro alcuni consiglieri statunitensi, aveva condizionato al suo allontanamento la firma dell'Asocio para el Crecimiento. In base a tale accordo, sottoscritto il 3 novembre, gli Usa garantiscono al Salvador la loro collaborazione nella lotta contro bassa produttività e alto indice di criminalità. Un patto che sembra disegnato apposta per imporre il dominio del colosso del Nord sul piccolo paese centroamericano. Del resto, come scrive Roberto Pineda (Alai, América Latina en Movimiento - 6/11/2011), "non è la prima volta che gli Stati Uniti tentano di mettere in atto un meccanismo di controllo economico che permetta loro di cooperare e aiutare ad aprire le porte delle economie latinoamericane ai loro giganteschi consorzi, che vengono a prendere il posto degli imprenditori nazionali".

16/1/2012


Nuovo viaggio di Ahmadinejad in America Latina

"Le nostre relazioni con i paesi dell'America Latina sono molto buone e continuano a svilupparsi; la cultura dei popoli di quella regione e le loro esigenze storiche sono simili alle richieste del popolo iraniano". Lo ha detto Ahmadinejad prima di lasciare Teheran per un nuovo giro nella regione. Accanto alle ragioni economiche (gli scambi commerciali sono in crescita, soprattutto con l'Ecuador), la motivazione politica: la ricerca di appoggi nel pieno del conflitto diplomatico con gli Stati Uniti. Da questo punto di vista il risultato per il presidente iraniano non può dirsi entusiasmante, anche se non gli è mancato il sostegno dei tradizionali alleati. Non a caso da questo viaggio era assente il Brasile, dove Dilma Rousseff - a differenza del suo predecessore Lula, che nel 2010 aveva svolto opera di mediazione sulla questione del nucleare - sembra orientata a prendere le distanze dalla Repubblica Islamica.

La prima tappa di Ahmadinejad è stata Caracas, dove è stato accolto trionfalmente da Hugo Chávez. I due capi di Stato, in polemica con gli Usa e le altre potenze occidentali, hanno affermato che i loro governi hanno intenzioni pacifiche e che la loro guerra "è contro la povertà, la fame e il sottosviluppo". Proprio alla vigilia dell'arrivo di Ahmadinejad, Washington aveva mostrato la sua irritazione rendendo nota la decisione di espellere la console generale del Venezuela a Miami, Livia Acosta Noguera. In dicembre la diplomatica era stata accusata, da un servizio della catena Univisión, di complicità in un complotto iraniano mirante a lanciare attacchi informatici contro impianti nucleari statunitensi.

Seconda tappa, Managua. Il 10 gennaio il presidente iraniano ha assistito all'insediamento di Daniel Ortega, giunto al suo terzo mandato. Alla cerimonia erano presenti oltre trenta delegazioni internazionali. Poi Ahmadinejad è partito alla volta di Cuba, dove si è incontrato con il presidente Raúl e ha tenuto una conferenza all'università dell'Avana, che lo ha insignito della laurea honoris causa in Scienze Politiche. Il leader iraniano, che ha avuto anche un lungo colloquio con Fidel, ha definito "buonissimi" gli incontri con i fratelli Castro e ha affermato che Cuba e Iran "si trovano sullo stesso fronte di lotta con lo scopo di rivendicare i diritti dei popoli". Va comunque ricordato che nel 2010 Fidel, in una dichiarazione alla rivista statunitense The Atlantic, aveva criticato Ahmadinejad per la sua negazione dell'Olocausto e aveva difeso il diritto di Israele a esistere come Stato.

Infine il presidente iraniano si è recato in Ecuador, per una visita volta "ad approfondire e a rafforzare i rapporti di amicizia e fratellanza" tra i due paesi. Ad accoglierlo il suo omologo Rafael Correa, con il quale ha passato in rassegna gli accordi bilaterali. Il governo Correa, che difende il diritto di Teheran a sviluppare l'energia nucleare per usi civili, ha recentemente lanciato un appello affinché le parti in causa evitino qualsiasi intervento o provocazione nello Stretto di Hormuz.

