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Honduras, ancora un giornalista ucciso Il 2010 si è concluso con l'uccisione di un altro giornalista. Henry Suazo è stato abbattuto a colpi d'arma da fuoco il 28 dicembre mentre usciva dalla sua abitazione a La Masica, nel settentrionale dipartimento di Atlántida. Suazo era corrispondente dell'emittente radiofonica Hrn da La Ceiba e lavorava anche per il canale tv Cablevisión del Atlántico. La sua morte fa salire a dieci il numero dei lavoratori della comunicazione assassinati nel corso dell'anno, collocando il paese centroamericano al terzo posto tra i più pericolosi per chi opera nel settore (subito dopo Messico e Pakistan). In un rapporto dal titolo Dopo il golpe: continuano violenza, intimidazione e impunità in Honduras, pubblicato il 20 dicembre, Human Rights Watch denuncia che i responsabili delle violazioni dei diritti umani commesse durante il regime Micheletti non sono stati chiamati a render conto delle loro azioni e documenta 47 casi di aggressioni, minacce, uccisioni di militanti politici e lavoratori dei media avvenute dopo l'insediamento in gennaio di Porfirio Lobo. Se la repressione non si ferma, continua anche la coraggiosa battaglia dell'opposizione. Il 28 dicembre oltre 150 rappresentanti di collettivi della regione occidentale, facenti parte del Frente Nacional de Resistencia Popular, si sono riuniti per la terza volta a Santa Rosa de Copán. I partecipanti all'incontro hanno elaborato le proposte per una nuova Costituzione, che dovrà porre le basi per la rifondazione del paese. Tra i temi dibattuti l'organizzazione dello Stato e il sistema politico, l'economia e le risorse naturali, i servizi sociali e la riforma agraria. 31/12/2010 |
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Cile, Piñera privatizza l'acqua Le rivelazioni di WikiLeaks hanno messo in serio imbarazzo il presidente Sebastián Piñera. "Tenace e competitivo, Piñera gestisce tanto gli affari come la politica ai limiti della legge e dell'etica. Alcune delle sue azioni, come prestare denaro a imprese fittizie, sembrano oltrepassare chiaramente la linea della legalità": questo il ritratto del capo dello Stato tracciato nell'ottobre 2009 da Carol Urban, numero due dell'ambasciata Usa. La diplomatica statunitense citava le accuse di "abuso di informazione privilegiata" mosse a Piñera nel 2006, per aver comprato tre milioni di azioni della linea aerea Lan (di cui era direttore) poche ore dopo aver ricevuto un rapporto finanziario della compagnia non ancora reso pubblico. Per non parlare di quando era direttore generale del Banco de Talca nel 1979-1980: lui e altri dirigenti "crearono dozzine di false compagnie, accordarono a queste i crediti della banca e usarono quei fondi per comprare nuove azioni della banca". In un altro documento riportato da WikiLeaks viene riferita l'opinione espressa da Piñera nel 2008 sull'allora capo dello Stato Michelle Bachelet: "Una brava persona, ma un cattivo presidente". Un giudizio non condiviso, a quanto pare, dalla maggioranza dei cileni, visto che Michelle Bachelet ha terminato il mandato con altissimi indici di popolarità (ora è stata nominata alla guida dell'Agenzia dell'Onu per l'Uguaglianza di Genere). Non altrettanto si può dire di Piñera: l'approvazione del suo operato, salita in ottobre grazie allo sfruttamento mediatico del salvataggio dei 33 minatori di San José, secondo un sondaggio del Centro de Estudios Públicos a metà dicembre era scesa al 44%. A minare la fiducia dei suoi compatrioti sono stati forse i ritardi nella ricostruzione dopo il terremoto di febbraio e i sospetti di irregolarità nell'assegnazione degli aiuti alle famiglie colpite (150.000 persone sarebbero rimaste senza assistenza). I costi della ricostruzione sono inoltre serviti come giustificazione al governo per annunciare, alla vigilia delle feste natalizie, la vendita della partecipazione statale nelle imprese idriche. Si giungerà così alla totale privatizzazione dell'acqua, avviata peraltro dai presidenti della Concertación Frei e Lagos. ROGO IN CARCERE: 81 MORTI. Un gigantesco incendio, scoppiato l'8 dicembre nel carcere di San Miguel, a Santiago, ha provocato 81 morti e una quindicina di feriti. Secondo una testimonianza, le guardie carcerarie avrebbero volutamente tardato a dare l'allarme e a iniziare le operazioni di soccorso. Il penitenziario di San Miguel, costruito per 800 reclusi, al momento del rogo ne ospitava 1.900. La tragedia ha posto a nudo le drammatiche condizioni in cui vivono i detenuti cileni, stipati in celle sovraffollate ed esposti a vessazioni e violenze. Una situazione che si è aggravata dopo il terremoto: un rapporto ufficiale afferma che, per accogliere la popolazione carceraria del paese, si dovrebbe edificare una prigione all'anno. La Commissione Interamericana per i Diritti Umani ha invitato le autorità a realizzare accurate indagini sull'accaduto. 30/12/2010 |
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Argentina, ergastolo per l'ex dittatore Videla "Ergastolo e interdizione assoluta perpetua" dai pubblici uffici: questa la condanna comminata il 22 dicembre, dai giudici di Córdoba, all'ex dittatore Jorge Rafael Videla, al generale Luciano Benjamín Menéndez e ad altri 21 repressori, responsabili di crimini di lesa umanità. Le accuse si riferivano in particolare alla tortura e all'uccisione di 31 prigionieri politici nel 1976. Videla, già condannato al carcere a vita nel 1985, nello storico processo alle giunte militari, nel 1990 aveva goduto dell'indulto decretato da Menem (indulto dichiarato incostituzionale nell'aprile scorso). La sentenza è stata accolta con gioia e commozione dai tanti familiari delle vittime, che avevano seguito l'udienza attraverso grandi schermi poiché la sala era strapiena. Il tribunale ha inoltre revocato tutte le concessioni di arresti domiciliari: anche l'ex dittatore dovrà scontare la pena in una prigione comune. Durante il dibattimento Videla aveva giustificato il terrorismo di Stato parlando di "guerra giusta" contro un "conflitto militare interno, irregolare e rivoluzionario, ispirato dall'esterno". E aveva attaccato la democrazia, affermando che i nemici sconfitti allora sono oggi al potere e "cercano di costituire un regime marxista, alla maniera di Gramsci". Il giorno prima si era concluso a Buenos Aires un altro importante processo, che aveva visto alla sbarra i responsabili di sequestri, torture, omicidi nei centri clandestini di detenzione El Banco, El Olimpo e Club Atlético. Julio Simón, noto come El Turco Julián, uno dei torturatori più feroci, era stato condannato all'ergastolo e con lui altri undici repressori; ad altri quattro erano stati comminati 25 anni di carcere. VIOLENZA XENOFOBA A BAIRES. Quattro morti: questo il bilancio degli attacchi che, nel Parque Indoamericano di Buenos Aires, si sono susseguiti per giorni contro numerose famiglie di immigrati senzatetto, lì accampate per protestare contro le tante promesse mancate dell'amministrazione locale. Il primo tentativo di sgombero, che ha provocato due vittime (un ragazzo paraguayano e una giovane boliviana), è stato effettuato il 7 dicembre da poliziotti federali e da agenti municipali. Pare siano stati questi ultimi a sparare: del resto la Policía Metropolitana, un corpo fortemente voluto dal capo di governo della capitale, Mauricio Macri, si è spesso distinta per le sue azioni repressive e conta al suo interno molti ufficiali legati alla passata dittatura. Nei giorni successivi, attizzata dalle frasi razziste dello stesso Macri, si è scatenata un'ondata di violenza xenofoba: abitanti della zona, affiancati da squadracce di ultras, hanno assalito gli occupanti del Parque e i militanti di sinistra che li appoggiavano. Un'aggressione barbara: un diciannovenne, già ferito negli scontri, è stato assassinato da un gruppo di uomini che lo hanno strappato a forza dall'ambulanza. "Si sono fatti giustizia con le loro mani perché si sentono abbandonati": così Macri ha incredibilmente giustificato le azioni dei "benpensanti". Bersaglio della polemica il governo centrale, che si era rifiutato di soffocare nel sangue le proteste. Intanto le occupazioni si estendevano ad altri quartieri e ad altre città, testimoniando l'esistenza di un'emergenza casa. Per evitare l'inasprirsi della situazione, l'amministrazione di Buenos Aires è giunta infine a un accordo con il potere federale per la realizzazione di un piano di costruzione alloggi. In seguito agli incidenti, la presidente Fernández ha inoltre deciso la creazione di un dicastero per la Sicurezza, affidato alla ministra Nilda Garré. Questa ha subito disposto la nomina di nuovi comandanti ai vertici della Policía Federal e ha stabilito che gli agenti non utilizzino armi da fuoco nei conflitti sociali. In risposta agli inviti della destra a usare la "mano dura", Cristina Fernández ha criticato quanti vedono nella miseria la causa dell'insicurezza e assimilano i poveri ai delinquenti. Una scelta politica che ha consentito lo sgombero pacifico del Club Albariños, alla periferia di Buenos Aires, dove si erano rifugiati altri senzatetto. Grazie a un'intesa con il governo, a fine mese si è concluso anche lo sciopero della fame di alcuni membri delle etnie indigene, in lotta per la difesa delle terre nella provincia di Formosa. In novembre la polizia aveva attaccato con violenza i blocchi stradali eretti dalla comunità La Primavera: negli scontri erano morti un leader qom e un agente. 30/12/2010 |
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Venezuela, cinque leggi per il potere popolare Sono state promulgate il 21 dicembre le cinque leggi (Ley Orgánica del Poder Popular, de Planificación Pública y Popular, de las Comunas, del Sistema Económico Comunal, de Contraloría Social) approvate dal l'Assemblea Nazionale che mirano a promuovere la partecipazione sociale attraverso "forme di autogoverno comunitarie e comunali". Fortemente critica l'opposizione, che ha denunciato la formazione di uno "Stato parallelo". Secondo il governo, invece, queste leggi costituiscono la base giuridica per l'esercizio diretto del potere da parte del popolo e per il consolidamento di una società socialista. Qualche giorno prima i parlamentari avevano approvato a grande maggioranza la cosiddetta Ley Habilitante, che consentirà al capo dello Stato di legiferare per decreto per diciotto mesi. In tal modo il governo non dovrà fare i conti con la nuova composizione dell'Assemblea Nazionale, dove da gennaio l'opposizione avrà una forza maggiore (nel 2005 aveva rinunciato a presentarsi alle elezioni). Hugo Chávez aveva chiesto espressamente il varo di questa legge per far fronte ai problemi creati dalle recenti inondazioni, che hanno provocato decine di migliaia di senzatetto: con il primo decreto è stata decisa la creazione del Fondo Simón Bolívar per la ricostruzione delle aree devastate. Il 5 dicembre erano stati eletti i nuovi governatori degli Stati di Guarico e Amazonas. Nel primo si era imposto l'ex rettore universitario Luis Gallardo, del Psuv (il suo predecessore William Lara, anch'egli del Psuv, era morto in settembre in un incidente stradale). Al governo dello Stato di Amazonas era stato invece confermato il candidato antichavista Liborio Guarulla. Nello stesso giorno si era votato anche per undici amministrazioni comunali, sette conquistate dalla maggioranza e quattro dall'opposizione. LA MORTE DI CARLOS ANDRES PEREZ. È stato sepolto a Miami l'ex presidente Carlos Andrés Pérez, scomparso il 25 dicembre all'età di 88 anni. Figura controversa, Pérez era stato eletto due volte alla massima carica dello Stato. Mentre il suo primo mandato (1974-1979) era stato caratterizzato dalla nazionalizzazione del petrolio e del ferro, nel corso del secondo (1989-1993), su pressione del Fmi Pérez aveva imposto al paese rigide misure di austerità, inviando l'esercito a soffocare nel sangue la protesta popolare (il cosiddetto Caracazo, febbraio 1989). Da quegli avvenimenti era scaturita una presa di coscienza in alcuni settori delle forze armate: nel 1992, infatti, un gruppo di militari guidati da Hugo Chávez tentava un colpo di Stato. La carriera politica di Pérez era comunque al tramonto: l'anno seguente veniva accusato di peculato e malversazione e in seguito espulso dal suo partito, Acción Democrática. 29/12/2010 |
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Uruguay, la lunga lotta contro l'impunità L'ex soldato Julio Ruperto Ramírez, rinvenuto cadavere il 21 dicembre nelle acque argentine del fiume Uruguay, potrebbe essere stato ucciso perché si apprestava a rivelare le informazioni in suo possesso sui desaparecidos della dittatura. Lille Caruso, militante dei diritti umani e dirigente del Partido Comunista, ha confermato che la vittima aveva anche realizzato uno schizzo che localizzava sepolture clandestine nelle installazioni dei battaglioni 13 e 14, vicino a Montevideo. La sua testimonianza sarebbe stata preziosa in un paese che, a oltre 25 anni dalla fine del regime militare, non ha ancora fatto i conti con il suo passato. In Uruguay è tuttora in vigore la Ley de Caducidad, che frena ogni tentativo di processo agli ex repressori: una legge confermata da un referendum nel 1989 e ribadita in una nuova consultazione popolare nel 2009. E questo nonostante la Corte Suprema ne abbia a più riprese dichiarato l'incostituzionalità (l'ultima volta il primo novembre), sia pure in riferimento a casi specifici. Approfittando delle lacune della legge, durante il mandato di Tabaré Vázquez alcuni responsabili di violazione dei diritti umani (tra cui gli ex dittatori Gregorio Alvarez e Juan María Bordaberry) sono stati portati in tribunale, ma tanti altri sono ancora a piede libero. Presentato dal Frente Amplio, è attualmente all'esame del Parlamento un progetto interpretativo della Ley de Caducidad, che di fatto la annullerebbe in parte. Già approvata dalla Camera il 19 ottobre, la proposta si è però arenata al Senato, a causa del veto di tre parlamentari della maggioranza che hanno preannunciato voto contrario. Contro l'impunità e per la difesa dei diritti umani si era battuta per tutta la vita María Esther Gatti, scomparsa il 5 dicembre a 92 anni. Durante la dittatura, la figlia María Emilia Islas e il genero Jorge Zaffaroni avevano lasciato il paese per rifugiarsi in Argentina, dove era nata la piccola Mariana. Nel 1976 la coppia era stata sequestrata nell'ambito del Plan Cóndor e solo nel 1992, dopo una lunga ricerca, María Esther era riuscita a ritrovare e a riabbracciare la nipote. 29/12/2010 |
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Messico, hanno ucciso "Madre Coraggio" L'hanno uccisa la sera del 16 dicembre con un colpo di pistola alla testa. È avvenuto nel centro di Chihuahua, di fronte al palazzo di governo dell'omonimo Stato, dove da due settimane Marisela Escobedo Ortiz realizzava un presidio per protestare contro l'impunità di cui godeva l'assassino di sua figlia. La lotta di questa "Madre Coraggio" era cominciata due anni prima, alla scomparsa della figlia sedicenne Rubí Marisol. Con le sue tenaci indagini Marisela aveva fatto sì che il caso di Rubí non venisse archiviato come tanti altri ed era riuscita a individuare il colpevole, Sergio Rafael Barraza Bocanegra, ex compagno della ragazza legato alla banda de Los Zetas. Sergio aveva confessato permettendo anche il ritrovamento del cadavere, ma incredibilmente era stato prosciolto in tribunale. Marisela aveva allora ingaggiato una battaglia legale, ottenendo che in appello la sentenza di assoluzione fosse trasformata in una condanna a cinquant'anni di carcere. Nel frattempo l'assassino aveva fatto perdere le sue tracce e la polizia si dichiarava impotente. Di nuovo era stata Marisela a scovarlo nello Stato di Zacatecas; aveva avvertito la Procura di Chihuahua, ma si era sentita rispondere che per problemi burocratici era impossibile arrestarlo. E mentre un muro di omertà e di connivenza proteggeva l'omicida, Marisela veniva più volte minacciata ed era lasciata sola nella sua richiesta di giustizia. Di fronte alla sua uccisione, ha dichiarato la coordinatrice del Centro de Derechos Humanos de las Mujeres, Lucha Castro, "non si può scartare nessuna linea d'indagine, compresa quella di un delitto di Stato, perché Marisela non si sarebbe fermata finché non avessero catturato l'assassino di sua figlia". La cronaca dell'orrore non termina qui. Due giorni dopo la morte di Marisela, un commando armato ha fatto irruzione nella fabbrica di legname di proprietà del marito, José Monge, incendiandola e sequestrando il fratello del proprietario, Arturo, che in seguito è stato rinvenuto privo di vita. Sempre nello Stato di Chihuahua era stata assassinata il 29 novembre l'avvocata Hermila García Quiñónez, dirigente della polizia municipale di Meoqui. Hermila García in ottobre aveva assunto il comando di novanta elementi incaricati della sicurezza della località. Si stava dirigendo in macchina verso il suo ufficio quando veniva raggiunta dai colpi dei sicari. A poche ore di distanza, a Mazatlán (Stato di Sinaloa), cadeva vittima di un attentato analogo María Dolores Guzmán Ramírez, funzionaria della Procura Generale: due killer a bordo di una moto si affiancavano alla sua auto, ferma a un semaforo, aprendo il fuoco. LIBERO DOPO SETTE MESI DI SEQUESTRO. Fin dall'inizio il sequestro di Diego Fernández de Cevallos era apparso anomalo. Il 14 maggio il discusso esponente del partito di governo era stato rapito nei pressi della sua casa di campagna, nello Stato del Querétaro. Per sette mesi le notizie su di lui erano state scarse e frammentarie, tanto da far pensare a una simulazione. Il 20 dicembre Diego Fernández è ricomparso: i suoi sequestratori, che nei comunicati si firmavano Misteriosos Desaparecedores, lo hanno rilasciato dietro pagamento di un cospicuo riscatto (si parla di 30 milioni di dollari). Ma la vicenda non è del tutto chiara: come si è appreso in seguito, infatti, alla data della sua prima comparsa in pubblico Fernández de Cevallos era già libero da nove giorni. L'avvenuta liberazione era stata nascosta agli stessi servizi segreti militari e solo poche persone, tra cui il presidente Calderón, ne erano al corrente. 23/12/2010 |
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Ecuador, come superare il neoliberismo "Lo sviluppo è una questione politica. Dietro tutto questo ci sono i rapporti di potere. Qui c'è stato un dominio assoluto del capitale finanziario attraverso Stati borghesi, apparenti, non popolari. Devono cambiare i rapporti di potere, da ristrette élites alle grandi maggioranze. È quello che sta avvenendo in America Latina, per questo i cani abbaiano". Sono parole del presidente Rafael Correa, che in dicembre ha presentato a Buenos Aires il suo libro Ecuador: de Banana Republic a la No República. Il saggio analizza la situazione economica del continente nell'era del capitale finanziario, ne valuta le conseguenze negative e invita ad abbandonare principi imposti alla società come "scientifici", ma che in realtà beneficiano una ristretta cerchia: il riequilibrio fiscale, il libero commercio, la deregulation, la riduzione delle funzioni dello Stato, la scomparsa della sovranità nazionale, la flessibilità del lavoro. Su quest'ultimo punto esorta a non vedere il lavoro come uno dei tanti fattori della produzione, ma a teorizzare la sua "supremazia sul capitale".Dopo "la lunga e triste notte neoliberista" in America Latina, che ha provocato forte impoverimento, polarizzazione sociale e una distribuzione del reddito ancora più iniqua, la strada da imboccare è ora quella dell'integrazione regionale e della moneta unica. CORREA RIMUOVE DUE MINISTRI. In seguito al tentativo di golpe del 30 settembre, innescato dalla sollevazione di alcuni reparti di polizia, il presidente Correa ha rimosso i ministri dell'Interno, Gustavo Jalkh, e della Difesa, Miguel Carvajal. Al dicastero dell'Interno è stato designato l'architetto, scrittore e giornalista Alfredo Vera; alla Difesa il viceammiraglio a riposo Homero Arellano. I due nuovi ministri dovranno avviare la riforma della polizia e un miglioramento dei servizi segreti (che non furono in grado di avvertire il governo del pericolo imminente). Gustavo Jalkh assumerà l'incarico di segretario particolare del capo dello Stato. 17/12/2010 |
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L'uragano WikiLeaks in America Latina La pubblicazione delle comunicazioni diplomatiche statunitensi da parte di WikiLeaks ha messo a nudo le pressioni esercitate dal colosso del Nord sui governi latinoamericani. Qualche esempio: secondo un documento della rappresentanza diplomatica a Brasilia, nel febbraio scorso l'ambasciatore Usa Thomas Shannon raccomandava al viceministro degli Esteri, Antonio Patriota (ora designato come ministro nel futuro gabinetto Rousseff), "cautela" nei rapporti con Teheran. E se con il Brasile ci si limita ai "consigli", per la Bolivia le ingerenze sono più pesanti: nel dicembre 2006 l'ambasciatore a La Paz Philip Goldberg presentava al Dipartimento di Stato una relazione dettagliata su tredici esponenti politici, tra i quali scegliere un leader in grado di guidare l'opposizione a Morales (due anni dopo Goldberg veniva espulso dal paese). Diversa invece la situazione dell'Honduras: in un cablogramma del 9 luglio 2009 il diplomatico statunitense Hugo Llorens si schierava per la democrazia segnalando alla Casa Bianca la vera portata del golpe contro Zelaya. "Non c'è dubbio - scriveva Llorens - che i militari, la Corte Suprema di Giustizia e il Congresso Nazionale hanno cospirato il 28 giugno in quello che è stato un colpo di Stato illegale e anticostituzionale contro il potere esecutivo". Nonostante questa presa di posizione, l'amministrazione Usa non definì mai golpista il regime Micheletti, giustificando così il successivo appoggio alle elezioni farsa. WikiLeaks rivela poi insospettate richieste di aiuto. Nell'agosto 2009 un collaboratore del presidente salvadoregno Mauricio Funes sollecitava il sostegno dell'ambasciata Usa contro l'ala più radicale del Fmln (Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional). Funes temeva per la sua vita e i suoi assistenti erano convinti che le conversazioni telefoniche del presidente fossero controllate "da elementi della linea dura del Frente" e che i servizi segreti gli nascondessero informazioni essenziali, come gli incontri a San Salvador del ministro degli Esteri venezuelano Maduro con esponenti del Fmln. In Cile, invece, nel 2008 (durante la presidenza Bachelet) il capo di gabinetto Edmundo Pérez Yoma avrebbe sollecitato la collaborazione statunitense per affrontare il "problema mapuche" e scoprire eventuali contatti dei leader indigeni con le Farc colombiane o i separatisti baschi dell' Eta. Quanto alle reazioni di fronte al fenomeno WikiLeaks, Lula è stato il primo capo di Stato a pronunciarsi pubblicamente in favore di Assange. Il presidente brasiliano ha anche dato mandato ai suoi collaboratori di porre sul Blog do Planalto, la pagina web su cui vengono diffuse le iniziative del governo, "il primo voto di protesta per la libertà di espressione in Internet". Intanto in Bolivia il vicepresidente García Linera annunciava l'apertura di un sito temporaneo per facilitare l'accesso a WikiLeaks e far conoscere così "la barbarie e la rozzezza" dello spionaggio statunitense. 13/12/2010 |
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Vertice sul clima: la sfida della Bolivia Senza alcun impegno vincolante si è conclusa a Cancún, in Messico, la Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Soddisfatti i maggiori responsabili dell'effetto serra, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Russia all'Unione Europea. L'accordo raggiunto, che la Bolivia non ha voluto sottoscrivere, ha avuto il solo merito di evitare un fallimento totale come avvenuto lo scorso anno: per questo grandi lodi sono state tributate alla presidente della conferenza, la ministra degli Esteri messicana Patricia Espinosa. In realtà da Cancún è uscita confermata la logica di Copenaghen, con il ruolo centrale assegnato al settore privato e la licenza di inquinare concessa dietro compenso ai paesi industrializzati. Nessuna risposta all'urgenza di ridurre le emissioni per frenare il riscaldamento del pianeta: la meta approvata (non superare un aumento della temperatura media globale di 2°C), già di per sé insufficiente, non è per nulla garantita visto che mancano obblighi precisi. E intanto la crisi climatica mostra già potentemente i suoi effetti: recenti inondazioni hanno provocato oltre 300 vittime e quasi due milioni di senzatetto in Colombia e hanno colpito pesantemente anche Venezuela e Panama. Contro l'accordo finale si è espressa la Bolivia che proprio il 7 dicembre, quasi a fare da contraltare alle sterili discussioni del vertice, ha approvato la Ley de Derechos de la Madre Tierra. La legge definisce la Madre Terra come "il sistema vivente dinamico formato dalla comunità indivisibile di tutti i sistemi di vita e di tutti gli esseri viventi, in rapporto tra loro, interdipendenti e complementari, che condividono un destino comune" e le conferisce il carattere di "soggetto collettivo di interesse pubblico". Come tale, la Madre Terra ha precisi diritti: alla vita, alla diversità, all'acqua, all'aria pulita, all'equilibrio, alla restaurazione e alla libertà dall'inquinamento, diritti vigilati e promossi dalla Defensoría de la Madre Tierra. Parte dunque da qui, e non dal Messico, la battaglia contro l'aggressione all'ambiente. Un'aggressione le cui conseguenze sono ben visibili proprio a Cancún, trasformata in polo turistico di richiamo al prezzo dello scempio del paesaggio e dell'ecosistema costiero. UNA "CLAUSOLA DEMOCRATICA" SOFT. Il tema dell'incontro era Educación para la inclusión social e in questo ambito i paesi partecipanti si sono prefissi un'ambiziosa meta: raggiungere entro il 2021 un livello di istruzione che dia risposta a un complesso di domande sociali improcrastinabili. Ma il dibattito alla Cumbre Iberoamericana di Mar del Plata (assente il regime golpista honduregno, che non era stato invitato) si è centrato soprattutto sulla cosiddetta "clausola democratica". La formula infine adottata ha toni più soft rispetto a quella approvata in novembre dall'Unasur: prevede la sospensione di un paese in caso di rottura dell'ordine costituzionale o dello Stato di diritto, senza minacciare chiusura delle frontiere o blocchi commerciali. Considerata la composizione del vertice, era il massimo consenso raggiungibile. 12/12/2010 |
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Perù, Alan García pronto al golpe? Alan García sarebbe pronto a promuovere un golpe in caso di trionfo elettorale di Ollanta Humala, candidato del Partido Nacionalista, alle presidenziali del 2011. Lo sostiene lo scrittore e giornalista Jaime Bayly sul quotidiano Perú 21 del 6 dicembre, riportando frammenti di una conversazione privata con il capo dello Stato. Questi avrebbe addirittura detto: "A costo di finire in galera, Humala non sarà presidente". Il colloquio sarebbe avvenuto durante una cena nella casa del giornalista, situata in uno dei quartieri più esclusivi di Lima. Bayly era incerto se lanciare o meno la sua candidatura alla suprema carica dello Stato: a trattenerlo era soprattutto l'appannaggio presidenziale, circa tremila dollari al mese, una cifra troppo bassa per lo stile di vita cui era abituato. García gli avrebbe spiegato ridendo che questo non costituiva un problema: una volta conseguita l'elezione, "il denaro arriva da solo". Il resoconto di Bayly, nonostante la pronta smentita del presidente, ha suscitato grosse polemiche e Humala ha denunciato una congiura golpista ai suoi danni. Le frasi "incriminate" sono infatti del tutto verosimili: già nel marzo 2009, di fronte a un pubblico di banchieri e imprenditori latinoamericani, García aveva assicurato che non avrebbe permesso la vittoria di un politico contrario al neoliberismo (come appunto Humala). In Perù il presidente ha un certo potere - aveva detto - non può far eleggere chi desidera, ma può evitare che venga eletto chi non desidera. Quanto al discorso sul denaro, basti ricordare che dopo il suo primo mandato (1985-90) García fu accusato di arricchimento illecito e dovette abbandonare per otto anni il paese, tornando in patria solo a reato prescritto. E anche il mandato in corso non è esente da scandali e sospetti di corruzione. 11/12/2010 |
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Haiti, il voto tra caos e violenza Tra le macerie del terremoto del 12 gennaio e l'epidemia di colera, il paese è andato alle urne il 28 novembre per eleggere il nuovo Parlamento e il successore di René Préval. Precedute da sanguinosi scontri tra opposte fazioni (con il bilancio di due morti), le elezioni si sono svolte in un clima caotico e sono state definite da diverse organizzazioni sociali "una farsa cinica e criminale", una "vergogna per le autorità nazionali e la Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite". Dopo il voto, le proteste per i presunti brogli a favore di Jude Célestin, del partito al potere Inite, provocavano due nuove vittime e la richiesta, da parte della maggioranza dei candidati, di annullare la consultazione. Ma a giudizio dell'Oea, nonostante le "irregolarità" il processo elettorale non andava invalidato. Il 7 dicembre la proclamazione, da parte del Conseil Electoral Provisoire, dei risultati provvisori del primo turno confermava i sospetti di frode: passavano infatti al ballottaggio del 16 gennaio Mirlande Manigat (Rassemblement des Démocrates Nationaux Progressistes) e Jude Célestin, mentre veniva escluso per pochi voti il popolare cantante Michel Martelly (Repons Peyizan) che pure, secondo il gruppo di osservatori finanziato dall'Unione Europea, si era piazzato al secondo posto. Scoppiavano nuovi tumulti e si registravano altri morti, finché le autorità elettorali non cercavano di riportare la calma annunciando il ricontrollo delle schede. Sul piano della lotta al colera non si segnala alcun progresso. Secondo cifre ufficiali, le vittime sono già più di duemila e gli esperti delle Nazioni Unite avvertono che il vero bilancio potrebbe essere molto più alto. E proprio l'Onu ha denunciato la lentezza degli aiuti internazionali: a fine novembre erano arrivati solo 19,4 milioni di dollari, dei 164 necessari per contenere la diffusione dell'epidemia. Intanto la disperazione della popolazione porta a episodi atroci, come il linciaggio di una quindicina di "untori" nel dipartimento della Grand'Anse: erano accusati di aver sparso una sostanza che favoriva il contagio. 9/12/2010 |
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Paraguay, assassinato leader contadino Il presidente Lugo è tornato a fine novembre in patria, dopo essere stato sottoposto in un ospedale brasiliano a un'ultima seduta di chemioterapia per curare il linfoma di Hodgkin di cui era affetto. A quanto si è appreso, gli ultimi esami medici hanno mostrato la scomparsa del tumore. Se l'ex vescovo può tirare un sospiro di sollievo ed esprimere "profonda gratitudine a Dio", altrettanto si può dire per buona parte del paese: in base alla Costituzione la rinuncia o la morte del presidente avrebbero portato al governo il vice Federico Franco, un conservatore da tempo in contrasto con il capo dello Stato. Nonostante lo scampato pericolo, il Paraguay appare ancora ben lontano da quella svolta che le elezioni del 2008 avevano fatto sperare. "Onorato e onesto, buono e degno, Lugo si è mostrato del tutto incapace di tenere le redini di un paese prigioniero dell'analfabetismo politico e istituzionale delle sue oligarchie e malato di povertà strutturale, di entreguismo e di corruzione endemica. Fernando Lugo è il presidente, ma i suoi discorsi antimperialisti e progressisti sono credibili solo nelle sue visite all'estero. All'interno, il Parlamento, le mafie del narcotraffico, la Cia e Washington governano questo paese" (José Steinsleger, La Jornada, 3/11/2010). Intanto nelle campagne i latifondisti rispondono con il terrore alla lotta per la riforma agraria: il 26 novembre a Santa Catalina (dipartimento di Canindeyú) è stato assassinato da un sicario il leader contadino Mariano Jara, del Movimiento Campesino Paraguayo. LA MORTE DI ANANIAS MAIDANA. A 87 anni è morto il 30 ottobre Ananías Maidana, grande figura di combattente contro la dittatura. Aveva sofferto la prigione, la persecuzione e l'esilio fin dagli anni Quaranta. Sotto il regime di Stroessner era stato incarcerato per vent'anni, di cui cinque rinchiuso nel cosiddetto "cimitero dei vivi" (una cella di 1,70 m. per 4,70) insieme ad altre quindici persone. Nel 1980 era diventato segretario generale del Partido Comunista prendendo il posto del fratello Antonio, sequestrato a Buenos Aires nell'agosto di quell'anno e da allora desaparecido. "Se ne è andato il León Guaraní. Quello dagli occhi azzurri e dal sorriso placido. Il tuo esempio vivrà per sempre. A presto, compagno", ha scritto qualcuno sul libro delle condoglianze. 1/12/2010 |
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Brasile, occupazione militare delle favelas La mattina del 28 novembre, scaduto l'ultimatum per la resa, circa 2.500 membri dell'esercito, della marina e della polizia militare hanno invaso la parte più elevata del Morro do Alemão: si tratta di un complesso di oltre dieci favelas da due decenni sotto il controllo del Comando Vermelho, la banda che gestisce il narcotraffico a Rio. I timori della vigilia non si sono concretizzati: nessuna resistenza da parte dei trafficanti, che hanno lasciato sul terreno grossi quantitativi di droga, denaro e munizioni (compresi lanciarazzi e granate) e in qualche caso si sono lasciati arrestare. La maggior parte dei malviventi, però, sarebbe riuscita a fuggire attraverso le fognature. "Questo è solo l'inizio", ha commentato il presidente Lula. Scopo delle autorità è "ripulire" la città che nel 2014 dovrà ospitare alcune partite dei Mondiali di Calcio e nel 2016 le Olimpiadi. La sfida della malavita era scattata subito dopo l'assegnazione a Rio dei giochi olimpici; tra gli episodi più clamorosi, l'abbattimento di un elicottero della polizia statale. Lo scorso agosto uomini armati avevano fatto irruzione in un albergo di lusso, tenendo in ostaggio per ore un gruppo di persone. Nei giorni precedenti l'assalto della polizia al Morro do Alemão, numerosi erano stati gli attacchi della criminalità organizzata e gli scontri a fuoco con gli agenti in diverse zone della città. In pochi giorni le vittime avevano ampiamente superato la trentina e tra esse non pochi civili, tra cui una ragazzina. Sanguinoso soprattutto l'intervento della polizia militare a Vila Cruzeiro, dove era stata opposta una forte resistenza con sparatorie, barricate, veicoli dati alle fiamme. A testimonianza dei tempi, le immagini erano state trasmesse in televisione con la cronaca degli inviati "di guerra". Il governatore dello Stato, Sergio Cabral, ha ora chiesto a Brasilia che l'occupazione militare delle favelas continui, per impedire il ritorno dei narcotrafficanti. Lula ha risposto assicurando che gli effettivi rimarranno "per tutto il tempo necessario a garantire la pace". Ma è difficile pensare che pattuglie e blindati possano portare una vera pace nelle baraccopoli: già dopo le recenti operazioni sono stati denunciati abusi da parte della polizia militare, tristemente famosa a Rio per la sua brutalità. Resta il sospetto che questa presenza armata miri non tanto a proteggere gli abitanti dei quartieri poveri, quanto a garantire la sicurezza dei quartieri ricchi. 30/11/2010 |
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L'Unasur approva la "clausola democratica" Iniziato con un omaggio allo scomparso segretario generale, Néstor Kirchner, il quarto vertice dell'Unasur a Georgetown (la Guyana esercita la presidenza pro tempore) ha visto l'approvazione del Protocolo sobre compromiso con la democracia: uno strumento per combattere eventuali tentativi di destabilizzazione. Il Protocolo, che entrerà a far parte del trattato costitutivo dell'Unasur, "sarà applicato in caso di rottura o di minaccia di rottura dell'ordine democratico" in uno dei paesi membri. Prevede una serie di provvedimenti, dalla chiusura delle frontiere alla sospensione delle comunicazioni, del commercio e della fornitura di energia e servizi, che verranno decisi da un summit straordinario regionale. La cosiddetta "clausola democratica" era stata abbozzata dai presidenti latinoamericani in occasione dell'incontro svoltosi a Buenos Aires dopo il tentato golpe in Ecuador. Costituisce anche un'indiretta risposta al forum che il 17 novembre ha riunito a Washington i maggiori rappresentanti dell'estrema destra del continente. Citiamo solo alcuni nomi: da parte statunitense i parlamentari repubblicani Ileana Ros-Lehtinen e Connie Mack e gli ex funzionari dell'amministrazione Bush, Roger Noriega e Otto Reich. Da parte latinoamericana il venezuelano Guillermo Zuloaga, proprietario di Globovisión e attualmente rifugiato negli Usa; l'ex presidente dell'Ecuador Lucio Gutiérrez, considerato l'ispiratore del tentativo di golpe del 30 settembre; gli oppositori boliviani Luis Núñez e Javier El-Hage, coinvolti nella cospirazione del mercenario Eduardo Rózsa Flores. Scopo del seminario, analizzare le strategie necessarie per far fronte alle "minacce" dei paesi dell'Alba alla democrazia e alla sicurezza interamericana. 26/11/2010 |
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Colombia, la continuità di Santos Juan Manuel Santos, che ha assunto il potere il 7 agosto, sta cercando di prendere le distanze dalla gestione del suo predecessore. Sul piano della politica estera il cambiamento è indubbio: con l'accordo del 10 agosto sono stati riallacciati i rapporti diplomatici con il Venezuela e il 19 novembre il ministro degli Esteri di Quito ha annunciato il compimento dei requisiti richiesti per la piena normalizzazione delle relazioni con Bogotá, rotte in seguito all'incursione colombiana del primo marzo 2008 contro un accampamento delle Farc in Ecuador. Nonostante la recente morte di una giovane ecuadoriana in un altro attacco contro la guerriglia (ma questa volta in territorio colombiano), la riappacificazione è in corso. In ottobre il paese ha anche ottenuto un riconoscimento a livello internazionale, sostituendo il Messico tra i membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Sul piano interno, invece, si registra una sostanziale continuità con il governo Uribe. Come denuncia la Plataforma Coordinación Colombia Europa Estados Unidos, che raggruppa quasi duecento ong, nei primi due mesi e mezzo della nuova presidenza sono stati compiuti 24 omicidi politici. Le vittime sono sette leader indigeni, sei militanti per i diritti umani, due dirigenti di organizzazioni delle donne, due attivisti per i diritti degli omosessuali, cinque sindacalisti, un giornalista e un giudice che indagava sulle esecuzioni sommarie. Al di là del mutamento di tono, insomma, si evidenzia una sostanziale continuità con il passato: del resto le strutture politiche ed economiche che hanno alimentato il fenomeno del paramilitarismo non sono state minimamente intaccate e mantengono una forte presenza in Parlamento. Il rapporto della Plataforma afferma che "la crisi umanitaria nel paese è ancora in corso". E ricorda che, a cinque anni dal processo di smobilitazione dei gruppi armati di estrema destra, meno del 2% dei paras è stato sottoposto a processo e sono state pronunciate solo due sentenze: una di queste è stata dichiarata nulla, per l'altra è stato presentato appello. Una manovra politica dei settori paramilitari è stata definita da Fidel Castro anche la sentenza della Procura Generale colombiana che decreta l'interdizione per 18 anni dai pubblici uffici della senatrice liberale Piedad Córdoba. Agli inizi di novembre il Congresso ha ratificato tale decisione destituendo la parlamentare, accusata di aver collaborato con le Farc. In realtà Piedad Córdoba aveva incontrato i rappresentanti della guerriglia, con l'autorizzazione del governo Uribe e la collaborazione del presidente venezuelano Hugo Chávez, per svolgere opera di mediazione nella liberazione degli ostaggi. Diversi ex sequestrati avevano chiesto invano ai magistrati di riconsiderare la sentenza. Non sono solo i gruppi armati a seminare la morte. Nonostante la lunga guerra civile abbia portato a una sorta di assuefazione, l'opinione pubblica è rimasta scossa da quanto accaduto a metà ottobre a Tame, nel dipartimento di Arauca. Una quattordicenne e i suoi due fratellini di 9 e 6 anni sono stati massacrati a colpi di machete da membri dell'esercito, per occultare la violenza perpetrata da un sottufficiale nei confronti della ragazzina. Non si tratta di casi isolati: un rapporto della Defensoría del Pueblo di Bogotá ha rivelato che nel dipartimento, nel corso del 2010, sono stati uccisi undici minori. Nel frattempo i protagonisti di alcuni scandali dell'era Uribe cercano rifugio all'estero. María del Pilar Hurtado, direttrice del Das (Departamento Administrativo de Seguridad) dall'agosto 2007 all'ottobre del 2008, è fuggita a Panama dove ha ottenuto asilo politico. La funzionaria è coinvolta nella vicenda delle intercettazioni a magistrati, giornalisti e difensori dei diritti umani. Tra gli indagati compare il nome dello stesso Uribe, dal momento che i risultati degli ascolti illegali erano consegnati direttamente alla Casa de Nariño (il palazzo presidenziale). 19/11/2010 |
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Honduras, niente invito per Porfirio Lobo Porfirio Lobo non parteciperà alla Cumbre Iberoamericana prevista per il 3 e 4 dicembre nella località argentina di Mar del Plata. Il presidente honduregno, eletto nelle consultazioni organizzate dalla giunta golpista, non è stato invitato nonostante le pressioni di Washington e dei paesi alleati: Cile, Colombia e Perù. La sua presenza non è gradita non solo all'Argentina di Cristina Fernández, ma a gran parte delle nazioni sudamericane. Il boliviano Evo Morales è stato tassativo: non intende partecipare a un incontro "insieme ai dittatori". Anche in maggio a Madrid, nel corso del vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione Europea e dell'America Latina, l'Unasur aveva respinto la presenza di Lobo, ma questi aveva comunque preso parte alla riunione tra Europa e Centro America ed era stato ricevuto dal premier spagnolo Zapatero. Intanto in Honduras l'opposizione continua la sua battaglia. Il 18 agosto si è svolta una massiccia manifestazione sindacale contro la precarizzazione del lavoro e la privatizzazione delle imprese statali. Il 23 agosto sono scesi in piazza oltre 30.000 insegnanti in difesa della scuola pubblica. Nuova mobilitazione il 7 settembre, con blocchi stradali e occupazione di ponti, in occasione del paro cívico nacional: alle consuete rivendicazioni si aggiunge la solidarietà ai lavoratori dell'Universidad Nacional Autónoma, brutalmente sgomberati dalla polizia due giorni prima. Il 27 ottobre sono tornati in piazza maestri e professori, contro la decisione del governo di non pagare l'enorme debito accumulato nei confronti dell'istituto di previdenza della categoria. Purtroppo si allunga anche l'elenco dei crimini degli squadroni della morte. 21 luglio: viene assassinato l'avvocato Marco Tulio Amaya, del Frente Nacional de Resistencia Popular, colpevole di aver difeso le ragioni dei contadini. 17 agosto: nella regione del Bajo Aguán, tre membri del Movimiento Unificado Campesino del Aguán muoiono sotto il fuoco dei killer. 25 agosto: viene ucciso, nei pressi di San Pedro Sula, il giornalista radiofonico Israel Zelaya Díaz. 24 ottobre: muore per le conseguenze di un "incidente" Néstor Ovidio Zúniga, membro del Copinh (Consejo de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras). Néstor Zúniga era stato investito dalla motocicletta guidata da un riservista dell'esercito, fuggito senza prestargli soccorso. 15 novembre: ancora nel Bajo Aguán, decine di uomini armati al soldo dei latifondisti assaltano i contadini che mesi prima erano riusciti a recuperare le loro terre, uccidendone cinque. E il 19 novembre il Congresso approva la Ley Antiterrorista, una legge diretta a criminalizzare la protesta sociale e a perseguire i militanti della resistenza. 19/11/2010 |
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Cuba, si terrà in aprile il Congresso del Pcc Il Sesto Congresso del Partido Comunista, che avrebbe dovuto essere celebrato nel 2002, ma la cui data era stata continuamente posposta, si terrà nell'aprile 2011 e avrà al centro del dibattito la politica economica. Lo ha annunciato l'8 novembre il presidente Raúl Castro, nel corso di una riunione con Hugo Chávez: una dimostrazione dell'importanza annessa dall'Avana all'alleanza con Caracas. Il presidente venezuelano era giunto a Cuba per celebrare i primi dieci anni di cooperazione bilaterale e per rilanciare gli accordi per il prossimo decennio. In preparazione dell'importante appuntamento congressuale, i lineamenti della riforma saranno discussi prima dai dirigenti e dai militanti del partito e in seguito dall'intera popolazione. "La battaglia economica costituisce oggi più che mai il compito principale e il centro del lavoro ideologico dei quadri, perché da essa dipende la sostenibilità e la preservazione del nostro sistema sociale": con queste parole Raúl Castro ha voluto sottolineare l'importanza delle trasformazioni in atto nel paese. Secondo il documento di base per la discussione, il Proyecto de Lineamientos de la Política Económica y Social, al governo verrà sottratto il pieno controllo delle imprese pubbliche, che godranno di relativa autonomia e dovranno rispondere dei risultati ottenuti. Si aprirà uno spiraglio per il mercato immobiliare, con l'applicazione di "formule flessibili per la permuta, l'acquisto, la vendita e l'affitto di abitazioni". Verrà inoltre permessa l'associazione di più cooperative in assetti più ampi e saranno istituite "zone speciali di sviluppo" riservate all'esportazione e all'alta tecnologia. Non sarà comunque consentita "la concentrazione della proprietà in persone giuridiche o naturali". Un appoggio alla gestione politica di Raúl è venuta dal fratello Fidel che il 17 novembre, in un incontro con studenti universitari, si è detto "contento perché il paese sta andando avanti nonostante tutte le sfide" e ha avvertito dei rischi che deriverebbero al sistema cubano da una mancata applicazione delle riforme. A queste frasi si possono aggiungere altri segnali che confermano la coincidenza dei due Castro sulla necessità della svolta economica: qualche giorno prima Raúl, parlando del documento per il Congresso, aveva voluto tranquillizzare il partito segnalando la presenza delle idee del fratello "in ciascuno dei lineamenti proposti". 18/11/2010 |
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Bolivia, si abbassa l'età pensionabile Il governo Morales ha presentato il 16 novembre la riforma previdenziale elaborata in accordo con la Cob (Central Obrera Boliviana). Il progetto abbassa l'età pensionabile da 65 a 58 anni, ristabilisce l'apporto padronale del 3%, crea un unico ente pubblico per la gestione delle pensioni eliminando il settore privato e istituisce un fondo per le persone di basso reddito o per i lavoratori autonomi. Sempre il 16 novembre si è conclusa la visita di cinque giorni dell'alta commissaria per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Navanethem Pillay, nota giurista e militante contro l'apartheid in Sudafrica. Navanethem Pillay si è congratulata con il governo di La Paz per la Ley Contra el Racismo y Toda Forma de Discriminación, promulgata l'8 ottobre. "Il discorso razzista, l'odio e l'incitamento alla violenza razziale sono inaccettabili in una società democratica e non possono essere protetti dalla libertà d'espressione", ha affermato l'inviata dell'Onu. Un chiaro riferimento alle polemiche innescate dal nuovo ordinamento, attaccato dai proprietari dei media e da alcune associazioni di giornalisti. Bersaglio principale delle critiche l'articolo 16, che minaccia di sanzioni economiche e sospensione della licenza i mezzi di comunicazione che diffondano discorsi razzisti e discriminatori. La Bolivia, paese a maggioranza indigena, è stata spesso teatro di episodi di razzismo: basti ricordare la caccia all'indio scatenata nel maggio 2008 a Sucre e documentata nelle immagini girate dal regista argentino César Brie. 16/11/2010 |
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Argentina, morte di un genocida Un altro genocida si è portato i suoi segreti nella tomba. L'ex ammiraglio Emilio Eduardo Massera, 85 anni, è morto l'8 novembre a Buenos Aires per arresto cardiaco. Membro della P2 e amico di Lucio Gelli, Massera fu a capo - insieme a Videla e ad Agosti - della giunta militare che assunse il potere con il golpe del 1976. Diresse uno dei maggiori centri clandestini di detenzione e di sterminio, la famigerata Esma (Escuela Superior de Mecánica de la Armada): la sua "specialità" consisteva nei "voli della morte", i trasporti aerei dei prigionieri politici destinati a essere gettati nell'oceano. Nel 1985, tornata la democrazia, venne processato e condannato all'ergastolo per sequestro, tortura, omicidio, ma nel 1990 usufruì dell'indulto concesso dall'allora presidente Menem. Solo la lotta coraggiosa delle Madres e delle Abielas de Plaza de Mayo riuscì a riportarlo davanti alla giustizia nel 1998 per il suo coinvolgimento nell'appropriazione del figlio della desaparecida Cecilia Viñas (il piccolo, nato alla Esma nel 1976, era stato dato in adozione a un militare). Nel 2005, però, tutte le cause contro l'ex dittatore vennero sospese: gli era stata riconosciuta "l'incapacità mentale" per le conseguenze di un ictus sofferto tre anni prima. La provvidenziale risoluzione non convinse mai i giudici di Roma, che contro di lui proseguirono il processo in contumacia per la scomparsa di tre cittadini italiani: Angela Aietta, Giovanni Pegoraro e la figlia di questi, Susana. E sempre a proposito di crimini di lesa umanità, l'Argentina ha accolto negativamente la decisione statunitense di non estradare l'ex tenente Roberto Guillermo Bravo, tra i maggiori responsabili del "massacro di Trelew" (l'uccisione di sedici detenuti politici, avvenuta il 22 agosto 1972 in una base della marina). Rifiutando l'estradizione gli Stati Uniti "hanno dimostrato una volta di più il loro disprezzo per i diritti umani", ha commentato il deputato Horacio Alcuaz, di Generación para un Encuentro Nacional. Bravo aveva ottenuto nel 1987 la cittadinanza Usa; come rivelato lo scorso anno dal quotidiano Página/12, viveva a Miami ed era presidente dell'impresa RGB Group Inc, fornitrice di servizi medici al Pentagono e al Dipartimento per la Sicurezza Interna. Nel febbraio di quest'anno era stato arrestato su richiesta della giustizia argentina, ma grazie alle protezioni di cui disponeva era tornato libero dietro cauzione. 9/11/2010 |
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Brasile, Dilma vince nonostante il papa Il 31 ottobre Dilma Rousseff è riuscita a sconfiggere il suo avversario José Serra con il 56% dei voti, convertendosi nella prima presidenta del Brasile. E nel discorso dopo la vittoria ha affermato che il suo obiettivo prioritario sarà la lotta per l'uguaglianza di genere: un tema che non aveva quasi affrontato durante la campagna elettorale. Ma la sua promessa di battersi per migliorare la condizione della donna dovrà fare i conti con l'impegno, preso pubblicamente su pressione dei cattolici conservatori, di non modificare la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (ammessa attualmente solo in caso di stupro o di pericolo per la vita della madre). Su questo terreno Serra aveva sferrato gli attacchi più duri e i sondaggi avevano registrato che quei colpi erano andati a segno. A dargli una mano si era scomodato Benedetto XVI in persona: tre giorni prima del ballottaggio, ricevendo alcuni vescovi brasiliani aveva dichiarato che, di fronte a progetti di depenalizzazione dell' aborto o dell' eutanasia, "i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale, anche in materia politica". Un intervento pesante, censurato dai cattolici più aperti come Frei Betto o il teologo Leonardo Boff: quest'ultimo aveva ricordato che ogni due giorni nel paese una donna muore per le conseguenze di un aborto clandestino. Lo stesso presidente Lula aveva risposto all'ingerenza papale sottolineando che il Brasile "è un paese democratico e laico". Il monito del pontefice era stato preceduto da altri tentativi di pilotare il voto cattolico: il vescovo Luiz Gonzaga Bergonzini aveva scritto su Folha Diocesana, pubblicazione dell'arcidiocesi di Guarulhos (Stato di San Paolo), un appello a non votare la candidata del Pt. Anche nel primo turno i temi religiosi avevano avuto un forte peso, contribuendo al risultato a sorpresa della candidata del Partido Verde, Marina Silva (che nel ballottaggio si è mantenuta neutrale). Mesi fa le posizioni integraliste di Marina, appartenente alla chiesa evangelica Assembleia de Deus, avevano provocato una crisi all'interno dei verdi: molti militanti storici se ne erano andati, accusando il partito di aver tradito i principi libertari con cui era stato fondato. 1/11/2010 |