13/1/2012


Colombia, Santos dice no al dialogo

L'anno è iniziato con un comunicato del nuovo leader delle Farc, Timoleón Jiménez Timochenko, che aveva sostituito in novembre Alfonso Cano (ucciso in un'offensiva delle forze armate). Dichiarandosi disposto a sedersi al tavolo del negoziato, Timochenko pone sul tappeto le questioni da discutere: "le privatizzazioni, la deregulation, la libertà assoluta di commercio e di investimento, il saccheggio ambientale, la democrazia di mercato, la dottrina militare" e conclude sottolineando che il conflitto in corso "non avrà soluzione finché le nostre voci non saranno ascoltate".

Il messaggio ricorda poi gli avvenimenti del 26 novembre nel dipartimento di Caquetá, quando quattro ostaggi in mano alla guerriglia morirono nel corso di un attacco da parte dell'esercito. Secondo il ministro della Difesa, Juan Carlos Pinzón, furono le Farc a uccidere i sequestrati con un colpo di grazia, per evitare che venissero liberati. La versione era già stata messa in dubbio dall'ex senatrice Piedad Córdoba. E in un comunicato del primo dicembre le Farc affermavano che i prigionieri erano stati colpiti, "nel corso di un irrazionale tentativo di riscatto militare dell'esercito colombiano", proprio mentre si dirigevano verso il luogo dove la guerriglia aveva deciso di rilasciarli senza contropartita. Ora Timoleón Jiménez accusa il governo di aver lanciato l'attacco con il proposito di sabotare l'operazione di rilascio e far apparire la liberazione dei sequestrati come il risultato di un'azione di forza.

Vera o no la ricostruzione degli insorti, resta il fatto che il governo appare sempre più restio ad accettare una soluzione pacifica del conflitto. La risposta di Santos all'offerta di trattative di Timochenko è stata un netto rifiuto. "Che si dimentichino di un nuovo Caguán", ha detto il capo dello Stato, scartando l'ipotesi di un dialogo simile a quello avviato tra il 1998 e il 2002, a San Vicente del Caguán, durante la presidenza di Andrés Pastrana.

IN VIGORE LA LEY DE VICTIMAS. All'inizio del 2012 è entrata in vigore la Ley de Víctimas y Restitución de Tierras, che prevede misure di assistenza e di riparazione a favore delle vittime del conflitto. La legge, approvata in maggio dal Congresso, è stata accolta con favore da numerose organizzazioni di difesa dei diritti umani. Importante sul piano simbolico, sarà però di difficile applicazione soprattutto per quanto riguarda la restituzione agli sfollati delle loro terre, ora finite nelle mani di grandi imprenditori del settore agroindustriale.

In questi ultimi tempi nelle campagne le minacce e le violenze sono aumentate di intensità, come testimonia Juan Diego Restrepo in un articolo pubblicato il 21 dicembre su Semana: "La strategia di intimidazione è simile: giungono ai campi in gruppo, a volte a piedi, a volte in moto o in macchina, si fanno vedere dai contadini, modificano i confini in maniera arbitraria, distruggono le coltivazioni di sussistenza, irrompono di sorpresa a qualsiasi ora del giorno e della notte, terrorizzano con le loro armi, con i loro passamontagna e, in alcuni casi, con i cani che si portano appresso. Una preoccupazione ricorrente dei contadini è che all'interno di quei gruppi armati ci sono smobilitati delle Autodefensas Unidas de Colombia (Auc), che operarono nelle stesse regioni che oggi pattugliano sotto un'altra ragione sociale. (...) Parte del loro compito consiste nell'infastidire vicini scomodi, sia perché reclamano la restituzione dei loro poderi, sia perché non li vogliono vendere. L'unico scopo è quello di farli tacere, affogarli nella loro paura per difendere gli interessi di quelli che oggi detengono il potere agrario".

11/1/2012

Latinoamerica-online.it

a cura di Nicoletta Manuzzato