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Ecuador, "Era una trappola" Il colonnello César Carrión, direttore dell'Hospital de la Policía, è stato arrestato sotto l'accusa di aver istigato all'assassinio del capo dello Stato: durante il tentato golpe del 30 settembre, quando Correa era stato trasportato all'interno dell'ospedale, Carrión avrebbe suggerito di avvelenarlo. Oltre al colonnello, dietro le sbarre si trovano già decine di agenti. Le vicende del 30 settembre sono state ricostruite dallo stesso Correa nel corso dei suoi consueti programmi radiotelevisivi del sabato. La protesta dei poliziotti era "fomentata da interessi politici" e all'arrivo alla caserma per parlare con gli insubordinati, "ci rendemmo conto che era una trappola". Anche all'uscita dall'ospedale, dopo l'intervento delle forze speciali dell'esercito contro i rivoltosi, venne aperto il fuoco contro l'auto blindata che portava in salvo il presidente. Ricordando il tragico bilancio di quella giornata, Correa ha confessato: "Sono distrutto, si potrebbe dire che fu una grande vittoria politica per il governo perché sono falliti i piani di destabilizzazione e il popolo è sceso in piazza, ma si sono perse delle vite, ci sono decine di feriti, ecuadoriani contro ecuadoriani". E ha accusato non solo il Partido Sociedad Patriótica dell'ex presidente Lucio Gutiérrez (un leader del Psp, Fidel Araujo, è in carcere perché sospettato di aver comandato la rivolta), ma anche l'ex alleato Movimiento Popular Democrático. In un documento pubblico il Mpd ha respinto le accuse, affermando che il tentativo del governo di coinvolgerlo risponde al proposito di "far tacere la sinistra rivoluzionaria e criminalizzare la lotta sociale" e sostenendo che il 30 settembre non vi fu un golpe, ma una ribellione degli agenti per motivi contrattuali. Una manifestazione di sostegno a Correa e alla Revolución Ciudadana si è svolta il 15 ottobre a Quito, con la partecipazione di diverse migliaia di persone. 30/10/2010 |
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Cuba, l'Onu boccia l'embargo Usa Gli Stati Uniti hanno potuto contare unicamente sull'appoggio di Israele nella votazione all'Assemblea Generale dell'Onu, che il 26 ottobre ha respinto per l'ennesima volta l'embargo contro Cuba. 187 paesi si sono pronunciati a favore dell'abolizione, tre si sono astenuti (Micronesia, Palau e Isole Marshall) e i rappresentanti di Washington e Tel Aviv sono rimasti soli a sostenere la continuazione del blocco. In controtendenza rispetto agli Usa, i ministri degli Esteri dell'Unione Europea hanno deciso di sondare, entro dicembre, la possibilità di "ammorbidire" la posizione comune nei confronti dell'isola, in considerazione della liberazione dei dissidenti e delle riforme economiche avviate dal governo di Raúl Castro. A favore di un miglioramento dei rapporti con l'Avana si è espressa in particolare la rappresentante spagnola, Trinidad Jiménez. Non ha però contribuito alla distensione la decisione, annunciata il 21 ottobre dal Parlamento Europeo, di assegnare il Premio Sakharov al dissidente Guillermo Fariñas. Una scelta che ha ricevuto il plauso delle Damas de Blanco, le mogli degli anticastristi imprigionati (molti dei quali sono già stati scarcerati). AL VIA LA RIFORMA ECONOMICA. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale è entrata in vigore il 25 ottobre la riforma economica. Si tratta di una svolta storica: per la prima volta lo Stato non garantisce più a tutti un impiego sicuro o un sussidio di disoccupazione permanente. I lavoratori considerati eccedenti in base a un criterio di produttività (si calcola che oltre mezzo milione di persone perderanno il posto entro il marzo 2011) dovranno cercare di riciclarsi con un'occupazione autonoma o una microimpresa privata. E a fine ottobre è arrivato anche il secondo aumento nelle tariffe dei servizi pubblici: dopo i combustibili, anche l'elettricità costerà di più per i maggiori consumatori privati. L'incremento - ha spiegato il governo - è legato al rialzo dei prezzi internazionali del petrolio. 29/10/2010 |
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L'Argentina piange Néstor Kirchner La scomparsa improvvisa dell'ex presidente Néstor Kirchner, 60 anni, stroncato da un infarto il 27 ottobre nella sua casa di Calafate, nell'estremo sud, ha provocato profonda commozione in tutto il paese. Era forse dalla morte di Evita Perón che la società argentina non appariva così duramente colpita: migliaia e migliaia di persone hanno voluto rendere omaggio alla salma nella camera ardente allestita nella Casa Rosada (il palazzo presidenziale della capitale), formando code lunghe fino a 25 isolati. La risposta popolare ha superato ogni aspettativa, evidenziando da un lato il cordoglio per la perdita dello statista, dall'altro l'appoggio all'attuale presidente Cristina Fernández, che ha perso il compagno di una vita e insieme un fondamentale alleato politico. Néstor Kirchner aveva assunto la presidenza nel maggio del 2003, in un momento di grave crisi sociale ed economica e di perdita di credibilità delle istituzioni. Meno di due anni prima una sollevazione popolare aveva obbligato l'allora presidente Fernando de la Rúa a fuggire in elicottero, lasciando dietro di sé un paese in rovina. Kirchner era riuscito a cambiare totalmente rotta, abbandonando la politica monetaria dollarizzata, sconfessando gli accordi con gli organismi finanziari internazionali che strangolavano il paese, promuovendo la ripresa dell'economia con lo sviluppo del mercato interno, rafforzando i legami con le altre nazioni dell'America Latina contro l'ipotesi statunitense di un'Area de Libre Comercio de las Américas. Aveva impresso una svolta anche sul piano dei diritti umani. Aveva rinnovato il potere giudiziario e cambiato i vertici delle forze armate. A nome dello Stato aveva chiesto perdono per i crimini commessi durante l'ultima dittatura militare ("Siamo tutti figli delle Madres de Plaza de Mayo", le sue parole al momento dell'investitura). Aveva inviato al Congresso il progetto di deroga delle leggi di Punto Final e Obediencia Debida, aveva recuperato la famigerata Escuela de Mecánica de la Armada (sede di un centro di detenzione clandestino) per trasformarla in Espacio Memoria e, con un atto di forte valenza simbolica, aveva ordinato di togliere dalle pareti del Colegio Militar i ritratti degli ex dittatori Videla e Bignone. 29/10/2010 |
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Perù, alla sinistra il governo di Lima Ci sono volute oltre tre settimane (le consultazioni si erano tenute il 3 ottobre), ma alla fine le autorità elettorali hanno confermato la vittoria della candidata di Fuerza Social: Susana Villarán, 61 anni, sarà la nuova sindaca della capitale. Lo ha riconosciuto anche l'avversaria Lourdes Flores, leader del Partido Popular Cristiano (destra), che fino all'ultimo aveva rifiutato di ammettere la sconfitta chiedendo un nuovo controllo delle schede. La sinistra assume dunque per la seconda volta il governo di Lima (la prima era stata nel 1984, con Alfonso Barrantes Lingán). Fuori dalla capitale il voto ha premiato soprattutto movimenti regionali indipendenti dai grandi raggruppamenti politici. La vicinanza alla sinistra di alcuni di questi movimenti, insieme al successo di Susana Villarán, può far ben sperare in vista delle elezioni del 2011. Resta da superare un ostacolo non da poco: la divisione delle forze progressiste, in particolare tra chi è favorevole alla candidatura presidenziale di Ollanta Humala, del Partido Nacionalista, e chi (come la stessa Villarán) propende per una scelta alternativa. Dall'altra parte della barricata, il 3 ottobre ha segnato una batosta per il Partido Aprista del presidente García. La popolarità dell'esecutivo, travolto da proteste sociali e ripetute denunce di corruzione, è ai minimi storici. In settembre Alan García, sommerso da una valanga di critiche provenienti dall'interno e dall'estero, aveva dovuto chiedere al Congresso la deroga della contestata ley de impunidad, che lui stesso aveva appena promulgato e che stabiliva la prescrizione per i crimini di lesa umanità commessi prima del 9 novembre 2003. Alla redazione del provvedimento aveva partecipato, a quanto sembra, l'avvocato di Fujimori. Ma non era solo l'ex dittatore a sperare nei benefici di questa "amnistia mascherata": nonostante le smentite, anche García contava sull'archiviazione del caso di El Frontón, l'uccisione di 118 detenuti di Sendero Luminoso avvenuta nel 1986 durante il suo primo mandato. Nel corso della crisi politica scatenata dalla ley de impunidad, il capo dello Stato aveva attuato un rimpasto di governo, giustificato dalla necessità di alcuni ministri di candidarsi alle prossime elezioni: tra questi il presidente del Consiglio, Javier Velásquez, sostituito dal titolare dell'Istruzione, José Antonio Chang. 26/10/2010 |
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Haiti, più di 250 i morti per il colera Tragedia senza fine per il popolo haitiano. Dopo il disastroso terremoto di gennaio, un'epidemia di colera sta ora falcidiando i sopravvissuti. Le vittime sono già più di 250: particolarmente colpito il dipartimento di Artibonite, dove i ricoverati sono quasi 3.000. Anche a Port-au-Prince sono stati registrati i primi casi: una notizia allarmante, perché nella capitale migliaia di persone vivono ancora ammassate sotto le tende o in rifugi di fortuna. Per evitare il diffondersi del contagio, ai familiari non sarà permesso neppure di celebrare il funerale dei loro cari: i cadaveri verranno posti in sacchi di plastica e seppelliti immediatamente. Erano decenni che il colera non faceva la sua comparsa nel paese: l'attuale epidemia si spiega con le precarie condizioni igieniche in cui vivono i senzatetto, costretti a bere l'acqua di fiumi e torrenti inquinati, in zone prive di impianti fognari. E le organizzazioni umanitarie che assistono la popolazione sono ormai al limite delle loro possibilità. 24/10/2010 |
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Messico, ancora violenza nello Stato di Oaxaca Il 30 novembre avverrà il cambio della guardia nello Stato di Oaxaca: il governatore priista Ulises Ruiz cederà il posto a Gabino Cué, eletto in luglio grazie a un'eterogenea alleanza destra-sinistra (il Pan insieme a Prd, Pt e Convergencia). Nell'attesa però non si arresta la violenza politica. Il 22 ottobre è stato assassinato Catarino Torres Pereda, 37 anni, segretario generale del Codeci (Comité de Defensa Ciudadana). Dal 1998 a oggi Catarino Torres era finito in carcere una dozzina di volte: era stato arrestato anche nel 2006, durante la battaglia del movimento popolare che chiedeva le dimissioni di Ulises Ruiz. Legato al governatore uscente era invece Heriberto Pazos Ortiz, dirigente del Mult (Movimiento de Unificación y Lucha Triqui), raggiunto il 23 ottobre dai colpi dei killer mentre era in macchina insieme alle sue guardie del corpo. Meno di un mese prima, sul quotidiano La Jornada, Hermann Bellinghausen aveva denunciato il coinvolgimento del Mult nell'escalation di violenza nella regione triqui. Nato come movimento di lotta, ma avvicinatosi negli ultimi anni al Pri, il Mult è considerato responsabile dell'uccisione di alcuni leader del Multi (Mult Independiente), l'organizzazione che raccoglie quanti hanno voluto mantenersi autonomi dal potere politico. La morte di Heriberto Pazos aggiunge un altro capitolo alla sanguinosa storia della comunità triqui. Il 13 settembre, dopo dieci mesi d'assedio, il municipio autonomo di San Juan Copala era stato preso d'assalto dai paramilitari della Ubisort (Unión de Bienestar Social para la Región Triqui), gli stessi che in aprile avevano assalito una carovana umanitaria uccidendo i due volontari Beatriz Cariño e Jyri Jaakkola. Agendo in totale impunità, con la complicità del governo federale e di quello statale, la Ubisort aveva occupato il municipio, provocando numerose vittime tra la popolazione civile. Solo alcuni giorni dopo i superstiti erano riusciti a sfuggire all'accerchiamento. Ma la persecuzione non era finita: il 16 ottobre in un'imboscata perdevano la vita altri due abitanti di Copala, tra cui la giovane Teresa Ramírez Sánchez, incinta di quattro mesi. 23/10/2010 |
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Argentina, morte di un ragazzo di 23 anni Migliaia di persone di diverse organizzazioni politiche e sociali sono scese in piazza il 21 ottobre a Buenos Aires, mentre la Cta (Central de Trabajadores Argentinos) realizzava uno sciopero in tutto il paese, in segno di protesta contro l'assassinio del giovane Mariano Ferreyra, militante del Partido Obrero. Ferreyra, 23 anni, era stato ucciso il giorno prima mentre partecipava alla lotta dei lavoratori terziarizzati dell'impresa Ferrocarril Roca, che chiedevano il reintegro di un centinaio di licenziati. I manifestanti, che tentavano di bloccare i binari del treno, erano stati assaliti con pietre e bastoni da attivisti sindacali dell'Unión Ferroviaria, appoggiati da ultras. Dopo un breve scontro gli attaccanti avevano cominciato a ritirarsi: proprio allora, secondo i testimoni, tre di loro avevano estratto le armi e avevano sparato, colpendo a morte Ferreyra e ferendo altre tre persone, di cui una in modo grave. La presidente Cristina Fernández ha condannato in modo deciso l'omicidio: il suo governo - ha ricordato - preferisce pagare il costo politico della mancata repressione "piuttosto che lamentare la morte di un solo argentino". Per l'esecutivo è stato comunque un duro colpo: una parte della sinistra gli addebita la responsabilità dell'accaduto. In realtà dietro i fatti del 20 ottobre potrebbe esserci la mano dell'ex presidente Eduardo Duhalde (peronista di destra), che si era incontrato recentemente con il leader dell'Unión Ferroviaria, José Pedraza. Va ricordato che negli anni Novanta quest'ultimo aveva appoggiato la privatizzazione delle ferrovie voluta dal neoliberista Menem. 21/10/2010 |
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Cile, storie di minatori e di detenuti mapuche Nel giro di pochi giorni due importanti avvenimenti hanno segnato la vita cilena. Il 13 ottobre si è concluso l'eccezionale salvataggio dei 33 lavoratori rimasti intrappolati nella miniera di San José (regione di Atacama). Le operazioni di soccorso erano iniziate il 22 agosto, quando - a 17 giorni dall'incidente che li aveva bloccati a 700 metri di profondità - i 33 uomini (32 cileni e un boliviano) erano riusciti a comunicare con l'esterno e avevano fatto sapere di essere tutti vivi e in buona salute. Sono stati necessari quasi due mesi per scavare un passaggio che permettesse alla capsula Fenix, disegnata dalla Nasa, di giungere fino a loro e di riportarli in superficie. L'intervento di recupero è avvenuto sotto l'occhio attento delle telecamere e ha diffuso in tutto il mondo un'immagine di efficienza. Per il presidente Piñera si è trattato di un regalo insperato: con la sua continua presenza nel Campamento Esperanza, accanto ai familiari in attesa, ha accresciuto enormemente la sua popolarità. E mentre si plaude agli sforzi delle autorità per salvare i 33 sepolti vivi, nessuno ricorda i 31 minatori morti nell'ultimo anno in Cile, vittime della mancanza di adeguate misure di sicurezza. E nessuno ascolta le voci degli altri 328 lavoratori dell'impresa mineraria San Esteban, proprietaria di San José, che dopo essere stati licenziati ancora aspettano salari e indennizzi. Lontano dal clamore dei media si è concluso, dopo oltre ottanta giorni, lo sciopero della fame dei detenuti mapuche contro l'applicazione della legge che li equipara ai terroristi. Il 9 ottobre hanno posto fine alla loro estrema forma di protesta i dieci prigionieri del carcere di Angol; altri 23 avevano sospeso il digiuno la settimana precedente. La conclusione dello sciopero è stata resa possibile da un'intesa con il governo che, per bocca del ministro dell'Interno, Rodrigo Hinzpeter, ha annunciato il ritiro delle denunce emesse contro i comuneros in base alla Ley Antiterrorista. "L'accordo non è del tutto soddisfacente per il popolo mapuche", ma si è deciso di interrompere la protesta per ragioni umanitarie, ha detto a Radio Bío Bío il portavoce degli scioperanti, Jorge Huenchullán. Il 12 ottobre anche il diciassettenne Luis Marileo, rinchiuso nella prigione di Cholchol, ha sospeso lo sciopero dopo aver ottenuto assicurazioni sul trattamento dei minori incarcerati o processati. Come altri detenuti, anche Marileo aveva dovuto essere ricoverato in ospedale per le conseguenze del lungo digiuno. 15/10/2010 |
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Brasile, la sorpresa Marina Silva "La sinistra ha registrato il miglior risultato elettorale della sua storia", scrive il sociologo Emir Sader all'indomani del voto del 3 ottobre, che ha visto Dilma Rousseff sfiorare il 47% nelle presidenziali, l'elezione dei governatori di Rio Grande do Sul, Bahia, Pernambuco, Ceará, Espirito Santo, Sergipe, Acre e un incremento di seggi in Parlamento. Nonostante questi dati positivi, tra le file del Partido dos Trabalhadores è palpabile la frustrazione: i sondaggi della vigilia avevano infatti pronosticato una vittoria di Dilma al primo turno. Tutto è invece rinviato al ballottaggio del 31 ottobre, quando la candidata del Pt dovrà affrontare José Serra, del Partido da Social Democracia Brasileira, che è riuscito a strappare il 32,6%. A erodere il capitale di consensi della candidata di Lula sono stati i violenti attacchi dei media (conditi da parecchie falsità) e le denunce di corruzione che hanno colpito alcuni membri del suo staff. La vittima più illustre è stata Erenice Guerra, già stretta collaboratrice di Dilma e poi divenuta capo di gabinetto, costretta a metà settembre alle dimissioni in seguito a un'inchiesta giornalistica che accusava il figlio di aver intascato tangenti. Questi elementi hanno contribuito ad alimentare il disincanto dell'elettorato, che si è tradotto in un forte astensionismo e in un alto numero di schede bianche o nulle. Vi è poi il fenomeno Marina Silva: la candidata del Partido Verde ha ottenuto a sorpresa oltre il 19% dei voti, più della metà concentrati negli Stati di San Paolo, Rio de Janeiro, Minas Gerais e nel Distrito Federal. Non si è trattato solo di un'esplosione ambientalista: Marina, devota evangelica, è stata votata per le sue posizioni antiabortiste anche da molti cattolici, che rimproverano a Dilma di non essersi pronunciata in modo deciso contro l'interruzione volontaria della gravidanza. Si calcola che siano oltre un milione in Brasile le donne costrette ogni anno ad abortire clandestinamente, spesso a rischio della vita: un dramma che colpisce soprattutto gli strati più poveri e che gli integralisti si rifiutano di vedere. Emblematico il caso, lo scorso anno, della bambina di nove anni rimasta incinta dopo essere stata violentata dal patrigno: l'arcivescovo di Recife e Olinda, José Cardoso Sobrinho, incurante del fatto che la prosecuzione della gravidanza avrebbe comportato la morte quasi certa della piccola, scomunicò l'équipe medica che l'aveva fatta abortire e la madre che aveva autorizzato l'intervento. 4/10/2010 |
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Guatemala, medici Usa come i nazisti Un esperimento di stampo nazista, attuato dagli Usa nel "cortile di casa". Tra il 1946 e il 1948, a quasi 700 guatemaltechi ignari venne deliberatamente inoculato il batterio della sifilide. Si trattava di un "test scientifico" condotto da medici del Public Health Service Usa (con la complicità dell'allora presidente guatemalteco Juan José Arévalo Bermejo) per verificare l'efficacia della penicillina nella cura del morbo. A fare da cavie i detenuti di un penitenziario, i militari di una caserma e i pazienti, uomini e donne, di un ospedale psichiatrico. Secondo la catena televisiva Usa Nbc, "molti degli infettati furono spronati a trasmettere l'infezione ad altri come parte della ricerca" e un terzo delle persone che contrassero la malattia "non ricevette mai un trattamento adeguato". La notizia dell'esperimento, scoperto nel 2006 dalla ricercatrice universitaria Susan Reverby, è stata diffusa solo ora, costringendo Washington a imbarazzate scuse. In un comunicato la segretaria di Stato, Hillary Clinton, e la ministra della Sanità, Kathleen Sebelius, definiscono lo studio "antietico" e affermano: "Sebbene questi episodi risalgano a 64 anni fa, esprimiamo la nostra indignazione per il fatto che tale ricerca riprovevole sia avvenuta con il pretesto della sanità pubblica". 1/10/2010 |
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Ecuador, torna la calma dopo il tentato golpe È tornata la calma a Quito dopo la sommossa di alcuni reparti di polizia che erano giunti a sequestrare il presidente Correa. Il motivo della protesta: la recente approvazione, da parte dell'Asamblea Nacional, di una legge sul servizio pubblico che elimina alcuni privilegi contrattuali. Ma fin dall'inizio è apparso chiaro che all'origine del levantamiento non c'erano semplici rivendicazioni salariali: si è trattato di un vero e proprio tentativo di golpe. A ispirarlo, ha denunciato lo stesso Correa, sono stati settori dell'opposizione vicini all'ex presidente Lucio Gutiérrez: quest'ultimo, mentre l'ammutinamento era in corso, si è affrettato a chiedere lo scioglimento del Parlamento e la convocazione di elezioni anticipate. È lui probabilmente il collegamento tra gli insorti e gli esponenti dell'oligarchia spaventati dalla Revolución Ciudadana. Già in agosto Correa aveva lanciato l'allarme su possibili tentativi di destabilizzazione da parte dei potenti gruppi finanziari, che entro il 20 ottobre - in ottemperanza a un dettato costituzionale - dovranno vendere le partecipazioni azionarie detenute nei media e in qualsiasi altra impresa estranea all'attività bancaria. Non è un caso, allora, che la rivolta sia scattata proprio nell'ultimo giorno di settembre. Secondo molti commentatori, dietro l'accaduto c'è la regia occulta dell'ambasciata statunitense: nel 2008, in un rapporto ufficiale, il ministro della Difesa Ponce aveva rivelato l'opera di infiltrazione dei diplomatici Usa nella polizia e in parte delle forze armate. E l'anno seguente un funzionario Usa era stato espulso per aver tentato di condizionare gli aiuti per la lotta al narcotraffico alla nomina dei comandanti dei corpi di sicurezza. A confermare l'interesse di Washington per l'Ecuador vi è anche l'aumento dei fondi destinati ai programmi dell'United States Agency for International Development attiva nel paese, che quest'anno hanno superato i 38 milioni di dollari (e uno dei principali esecutori di tali programmi è la Chenomics International, l'impresa che opera con l'opposizione di destra in Bolivia). La giornata era cominciata con l'occupazione di diverse installazioni della capitale da parte degli agenti, appoggiati da reparti dell'aviazione che avevano bloccato l'attività dell'aeroporto. Correa si era recato alla caserma dove si raggruppavano gli ammutinati, avvertendoli che non intendeva cedere e sfidandoli: "Se volete uccidere il presidente, sono qui, fatelo se ne avete il coraggio". Veniva attaccato con bombe lacrimogene che gli causavano un principio di asfissia e doveva essere trasportato all'Hospital de la Policía, subito cinto d'assedio dagli insorti. Alla notizia di quanto stava avvenendo, migliaia di manifestanti scendevano in piazza in difesa del capo dello Stato. Correa, sequestrato nell'ospedale per quasi dodici ore, era infine liberato dalle forze speciali dell'esercito (negli scontri morivano quattro persone, tra cui uno studente) e portato al Palazzo di Carondelet, sede del governo, dove era accolto trionfalmente. Rivolgendosi alla folla dei sostenitori deplorava l'inutile spargimento di sangue e annunciava dure sanzioni per i responsabili, per i quali "non ci sarà né perdono né oblio". Il tentato golpe veniva condannato dai rappresentanti dell'Unasur (prontamente riunitisi a Buenos Aires), dell'Oea, dell'Alba e della Comunidad Andina. Parole di biasimo anche da Unione Europea e Stati Uniti. 1/10/2010 |
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Venezuela, una vittoria con qualche ombra Hugo Chávez può parlare tranquillamente di vittoria all'indomani delle elezioni legislative del 26 settembre: l'alleanza Psuv-Pcv (Partido Socialista Unido de Venezuela-Partido Comunista) si è aggiudicata 98 dei 165 seggi dell'Asamblea Nacional, sufficienti "per continuare ad approfondire il socialismo bolivariano e democratico". D'ora in poi però il cammino verso il cambiamento sarà più arduo, perché l'opposizione non ha ripetuto l'errore del 2005, quando boicottò le urne e rimase priva di rappresentanza parlamentare. E il Psuv non è riuscito a conquistare la maggioranza dei due terzi necessaria per introdurre senza condizionamenti modifiche sostanziali. Per questo anche i suoi avversari, riuniti nella Mesa de la Unidad Democrática, cantano vittoria, sorvolando sul fatto che per arrivare a 65 deputati hanno dovuto confluire in un unico raggruppamento tenuto insieme solo dall'antichavismo. Copei, Acción Democrática, Podemos, Primero Justicia, Alianza Bravo Pueblo, Un Nuevo Tiempo, La Causa R, Mas: un'accozzaglia di partiti e movimenti che va dalla socialdemocrazia all'estrema destra e che è guidata da due esponenti in odor di golpismo: Antonio Ledezma (Ad), sindaco di Caracas, e l'indipendente María Corina Machado. Tra gli uni e gli altri siederanno i due parlamentari di Patria para Todos, gruppo di sinistra che mantiene un appoggio critico al governo. Ma perché la Rivoluzione Bolivariana non ha raggiunto l'obiettivo sperato di 110 seggi? Certo è venuto a mancare l'effetto trainante che la candidatura di Chávez esercita nelle presidenziali. Sul risultato ha inoltre pesato il malumore diffuso nel paese per una serie di problemi irrisolti: l'inflazione, le difficoltà di approvvigionamento, i frequenti black out, l'aumento della violenza, il cattivo funzionamento dell'apparato statale. Problemi oggettivi, che l'opposizione ha ingigantito con una massiccia campagna mediatica e che si sono sommati al desencanto provocato da casi di corruzione e di clientelismo in seno al partito di governo. 29/9/2010 |
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Colombia, l'uccisione del Mono Jojoy "Un colpo devastante" per le Farc: così l'esperto in questioni militari Ariel Avila, intervistato da Ips, ha definito la morte di Víctor Julio Suárez Rojas, noto come Jorge Briceño e Mono Jojoy. Capo militare dell'organizzazione guerrigliera e comandante del Bloque Oriental, Briceño è stato ucciso il 22 settembre, nella zona de La Macarena (dipartimento del Meta), nel corso di un massiccio bombardamento aereo che è costato la vita ad altri venti insorti. A tradire il Mono Jojoy, ha rivelato il ministro della Difesa Rodrigo Rivera, è stato il diabete di cui soffriva. Per le piaghe ai piedi provocate dalla malattia aveva chiesto un paio di stivali speciali: il messaggio era stato intercettato dallo spionaggio militare, che inserendo nelle calzature un gps miniaturizzato era riuscito a individuare con precisione il luogo in cui si trovava l'obiettivo. Nato nel 1953 a Boacita (dipartimento di Boyacá), Briceño era in pratica cresciuto tra gli insorti: sua madre era la cuoca di un altro comandante guerrigliero, Jacobo Arenas. Odiato con forza dalla classe dirigente colombiana, il Mono Jojoy era invece molto amato dai membri delle Farc di origine contadina che vedevano in lui, più che nell'attuale leader (l'universitario di Bogotá Alfonso Cano), il vero successore di Marulanda. Mentre nel Meta continuano sanguinosi scontri tra la guerriglia e l'esercito, non si arresta la violenza dei gruppi armati di estrema destra in altre regioni del paese. Il 20 settembre nel dipartimento di Antioquia è stato assassinato Hernando Pérez, leader dell'Asociación de Restitución de Bienes y Tierras de Urabá. Pochi giorni prima, Pérez aveva partecipato a una cerimonia di consegna dei titoli di proprietà a 34 famiglie di desplazados. La sua uccisione costituisce dunque un chiaro avvertimento: si tenta di intimidire quanti cercano di recuperare le terre che furono costretti ad abbandonare e di cui spesso si sono appropriati gli stessi paramilitari. L'AMBASCIATA DEGLI INQUISITI. C'erano già stati i precedenti di Luis Camilo Osorio, coinvolto nello scandalo della parapolitica, e di Sabas Pretelt de La Vega, attualmente sotto processo per corruzione. Anche il nuovo ambasciatore a Roma, l'ex ministro dell'Agricoltura Andrés Felipe Arias detto Uribito, ha problemi con la giustizia. La magistratura colombiana sta indagando sulle sue responsabilità nel dirottamento dei fondi del programma Agro Ingreso Seguro: i sussidi governativi, che erano destinati a famiglie contadine, finirono invece nelle tasche di narcotrafficanti e ricchi imprenditori legati all'allora presidente Uribe. 25/9/2010 |
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El Salvador, mano dura contro le maras È entrata in vigore il 19 settembre la Ley de Proscripción de Maras, che dichiara reato la semplice appartenenza alle bande giovanili, colpisce il finanziamento di questi gruppi e consente alla magistratura di porre sotto sequestro beni e conti bancari delle vittime di rapimenti o estorsioni. Contro la legge, approvata in Parlamento a stragrande maggioranza, le potenti Mara Salvatrucha e Mara 18 avevano fatto ricorso al terrore, imponendo dal 7 al 9 settembre il blocco dei trasporti pubblici e del commercio. Chiedevano al presidente Funes di non ratificare il provvedimento e di avviare una trattativa per risolvere il conflitto. Una vera e propria sfida allo Stato: come evidenzia il docente universitario panamense Marco Gandásegui, "bisogna individuare le forze politiche che si trovano alle spalle delle pandillas manipolate dal crimine organizzato". Funes aveva respinto le richieste, giungendo a destituire da una commissione governativa il sacerdote spagnolo Antonio Rodriguez, reo di aver letto in televisione un comunicato dei promotori della serrata. La cosiddetta Ley Antimaras è nata sull'onda dello sdegno provocato il 20 giugno dall'incendio di un autobus pieno di passeggeri e dal quasi contemporaneo assalto a colpi d'arma da fuoco a un altro mezzo di trasporto (con un bilancio complessivo di venti morti). Era stata preceduta nel 1996 e nel 2003 da due provvedimenti analoghi, in seguito decaduti perché incostituzionali. Ma le nuove norme saranno efficaci? Sono in molti a dubitarne e anzi c'è chi si dice convinto che porteranno a un aumento della violenza. "Non sono le leggi di mano dura o di super mano dura quelle che possono risolvere il problema. Vanno studiate le cause che hanno reso possibile la comparsa di queste organizzazioni e vanno proposte alternative per risolverle", scrive il sociologo Nelson Quintanilla. Le cause in realtà sono in gran parte note: miseria, disoccupazione, disuguaglianze economiche e sociali, ma il governo non sembra in grado di affrontarle né di favorire l'eventuale reinserimento nella società dei giovani pandilleros. Il cui numero non fa che aumentare: in carcere sono già finiti in 7.000, ma gli inquirenti calcolano che altri 9.000 siano ancora a piede libero. 19/9/2010 |
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Messico, "Non c'è niente da celebrare" Festeggiamenti all'insegna delle polemiche quelli organizzati per celebrare il Grito del Bicentenario, i duecento anni dell'indipendenza nazionale (e i cento anni della Rivoluzione). Sono in molti a contestare le scelte del governo Calderón che, in un paese pesantemente colpito dalla crisi economica, ha speso l'equivalente di 235 milioni di dollari per sfilate di carri allegorici e altri spettacoli stile Disneyland (secondo la definizione di Julio Hernández López), nonché per alcune grandi opere che hanno ricevuto innumerevoli critiche. La colonna luminosa Estela de Luz, alta più di cento metri, che sorgerà nella zona del Bosque de Chapultepec a Città del Messico, sarà pronta solo alla fine del 2011 e il costo inizialmente previsto è quasi raddoppiato. E in merito alla Victoria Alada di Guanajuato, una scultura in bronzo di Ricardo Motilla Moreno, la scrittrice Elena Poniatowska ha commentato: "Il suo preventivo sarebbe sufficiente a costruire case che la società gradirebbe molto di più di una statua copiata dalla Vittoria di Samotracia". In segno di protesta contro gli sprechi voluti dal "presidente illegittimo" Felipe Calderón, mentre quest'ultimo presiedeva la cerimonia nel Palacio Nacional alcune migliaia di persone partecipavano, nella Plaza de las Tres Culturas, al Grito de los Libres lanciato da Andrés Manuel López Obrador. Nei mesi precedenti un nutrito gruppo di artisti, attraverso la mostra La ira y el deseo, aveva rivendicato una visione della storia patria alternativa al discorso ufficiale. "Non c'è niente da celebrare, da una parte abbiamo un'economia estremamente dipendente e dall'altra vediamo che la popolazione è immersa nella miseria, e questo è un nuovo tipo di schiavitù", ha spiegato all'agenzia Ips uno dei promotori dell'iniziativa, il pittore Antonio Ortiz. FOTOGRAFO UCCISO A CIUDAD JUAREZ. Un gruppo di uomini armati ha attaccato il 16 settembre due fotografi de El Diario di Ciudad Juárez, Luis Carlos Santiago e Carlos Sánchez. Il primo è morto sul colpo, il secondo è stato ricoverato in ospedale in gravi condizioni. L'assalto è avvenuto nel parcheggio di un centro commerciale vicino alla sede del quotidiano, una zona che avrebbe dovuto essere strettamente vigilata dalla polizia. Nel 2008 sotto il fuoco dei killer era caduto un altro giornalista de El Diario, Armando Rodríguez: il delitto è rimasto impunito nonostante le autorità sostengano di aver individuato mandanti ed esecutori materiali. 17/9/2010 |
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Cile, l'11 settembre e la lotta mapuche "Si spezzò la nostra democrazia, ma non si trattò di una morte improvvisa o intempestiva. Fu piuttosto l'esito prevedibile, seppure evitabile, di una democrazia che era malata di astio, di polarizzazione estrema, di mancanza di dialogo". Con queste parole Sebastián Piñera, primo presidente di destra del periodo post dittatura, ha presentato la sua particolare lettura del golpe di Pinochet. L'11 settembre di 37 anni fa, secondo Piñera, i militari posero fine non al tentativo di costruire un paese più giusto ed egualitario, ma a un governo improntato all'estremismo e all'odio di classe. Il capo dello Stato non ha partecipato all'atto ufficiale in ricordo delle vittime e in omaggio a Salvador Allende, segnando così la sua distanza da quanti commemoravano uno dei momenti più bui della storia nazionale. Come ogni anno, nel corso della giornata si sono registrati scontri tra gruppi di manifestanti e polizia, con feriti e arresti. E non sono mancate le cerimonie organizzate da ex militari nostalgici: al termine di una di queste la figlia maggiore del defunto dittatore, Lucía Pinochet Hiriart, ha rivendicato al padre il merito degli aspetti positivi del Cile odierno. In agosto la famiglia Pinochet aveva ottenuto dalla magistratura la revoca dell'embargo su case e terreni di cui l'ex generale si era appropriato durante il suo regime (restano bloccati i fondi depositati all'estero, che assommano a circa sette milioni di dollari). A tracciare un legame ideale tra le battaglie di ieri e quelle di oggi, la presidente dell'Agrupación de Familiares de Ejecutados Políticos, Alicia Lira, ha voluto ricordare la drammatica condizione dei comuneros mapuche che "combattono per i loro diritti, per la loro dignità, contro il furto delle loro terre ancestrali". Lo sciopero della fame di 34 prigionieri politici mapuche, che chiedono un giusto processo e respingono l'applicazione della Ley Antiterrorista alla lotta indigena, ha ormai superato i due mesi. Alla protesta si sono uniti ora quattro parlamentari dell'opposizione, mentre un gruppo di eurodeputati, in una lettera a Piñera, ha condannato la "situazione intollerabile e contraria alle convenzioni internazionali in materia di diritti umani". La strenua resistenza mapuche rischia di porre in imbarazzo il capo dello Stato, che negli ultimi tempi aveva visto crescere la sua popolarità grazie alla gestione delle operazioni di recupero dei minatori di San José, nel nord del paese. Sulla scia di Berlusconi dopo il terremoto dell'Aquila, Piñera ha saputo sfruttare sul piano mediatico l'emozione suscitata dalla vicenda dei 33 uomini tuttora bloccati nelle viscere della terra, facendo passare in secondo piano le responsabilità dell'accaduto. Più volte infatti i lavoratori avevano denunciato la mancata osservanza nella miniera delle norme di sicurezza, che aveva già provocato incidenti mortali. 11/9/2010 |
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Messico, "come la Colombia di vent'anni fa" "I cartelli della droga messicani stanno mostrando sempre maggiori indizi di insurrezione; questo assomiglia sempre più alla situazione della Colombia di vent'anni fa, quando i narcotrafficanti controllavano alcune parti del paese". Lo ha detto Hillary Clinton l'8 settembre in un discorso sulla politica estera statunitense, aggiungendo che Washington deve pensare a progetti analoghi al Plan Colombia per il Messico, il Centro America e i Caraibi. Anche se il paragone con la Colombia dei narcos ha scatenato in Messico immediate reazioni, tanto che Obama il giorno successivo ha dovuto sfumare le pesanti affermazioni, il discorso della segretaria di Stato Usa costituisce un chiaro segnale delle intenzioni della Casa Bianca. La lotta al narcotraffico è un ottimo pretesto per interventi oltre confine, dal momento che il governo di Città del Messico non è più in grado di controllare la situazione. Il bilancio della guerra ai cartelli dichiarata da Calderón non potrebbe essere più fallimentare: dal suo insediamento nel dicembre 2006 le vittime sono oltre 28.000. E tra i bersagli si contano sempre più esponenti politici: dopo l'uccisione in giugno del candidato a governatore di Tamaulipas, Torre Cantú, sotto i colpi dei killer sono caduti altri amministratori locali. Il 18 agosto è stato rinvenuto il cadavere del sindaco panista di Santiago (Stato di Nuevo León) Edelmiro Cavazos Leal, sequestrato due giorni prima da un commando armato. Le indagini hanno confermato il grado di corruzione delle forze dell'ordine, portando all'arresto di sei agenti sospettati di complicità. Una decina di giorni dopo è stato assassinato Marco Antonio Leal, sindaco priista della cittadina di Hidalgo (Tamaulipas), mentre la figlia è rimasta gravemente ferita. Proprio lo Stato di Tamaulipas, nel nord del Messico, sembra essere in questo momento nell'occhio del ciclone: soltanto nel mese di agosto attentati dinamitardi, con diversi feriti, hanno colpito sedi di polizia, istallazioni televisive e zone di grande traffico. Ma soprattutto Tamaulipas ha svelato il nuovo volto della strategia dei narcos: l'aggressione a immigrati clandestini per derubarli o per reclutarli come corrieri della droga. Il 24 agosto un'operazione militare nel rancho San Fernando ha portato alla scoperta di 72 cadaveri, 54 uomini e 18 donne: come ha rivelato un sopravvissuto al massacro, si trattava di indocumentados centro e sudamericani assaliti da Los Zetas, l'organizzazione criminale che negli ultimi anni è riuscita a soppiantare il Cartel del Golfo nel controllo del narcotraffico. OAXACA: PARAS IN AZIONE. Nuova imboscata contro membri del Movimiento de Unificación y Lucha Triqui Independiente del municipio autonomo di San Juan Copala. Il 21 agosto un commando armato ha aperto il fuoco su una camionetta, uccidendo tre persone e ferendone altre due. L'attacco ha provocato la sospensione della prevista carovana di donne triqui, che intendevano recarsi a Città del Messico per denunciare la violenza esistente nella regione e l'impunità con cui agiscono i gruppi paramilitari. 9/9/2010 |
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Bolivia, la rivolta di Potosí In un discorso tenuto il 31 agosto il presidente Morales ha ammesso l'esistenza di "profonde divergenze" con alcuni settori sociali, convinti che "tutti i benefici derivati dallo sfruttamento delle risorse naturali debbano andare a loro, senza pensare agli altri o alle future generazioni". Il duro attacco testimonia l'imbarazzo di fronte a una serie di rivendicazioni, che secondo l'esecutivo sono pilotate dalla destra in complicità con gli interessi statunitensi. Dopo gli incidenti di maggio nella regione di Caranavi, che avevano provocato la morte di due persone, tra luglio e agosto è scoppiata la rivolta di Potosí. Per una ventina di giorni il Comité Cívico Potosinista ha attuato massicci blocchi stradali per chiedere la riattivazione dell'impianto di fusione di Karachipampa, la costruzione di un aeroporto internazionale, il completamento del collegamento stradale con la frontiera argentina, la salvaguardia del Cerro Rico dal pericolo di crolli causati dagli scavi e l'installazione di una fabbrica di cemento che sfrutti il giacimento di calcare del monte Pahua, territorio su cui esiste una vecchia disputa di confine con il dipartimento di Oruro. La situazione è tornata alla calma con l'impegno del governo ad affrontare i vari problemi sul tappeto e, per quanto concerne il contrasto con Oruro, a costruire due cementifici accontentando così entrambi i dipartimenti. Più preoccupante lo scontro con le comunità indigene che protestano per l'inquinamento prodotto dall'attività estrattiva, diffidano delle rassicurazioni ambientaliste ufficiali e reclamano il diritto ad essere consultate sui progetti minerari riguardanti i loro territori. "La nuova Costituzione ha dato al popolo tutto il potere politico, ma non ci viene permesso di usarlo. La gente non vive di discorsi o di ideologie, ma di fatti - ha affermato il leader indigeno Rafael Quispe - Il socialismo comunitario del governo è puro discorso, perciò la gente si è resa conto che si sta approfondendo il capitalismo". Tutti questi conflitti, che coinvolgono la base sociale del Movimiento al Socialismo, stanno intaccando la popolarità di Morales. Il presidente, che nel dicembre scorso era stato rieletto con oltre il 60% dei voti, può contare ora su meno del 50% di consensi. 31/8/2010 |
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Colombia, la vendetta dei militari Il 13 agosto è stato rinvenuto il corpo crivellato di colpi della militante per i diritti umani Norma Irene Pérez, sequestrata sei giorni prima all'uscita da una riunione. In luglio Norma Pérez aveva partecipato all'udienza pubblica in cui era stata denunciata la scoperta di una fossa comune a La Macarena, nel dipartimento del Meta, utilizzata dalle forze armate e contenente i resti di oltre duemila persone. I cadaveri, secondo quanto riferito dai contadini locali, erano stati scaricati a più riprese da elicotteri militari. L'esistenza dell'enorme cimitero clandestino era stata certificata anche da una delegazione internazionale guidata da sei eurodeputati. Pochi giorni dopo quella denuncia, il presidente uscente Alvaro Uribe aveva visitato le truppe di stanza nella zona, felicitandosi per i successi conseguiti contro la guerriglia e scagliandosi contro i "nemici della sicurezza democratica", colpevoli di "alimentare calunnie contro l'esercito della patria": in pratica aveva additato le organizzazioni per i diritti umani alla vendetta dei militari. Nonostante sia stato ripetutamente accusato, durante il suo mandato, di crimini di guerra, Uribe è stato ora chiamato dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, a far parte della commissione d'inchiesta sull'assalto israeliano alla Freedom Flotilla. Una decisione che Fidel Castro, in un articolo su CubaDebate, ha definito uno "sproposito". Intanto l'attività dei gruppi armati di estrema destra non conosce soste. Ci sono loro probabilmente dietro l'esplosione di un'autobomba il 12 agosto nella capitale (undici le persone ferite e molti gli edifici danneggiati, tra cui la sede di Radio Caracol): con questo attentato avrebbero respinto le timide aperture al dialogo con la guerriglia avanzate da Juan Manuel Santos il giorno del suo insediamento. E sarebbero paramilitari di Nueva Generación i responsabili del sequestro e dell'uccisione, nel dipartimento di Nariño, dei coniugi Ramiro Imanpuez e María Elena Galíndez, della comunità awá: i cadaveri dei due indigeni, noti per il loro impegno in difesa dei diritti umani, sono stati trovati il 30 agosto nei pressi della frontiera con l'Ecuador. INCOSTITUZIONALE L'ACCORDO CON GLI USA. La Corte Costituzionale ha bocciato il 17 agosto l'accordo tra Bogotá e Washington sull'utilizzo da parte statunitense di sette basi militari in territorio colombiano. I giudici del massimo tribunale hanno sentenziato che l'intesa con Washington non può ritenersi valida senza l'approvazione di Camera e Senato (il precedente governo sosteneva che il sì del Congresso non era necessario, trattandosi di un ampliamento di accordi precedenti e non di un nuovo trattato). In tal modo, anche se il neopresidente Santos può contare sulla maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, l'opposizione avrà l'opportunità di aprire un dibattito sulla presenza di soldati stranieri nel paese. 30/8/2010 |
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Paraguay, la destra contro Lugo malato Sono passati poco più di due anni dall'insediamento di Fernando Lugo alla presidenza, ma il cambiamento tanto atteso appare bloccato da un'offensiva senza precedenti della destra, appoggiata dai grandi media. I tentativi di avviare programmi sociali sorretti da una più equa politica fiscale si scontrano con gli interessi degli allevatori e degli agroindustriali che, pur continuando a registrare eccezionali guadagni con l'esportazione di carne e cereali, non intendono cedere neanche in minima parte i loro privilegi. In agosto il capo dello Stato si è visto costretto ad accettare le dimissioni del titolare della Difesa, il generale a riposo Luis Bareiro Spaini, uno dei ministri più impegnati nella trasformazione del paese e che maggiormente godeva dell'appoggio popolare. Luis Bareiro era stato messo sotto accusa dal Parlamento, a maggioranza conservatrice, con un ridicolo pretesto: non si era presentato a fornire dettagli sul furto di tre fucili dalla sede del Comando dell'esercito. In realtà la sua vera colpa era stata quella di aver contestato le continue ingerenze dell'ambasciatrice statunitense Liliana Ayalde negli affari nazionali e di aver denunciato che nella sede diplomatica Usa si era tenuta una "riunione cospirativa". A sostituirlo è stato chiamato il suo vice, Cecilio Pérez Bordón, ma anche questa nomina non è piaciuta all'opposizione, che lo considera troppo vicino alle posizioni del suo predecessore. A complicare la situazione è sopraggiunta la malattia di Lugo, colpito da un linfoma che gli impone lunghe sedute di chemioterapia. La destra ne ha subito approfittato per chiedere le dimissioni del presidente e il passaggio del l'incarico al suo vice, Federico Franco, feroce critico del governo di cui fa parte. Per ora Lugo resiste al suo posto, confortato dal parere dei medici secondo i quali il tumore può essere tenuto sotto controllo. Le pressioni però continuano e trovano l'appoggio di Washington. Per gli Stati Uniti il timido avvicinamento di Lugo alle nazioni progressiste sudamericane rappresenta un segnale d'allarme, perché il Paraguay costituisce un nodo strategico fondamentale e un ingente serbatoio di ricchezze naturali. Non stupisce che - dietro suggerimento statunitense - i parlamentari abbiano rinviato sine die la ratifica dell'adesione di Asunción all'Unasur: l'obiettivo è quello di allontanare il Paraguay da un contesto regionale eccessivamente sbilanciato a sinistra. 29/8/2010 |
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Guatemala, assassinato studioso della cultura maya Non solo chi lotta per i diritti delle comunità indigene, ma anche chi ne promuove la cultura è nel mirino dell'oligarchia che ancora detiene il potere nel paese. Il 25 agosto il giovane professore Leonardo Lisandro Guarcax è stato sequestrato da sconosciuti mentre si dirigeva alla scuola rurale di Chuacruz, a Sololá, di cui era direttore. Il giorno dopo è stato rinvenuto il suo corpo privo di vita e con chiari segni di tortura. A quanto si è appreso, gli era stata tagliata la lingua e la bocca era stata riempita di spazzatura: una chiara dimostrazione che il movente del rapimento non era l'estorsione, come si era pensato inizialmente quando la famiglia aveva ricevuto una richiesta di riscatto. Guarcax era un intellettuale noto in Guatemala: studioso delle tradizioni kaqchikel, era impegnato con il gruppo Sotz'il nel recupero della musica, della danza, del teatro del popolo maya e nella diffusione di questo patrimonio artistico in patria e all'estero (il gruppo era appena tornato dalla Norvegia). 26/8/2010 |
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Cuba, in arrivo le riforme economiche Prima della fine di quest'anno verranno approvate le necessarie disposizioni legali e all'inizio del 2011 si apriranno le trattative con gli investitori privati per la costruzione di sedici campi da golf e la vendita (o la cessione in usufrutto) di proprietà immobiliari a cittadini stranieri nelle aree interessate. L'annuncio, fatto alla stampa agli inizi di agosto dal ministro Manuel Marrero, conferma che l'isola si prepara al grande salto: lo sfruttamento del turismo di lusso che ha il suo mercato più promettente negli Stati Uniti. Accanto a questa apertura alle vacanze esclusive, il governo programma una serie di misure economiche che toccheranno da vicino la vita dei cubani: la riduzione dell'impiego pubblico e l'eliminazione delle limitazioni al lavoro in proprio, in modo che tale settore possa assorbire i dipendenti statali in eccesso. "Un cambiamento strutturale e di concezione al fine di preservare il nostro sistema sociale e di renderlo sostenibile nel futuro", ha spiegato Raúl Castro, aggiungendo che il carattere socialista di Cuba è irrevocabile. Anche il ministro dell'Economia, Marino Murillo, ha cercato di minimizzare le trasformazioni in atto: "Non si può parlare di riforme. Stiamo studiando un aggiornamento del modello economico cubano, dove prevarranno le categorie economiche del socialismo e non il mercato". Ma nonostante l'insistenza, non sono pochi quelli che temono per la vera essenza della Rivoluzione. IL COMPLEANNO DI FIDEL. Con Fidel e per la pace. Questo lo slogan che ha accompagnato le iniziative culturali per gli 84 anni di Fidel Castro: concerti, presentazione di libri, realizzazione di murales, conferenze e cori di bambini. Pur non figurando tra le festività ufficiali, il 13 agosto rimane per i cubani una data importante, che il quotidiano Granma ha voluto ricordare con un servizio giornalistico sulla casa natale del comandante en jefe nella località di Birán. Il festeggiato continua intanto la sua febbrile attività pubblica: il 7 agosto ha partecipato a una seduta del Parlamento e nel suo intervento ha invitato Barack Obama a evitare un attacco all'Iran, che potrebbe portare allo scoppio di una guerra nucleare. 13/8/2010 |
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Pace fatta tra Colombia e Venezuela Con l'accordo raggiunto il 10 agosto nella città colombiana di Santa Marta, Bogotá e Caracas hanno riallacciato le relazioni diplomatiche. I due capi di Stato, il colombiano Juan Manuel Santos (insediato da soli tre giorni) e il venezuelano Hugo Chávez, si sono impegnati a "prevenire la presenza o l'azione di gruppi armati al margine della legge". Si risolve così - anche grazie alla mediazione del segretario generale dell'Unasur, l'argentino Kirchner - la crisi scatenata dalle dichiarazioni del presidente Alvaro Uribe che, pochi giorni prima di cedere il governo a Santos, aveva accusato il Venezuela di ospitare sul suo territorio accampamenti delle Farc (a tale proposito aveva presentato davanti al Consiglio Permanente dell'Oea prove tutt'altro che convincenti). L'iniziativa di Uribe, spalleggiata dal Dipartimento di Stato Usa e interpretata da molti osservatori come un "regalo avvelenato" al suo successore, aveva spinto Chávez a decretare la rottura dei rapporti tra i due paesi. La strada dello scontro con Caracas, tracciata da Uribe, non è stata dunque seguita dal nuovo presidente. Santos, pur provenendo dalle file dell'oligarchia ed essendo come il suo predecessore un convinto esponente della destra filostatunitense, "ha saputo leggere i nuovi venti che soffiano nella regione e nel mondo", scrive Raúl Zibechi su La Jornada del 30 luglio. "La centralità rivestita dalla guerra nei due governi precedenti si trasferirà all'economia. Le ragioni sono semplici. La guerriglia non è più una minaccia né per la stabilità dello Stato né per la governabilità. È stata decimata e si trova in una fase di acuta ritirata come mai in quasi cinquant'anni. Per assicurare il potere delle classi dominanti ora deve fare appello alla crescita economica per edificare le basi a lungo termine della desiderata stabilità". E questo sul fronte esterno passa attraverso un miglioramento delle relazioni con i paesi vicini e un potenziamento dell'integrazione regionale, "per fare del commercio la locomotiva della produzione". Non va dimenticato che le tensioni al confine hanno provocato un crollo delle esportazioni colombiane verso il Venezuela da 7.000 milioni di dollari nel 2008 a meno di 1.500 nell'anno in corso. Dall'altra parte della frontiera, dalla distensione trae beneficio anche il governo Chávez, che si prepara all'importante scadenza elettorale del 26 settembre. 10/8/2010 |
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Messico, Amlo annuncia la sua candidatura Andrés Manuel López Obrador ha annunciato la sua candidatura per le presidenziali del 2012. Il 25 luglio, davanti a migliaia di sostenitori che riempivano lo Zócalo della capitale, ha affermato che tenterà di "sconfiggere la mafia del potere". Tra i punti centrali del suo programma il rinnovamento delle istituzioni e in particolare della Corte Suprema, la democratizzazione dei mezzi di comunicazione, la lotta ai privilegi fiscali, l'appoggio all'industria nazionale e il rafforzamento dei programmi sociali. Ma soprattutto Amlo ha posto l'accento sulla necessità di una riforma morale: "È indispensabile creare una nuova corrente di pensiero per rafforzare valori culturali, morali e spirituali, poiché la crisi attuale non è nata solo dalla disoccupazione, ma anche dal fatto che l'avidità è stata trasformata in una virtù, il denaro è stato innalzato al rango supremo ed è stata istigata l'idea che sia possibile trionfare a ogni costo, senza scrupoli morali di alcun tipo". López Obrador ha poi promesso - in caso di vittoria - un governo austero che dimezzi gli stipendi degli alti funzionari pubblici, l'impulso alle attività produttive e la creazione di nuovi posti di lavoro, il riscatto della campagna affinché il Messico produca alimenti anziché importarli e lo sviluppo del settore energetico, che dovrà essere strumento di industrializzazione del paese. La sfida lanciata da López Obrador avviene in un momento di particolare crisi per il presidente Calderón, che a metà luglio ha effettuato un ennesimo rimpasto di governo sostituendo il ministro dell'Interno (Gobernación), Fernando Gómez Mont, con José Francisco Blake Mora e la responsabile dell'Ufficio di Presidenza, Patricia Flores Elizondo, con il ministro dell'Economia, Gerardo Ruiz Mateos, rimpiazzato a sua volta da Bruno Ferrari García de Alba. "È inevitabile chiedersi con quali prospettive e su che basi può operare un gabinetto che negli ultimi quattro anni ha sperimentato 17 cambiamenti nelle sue file", commenta La Jornada del 15 luglio, accusando il calderonismo di muoversi senza una chiara direzione e di essere privo di quadri validi. E in effetti da più parti si rileva che le nuove nomine riguardano esponenti politici di basso profilo, scelti soprattutto per la loro fedeltà al capo dello Stato. Intanto l'ondata di violenza non si arresta e continua l'ecatombe di giornalisti (il 10 luglio sono stati uccisi Marco Aurelio Martínez Tijerina, nello Stato di Chihuahua, e Guillermo Alcaraz Trejo, in Nuevo León). Alle quotidiane notizie di massacri e scontri tra bande rivali si aggiungono le scoperte di protezioni eccellenti. Uno dei casi più eclatanti riguarda la strage del 17 luglio in un albergo di Torreón (Stato di Coahuila): 17 persone assassinate mentre festeggiavano un compleanno. Le indagini hanno permesso di scoprire che gli autori di questo e di altri delitti su commissione erano detenuti che venivano fatti uscire e riforniti di armi e automezzi dalle stesse guardie carcerarie (la direttrice del penitenziario è ora agli arresti domiciliari). Davanti a una situazione del genere non basta l'uccisione il 29 luglio, nel corso di un'operazione militare, di Ignacio Nacho Coronel Villarreal, uno dei capi del potente cartello di Sinaloa, per allontanare dalle autorità il sospetto di collusione con il narcotraffico. 29/7/2010 |
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Cuba, Fidel ritorna sulla scena Con l'arrivo a Madrid il 23 luglio di altri cinque dissidenti, il numero degli oppositori scarcerati che hanno raggiunto la Spagna è salito a venti. Il governo si è impegnato a rimettere in libertà, entro quattro mesi, tutti i membri ancora in carcere del gruppo dei 75 arrestati del 2003. Gli esiliati potranno in seguito chiedere all'Avana il permesso di rientrare sull'isola. È questo il frutto dello storico dialogo avviato in maggio tra il cardinale Jaime Ortega e il presidente Raúl Castro e che ha potuto contare sulla mediazione del governo Zapatero. Secondo alcuni osservatori, gli sforzi del governo cubano verso la distensione sono da collegarsi alla difficile situazione economica, che potrebbe essere alleviata dalla fine delle sanzioni. Non è questa però l'unica novità a Cuba. Dopo quattro anni di assenza per motivi di salute, in luglio Fidel Castro è ricomparso ripetute volte in pubblico, mostrandosi attivo ed energico. La serie di apparizioni è iniziata il 7 con una visita al Centro Nacional de Investigaciones Científicas. Nei giorni successivi Fidel è intervenuto alla televisione statale, ha discusso animatamente di questioni internazionali presso il Centro de Investigaciones de la Economía Mundial, ha visitato l'Acquario Nazionale, ha parlato per più di un'ora e mezza, con gli ambasciatori riuniti al Ministero degli Esteri, dei "gravi pericoli" per l'umanità che un attacco Usa all'Iran o alla Corea del Nord potrebbe provocare. Il 24, rimettendo per la prima volta dal 2006 la camicia militare, ha reso omaggio al mausoleo in memoria dei giovani ribelli di Artemisa. Ha invece deluso quanti si aspettavano di vederlo, il 26 luglio, alle celebrazioni ufficiali dell'assalto alla caserma Moncada. Per l'occasione l'oratore principale è stato il vicepresidente José Ramón Machado, che ha voluto rassicurare i cubani sulle prossime riforme: "I cambiamenti verranno fatti con senso di responsabilità, passo passo, senza improvvisazioni né precipitazioni". Il líder maximo comunque non è rimasto fermo: si è incontrato con i cantautori Silvio Rodríguez e Amaury Pérez e con il leader del gruppo religioso Pastors for Peace, Lucius Walker, e ha poi deposto una corona di fiori davanti al monumento a José Martí. Dimostra insomma di non voler gettare la spugna: ma la sua ricomparsa in questo momento significa davvero - come qualcuno sostiene - un appoggio alle riforme intraprese dal fratello Raúl? 26/7/2010 |
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Cile, esclusi dall'indulto i crimini di lesa umanità Il presidente Piñera ha comunicato che, in occasione dei festeggiamenti per il bicentenario, concederà l'indulto a persone condannate per una serie di reati valutati caso per caso: saranno comunque esclusi i crimini di lesa umanità, il terrorismo, il narcotraffico, l'omicidio, lo stupro e l'abuso di minori. L'annuncio è stato accolto con favore dall'opposizione, che temeva il ritorno in libertà dei torturatori e degli assassini della dittatura. Il movimento per i diritti umani "non avrebbe accettato a nessuna condizione che attraverso l'indulto si imponesse l'impunità", ha commentato il deputato comunista Lautaro Carmona. Pur senza molto entusiasmo, anche gli alleati di Piñera hanno appoggiato la decisione: il senatore Juan AntonioColoma, presidente dell'Udi (Unión Demócrata Independiente), l'ha definita prudente e ponderata. Non hanno nascosto il loro malumore, invece, quei settori delle forze armate compromessi con la dittatura, che non dimenticano le promesse elettorali del candidato Piñera: prima del voto l'attuale capo dello Stato si era incontrato in privato con ufficiali pinochetisti impegnandosi, una volta eletto, a bloccare i procedimenti giudiziari nei loro confronti. Nei giorni precedenti avevano fatto molto discutere le proposte delle Chiese cattolica ed evangelica, che invitavano a includere nell'indulto anche i responsabili di violazioni dei diritti umani. La presidente dell'Agrupación de Familiares de Ejecutados Políticos, Alicia Lira, ha respinto gli appelli alla riconciliazione provenienti da autorità religiose e politiche: "La riconciliazione passa attraverso la sanzione e il fatto che i repressori paghino i loro crimini in carcere senza nessun beneficio". E Lorena Pizarro, presidente dell'Agrupación de Familiares de Detenidos Desaparecidos, si è detta preoccupata che dietro l'annuncio del governo si nasconda qualche scappatoia per i militari condannati: "Ci sono stati sconti di pena e si possono cercare sotterfugi in questo caso per caso, in modo che alcuni dei 64 soggetti che stanno scontando condanne non vengano considerati criminali di lesa umanità". La cautela dimostrata da Piñera sulla questione indulto cerca forse di far dimenticare alcune sue recenti nomine, che hanno suscitato forti polemiche nel paese. In giugno l'ambasciatore a Buenos Aires, Miguel Otero, era stato costretto a dimettersi dopo la valanga di proteste provocata da una sua intervista, in cui aveva difeso il golpe di Pinochet affermando che "la maggior parte del Cile non sentì la dittatura, al contrario si sentì sollevata". Era stata poi la volta di Alberto Labbé, ambasciatore a Panama, citato in giudizio dalla giudice Raquel Lermanda per i suoi legami con l'ex agente della Dina (la polizia segreta della dittatura) Enrique Arancibia Clavel, unico condannato per l'assassinio del generale Prats. Come se non bastasse, l'economista José Piñera, fratello del capo dello Stato ed ex ministro di Pinochet, aveva paragonato Salvador Allende ad Adolf Hitler, sostenendo che entrambi erano saliti al potere attraverso la via democratica, ma poi avevano violato la Costituzione. Se il presidente cerca di accreditarsi come il rappresentante dell'intera nazione, quanti lo circondano non riescono a nascondere il vero volto dell'attuale amministrazione. LA MORTE DI LUIS CORVALAN. Si è spento il 21 luglio il grande dirigente politico Luis Corvalán. Nato nel 1916 a Puerto Montt, nel 1958 Corvalán venne nominato segretario generale del Partido Comunista. Negli anni Sessanta fu tra i promotori dell'unità delle forze di sinistra intorno a un programma di profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali, progetto che portò alla nascita di Unidad Popular e alla vittoria di Salvador Allende alle presidenziali del 1970. Arrestato dopo il golpe di Pinochet, Corvalán venne liberato tre anni dopo grazie a uno scambio con un dissidente sovietico, ma fu costretto a partire per l'esilio. Tornato in patria, nel 1989 lasciò la direzione del partito a Volodia Teitelboim. Tra i suoi libri ricordiamo: Santiago-Moscú-Santiago, De lo vivido y lo peleado, El gobierno de Salvador Allende, Los comunistas y la democracia. Al momento della morte stava completando le sue memorie. 25/7/2010 |
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El Salvador, nuova denuncia per i piccoli desaparecidos La Commissione Interamericana per i Diritti Umani ha denunciato lo Stato salvadoregno per la scomparsa di sei minori durante la lunga guerra civile, quando esercito e gruppi paramilitari attuavano una politica di terra bruciata contro la popolazione, considerata la base sociale della guerriglia. "Gli eventi che hanno fatto da cornice alle sei sparizioni non sono stati ancora chiariti, i responsabili non sono stati identificati né puniti e, trascorsi quasi trent'anni, i fatti rimangono impuniti", afferma la Commissione che ha trasmesso la causa alla Corte Interamericana per i Diritti Umani. Ana Julia (allora quindicenne) e Carmelina (sette anni) Mejía Ramírez scomparvero il 13 dicembre del 1981, giorno in cui i militari fecero irruzione nella loro casa massacrando il resto della famiglia. Il 25 agosto del 1982 i soldati strapparono ai genitori il piccolo Serapio (meno di due anni) e le sorelline Gregoria (quattro anni) e Julia Inés Contreras (quattro mesi). E il 18 maggio 1983 fu la volta di José Rubén Rivera, tre anni. Solo Gregoria ha potuto essere rintracciata nel 2006: aveva vissuto per anni con la famiglia del militare che l'aveva sequestrata, soffrendo maltrattamenti fisici e psicologici. Degli altri cinque non si sa nulla: potrebbero essere stati portati all'estero. Non sono certo gli unici casi: come afferma Ester Alvarenga, coordinatrice dell'Asociación Pro-Búsqueda de Niñas y Niños Desaparecidos, i bambini di cui è stata segnalata la scomparsa negli anni del conflitto armato sono 871. Solo 360 sono stati finora ritrovati: alcuni erano stati adottati da coppie straniere (anche italiane). Nel 2005 la Corte Interamericana per i Diritti Umani aveva già condannato il Salvador per il caso delle sorelline Ernestina ed Erlinda Serrano, risalente al 1982. 21/7/2010 |
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Argentina, storico voto sancisce le nozze omosessuali L'Argentina si è posta all'avanguardia dei diritti civili in America Latina, approvando in via definitiva una legge che equipara al matrimonio eterosessuale quello tra persone dello stesso sesso. La storica decisione è stata sancita dal Senato all'alba del 15 luglio con 33 voti a favore, 27 contrari e tre astensioni (il progetto aveva già ricevuto in maggio il via libera dalla Camera). La notizia è stata accolta con scene di giubilo dalla folla che - nonostante il freddo polare - era da ore in attesa di fronte al Congresso. Il sì dei senatori è arrivato dopo un lunghissimo dibattito, che ha attraversato e diviso tutti gli schieramenti. Dalla Cina, dove si trova in visita ufficiale, la presidente Cristina Fernández ha parlato di "passo positivo che difende i diritti della minoranza". Contro le nozze gay la Chiesa aveva rispolverato, nei giorni precedenti, toni da vera e propria crociata: il cardinale Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, aveva invitato a una guerra santa contro "il demonio". In qualche caso però questa intransigenza aveva ottenuto l'effetto contrario, spingendo alcuni indecisi a rivoltarsi contro l'ingerenza confessionale: la stessa presidente, pur devota cattolica, era intervenuta nella discussione dichiarandosi favorevole alla legge. A uscire sconfitte da questo voto sono dunque le gerarchie ecclesiastiche e il loro appello al carattere cattolico della nazione argentina. Un'ideologia che nel periodo della dittatura militare aveva portato l'episcopato ad appoggiare il regime e che lo ha spinto il 25 maggio scorso a presentare al governo una richiesta di amnistia per i principali responsabili di violazioni dei diritti umani di quegli anni. LA RESPONSABILITA' DEL GENOCIDIO. "Mi assumo la responsabilità nella guerra interna contro il terrorismo sovversivo; i miei subordinati si sono limitati a obbedire ai miei ordini come comandante in capo". Con queste parole l'ex dittatore Jorge Rafael Videla ha rivendicato le violazioni dei diritti umani compiute durante il regime militare. Ha inoltre affermato di disconoscere la competenza del tribunale di Córdoba, dove è in corso il processo per i crimini di lesa umanità commessi nella provincia omonima, perché il suo "giudice naturale" è il Consiglio Supremo delle forze armate. Anche un altro degli imputati nello stesso procedimento, il capo del Terzo Corpo dell'esercito Luciano Benjamín Menéndez, ha voluto provocare magistrati e testimoni: "I terroristi marxisti che, guidati dall'estero, assalirono la Repubblica perché non credevano nelle nostre istituzioni democratiche ora approfittano, si fanno scudo e usano queste stesse istituzioni democratiche per giudicare noi che le abbiamo difese". 15/7/2010 |
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Panama, in lotta per il diritto di sciopero I lavoratori dell'educazione e della costruzione hanno realizzato il 13 luglio uno sciopero di 24 ore per protestare contro la Ley 30, nota anche come Ley Chorizo, recentemente approvata dal governo Martinelli. Il provvedimento limita fortemente i diritti dei lavoratori, permettendo alle imprese di contrattare altra manodopera in caso di sciopero e cancellando l'obbligo di trattenuta della quota sindacale; minaccia inoltre l'ecosistema, eliminando l'obbligatorietà degli studi di impatto ambientale quando l'esecutivo ritenga il progetto di "interesse sociale". Infine criminalizza la protesta, concedendo maggiori poteri alla Policía Nacional. La prova generale di questa nuova politica repressiva si era avuta la settimana precedente a Changuinola, provincia di Bocas del Toro, dove le forze di polizia avevano attaccato i lavoratori bananieri in lotta uccidendo almeno due persone e ferendone 120. Le vittime in realtà erano state sei, denunciava in un'intervista a Telesur il segretario generale della Central de Trabajadores de Panamá, Mariano Mena. NORIEGA CONDANNATO A SETTE ANNI. Sette anni di prigione per riciclaggio: questa la condanna comminata il 7 luglio dalla giustizia francese a Manuel Noriega. Al termine di un breve procedimento, un tribunale di Parigi ha stabilito che Noriega riciclò oltre tre milioni di dollari provenienti dai suoi legami con il cartello della droga di Medellín, nascondendoli in una banca francese. L'ex dittatore, che dovrà anche pagare un milione di euro allo Stato panamense, si è sempre dichiarato innocente: i soldi depositati in Francia - ha detto - erano il pagamento per i servigi da lui resi alla Cia negli anni Settanta. 13/7/2010 |
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Brasile, campagna difficile per Serra È iniziata la campagna in vista delle elezioni presidenziali del 3 ottobre e i sondaggi indicano un sostanziale testa a testa tra i due principali candidati: l'ex ministra Dilma Rousseff, appoggiata da un'alleanza guidata dal Pt (Partido dos Trabalhadores) e dal Pmdb (Partido do Movimento Democrático Brasileiro), e l'ex governatore di San Paolo José Serra, sostenuto da una coalizione di cui fanno parte Psdb (Partido da Social Democracia Brasileira) e Dem (Democratas). Erede naturale di Lula, Dilma Rousseff propone l'approfondimento dei programmi sociali che in questi otto anni hanno strappato alla miseria 24 milioni di persone. Pone l'accento sulla scuola, impegnandosi per il miglioramento degli stipendi degli insegnanti e per l'aumento delle borse di studio, e progetta una riforma urbana che si ponga come priorità le esigenze dei settori più svantaggiati. Sul piano economico non prevede grossi cambiamenti, tranne la realizzazione dell'attesa riforma del fisco che le ha già procurato le critiche del suo avversario. Candidato a vice è il deputato federale Michel Temer, del Pmdb. Di fronte a un presidente in carica che gode di un altissimo indice di popolarità, José Serra può solo cercare di sfruttare le eventuali falle dell'attuale governo. Nei suoi discorsi promette la creazione di nuovi posti di lavoro e si guarda bene dall'attaccare le realizzazioni sociali di Lula, che invece dice di voler ampliare. Dopo un periodo in cui figurava al primo posto nelle intenzioni di voto, sta ora attraversando un momento di difficoltà, testimoniato anche dalla laboriosa ricerca del compagno di formula. La scelta - dopo molti ripensamenti - è caduta su un oscuro deputato di Rio, Antonio Indio da Costa, dei Democratas (destra). Secondo alcuni osservatori, questo significa che gli esponenti di spicco dell'area conservatrice si sono rifiutati di affiancare Serra nella corsa alla presidenza, nutrendo scarsa fiducia nelle sue possibilità di vittoria. 10/7/2010 |
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Venezuela, estradato a Cuba il complice di Posada Il governo di Caracas ha estradato a Cuba il salvadoregno Francisco Chávez Abarca El Panzón, principale collaboratore del terrorista Luis Posada Carriles. Abarca, arrestato mentre cercava di entrare in Venezuela con documenti falsi, era ricercato dalle autorità dell'Avana perché implicato in una serie di attentati avvenuti nel 1997: in uno di questi perse la vita il giovane italiano Fabio Di Celmo. La bomba che uccise Di Celmo, secondo gli inquirenti, fu posta dal salvadoregno René Cruz León, che dopo l'arresto confessò di essere stato reclutato dal suo compatriota Chávez Abarca. Quest'ultimo, definito "individuo di altissima pericolosità" dal ministro dell'Interno e della Giustizia El Aissami, avrebbe confessato di aver tentato di entrare in Venezuela per compiere azioni di sabotaggio contro le elezioni parlamentari di settembre. Secondo il ministro degli Esteri Nicolás Maduro, il salvadoregno "fa parte dei gruppi addestrati con finanziamento della Cia negli anni Ottanta e Novanta, che hanno lavorato in operazioni sporche in Centro America, perseguitando, torturando, assassinando i movimenti sociali". "UN ATTO DI GIUSTIZIA FEMMINISTA". Il 5 luglio, 199° anniversario dell'Indipendenza, il Venezuela ha reso onore alla generale Manuela Sáenz, compagna di Simón Bolívar ed eroina della guerra contro la Spagna. I resti simbolici di Manuela Sáenz (due urne contenenti terra di Paita, la città peruviana dove incontrò la morte nel 1856) sono stati tumulati accanto a quelli del Libertador nel Panteón Nacional di Caracas. Si tratta di "un atto di giustizia femminista", ha affermato il presidente Chávez, che presenziava alla cerimonia insieme al suo omologo ecuadoriano Rafael Correa, "una rivendicazione storica del ruolo della donna nei processi rivoluzionari dei nostri popoli". 7/7/2010 |
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Costa Rica, arrivano i marines Da luglio a dicembre faranno il loro ingresso in Costa Rica 7.000 soldati statunitensi, 46 navi da guerra, 200 elicotteri e 10 aerei da combattimento Harriet. L'autorizzazione a questa vera e propria occupazione militare è stata accordata dal Parlamento il primo luglio, con 31 voti a favore e 8 contrari. Il pretesto è quello, abituale, della lotta al traffico di droga: la presidente Laura Chinchilla ha parlato di operazione congiunta dei servizi di vigilanza costiera delle due nazioni. La decisione ha suscitato una valanga di critiche da parte dell'opposizione, che la considera una violazione della sovranità nazionale, tanto più grave in un paese che dal 1948 ha abolito l'esercito. Il permesso accordato alle truppe Usa "inserisce il nostro paese nei piani e nell'agenda di guerra del governo statunitense", si legge in un comunicato della Comisión Nacional de Enlace del Movimiento Popular, secondo il quale siamo di fronte alla diretta conseguenza degli impegni assunti nel quadro del Tratado de Libre Comercio firmato dal presidente Arias. Con questa azione il governo Chinchilla, afferma ancora la Comisión Nacional de Enlace, si associa "al Plan Colombia e all'agenda di aggressione e di guerra contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela e altri paesi sudamericani apertamente minacciati dagli Stati Uniti". Anche i partiti Acción Ciudadana, Unidad Social Cristiana e Frente Amplio si sono dichiarati contrari alla presenza delle truppe di Washington, argomentando che "la forza distruttrice delle navi, degli elicotteri e dei marines è sproporzionata per la lotta al narcotraffico". 5/7/2010 |
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Messico, un voto di castigo Previsioni azzeccate solo in parte nel voto del 4 luglio per l'elezione di governatori, sindaci e parlamentari in dodici Stati (in altri due, Chiapas e Baja California, si rinnovavano solo municipi e Parlamenti locali). Il Pri (Partido Revolucionario Institucional) vince, ma non stravince: riconferma il suo predominio negli Stati di Chihuahua, Durango, Veracruz, Hidalgo, Quintana Roo e Tamaulipas e strappa Aguascalientes e Tlaxcala al Pan (Partido de Acción Nacional) e Zacatecas al Prd (Partido de la Revolucción Democrática). Perde però tre suoi bastioni: Oaxaca, Puebla e Sinaloa, che saranno governati da un'improbabile alleanza tra il conservatore e clericale Pan e il progressista Prd. La strategia che ha portato a questo accordo, scrive Julio Hernández López su La Jornada del 5 luglio, "non ha dato i frutti sperati" e "ha invece sottratto autorevolezza e coerenza" alla cosiddetta sinistra, così pragmatica da allearsi con quelli che fino a pochi anni fa considerava i suoi peggiori nemici. Più che favorire il Pri, gli elettori sembra abbiano voluto colpire l'inefficienza e il malgoverno del Pan, che nel 2000 si era presentato come espressione del cambiamento. E lo stesso Pri non è stato risparmiato dal voto di castigo: a Oaxaca è stato bocciato il regime corrotto e sanguinario del governatore uscente, Ulises Ruiz; a Puebla quello di Mario Marín, protettore dell'industriale Kamel Nacif, coinvolto nella rete internazionale di pedofili denunciata dalla coraggiosa giornalista Lydia Cacho. Nonostante queste batoste, il "dinosauro" priista fa un ulteriore passo verso la riconquista della presidenza nel 2012 e conserva il potere "in entità chiave per la continuità degli affari che finanziano in modo sotterraneo le sue direttrici elettorali" (Julio Hernández López). La giornata di voto, caratterizzata da un forte astensionismo specie nel nord, ha registrato la solita sequela di orrori: solo nello Stato di Chihuahua sono stati rinvenuti quattro corpi penzolanti da ponti autostradali, sei cadaveri con segni evidenti di tortura e una donna carbonizzata. Un leader indigeno legato al Prd è stato assassinato a Tenejapa, nel Chiapas; il direttore e il vicedirettore della polizia municipale di Actopan (Hidalgo) sono stati uccisi probabilmente da narcos. Nei giorni precedenti due crimini avevano scosso il paese: il 30 giugno, a Ciudad Juárez, la viceprocuratrice Sandra Ivonne Salas García era stata assassinata insieme a un uomo della sua scorta. Sandra Salas lavorava a stretto contatto con la procuratrice Patricia González Rodríguez, che ha già visto cadere sotto il fuoco dei killer molti dei suoi collaboratori. Due giorni prima, un commando aveva ucciso il candidato priista a governatore di Tamaulipas, Rodolfo Torre Cantú, un deputato locale e quattro agenti di scorta: con questo inequivocabile messaggio, scrive La Jornada nell'editoriale del 29 giugno, "la criminalità ha mostrato di essere determinata a decidere chi dovrà occupare un incarico di potere e chi no". Al posto di Rodolfo Torre è stato eletto il fratello Egidio, che si è presentato al seggio indossando un giubbotto antiproiettile: un chiaro segno del clima di intimidazione e di paura in cui si sono svolte queste consultazioni. ATENCO: TUTTI LIBERI. Con una maggioranza schiacciante (quattro voti contro uno), la Corte Suprema ha deliberato la liberazione immediata dei dodici militanti del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra ancora in galera per gli scontri di San Salvador Atenco e Texcoco (Estado de México) del maggio 2006. "Non è una concessione, ma un atto di coerenza giuridica e di risposta alla mobilitazione sociale": questo il commento di Trinidad Ramírez, dirigente del Frente e moglie di Ignacio del Valle, che era stato condannato a 112 anni di prigione per secuestro equiparado (un assurdo legale) e assalti alle vie di comunicazione. Una pena sproporzionata, spiegabile solo con il desiderio di criminalizzare la protesta sociale. "I prigionieri di Atenco, come molti degli abitanti di questa località - scrive La Jornada nell'editoriale del primo luglio - furono vittime di un atto di repressione e di uso smodato della violenza da parte dello Stato che portò, come hanno documentato diversi organismi di difesa dei diritti umani, a stupri, pestaggi, detenzioni arbitrarie, divieto di comunicare, perquisizioni domiciliari, furto di oggetti personali da parte di agenti statali e federali e alla morte di due persone". 5/7/2010 |
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Honduras, dopo un anno la resistenza è sempre viva Migliaia di persone sono scese in piazza il 28 giugno a Tegucigalpa, nel primo anniversario del golpe contro il presidente Manuel Zelaya. Lavoratori statali, insegnanti, studenti hanno aderito alla manifestazione convocata dal Frente Nacional de Resistencia Popular e a loro si sono uniti centinaia di militanti del Partido Liberal. Il corteo non ha potuto giungere fino alla sede del governo, perché si è trovato il passo sbarrato da un ingente dispositivo di polizia, ma i dimostranti non hanno fatto marcia indietro, mostrando così la loro determinazione. Il Frente denuncia le continue violazioni ai diritti umani sotto la gestione di Porfirio Lobo e chiede la convocazione di un'Assemblea Costituente e il ritorno del presidente deposto. Quest'ultimo, dal suo esilio nella Repubblica Dominicana, ha inviato alla resistenza un messaggio in cui denuncia la responsabilità del Southern Command statunitense nella pianificazione del colpo di Stato (e a proposito di Stati Uniti, il dirigente del Frente, Carlos Reyes, ha segnalato la recente installazione di una nuova base navale Usa nella zona de La Mosquitia). Sempre il 28 giugno, promossa dalla Plataforma de Derechos Humanos si è installata una Comisión deVerdad composta tra gli altri dalla religiosa Elsie Monge (Ecuador), dai magistrati Luis Carlos Nieto (Spagna) e Mirna Perla Jiménez (El Salvador), da Nora Cortiñas (Argentina) delle Madres de Plaza de Mayo, dal sacerdote Fausto Milla e dalla scrittrice Helen Umaña (Honduras). Si tratta di un organismo alternativo a quello che era stato creato dal governo in maggio per ripulire l'immagine del regime. "Il presidente Lobo si era impegnato pubblicamente sul tema dei diritti umani, ma non ha agito per garantire il loro rispetto e questo risulta inaccettabile", denuncia un comunicato di Amnesty International. La conferma viene dalla lista delle vittime, che continua ad allungarsi. Tra i casi più recenti l'assassinio del giornalista Luis Arturo Mondragón, di Canal 19, avvenuto il 14 giugno a Danlí (dipartimento di El Paraiso). Il 10 giugno due uomini armati avevano aperto il fuoco contro un'auto uccidendo il cognato e ferendo la sorella e il padre di Porfirio Ponce, vicepresidente del Sindicato de Trabajadores de la Industria de la Bebida y Similares. Poco prima Carolina Pineda, dirigente del combattivo Colegio de Profesores de Educación Media, era sfuggita per un soffio a un analogo attentato. 28/6/2010 |
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Uruguay, l'ex dittatore: non sapevo dei desaparecidos Non sapevo dell'esistenza di desaparecidos: l'ho appreso solo dalla stampa. Questa l'incredibile affermazione che l'ex dittatore Gregorio Alvarez ha fatto il 21 giugno nel corso del dibattimento sul sequestro, avvenuto nel 1976, dei piccoli Victoria e Anatole Julien Grisonas. I due fratellini, figli di una coppia di militanti uruguayani scomparsi in Argentina, vennero poi abbandonati in una piazza della città cilena di Valparaíso e adottati da una famiglia. Un caso emblematico del coordinamento in funzione tra le dittature del Cono Sur, che agivano come un unico organo repressivo senza frontiere. Orrori che l'Uruguay non ha del tutto superato, anche a causa della Ley de Caducidad che tuttora protegge i responsabili di violazione dei diritti umani. Contro l'impunità oltre 10.000 persone avevano partecipato, il 20 maggio a Montevideo, alla tradizionale marcia del silenzio, che dal 1995 ogni anno ricorda le vittime del regime militare. E il 19 giugno, anniversario della nascita dell'eroe nazionale José Artigas, il presidente Mujica aveva celebrato, con un discorso dai toni moderati, il Día del Nunca Más. Ma in una cerimonia parallela il generale Ricardo Galarza, presidente del Circolo Militare, si era incaricato di ribadire la posizione dei settori più reazionari delle forze armate: "Il Nunca Más non si decide per decreto, è morto alla nascita, queste cose bisogna sentirle, altrimenti non hanno futuro". 21/6/2010 |
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Colombia, nel segno della continuità Dopo una campagna contrassegnata da minacce agli elettori e compravendita di voti da parte del partito di governo (pratiche già ampiamente denunciate nel primo turno dagli osservatori internazionali), si è svolto il 20 giugno l'ultimo atto delle elezioni presidenziali. Alla massima carica dello Stato è stato eletto l'ex ministro della Difesa Juan Manuel Santos, che ha ottenuto il 69% dei suffragi contro il 27,5% del candidato del Partido Verde Antanas Mockus. La consultazione si è svolta in un contesto di violenza (16 le vittime della giornata) e ha registrato un'astensione del 56%. Il risultato del voto, ampiamente scontato, rappresenta la perpetuazione della politica di Alvaro Uribe. Del resto l'avversario di Santos non proponeva in sostanza nulla di diverso, tanto che il candidato del Polo Democrático Alternativo, Gustavo Petro, intervistato il 18 giugno da La Jornada, aveva accusato la destra di aver fabbricato il fenomeno dell'ondata verde dandogli un'apparenza di sinistra e di aver gonfiato artificialmente al primo turno i sondaggi in favore di Mockus per sbarrare il passo a ogni possibile alternativa. Pochi giorni prima del ballottaggio, Santos era stato favorito anche dalla felice conclusione dell'Operación Camaleón dell'esercito, che aveva strappato quattro ostaggi dalle mani delle Farc: un'operazione subito paragonata a quella - guidata dallo stesso Santos - che nel 2008 aveva portato alla liberazione di Ingrid Betancourt. La conferenza stampa degli ex sequestrati si era risolta in uno spot a favore del candidato del governo e in una manifestazione di sostegno alle forze armate, utile a far dimenticare la condanna a trent'anni di carcere comminata il 9 giugno al colonnello a riposo Alfonso Plazas Vega. L'ex militare era accusato della scomparsa di undici persone nel novembre 1985, durante la sanguinosa azione contro un commando del gruppo guerrigliero M-19 asserragliato nel Palazzo di Giustizia (le vittime furono più di cento). La sentenza, dovuta al coraggio e alla determinazione della giudice María Stella Jara Gutiérrez, più volte minacciata perché chiudesse il caso, aveva fornito al presidente Uribe il pretesto per un ennesimo attacco alla magistratura. "Si sta costruendo un panorama di insicurezza giuridica che attenta alla gestione dell'ordine pubblico in Colombia", aveva detto il capo dello Stato. Una posizione non sorprendente, visto che Plazas Vega e gli altri responsabili di quel massacro sono personaggi molto vicini all'attuale esecutivo. 21/6/2010 |
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Messico, il governo contro i sindacati Il governo continua la sua offensiva antisindacale, deciso a risolvere con la repressione i conflitti di lavoro. Dopo la battaglia dell'ottobre scorso contro il Sindicato Mexicano de Electricistas, ora è la volta dei minatori di Cananea (Stato di Sonora) e Pasta de Conchos (Coahuila), sgomberati con la forza nella notte tra il 6 e il 7 giugno. Era stato lo stesso esecutivo, durante la presidenza Fox, a innescare la miccia criminalizzando la dirigenza sindacale, "colpevole" di aver chiesto giustizia per i 46 lavoratori uccisi nel 2006 a Pasta de Conchos dalla mancanza di adeguate misure di protezione. Come già avvenuto con il sindacato elettricisti, anche per i minatori si sono registrati pesanti interventi da parte del Ministero del Lavoro, con l'appoggio a gruppi dissidenti e la persecuzione sul piano giudiziario nei confronti del segretario generale del sindacato, Napoleón Gómez Urrutia (mentre il Grupo México, concessionario di entrambe le miniere, veniva sollevato da ogni responsabilità per l'incidente del 2006). Contro la politica governativa si sono mobilitati il 10 giugno migliaia di lavoratori del settore elettrico, delle miniere, della scuola, studenti, militanti delle organizzazioni sociali. Un grande corteo ha attraversato il centro di Città del Messico fino allo Zócalo, chiedendo le dimissioni del presidente Felipe Calderón e del ministro del Lavoro, Javier Lozano. BLOCCATA CAROVANA UMANITARIA. Ancora una volta i membri dell'organizzazione paramilitare Ubisort, che dal novembre 2009 cingono d'assedio il municipio autonomo di San Juan Copala, nello Stato di Oaxaca, hanno impedito il passaggio di una missione umanitaria. L'8 giugno la carovana, intitolata a Bety Cariño e Jyri Jaakkola (i due attivisti assassinati nel corso della precedente spedizione), è stata fermata da un blocco stradale vigilato da uomini armati e ha dovuto tornare indietro. In queste condizioni, scrive La Jornada nell'editoriale del 10 giugno, "lo Stato di diritto è inesistente". Il quotidiano denuncia la mancata volontà politica delle autorità statali di risolvere il conflitto (il governatore Ulises Ruiz minimizza, parlando di dispute interne alla comunità triqui) e il rifiuto del governo federale di occuparsi della questione, nonostante le critiche dei relatori dell'Onu per le continue violazioni dei diritti umani. 11/6/2010 |
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Paraguay, approvata la legge antiterrorismo Con votazione unanime (i pochi deputati progressisti avevano preferito disertare la seduta), la Camera ha detto sì al progetto di legge che introduce nel Codice Penale il reato di terrorismo, con condanne da dieci a trent'anni di prigione. In maggio il testo era passato in Senato con la sola opposizione dei senatori Carlos Filizzola e Sixto Pereira. Quasi tutti d'accordo, dunque, su questo progetto inviato all'esame del Parlamento dallo stesso presidente Lugo: proprio lui, "che ci aiutò a redigere il rifiuto alla legge antiterrorismo e marciò fianco a fianco con noi nel 2007", afferma sconsolato l'avvocato Juan Martens, della Coordinadora de Derechos Humanos (Codehupy), intervistato da Página/12. In realtà sul governo di Asunción hanno pesato le pressioni di Washington. Pressioni indirette, esercitate attraverso il Gruppo d'Azione Finanziaria Internazionale (Gafi), l'organismo intergovernativo creato per combattere il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo. Il Gafi ha stilato una serie di "raccomandazioni" che gli Stati devono adottare, pena la sospensione dei prestiti da parte dei principali istituti di credito. La legge ora approvata, denunciano gli oppositori, non definisce con precisione che cosa si debba intendere per terrorismo e questo consentirà ai giudici di criminalizzare la protesta sociale, dall'occupazione di terre al blocco stradale. Basti pensare che - secondo un rapporto presentato due anni fa dalla Codehupy - dal ritorno della democrazia al 2005 la magistratura ha garantito l'impunità ai responsabili di quasi tutte le esecuzioni arbitrarie di dirigenti contadini. Nel gennaio scorso il procuratore di San Pedro, JorgeKronawetter, aveva ordinato l'arresto di una decina di persone, tra cui alcuni protagonisti della battaglia per la riforma agraria, sospettati di aver fornito appoggio logistico al gruppo armato Epp (Ejército del Pueblo Paraguayo). In seguito le accuse si sono dimostrate infondate, ma gli arrestati sono ancora in carcere. Quanto all'Epp, ottimo pretesto per giustificare la repressione delle lotte nelle campagne, la sua reale consistenza rimane un mistero: nonostante lo stato d'eccezione proclamato per un mese in cinque dipartimenti e la mobilitazione di centinaia di soldati e agenti, dei guerriglieri non è stata trovata traccia. 10/6/2010 |
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Assemblea Oea: Lobo difeso da Usa e alleati Con la generica e accomodante Declaración de Lima si è chiusa l'8 giugno, nella capitale peruviana, la quarantesima Assemblea Generale dell'Oea. Nel corso dei lavori era stato affrontato il tema della corsa agli armamenti nella regione, ma il documento finale si limita a sottolineare la necessità di "promuovere un ambiente propizio" affinché si destinino meno soldi all'acquisto di armi e maggiori risorse allo sviluppo. L'Ecuador aveva presentato una mozione di condanna dell'attacco israeliano alle navi pacifiste dirette a Gaza, ma a favore si sono espressi soltanto dieci paesi (su 33 partecipanti). È stata invece approvata per acclamazione una risoluzione di sostegno alla posizione argentina sulle isole Malvinas, che ribadisce la necessità di una ripresa delle trattative tra Londra e Buenos Aires. Il problema più scottante era però quello dell'Honduras, con le sue continue violazioni dei diritti umani: Stati Uniti, Perù, Colombia e paesi centroamericani (con l'eccezione del Nicaragua) hanno difeso il regime di Porfirio Lobo e si sono detti favorevoli a un rientro immediato di Tegucigalpa nell'Oea. Dopo una lunga riunione a porte chiuse è stata decisa la creazione di una Commissione - i cui membri saranno nominati dal segretario generale Insulza - con il compito di pronunciarsi sull'argomento entro il 30 luglio. 8/6/2010 |
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Venezuela, contro la speculazione sugli alimenti Il presidente Chávez ha annunciato il 6 giugno l'esproprio di alcuni supermercati e grandi magazzini, accusando i proprietari di speculazione e accaparramento. Continua così l'offensiva dell'esecutivo contro quegli imprenditori, in particolare dell'industria alimentare, sospettati di provocare volutamente la scarsità di beni per far lievitare i prezzi e destabilizzare il paese. Gli attacchi di Chávez si sono indirizzati anche contro la maggiore produttrice di alimenti, Empresas Polar, che potrebbe essere nazionalizzata (quest'ipotesi incontra però l'opposizione di una parte del sindacato). Per consolidare la presenza dello Stato nel settore agroindustriale, in maggio il governo aveva decretato l'espropriazione di Monaca (Sociedad Mercantil Molinos Nacionales). Un brutto colpo per il consorzio messicano Gruma, leader mondiale nel mercato delle tortillas, che ne controlla più del 72% (la quota restante è detenuta dal banchiere venezuelano Ricardo Fernández Barruecos, arrestato nel 2009 per l'acquisizione irregolare di quattro istituti bancari). Negli ultimi anni il governo di Caracas ha realizzato numerose "acquisizioni forzate" nel settore della produzione e della distribuzione di alimenti: il processo si è intensificato dopo l'approvazione, nel 2009, di una nuova legge che rende più rapidi i procedimenti di espropriazione. 6/6/2010 |
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Bolivia, Morales minaccia di espellere l'Usaid Quattro giorni prima l'inviato di Washington, Arturo Valenzuela, si era incontrato a La Paz con il ministro degli Esteri boliviano David Choquehuanca. Sembrava la premessa per un riavvicinamento, dopo quasi due anni di tensione seguiti all'espulsione dei rispettivi ambasciatori. Ma il pieno ristabilimento dei rapporti diplomatici è ancora lontano: il 5 giugno, inaugurando il congresso dei cocaleros del Chapare, Evo Morales ha definito una "provocazione" il conferimento di un importante incarico nella principale agenzia di cooperazione statunitense, la Usaid (United States Agency for International Development), a Mark Feierstein, che fu consigliere elettorale dell'ex presidente Sánchez de Lozada. Morales si è anche lamentato per i finanziamenti concessi dall'agenzia a ong legate all'opposizione di destra: se la Usaid continua a lavorare in questo modo, ha detto, "non mi tremerà la mano nel decidere di espellerla, perché abbiamo la nostra dignità, siamo un paese sovrano e non permetteremo nessuna ingerenza". ARRESTI DOMICILIARI PER L'UOMO CHE CATTURO' IL CHE. L'ex generale Gary Prado Salmón, che nel 1967 catturò il Che Guevara, è finito agli arresti domiciliari su mandato della giudice Betty Yañíquez: è accusato di legami con il gruppo terrorista diretto dall'ungaro-boliviano Eduardo Rózsa Flores, morto nell'aprile 2009 in uno scontro con le forze di sicurezza. Le indagini su Rózsa, che intendeva assassinare il presidente Morales e altri esponenti del governo di La Paz, hanno portato alla luce collegamenti con politici e imprenditori della zona di Santa Cruz e con organizzazioni di estrema destra latinoamericane. Oltre a Gary Prado, che negli anni Ottanta rimase paralizzato per un colpo d'arma da fuoco durante un tentativo di golpe, sono stati arrestati Ronald Castedo, ex dirigente della Cooperativa Telefónica de Santa Cruz, e Juan Carlos Santiesteban, leader della Falange Socialista Boliviana. 6/6/2010 |
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Perù, un anno fa il massacro di Bagua È stato ricordato nella regione amazzonica il primo anniversario del massacro di Bagua, la sanguinosa repressione della protesta indigena che il 5 giugno 2009 provocò decine di morti tra manifestanti e agenti. Le comunità native si sono concentrate nella zona nota come Curva del Diablo per commemorare le vittime e chiedere che sia fatta giustizia. Ma il presidente Alan García ha già deciso a chi attribuire le colpe: rivolgendosi ai giornalisti, ha parlato di "assassinio a freddo" di poliziotti che sarebbero caduti "in un'imboscata". Ben diversa l'opinione di Juan José Quispe, dell'Instituto de Defensa Legal: secondo la sua denuncia, fino a oggi non sono stati indagati i responsabili politici di quegli avvenimenti né gli alti comandi che guidarono l'operazione delle forze di sicurezza. Quispe ha chiesto un giusto processo per gli oltre 120 civili rinviati a giudizio: tra questi figura il leader indigeno Alberto Pizango, che dopo quasi un anno di esilio in Nicaragua è tornato recentemente in patria per far fronte a tre procedimenti a suo carico. Con la rivolta di Bagua il movimento indigeno aveva ottenuto lo scorso anno l'annullamento di due discussi decreti governativi. Un'altra vittoria è stata registrata il 19 maggio con l'approvazione in Parlamento della Ley del Derecho a la Consulta Previa a los Pueblos Indígenas, che riconosce il diritto delle comunità native a essere consultate sullo sfruttamento delle risorse naturali nei loro territori. È il risultato di un numero sempre crescente di conflitti in difesa dell'ambiente e in particolare contro i guasti provocati dall'attività mineraria. Con la ribellione dei popoli amazzonici, "i meno addomesticati dalla modernità" come li definisce l'ex guerrigliero Hugo Blanco, siamo di fronte all'irruzione sulla scena di un nuovo soggetto. Un soggetto che si affianca ai tradizionali protagonisti delle lotte sociali: i sindacati operai e le organizzazioni contadine della sierra. Nel frattempo il governo García, sempre più screditato per il continuo affiorare di casi di corruzione, si sostiene con l'appoggio dei fujimoristi, che gli garantiscono la necessaria maggioranza parlamentare. In cambio, all'ex presidente-dittatore Alberto Fujimori, condannato a 25 anni per violazione dei diritti umani, viene garantita una cella "a quattro stelle". Come ha rivelato in maggio la rivista Caretas, Fujimori riceve in carcere tutti i visitatori che desidera, si riunisce con i suoi sostenitori e dirige la campagna elettorale della figlia Keiko per le presidenziali del 2011. 5/6/2010 |
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Agatha si abbatte sui più poveri La tempesta tropicale Agatha, che si è abbattuta su Guatemala, Honduras ed El Salvador provocando duecento morti e un centinaio di dispersi, ha portato allo scoperto la vulnerabilità del Centro America. Come al solito le vittime si contano soprattutto tra la popolazione più povera, che viveva lungo le rive dei fiumi o sui fianchi delle colline e che ha subito le conseguenze di straripamenti e smottamenti. Secondo José Escribá, della Società Geologica guatemalteca, la principale causa di questa nuova catastrofe risiede nella mancanza nella regione di un effettivo ordinamento territoriale, che delimiti le aree dove poter costruire in sicurezza. E proprio in Guatemala, il paese più colpito, alcuni membri dell'Asociación de Alcaldes y Autoridades Indígenas y Municipios hanno criticato l'assenza dello Stato, ricordando come a tutt'oggi non sia ancora conclusa la ricostruzione dopo l'uragano Stan del 2005. Ora i governi centroamericani si trovano a dover fronteggiare il problema dei senzatetto: decine di migliaia di famiglie sono rimaste senza nulla. E con le coltivazioni rovinate dalle precipitazioni, si teme che il rincaro di cereali e verdure provochi un'emergenza alimentare. 2/6/2010 |
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Cuba, industria dello zucchero in crisi L'industria dello zucchero, la colonna dorsale dell'economia, è in profonda crisi. La zafra in corso "può definirsi pessima in fatto di produzione e di efficienza", scrive il quotidiano Granma: per trovare una raccolta così povera bisogna risalire indietro fino al 1905. Il calo era cominciato nel 1992, dopo il crollo dell'Unione Sovietica che aveva rappresentato il principale mercato dello zucchero cubano. Nel 2002 era stata decisa una ristrutturazione del settore, con una riduzione della coltivazione di canna e la chiusura di 71 stabilimenti su 156. Nel 2006 una ricerca del Centro de Estudios de la Economía Cubana dell'Università dell'Avana aveva concluso che l'agroindustria "è quasi al collasso a causa di un processo prolungato di decapitalizzazione". In questi ultimi anni altre voci hanno acquistato importanza nell'economia dell'isola: i servizi medici, il turismo, il nichel, le biotecnologie e il tabacco. L'articolo del Granma spiega la destituzione, agli inizi di maggio, del ministro dello Zucchero Luis Manuel Avila González, che - afferma il comunicato ufficiale - ha riconosciuto "le carenze del suo lavoro". Insieme ad Avila è stato rimosso il vicepresidente (nonché titolare del dicastero dei Trasporti) Jorge Luis Sierra Cruz. La vicepresidenza vacante è stata assegnata al generale di divisione Antonio Enrique Lussón Batlle, un veterano di 80 anni che combatté agli ordini di Raúl Castro. Lussón si aggiunge agli altri tre vicepresidenti (su sei) provenienti dalla generazione storica, garantendo al capo dello Stato un solido appoggio in un momento difficile. I DISSIDENTI PIU' VICINI A CASA. Le autorità carcerarie hanno iniziato il trasferimento dei dissidenti in penitenziari più vicini a casa, per facilitare le visite delle famiglie. Secondo l'opposizione, questa concessione è il frutto della mediazione della Chiesa cattolica: il 20 maggio Raúl Castro si era incontrato con l'arcivescovo dell'Avana, cardinale Jaime Ortega, e con il presidente della Conferenza Episcopale, Dionisio García Ibáñez. Recentemente si è registrato un ammorbidimento anche nei confronti delle Damas de Blanco, alle quali non vengono più richiesti permessi preventivi per le manifestazioni domenicali. 1/6/2010 |
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Colombia, il delfino di Uribe vince il primo round I sondaggi sulle presidenziali del 30 maggio si sono rivelati del tutto sbagliati. Pronosticavano un testa a testa tra i due principali candidati, il delfino di Uribe Juan Manuel Santos e il matematico di origini lituane Antanas Mockus, del Partido Verde: invece Santos si è piazzato al primo posto con il 46% dei suffragi, contro il 21% del suo avversario. Un distacco che appare incolmabile, anche se l'ultima parola verrà detta con il ballottaggio del 20 giugno. Al terzo posto, a sorpresa, Germán Vargas Lleras, di Cambio Radical (destra), con il 10%, seguito da vicino dal candidato del Polo Democrático, Gustavo Petro (9%). Quasi scomparse le tradizionali forze politiche colombiane, che dal 1850 al 2002 si erano alternate al potere: conservatori e liberali hanno raccolto insieme solo il 10%. In linea con il passato, invece, la forte astensione: più della metà degli elettori ha disertato le urne. All'indomani del voto sono iniziate le analisi: secondo lo stesso Mockus, le inchieste hanno clamorosamente fallito perché hanno preso in esame solo la realtà urbana, trascurando le campagne dove Santos gode di forti consensi (e dove è più facile per i paramilitari esercitare pressioni e minacce sui votanti). Il "fenomeno Mockus" è stato fittizio e mediatico, ha detto dal canto suo la senatrice liberale Piedad Córdoba. E l'esponente del Polo Carlos Lozano ha attribuito il deludente risultato del candidato verde "alle sue incoerenze". È un fatto che la proposta politica di Mockus non si discosta da quella di Santos se non per l'aspetto formale: fa appello alla legalità e alla trasparenza, ma sostiene il libero mercato e il Tlc con gli Stati Uniti e non si oppone alla concessione di basi alle truppe Usa e alla politica di "sicurezza democratica" contro la guerriglia. E proprio qui sta la contraddizione, spiega il politologo Fernando Giraldo a Página/12: "Il messaggio di Mockus è che gli piace la democrazia, ma che si può civettare con l'autoritarismo. È il lato paradossale della società colombiana: Uribe ci risolve il problema delle Farc, allora gli perdoniamo la corruzione, le uccisioni di sindacalisti, la parapolitica, lo spionaggio alle ong, ai politici e alle organizzazioni per i diritti umani". Juan Manuel Santos è stato l'esecutore più fedele della politica uribista: quando era ministro della Difesa, l'esercito assassinò oltre duemila giovani presentandoli poi come "guerriglieri caduti in combattimento" (i cosiddetti "falsi positivi"). Nel 2008 Santos diresse il bombardamento di un accampamento delle Farc in territorio ecuadoriano, un'azione che portò alla rottura delle relazioni diplomatiche con Quito. E favorì le intercettazioni illegali effettuate dai servizi segreti ai danni di oppositori e diplomatici stranieri. Sul suo risultato al primo turno non ha influito neppure l'ultimo grosso scandalo che ha colpito la famiglia Uribe: l'ex ufficiale di polizia Juan Carlos Meneses Quintero ha accusato il fratello del capo dello Stato, Santiago, di aver creato negli anni Novanta una struttura squadristica che si rese responsabile di numerosi omicidi nel dipartimento di Antioquia. Lo stesso Alvaro Uribe, allora senatore, avrebbe coperto queste attività criminose. La testimonianza di Meneses Quintero è stata resa a Buenos Aires, davanti a rappresentanti di organizzazioni internazionali per i diritti umani. Gli squadroni della morte intanto continuano ad agire indisturbati: il 18 maggio Rogelio Martínez, esponente del Movimiento Nacional de Víctimas de Crímenes de Estado, è stato assassinato nel dipartimento di Sucre da un gruppo di uomini incappucciati e vestiti di nero. Martínez si batteva per il ritorno di una cinquantina di famiglie costrette ad abbandonare le loro case dalla violenza dei paramilitari. Cinque giorni dopo è stata la volta di Alexander Quintero, ucciso da ignoti killer a Santander de Quilichao, nel dipartimento del Cauca. Quintero aveva ricevuto minacce per la sua coraggiosa battaglia a favore delle vittime del massacro dell'Alto Naya, dove nell'aprile del 2001 paramilitari delle Auc, con il sostegno dell'esercito, provocarono la morte di oltre cento persone e la scomparsa di altre sessanta. 31/5/2010 |
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Argentina, mare di folla per il bicentenario I festeggiamenti per i duecento anni della Revolución de Mayo hanno avuto il loro culmine il 25 maggio in una grande sfilata di carri allegorici, che ricostruivano i momenti salienti della storia nazionale. Una folla immensa, calcolata in oltre due milioni di persone, assisteva allo spettacolo. Sul palco, accanto alla presidente Fernández, delegazioni di diversi paesi del mondo. La grande partecipazione popolare ha costituito un indubbio successo per il governo e una prova di vitalità per la democrazia argentina: tra le tappe di grande importanza simbolica rappresentate nella sfilata non mancava infatti il riferimento alla lotta delle Madres de Plaza de Mayo, esempio di dignità e coraggio nel periodo più buio del paese. In precedenza Cristina Fernández aveva inaugurato, alla presenza di numerosi capi di Stato della regione (tra gli invitati anche il deposto presidente dell'Honduras, Manuel Zelaya), la Galería de los Patriotas Latinoamericanos: da Simón Bolívar al Che Guevara, da Perón a Evita, da Lázaro Cárdenas a Salvador Allende, da Sandino a Farabundo Martí. Una galleria che inserisce i protagonisti della storia argentina nella più vasta realtà latinoamericana. IN CARCERE ANCHE MARTINEZ DE HOZ. Anche per José Alfredo Martínez de Hoz, ministro dell'Economia della dittatura, è venuto il momento del carcere. La sua richiesta di godere degli arresti domiciliari è stata respinta dalla magistratura e il 20 maggio l'ex uomo forte di Videla, in precarie condizioni di salute, è stato ricoverato nell'ospedale del penitenziario di Ezeiza: è accusato del sequestro, nel 1976, dell'imprenditore Federico Gutheim e del figlio Miguel, obbligati in cella a rinegoziare un contratto con alcuni commercianti stranieri. Il rinvio a giudizio di Martínez de Hoz era stato reso possibile da una sentenza della Corte Suprema, che a fine aprile aveva stabilito l'incostituzionalità dell'indulto di cui aveva beneficiato nel 1990 grazie all'allora presidente Menem. 25/5/2010 |
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Messico, sequestrato esponente del Pan In un paese pur abituato da anni agli omicidi e alla violenza, il sequestro di Diego Fernández de Cevallos ha colpito fortemente l'opinione pubblica. Fernández de Cevallos, che nel 1994 fu candidato presidenziale per il Pan, è scomparso la sera del 14 maggio nei pressi della sua casa di campagna, nello Stato del Querétaro. Una settimana dopo una sua foto è stata diffusa da Milenio Tv, che l'avrebbe ricevuta da una e-mail anonima: il rapito appare privo di camicia e con gli occhi bendati. Sulla sua sparizione la Procura Generale ha deciso di interrompere le indagini, accettando una richiesta della famiglia che spera così di facilitare un contatto con i sequestratori. Sull'identità di questi ultimi non si sa nulla: si pensa alla criminalità organizzata, ma anche a faide interne al partito di governo. Diego Fernández è stato un personaggio di primo piano nella recente storia messicana: il suo intervento fu decisivo nel legittimare l'ascesa al potere nel 1988 di Carlos Salinas de Gortari, eletto presidente solo grazie ai brogli ai danni dell'avversario Cuauhtémoc Cárdenas. Dopo il voto, Fernández si batté per impedire il ricontrollo delle schede e perché tutta la documentazione venisse distrutta, così da far sparire ogni traccia. Ripeté il copione nel 2006, nelle consultazioni che videro la contestata vittoria di Felipe Calderón. La scomparsa di Fernández de Cevallos ha coinciso con l'assassinio di José Mario Guajardo, candidato del Pan alla carica di sindaco di Valle Hermoso, nel settentrionale Stato di Tamaulipas. Guajardo, che aveva ricevuto minacce dal narcotraffico, è stato ucciso da due sicari insieme al figlio e all'autista. Anche nello Stato di Oaxaca continuano le violenze: dopo l'assalto del 27 aprile a una carovana umanitaria diretta a San Juan Copala, il 20 maggio quattro uomini armati hanno assassinato Timoteo Alejandro Ramírez, leader del Movimiento de Unificación y Lucha Triqui Independiente, e la moglie Cleriberta Castro. Il duplice omicidio - ha detto Jorge Albino Ortiz, della Commissione per i Diritti Umani di San Juan Copala - è un nuovo segnale dell'intenzione del governatore Ulises Ruiz di militarizzare la regione, per contrastare il progetto di autodeterminazione della comunità triqui. SCARSI RISULTATI DI CALDERON A WASHINGTON. La critica alla nuova legge dell'Arizona che criminalizza gli immigrati ha rappresentato il primo argomento affrontato da Felipe Calderón, ricevuto il 19 maggio alla Casa Bianca. Ma al di là di un generico appoggio verbale da parte di Obama contro simili provvedimenti discriminatori, Calderón non può certo sperare di ottenere quest'anno dagli Usa la tanto sospirata riforma migratoria. I punti su cui i due paesi hanno concordato sono un rafforzamento del Tlcan, il Tratado de Libre Comercio de América del Norte che non si può dire positivo per l'economia messicana, e il sostegno all'illegittimo regime honduregno: Washington e Città del Messico premeranno sulle altre nazioni del continente per ottenere il ritorno di Tegucigalpa in seno all'Oea. Nel contesto del suo viaggio negli Stati Uniti, Calderón ha reso omaggio al cimitero militare di Arlington. Una scelta fortemente criticata in patria: nessun presidente messicano aveva finora visitato questo luogo, dove sono sepolti anche i soldati statunitensi che parteciparono alle aggressioni contro il Messico, privandolo di metà del suo territorio. 22/5/2010 |
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Honduras, la repressione non si arresta Quasi non passa giorno senza che un nuovo nome si aggiunga alla lista delle vittime dei golpisti. Il 18 maggio a Los Quebrachitos, nel dipartimento di Intibucá, è stato trovato il cadavere del dirigente del Copinh (Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras) Olayo Hernández Sorto: era stato assassinato a colpi d'arma da fuoco e da taglio. Pochi giorni prima era stato ucciso a Tegucigalpa il giovane Gilberto Alexander Núñez Ochoa. Insieme a lui era stato colpito a morte l'amico con cui stava conversando. Núñez Ochoa aveva denunciato le infiltrazioni di provocatori, che avevano il compito di far scoppiare incidenti nelle manifestazioni della resistenza per giustificare l'intervento della polizia. E un rapporto della Commissione Interamericana per i Diritti Umani conferma che, dopo l'elezione del presidente Lobo e il cosiddetto "ritorno alla democrazia", la repressione non è affatto diminuita.In particolare la Commissione ricorda la recente persecuzione politica contro i magistrati dell'opposizione. Quattro giudici di San Pedro Sula, Luis Alonso Chévez, Guillermo López, Ramón Enrique Barrios e Tirza Flores Lanza, membri dell'associazione Jueces por la Democracia, e il difensore pubblico Osman Fajardo Morel sono stati destituiti dalla Corte Suprema, la stessa che aveva legittimato il colpo di Stato. Non si ferma neanche l'assassinio di giovani, per lo più ragazzi di strada o presunti pandilleros. Secondo l'organizzazione umanitaria Casa Alianza, la violenza è aumentata dopo il golpe del giugno 2009: negli ultimi quattro mesi si sono registrate 157 uccisioni, in un quadro di totale impunità. Intanto a Madrid il regime ha ottenuto un'importante vittoria diplomatica: pur non avendo partecipato il 18 maggio (per l'espresso rifiuto dei paesi dell'Unasur) al vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione Europea e dell'America Latina, il presidente Porfirio Lobo ha preso parte il giorno successivo all'incontro più ristretto tra Unione Europea e Centro America ed è stato ricevuto cordialmente da Zapatero. "Dopo essere stati isolati completamente per sette mesi, questo è veramente un successo per noi", ha commentato il ministro delle Comunicazioni di Tegucigalpa, Miguel Angel Bonilla. 21/5/2010 |
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Tre accordi a favore dell'Unione Europea Come era prevedibile, al vertice di Madrid dei capi di Stato e di governo dell'Unione Europea e dell'America Latina e Caraibi si è parlato soprattutto della crisi e di come contrastarla. Gli strumenti sono quelli di sempre: al di là del riconoscimento della necessità di "una nuova architettura finanziaria internazionale", tanto nel vertice ufficiale che nell'incontro tra gli imprenditori dei due continenti si è insistito sulla via neoliberista, dalla riduzione della spesa pubblica al taglio delle politiche sociali, all'apertura dei mercati. Anche il premier spagnolo Zapatero, presidente di turno dell'Unione, si è pronunciato a favore di maggiori liberalizzazioni in settori strategici come energia, infrastrutture e telecomunicazioni e di un'accelerazione dei Tlc, i trattati di libero commercio. E il vertice si è concluso proprio con la firma di tre accordi: con il Perù, con la Colombia e con il Centro America (Bruxelles aveva già sottoscritto intese analoghe con Messico e Cile), tutti fortemente sbilanciati a favore dell'Europa e della sua produzione industriale. Le questioni economiche hanno messo in ombra gli altri temi, in particolare quello della violenza di genere e dei feminicidios. Paesi come la Spagna e il Brasile avrebbero voluto affrontarlo esplicitamente, ma si sono scontrati con l'ostruzionismo messicano. Il governo di Città del Messico temeva che si puntassero i riflettori su Ciudad Juárez e sulla sentenza di condanna della Corte Interamericana per i Diritti Umani nei confronti dello Stato messicano per l'inerzia mostrata nelle indagini dopo l'uccisione di tre ragazze nel 2001. 19/5/2010 |
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Mediazione di Lula sul nucleare iraniano Avrebbe potuto essere una svolta nella questione del nucleare iraniano: il 17 maggio a Teheran il presidente brasiliano Lula e il premier turco Erdogan avevano convinto il governo di Ahmadinejad ad accettare l'arricchimento dell'uranio all'estero. In precedenza Lula era passato da Mosca, dove aveva ottenuto il sostegno del presidente Medvedev al suo tentativo di mediazione. L'accordo ha suscitato però la reazione stizzita degli Stati Uniti, che hanno subito rinnovato al Consiglio di Sicurezza dell'Onu la richiesta di sanzioni all'Iran: una dimostrazione del malumore della grande potenza di fronte alle iniziative di paesi "minori". "È come se Obama avesse perso il controllo della situazione e Brasile e Turchia passassero a guidare il canale diplomatico", sostiene l'analista statunitense Flynt Leverett, della New America Foundation, su O Globo del 19 maggio. Brasilia non ha nascosto il suo malcontento per l'atteggiamento negativo di Washington: "Ignorare l'accordo - afferma il ministro degli Esteri Celso Amorim, sul quotidiano O Estado de São Paulo del 19 maggio - significa disprezzare la ricerca di una soluzione pacifica e negoziata" con Teheran. Ma anche se la mediazione di Lula è destinata forse al fallimento, resta la realtà di una diplomazia che negli ultimi mesi ha guadagnato consensi in Medio Oriente e ha dato vita a un'inedita alleanza con la Turchia, confermando sempre più il suo respiro mondiale. 19/5/2010 |
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Uruguay, il Frente Amplio perde consensi A Montevideo le consultazioni del 9 maggio hanno riconfermato l'egemonia ventennale del Frente Amplio. Per la prima volta a guidare il dipartimento, dove risiede la metà degli uruguayani, è stata eletta una donna, Ana Olivera, docente di Letteratura e membro in gioventù del movimento tupamaro. Il Frente ha vinto anche nei dipartimenti di Canelones, Maldonado, Rocha e Artigas. Nel complesso, però, la coalizione di governo ha registrato un notevole calo di consensi rispetto alle precedenti amministrative del 2005: i risultati definitivi dello scrutinio, giunti con estrema lentezza, attribuiscono dodici dipartimenti al Partido Nacional e due al Partido Colorado. In sensibile aumento la percentuale di voti bianchi o nulli. Moltissime le schede bianche anche per l'elezione di sindaci e consiglieri comunali (il decentramento rappresentava una novità di queste consultazioni): gli elettori sono apparsi impreparati e poco interessati e in molti casi hanno preferito non esprimere il proprio voto. 16/5/2010 |
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Ecuador, tregua nella battaglia dell'acqua Una tregua nella battaglia dell'acqua. Il presidente dell'Assemblea Nazionale, Fernando Cordero, ha rinviato la votazione del progetto governativo sulle risorse idriche - che doveva tenersi il 13 maggio - per permettere la consultazione dei popoli indigeni come stabilito dalla Costituzione. E le comunità native hanno annunciato una sospensione delle mobilitazioni, per dibattere l'argomento nelle assemblee popolari. Dagli inizi di maggio i blocchi stradali e gli scontri con la polizia hanno già provocato una ventina di feriti e trenta arresti. Delfín Tenesaca, presidente di Ecuarunari, ha affermato che la pausa servirà a "riposare un poco per riprendere con molta più forza". E Marlon Santi, leader della Conaie, ha aggiunto che "la prossima mobilitazione, se possibile, sarà fatta per mandare i parlamentari a casa". Il conflitto dunque non è terminato: le popolazioni native sostengono che questo progetto "di privatizzazione" intende privarle del controllo sulle risorse idriche dei loro territori, per favorire compagnie minerarie e imprese imbottigliatrici. "Non permetteremo che un gruppo, per importante che si ritenga, si impadronisca dell'acqua", risponde dal canto suo il presidente Correa. E da parte della maggioranza si avanza il sospetto che i leader indigeni siano strumentalizzati da settori conservatori. Intervistata da Página/12, la ricercatrice María del Carmen Garcés paragona, "pur con le debite distanze tra Salvador Allende e Correa", gli scioperi dei minatori di El Teniente nel Cile di Allende e le attuali sollevazioni in Ecuador e accusa la destra di tentare di infiltrarsi nelle organizzazioni popolari. Una strategia evidenziata a fine marzo dall'incontro a Guayaquil, città guidata dall'oppositore Jaime Nebot, tra la Conaie e la reazionaria Junta Cívica: solo un ripensamento dei rappresentanti indigeni ha fatto naufragare in quell'occasione l'ipotesi di alleanze. 14/5/2010 |
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Bolivia, il sindacato si divide La Central Obrera Boliviana ha firmato con il governo un accordo che prevede un ritocco all'aumento salariale del 5% offerto inizialmente e una riduzione dell'età pensionabile, attualmente fissata a sessant'anni. Ma la firma ha provocato una profonda divisione all'interno della Cob. Lavoratori della sanità, operai e insegnanti hanno respinto l'intesa, definendo traditore il leader sindacale Pedro Montes. I docenti hanno stabilito di continuare la marcia di protesta partita il 10 maggio da Caracollo, nel dipartimento di Oruro, e diretta a La Paz, mentre in cinque città lavoratori delle fabbriche proseguono gli scioperi della fame. Il vicepresidente Alvaro García Linera ha parlato di maturità e di atteggiamento rivoluzionario di quanti hanno accettato la proposta del governo e ha criticato il settore "trotzkista" che - a suo dire - cerca di porre ostacoli al cambiamento in atto nel paese. Il ritorno di parte del sindacato al dialogo con il governo aveva portato a una scarsa partecipazione allo sciopero generale indefinito iniziato il 10 maggio. Contro questo sciopero le accuse di García Linera erano state durissime: lo aveva definito "controrivoluzionario" e non aveva scartato l'ipotesi di una manipolazione ispirata dall'ambasciata Usa. Si è intanto concluso il conflitto scoppiato nella regione di Caranavi, che reclamava l'installazione di un impianto per la lavorazione degli agrumi. Contro la scelta dell'esecutivo di costruire l'impianto nell'Alto Beni, la popolazione di Caranavi aveva effettuato blocchi stradali e si era scontrata con la polizia, con il tragico bilancio di due morti. La calma è tornata dopo la decisione del governo di installare due impianti, per venire incontro alle esigenze di entrambe le comunità. 12/5/2010 |
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Costa Rica, sospesi i nuovi progetti minerari Si è svolta l'8 maggio la cerimonia di insediamento della presidente Laura Chinchilla, del Partido Liberación Nacional come il suo predecessore Oscar Arias. Tra i capi di Stato presenti il salvadoregno Mauricio Funes, il colombiano Alvaro Uribe, l'ecuadoriano Rafael Correa. Durante la cerimonia alcune decine di manifestanti hanno contestato i progetti politici lasciati in eredità dal precedente governo, in particolare la prevista privatizzazione dell'acqua. Iniziando il suo mandato, Laura Chinchilla ha tenuto un discorso dai toni concilianti, facendo appello all'unità del paese. Ha poi firmato una serie di decreti, il più importante dei quali introduce una moratoria sui nuovi progetti minerari. La decisione, molto attesa dagli ecologisti, non riguarda però la miniera d'oro a cielo aperto di Las Crucitas, nei pressi del confine nicaraguense, il cui sfruttamento comporterebbe un ampio disboscamento. Il Proyecto Crucitas, presentato dalla filiale locale della canadese Infinito Gold, era stato autorizzato da Arias, ma la sua attuazione è stata finora bloccata dai ricorsi giudiziari delle organizzazioni ambientaliste. 8/5/2010 |
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Honduras, la resistenza torna nelle piazze La resistenza è tornata a riempire le strade di Tegucigalpa con una forza inaspettata. Al corteo del Primo Maggio hanno partecipato oltre 500.000 persone, dietro la parola d'ordine ben riassunta in un grande striscione: "Con l'unità popolare verso la vittoria finale". E il richiamo all'unità ha caratterizzato la manifestazione, che ha visto la partecipazione delle tre centrali sindacali e di organizzazioni del mondo contadino, delle donne, degli studenti, dei quartieri. Intanto hanno già superato il milione le firme raccolte dal Frente Nacional de Resistencia Popular per il referendum sulla convocazione di un'Assemblea Costituente (proprio la richiesta di una Costituente era stata una delle ragioni scatenanti del golpe). LOBO, PRESENZA NON GRADITA. Porfirio Lobo, eletto nelle consultazioni organizzate dai golpisti, non parteciperà al vertice di Madrid del 18 maggio tra Europa e America Latina. A indurlo a rinunciare all'invito fattogli da Zapatero (presidente di turno dell'Unione Europea) è stata la minaccia dei paesi dell'Unasur, a esclusione di Colombia e Perù, di disertare l'incontro in caso di presenza honduregna. La situazione in Honduras era stata al centro della riunione dell'Unasur del 4 maggio, durante la quale l'argentino Néstor Kirchner era stato nominato segretario generale. L'incontro aveva segnato il debutto di due neoeletti: l'uruguayano José Mujica e il cileno Sebastián Piñera. Mujica si era subito affiancato a quanti contestavano la legittimità di Lobo. Ma anche Piñera, a sorpresa, aveva giudicato i passi compiuti verso il ristabilimento della democrazia in Honduras non sufficienti a giustificare un riconoscimento. Di fronte alle aperture spagnole al regime di Tegucigalpa, l'ecuadoriano Correa - presidente pro tempore del blocco - aveva riassunto in poche parole la contrarietà dell'Unasur: "C'è un malessere della maggioranza, ci sentiamo scarsamente considerati". Porfirio Lobo si recherà comunque a Madrid per partecipare il 19 al vertice tra Europa e Centro America. Nella regione centroamericana, infatti, conta parecchi amici: il presidente uscente del Costa Rica, OscarArias, ha promesso di premere su Messico e Brasile perché diano voto favorevole al rientro dell'Honduras nell'Oea. 6/5/2010 |
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Bolivia, nazionalizzate le imprese elettriche Per celebrare la giornata del Primo Maggio il governo ha proclamato la nazionalizzazione di quattro imprese di elettricità, acquistando dai privati la parte azionaria in loro possesso (in un caso, a detenere le azioni erano gli stessi lavoratori dell'azienda). Lo Stato è giunto così a controllare l'80% dell'energia consumata nel paese; il restante 20% è gestito dalla Cooperativa Rural de Electrificación, a carico di imprenditori di Santa Cruz. "Stiamo esaudendo la grande richiesta popolare di recuperare le risorse naturali e i servizi di base", ha detto il presidente Morales a Corani, nel dipartimento di Cochabamba, dove sorge una delle imprese nazionalizzate. LA COB SCIOPERA CONTRO IL GOVERNO. Diversamente dal passato, i leader sindacali non avevano accompagnato quest'anno il presidente Morales nella celebrazione del Primo Maggio. La Central Obrera Boliviana aveva invitato i suoi aderenti a non partecipare, in segno di protesta contro l'incremento salariale del 5% concesso dal governo (l'aumento richiesto era del 25%). Dall'esecutivo era stato fatto notare che tra il 2002 e il 2004 i salari erano cresciuti solo del 9% circa, a fronte di un balzo del 40% durante la presidenza Morales. L'argomentazione non ha convinto i sindacati, che il 4 maggio hanno realizzato il primo sciopero nazionale di 24 ore contro il governo. L'adesione alla protesta è stata comunque scarsa; alcuni incidenti hanno provocato il ferimento di due persone e si sono conclusi con 17 arresti. 4/5/2010 |
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Colombia, cala nei sondaggi il candidato di Uribe Cortei a Medellín, Cali, Barranquilla, Pereira, Neiva, Popayán, Bogotá, Bucaramanga (in queste due ultime città si sono registrati scontri con la polizia, con un bilancio di quindici feriti): il Primo Maggio ha visto in piazza migliaia di persone. In vista delle elezioni presidenziali che si terranno a fine mese, i sindacati hanno chiesto ai candidati di impegnarsi a favore dell'occupazione e per frenare la violenza contro i rappresentanti dei lavoratori e contro la società. L'ultimo sondaggio sulle prossime consultazioni vede per la prima volta in testa l'ex sindaco della capitale Antanas Mockus, candidato del Partido Verde, che con il 38% supera il rappresentante del partito di governo Juan Manuel Santos (29%). Questo capovolgimento nelle intenzioni di voto (fino a poco tempo fa era Santos a guidare i pronostici) si può forse spiegare con gli scandali che sempre più coinvolgono l'amministrazione Uribe. Santos in particolare, come ex titolare del dicastero della Difesa (da cui dipendono i servizi segreti), è stato recentemente chiamato in causa per le intercettazioni illegali effettuate dal Das, il Departamento Administrativo de Seguridad, ai danni di avvocati, giornalisti, esponenti dell'opposizione. In seguito alle polemiche suscitate da queste intercettazioni, in aprile gli Stati Uniti hanno deciso di sospendere gli aiuti economici e tecnologici al Das. E sempre in aprile la giustizia dell'Ecuador ha formalizzato un mandato di cattura contro l'ex ministro, per il bombardamento di un accampamento delle Farc in territorio ecuadoriano il primo marzo del 2008. Nel frattempo è venuto alla luce un testo scritto due anni fa dall'ex paramilitare Rodrigo Tovar Pupo, che racconta tra l'altro degli stretti rapporti di amicizia tra l'attuale vicepresidente Francisco Santos, cugino di Juan Manuel, e il leader dei paras Salvatore Mancuso. 2/5/2010 |
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Brasile, non sarà rivista la legge di amnistia Il Brasile è il paese dell'America Latina più arretrato per quanto riguarda la punizione dei responsabili di violazione dei diritti umani. Così Vitória Grabois, vicepresidente di Tortura Nunca Mais, ha commentato la decisione del Tribunale Supremo Federale di respingere la richiesta di revisione della legge di amnistia del 1979. "Non siamo revanscisti, vogliamo giustizia e verità", ha detto Vitória Grabois, ricordando che il provvedimento d'amnistia venne votato in piena dittatura militare: "Il paese ora è cambiato, siamo in un altro contesto storico. La legge deve mutare in accordo con la società". L'Ordine degli Avvocati aveva chiesto che la legge venisse modificata per permettere il rinvio a giudizio dei colpevoli di lesa umanità. Anche sul tema della depenalizzazione dell'aborto la classe politica sta mostrando la sua arretratezza. Subendo i contraccolpi della campagna scatenata dalla Chiesa cattolica, il governo ha cancellato dal suo terzo Programa Nacional Direitos Humanos (Pndh-3) il tema dei diritti sessuali e riproduttivi. L'interruzione volontaria della gravidanza resta dunque consentita solo in caso di stupro o di pericolo per la vita della madre. Si calcola che ogni anno nel paese siano almeno un milione gli aborti clandestini, realizzati spesso in condizioni igienico-sanitarie terribili e con gravi rischi di complicazioni. A farne le spese sono soprattutto le donne nere, appartenenti alla fascia più povera della popolazione: secondo un recente studio dell'Istituto di Medicina Sociale dell'Università di Rio, la probabilità di morte per aborto di una donna nera è due volte e mezzo quella di una bianca. 30/4/2010 |
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Messico, assalto alla carovana umanitaria Erano diretti al municipio autonomo di San Juan Copala (nello Stato di Oaxaca), per portare aiuti umanitari e un messaggio di solidarietà agli abitanti, da mesi sotto assedio. Ma nel pomeriggio del 27 aprile, quando erano ormai a breve distanza dalla meta, i 25 membri della carovana sono stati attaccati a colpi d'arma da fuoco dai paramilitari dell'organizzazione Ubisort (Unión de Bienestar Social para la Región Triqui), legata al Pri. La messicana Beatriz Alberta Cariño Trujillo e il finlandese Jyri Jaakkola sono rimasti uccisi, altri volontari sono stati feriti, altri ancora sono riusciti a fuggire (tra questi l'italiano David Casinori). Le notizie sulla sorte dei sopravvissuti si sono apprese solo molte ore dopo, perché anche la polizia non poteva accedere alla zona senza il permesso dei gruppi armati. In pratica il governo statale del priista Ulises Ruiz ha delegato ai paramilitari il controllo della regione triqui. In un'imboscata analoga erano state assassinate nell'aprile 2008 Teresa Bautista e Felícitas Martínez, due giornaliste che proprio da San Juan Copala trasmettevano attraverso la radio comunitaria La voz que rompe el silencio. 29/4/2010 |
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Paraguay, stato d'eccezione in cinque dipartimenti Il governo ha decretato lo stato d'eccezione per un mese nei dipartimenti di San Pedro, Amambay, Concepción, Presidente Hayes e Alto Paraguay. Il provvedimento, entrato in vigore il 24 aprile, è stato deciso dopo la morte di quattro persone, tra cui un poliziotto, in un assalto di presunti guerriglieri dell'Ejército del Pueblo Paraguayo (Epp). Una serie di azioni armate attribuite all'Epp (tra cui il sequestro dell'allevatore Zavala, liberato dopo oltre tre mesi di prigionia) è servita in questi mesi da pretesto per gli attacchi della destra al presidente Lugo e per la repressione indiscriminata del movimento contadino e della sua lotta per la riforma agraria. La Federación Nacional Campesina, la maggiore organizzazione contadina, ha condannato lo stato d'eccezione, chiamando alla disobbedienza civile. E nonostante il controllo militare, il 26 aprile nei dipartimento di Amambay alcuni sicari in motocicletta hanno sparato contro la camionetta in cui viaggiava il senatore liberale Robert Acevedo. Il parlamentare è stato ferito e le sue due guardie del corpo sono rimaste uccise. Acevedo, proprietario di Radio Amambay, aveva denunciato più volte il traffico di droga e la corruzione nella regione. Anche ora ha ribadito che i responsabili dell'attentato vanno ricercati tra i narcotrafficanti. 27/4/2010 |
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Panama, Noriega estradato in Francia Dalle carceri statunitensi, dove era rinchiuso per narcotraffico, l'ex dittatore Manuel Antonio Noriega è stato estradato in Francia per rispondere dell'accusa di riciclaggio. Collaboratore della Cia negli anni Settanta, Noriega era giunto al potere con l'aiuto di Washington, anche se poi aveva assunto posizioni autonome. E furono proprio le truppe Usa, nel dicembre 1989, a invadere il paese per catturarlo (l'intervento militare costò la vita a centinaia, forse migliaia di persone). Anche il governo di Parigi gli era amico: il presidente Mitterrand lo aveva insignito della massima onorificenza francese, la Legion d'Onore. Altri tempi: ora Noriega si appella alla sua condizione di "prigioniero di guerra" per ottenere di essere rimpatriato. Ma è una battaglia legale perduta in partenza: il governo di Panama non ha nessuna intenzione di ritrovarsi per le mani questa "patata bollente" e preferisce che il vecchio generale rimanga lontano ancora a lungo. 27/4/2010 |
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Cuba, riforme economiche e lotta alla corruzione L'affluenza alle urne nelle elezioni locali del 25 aprile si è attestata intorno al 95%, un livello di poco inferiore a quello delle amministrative del 2007. Si registra però un lieve aumento delle schede nulle e di quelle bianche, che in totale hanno raggiunto quasi il 9%: un dato che l'opposizione interpreta come un segnale di protesta. E a proposito delle sfide che il governo deve fronteggiare, in prima fila vi sono le riforme economiche. Ne ha parlato il 4 aprile Raúl Castro nel suo discorso al nono congresso dell'Unión de Jóvenes Comunistas. Il capo dello Stato ha avvertito che, se non si raddrizza l'economia, è a rischio lo stesso sistema politico; per questo ha annunciato l'intenzione di ridurre la spesa pubblica, promuovere l'agricoltura, eliminare i sussidi e il mercato nero e rendere il salario una necessità. "Continuare a spendere al disopra delle entrate - ha ribadito Raúl - equivale semplicemente a mangiarci il futuro". Ma c'è un altro problema che preoccupa le autorità cubane: la crescita della corruzione. A suscitare clamore è stata in aprile la morte di un imprenditore cileno, Roberto Baudrand Valdés, deceduto dopo aver ingerito una miscela di alcool e farmaci. Baudrand era l'amministratore di un'impresa a capitale misto, Alimentos Río Zaza, sotto indagine per presunte irregolarità. Non è l'unico caso: sospetti di corruzione avevano portato, nei mesi scorsi, all'arresto di funzionari della Cubana de Aviación e dell'agenzia di viaggi Sol y Son e all'annullamento - dopo la scoperta di un giro di tangenti - dell'importazione di auto a basso consumo energetico. In un articolo sul sito dell'Unión de Escritores y Artistas de Cuba, Esteban Morales, dell'Universidad de La Habana, definisce la corruzione "la vera controrivoluzione", denunciando l'esistenza di funzionari governativi e statali che si stanno costruendo un patrimonio finanziario in vista della caduta della rivoluzione o che stanno predisponendo il trapasso dei beni pubblici in mani private, come avvenne dopo il crollo dell'Urss. 26/4/2010 |
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Guatemala, dodici anni fa veniva ucciso il vescovo Gerardi Fedeli cattolici e militanti dei diritti umani hanno partecipato alle commemorazioni del 12° anniversario della morte di monsignor Juan Gerardi. Il vescovo venne assassinato la sera del 26 aprile 1998, due giorni dopo la pubblicazione del rapporto Guatemala Nunca Más. Il documento riuniva il materiale raccolto nell'ambito del progetto per il recupero della memoria storica, promosso dall'Ufficio per i Diritti Umani dell'Arcivescovado: dati e testimonianze su migliaia e migliaia di violenze, torture, omicidi, commessi - nel corso della guerra civile - soprattutto da paramilitari e membri dell'esercito. E proprio tre militari, con la complicità di un sacerdote, sono stati riconosciuti colpevoli di aver partecipato all'uccisione del vescovo. Quanto ai mandanti, sono tuttora nell'ombra. SEICENTO DONNE ASSASSINATE OGNI ANNO. Nel corso di una riunione a Panama del Consejo de Ministras de la Mujer, l'organismo del Sica (Sistema de la Integración Centroamericana) che riunisce le titolari dei dicasteri sulla condizione femminile, è stato lanciato l'allarme sull'aumento dei feminicidios in Guatemala. Nel paese centroamericano il numero delle donne assassinate ha raggiunto la spaventosa cifra di 600 all'anno, cento in più del già terribile dato di Ciudad Juárez. 26/4/2010 |
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Nicaragua, tregua tra opposizione e orteguisti Dopo giorni di scontri è stata raggiunta una tregua tra l'opposizione e i sostenitori di Daniel Ortega. Le violenze erano state scatenate dagli attivisti del Frente Sandinista de Liberación Nacional che avevano cinto d'assedio il Parlamento, bloccato le vie principali della capitale, ferito tre parlamentari e aggredito alcuni giornalisti, minacciando di dare alle fiamme le sedi dei media critici del governo. La protesta era indirizzata contro i parlamentari dell'opposizione (appartenenti sia alla destra che alla dissidenza sandinista), che intendevano derogare un decreto emesso in gennaio dal presidente Ortega. Il provvedimento aveva disposto il rinnovo automatico di un gruppo di funzionari pubblici, tra cui alcuni magistrati della Corte Suprema e del Consiglio Supremo Elettorale (quest'ultimo organismo è accusato di aver favorito il partito di governo nelle amministrative del novembre 2008). Secondo il deputato Víctor Hugo Tinoco, del Movimiento Renovador Sandinista, Ortega vuole mantenere l'incarico dei funzionari a lui fedeli "perché gli garantiscono i brogli in vista della sua rielezione nel 2011". Di fronte all'impossibilità di accedere alla sede dell'Asamblea Nacional, il 20 aprile l'opposizione si era riunita in una sala dell'albergo Holiday Inn, mentre all'esterno i filogovernativi lanciavano pietre e bombe molotov prima di essere dispersi dai gas lacrimogeni della polizia. La validità della seduta celebrata nell'albergo era stata in seguito contestata da René Núñez, presidente del Parlamento e capogruppo del Fsln. Si è giunti infine a una momentanea cessazione delle ostilità e il 22 aprile i lavori parlamentari sono ripresi con l'approvazione di tre prestiti internazionali e della cooperazione militare con il Venezuela. Restano però sul tappeto i problemi più scottanti, in particolare il discusso decreto di gennaio. 22/4/2010 |
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Honduras, continua la strage di giornalisti Il killer lo aspettava all'uscita della Televisión Nacional de Honduras, a San Pedro Sula, al termine del programma giornalistico En vivo con Georgino. Un solo sparo alla testa: è morto così il 20 aprile Georgino Orellana, ennesima vittima dell'attacco all'informazione scatenato dopo il golpe. Ma il governo parla di delitto a scopo di rapina, tendendo ad accreditare l'ipotesi di un reato commesso dalla criminalità comune. In realtà, denuncia un militante della resistenza intervistato da Página/12, "stiamo vivendo in un clima di insicurezza totale, in cui poliziotti e militari possono e fanno ciò che vogliono". E per cadere sotto il fuoco dei sicari basta non essere perfettamente allineati al regime. Orellana infatti, all'indomani del colpo di Stato, aveva rinunciato a lavorare per la Corporación Televicentro, non condividendo la posizione apertamente golpista dell'impresa, senza però passare ufficialmente nelle file dell'opposizione. Insieme agli omicidi, proseguono le violenze e le intimidazioni: sempre il 20 aprile un militante della resistenza, Oscar Flores, è stato sequestrato dopo aver partecipato a un corteo per la Costituente. Solo il giorno successivo i suoi rapitori lo hanno lasciato libero. 22/4/2010 |
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In difesa della Madre Terra Dal 20 al 22 aprile la città boliviana di Cochabamba ha ospitato la prima Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climático y los Derechos de la Madre Tierra. 35.000 partecipanti, provenienti da 146 paesi, hanno discusso delle ripercussioni del cambiamento climatico sulla vita delle popolazioni, in particolare degli strati più poveri. "Oggi la nostra Madre Terra è ferita e il futuro dell'umanità è in pericolo", afferma il documento finale prendendo atto dell'alternativa già delineata da Evo Morales nel suo intervento: "Pianeta o morte". Tra le risoluzioni approvate, l'istituzione di un tribunale internazionale di giustizia climatica e ambientale, dipendente dalle Nazioni Unite; la realizzazione di un referendum con cui i popoli possano scegliere se continuare o meno a vivere in un sistema capitalistico; la creazione di un'Alleanza Mondiale dei Popoli in difesa della Madre Terra; la richiesta che i paesi industrializzati paghino il debito ecologico contratto con le nazioni in via di sviluppo attraverso un apposito fondo mondiale; il raggiungimento di accordi internazionali sulle migrazioni provocate da problemi climatici; il ristabilimento dell'armonia tra gli esseri umani e la Madre Terra. DUE VERTICI A BRASILIA. A metà aprile Brasilia ha ospitato i due vertici dell'Ibsa (India, Brasile, Sudafrica) e del Bric (Brasile, Russia, India, Cina), a riprova della rilevanza mondiale ormai assunta dalla diplomazia brasiliana. Accanto alla firma di accordi economici, energetici e scientifici, gli incontri hanno affrontato i temi del multilateralismo, della riorganizzazione delle Nazioni Unite, della riforma del sistema finanziario internazionale. Ibsa e Bric "sono due importanti manifestazioni di un nuovo ordine che si sta strutturando", ha affermato Williams Gonçalves, dell'Universidade do Estado do Rio de Janeiro, intervistato dall'agenzia Ips. Gonçalves si è detto convinto che sia oggi impossibile una stabilità internazionale senza l'impegno positivo dei paesi rappresentati in questi due gruppi. 22/4/2010 |
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Argentina, condannato l'ex dittatore Bignone L'ex generale Reynaldo Bignone, dittatore dal luglio 1982 al dicembre 1983, è stato condannato a 25 anni di prigione per i crimini di lesa umanità avvenuti nella guarnigione militare di Campo de Mayo (nei pressi di Buenos Aires), dove operavano centri clandestini di detenzione. Bignone dovrà scontare la condanna in un carcere comune. La stessa pena è stata inflitta ad altri due alti ufficiali di quella guarnigione: Exequiel Verplaetsen e Santiago Omar Riveros, già condannati (il primo all'ergastolo, il secondo a 25 anni) per l'uccisione nel 1976 del quattordicenne Floreal Avellaneda. Nel corso del dibattimento, Bignone aveva giustificato sequestri, torture e omicidi sostenendo che le forze armate erano intervenute "per sconfiggere il terrorismo". Pochi giorni prima a Rosario, nella provincia di Santa Fe, ad altri cinque ex repressori (Oscar Guerrieri, Jorge Fariña, Daniel Amelong, Walter Pagano, Eduardo Constanzo) era stata comminata la pena dell'ergastolo per violazione dei diritti umani. Ma i responsabili degli orrori del passato sono disposti a tutto pur di garantirsi l'impunità. Proprio nella provincia di Santa Fe, e precisamente a Rafaela, il 29 marzo è stata assassinata a pugnalate Silvia Suppo. La polizia ha subito parlato di omicidio a scopo di rapina, ma Silvia - sequestrata e torturata durante la dittatura - era stata una testimone chiave nel processo contro il giudice federale Víctor Brusa, condannato nel 2009 a 21 anni. La sua uccisione appare dunque un tentativo, non certo il primo, di intimidire chi cerca verità e giustizia. MOBILITAZIONI PER LA LEGGE SU RADIO E TV. Continuano le mobilitazioni a favore della Ley de Servicios de Comunicación Audiovisual, approvata dal Parlamento nell'ottobre 2009, ma sospesa da un pretestuoso provvedimento giudiziario su pressione della destra e dei grandi media. Una delle manifestazioni più combattive si è svolta il 15 aprile: 50.000 persone hanno attraversato il centro di Buenos Aires per chiedere l'applicazione della legge. Il corteo era promosso dalla Coalición por una Radiodifusión Democrática, che raggruppa sindacati dei giornalisti, università, organizzazioni sociali, radio comunitarie, organizzazioni di difesa dei diritti umani. 20/4/2010 |
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Cile, tutti i pinochetisti del presidente Alla fine l'ex generale dei carabineros Iván Andrusco Aspé, nominato dal presidente Piñera direttore generale della Gendarmería (l'organismo responsabile del sistema carcerario), ha rinunciato all'incarico sostenendo di aver ricevuto minacce. La sua designazione aveva suscitato proteste in tutto il paese: Andrusco è infatti accusato di violazione dei diritti umani durante la dittatura e in particolare è coinvolto nella morte di tre militanti del Partido Comunista, assassinati dalle forze di sicurezza nel 1985. A sollevare il caso erano stati il deputato comunista Hugo Gutiérrez e la presidente dell'Agrupación de Familiares de Detenidos Desaparecidos, Lorena Pizarro. Andrusco non è l'unico funzionario della nuova amministrazione apertamente contestato per il suo passato. In marzo il governo aveva dovuto revocare la nomina di José Miguel Steigmeier a governatore della regione del Bío Bío: la stampa aveva infatti rivelato i rapporti di Steigmeier con il nazista Paul Schaefer, il proprietario della Colonia Dignidad per anni teatro - con la protezione di Pinochet - di atrocità di ogni genere. Di un altro ex generale, Mario Larenas, ora capo di gabinetto del vicesegretario della Difesa, è stata denunciata la partecipazione alla Caravana de la Muerte, che dopo il golpe percorse il paese fucilando decine di oppositori. LE CIFRE DELLA RICOSTRUZIONE. Sebastián Piñera ha scelto Concepción, capitale della regione del Bío Bío gravemente colpita dal terremoto del 27 febbraio, per presentare il suo piano di ricostruzione, che prevede investimenti per 8.431 milioni di dollari nei prossimi quattro anni. Sugli strumenti per rastrellare il denaro necessario vi era stato in precedenza un intenso dibattito: la Concertación aveva criticato l'ipotesi di tagli alla spesa pubblica, consigliando invece di ricorrere alle riserve, alle entrate straordinarie provenienti dal rialzo del prezzo internazionale del rame, a un aumento delle imposte sui redditi più alti. Il presidente sembra aver accettato in parte tali proposte: ha annunciato infatti un incremento delle tasse "ai settori che più possiedono per poter aiutare i settori meno abbienti". Ma ha puntato anche sulla Ley de Donaciones, che garantisce esenzioni fiscali alle aziende che facciano donazioni per la ricostruzione. E soprattutto ha anticipato l'intenzione di vendere alcune proprietà statali: un progetto, questo, che susciterà forti resistenze. Tra le ipotesi ventilate figura la cessione della quota di partecipazione statale nella compagnia elettrica Edelnor, che lo scorso anno ha registrato utili per 258 milioni di dollari. Piñera ha concluso il suo discorso a Concepción ripetendo le promesse fatte in campagna elettorale: una crescita annua del 6% del pil e la creazione di un milione di posti di lavoro. Per ora la disoccupazione ha subito un'impennata in seguito al sisma: nelle zone più colpite, la prima metà di marzo ha visto un aumento del 3.000% dei licenziamenti per cause di forza maggiore. La legge permette di licenziare dipendenti senza indennizzo in caso di catastrofe naturale, ma persino la ministra del Lavoro, Camila Merino, ha avanzato il sospetto che qualche imprenditore stia approfittando della situazione. E intanto molti terremotati sono ancora in attesa della riattivazione di acqua ed energia elettrica: a Concepción cittadini esasperati si sono scontrati con i carabineros, che hanno attuato una ventina di fermi. A riprova della decisione del governo di adottare la linea dura, già in occasione del Día del Joven Combatiente (anniversario dell'uccisione, il 29 marzo 1985 da parte della dittatura, dei fratelli Rafael ed Eduardo Vergara Toledo), nel Bío Bío 133 persone erano state arrestate per non aver rispettato il coprifuoco. Altre 97 erano finite in carcere per gli scontri e gli incidenti avvenuti in diverse zone del paese. 17/4/2010 |
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Haiti, aiuti in cambio di sovranità La comunità internazionale ha promesso aiuti sostanziosi per la ricostruzione di Haiti, ma questi fondi non potranno essere gestiti in forma autonoma dai destinatari. La supervisione verrà infatti affidata alla Cirh, la Commission intérimaire de reconstruction d'Haïti, presieduta congiuntamente dall'ex presidente Usa Bill Clinton e dal primo ministro haitiano Jean-Max Bellerive e nella quale - accanto ai rappresentanti della nazione caraibica - siederanno con diritto di voto i delegati dei paesi donatori. La costituzione di questa commissione è stata resa possibile da una modifica alla legge d'emergenza, ratificata dal Senato il 15 aprile (la Camera l'aveva già approvata): con tale modifica i poteri eccezionali attribuiti al governo dopo il 12 gennaio vengono estesi per altri diciotto mesi e l'esecutivo è autorizzato a creare strutture ad hoc per far fronte alla catastrofe. "Il presidente Prèval, nelle sue velleità autocratiche e autoritarie, cerca di utilizzare a suo profitto personale e a quello del suo clan il disastro provocato dal sisma", denuncia l'Alternative Patriotique pour le Progrès et la Démocratie. Quanto alla Cirh, "è molto raro - sottolinea il documento dell'opposizione - che uno Stato chieda alla comunità delle nazioni di amputarlo di una parte della sua sovranità". Ben diversa l'opinione dell'ambasciatore francese Didier Le Bret, che ha definito "storico" il voto parlamentare. Nei giorni precedenti, dagli ambienti diplomatici era venuto un chiaro avvertimento: i donatori esigevano di avere voce in capitolo; in caso contrario, Haiti non avrebbe visto un centesimo. 16/4/2010 |
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Brasile, accordo militare con Washington Stati Uniti e Brasile hanno firmato il 12 aprile, nella sede del Pentagono, un accordo in materia di difesa che rafforza la cooperazione nell'area dell'addestramento militare e apre la strada a un maggiore intercambio di equipaggiamento e tecnologia. Non è prevista invece la concessione di basi in territorio brasiliano alle truppe Usa, a differenza dell'accordo raggiunto lo scorso anno tra Stati Uniti e Colombia (duramente criticato da molti capi di Stato sudamericani, compreso lo stesso Lula). L'intesa è stata raggiunta nonostante alcune divergenze tra Washington e Brasilia in politica internazionale, in particolare sulla questione delle sanzioni contro il programma nucleare iraniano. Il precedente accordo militare tra i due paesi era entrato in vigore nel 1952 ed era stato denunciato unilateralmente dal governo di fatto brasiliano nel 1977. Da allora Germania e Francia avevano via via sostituito gli Stati Uniti come principali partner del Brasile nel settore. Sempre il 12 aprile, a Washington, il presidente Lula ha incontrato Silvio Berlusconi: al termine del colloquio è stato sottoscritto un patto di associazione strategica Italia-Brasile per il rafforzamento dei rapporti commerciali bilaterali. Al di fuori dell'Unione Europea, l'Italia ha firmato accordi simili solo con Israele e Turchia. NUOVA CONDANNA PER IL CASO STANG. Il proprietario terriero Vitalmiro Bastos de Moura è stato condannato a trent'anni di carcere dal tribunale di Belém come mandante dell'assassinio di Dorothy Stang, la religiosa statunitense uccisa nel 2005 per aver difeso i contadini dello Stato del Pará. Bastos de Moura aveva già ricevuto la stessa condanna nel 2007, ma l'anno successivo era riuscito a farsi assolvere con una sentenza che il presidente Lula aveva definito "una macchia" per l'immagine del Brasile all'estero. 13/4/2010 |
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Frane e smottamenti, tragedie annunciate Tragedie annunciate. In pochi giorni piogge torrenziali e successivi smottamenti hanno seminato morte e distruzione in Perù e in Brasile. A essere colpite, come sempre, le popolazioni più povere, costrette a vivere in baracche costruite in zone ad alto rischio. Nel dipartimento peruviano di Huánuco, agli inizi di aprile, una valanga di fango e pietre ha spazzato via un gruppo di misere abitazioni ad Ambo e ha sepolto parte della comunità di Cancejos, provocando 25 morti e altrettanti dispersi. Meno di una settimana dopo, in Brasile, al tragico bilancio delle inondazioni che avevano già ucciso circa 180 persone si sono aggiunte le duecento vittime della favela del Morro do Bumba, a Niterói (nei pressi di Rio de Janeiro). Qui il terreno è franato e si è aperta una gigantesca voragine, che ha inghiottito decine di case. La favela era sorta, un quarto di secolo fa, su un vecchio deposito di immondizia, senza che le autorità intervenissero con azioni di prevenzione e di pianificazione urbana. INSULZA ANCORA ALLA GUIDA DELL'OEA. Il 24 marzo José Miguel Insulza è stato riconfermato segretario generale dell'Oea (Organización de los Estados Americanos) per un nuovo mandato, che si concluderà nel 2015. La rielezione è avvenuta per acclamazione, con la sola astensione della Bolivia. "Rafforzeremo la nostra lotta per i diritti umani, cercheremo di equilibrare meglio la nostra politica democratica e le nostre politiche per lo sviluppo e lotteremo per rafforzare la condizione femminile e l'uguaglianza di genere nella nostra regione", ha promesso Insulza ringraziando per la riconferma. Nel quinquennio precedente il diplomatico cileno si era dimostrato fedele alleato di Washington, sia pure con qualche timida apertura: il sostegno alla riammissione di Cuba nell'organizzazione, la ripetuta condanna delle violazioni dei diritti umani in Colombia, la sospensione dell'Honduras dopo il colpo di Stato di Micheletti. 9/4/2010 |
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Bolivia, una vittoria con alcune ombre Il Movimiento al Socialismo vince, ma non stravince. E in alcuni dei suoi tradizionali bastioni mostra segni di cedimento. È questo il bilancio delle elezioni regionali del 4 aprile, i cui risultati non sono ancora definitivi. Il partito di Morales conquista i dipartimenti di La Paz, Cochabamba, Oruro, Potosí, Chuquisaca e Pando, ma mentre si conferma maggioritario nelle zone rurali, arretra nei centri urbani: si afferma infatti solo in tre delle dieci città principali (Cobija, Cochabamba ed El Alto), mentre a La Paz e a Oruro deve cedere il passo al Movimiento Sin Miedo, un ex alleato di sinistra che si è imposto come seconda forza nazionale. Alla destra rimangono i tre dipartimenti di Santa Cruz, Beni e Tarija, il residuo della cosiddetta Media Luna. Mentre cresce nelle regioni dominate dalla destra razzista, il Mas vede parte del suo elettorato voltargli le spalle sull'altipiano, zona in prevalenza indigena teatro delle rivolte di questo secolo. Qui, anche se riesce a strappare il controllo del governo, il partito subisce un calo considerevole di consensi: a El Alto scende dall'80 a meno del 40% e perde Achacachi, dove durante la campagna elettorale lo stesso Morales era stato fischiato dalla base, che rimproverava alla dirigenza l'imposizione di candidati dall'alto. Come scrive Raúl Zibechi su La Jornada del 9 aprile, "Se qualcosa hanno appreso le forze antisistema nei due ultimi secoli è che i trionfi rivoluzionari possono essere rovesciati, neutralizzati o sfigurati dalle consorterie di amministratori che, con un discorso rivoluzionario, infettano di inerzia il processo di cambiamento. Nominare a dito i candidati è una pratica neocolonialista di una burocrazia che parla a nome degli indios e dello Stato plurinazionale". PROMULGATA LA LEGGE ANTICORRUZIONE. L'aveva proposta da tempo e il 31 marzo il presidente Morales ha finalmente promulgato la Ley Marcelo Quiroga Santa Cruz contro la corruzione, che dovrebbe permettere allo Stato di recuperare circa 10.000 milioni di dollari rubati negli ultimi quarant'anni. Il provvedimento è stato approvato in Parlamento grazie ai voti del Mas, mentre diversi ex presidenti, che temono l'apertura di procedimenti a loro carico, hanno accusato le nuove norme di essere incostituzionali perché retroattive. Nel 1999 la Bolivia era al secondo posto al mondo per la corruzione dei pubblici amministratori, un male che Morales sta cercando di sradicare. La legge prende nome da Marcelo Quiroga, lo scrittore e leader politico ucciso nel 1980 durante il golpe di García Meza. 9/4/2010 |
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Perù, la polizia spara sui minatori Il presidente Alan García, che finora non si era mai preoccupato dei disastri ambientali provocati dalle grandi compagnie minerarie, si è scoperto all'improvviso fervente ecologista e ha emanato un decreto d'urgenza per regolamentare l'estrazione artigianale dell'oro nel dipartimento di Madre de Dios. Il 4 aprile i piccoli minatori della zona, che per protesta bloccavano la Panamericana Sur, sono stati attaccati dalla polizia, che ha sparato uccidendo cinque persone (un'anziana, che era a bordo di un autobus bloccato dai picchetti, è morta d'infarto). Contro la repressione si sono immediatamente svolte numerose manifestazioni non solo a Puerto Maldonado, capitale del dipartimento (dove a sfilare c'erano 10.000 persone), ma anche in altre parti del paese, dove si teme un'estensione del decreto; per tutta risposta l'esecutivo ha decretato lo stato d'emergenza nei dipartimenti di Madre de Dios, Ica e Arequipa. "C'è un'evidente incoerenza del governo su questo tema - ha dichiarato a Página/12 l'economista José de Echave - L'attività mineraria artigianale su piccola scala causa gravi danni all'ambiente e deve essere regolamentata, ma la grande miniera, per il volume delle sue attività che in molti casi sono a cielo aperto e implicano una grande rimozione di terra e un immenso spreco di risorse idriche, produce un danno ecologico più grave. Tuttavia, di fronte alle grandi compagnie il governo non agisce. E ha concesso molte licenze minerarie in riserve naturali protette". La Federación Nacional de Mineros Artesanales accusa Alan García di voler criminalizzare i piccoli artigiani solo per lasciare spazio libero alle transnazionali del settore. In Parlamento il leader oppositore Ollanta Humala ha chiesto il 7 aprile la destituzione, per incapacità morale, del capo dello Stato. "Da quando è iniziato il governo di Alan García abbiamo avuto più di 70 morti, 600 feriti e oltre 1.300 dirigenti sindacali rinviati a giudizio come conseguenza delle proteste sociali. Tutto questo oltre agli atti di corruzione", ha denunciato Humala. La sua richiesta però non può contare nel Congresso sulla maggioranza necessaria per essere approvata. 7/4/2010 |
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Haiti, gli aiuti resteranno sulla carta? La comunità internazionale non ha risparmiato le promesse nella Conferenza che il 31 marzo ha riunito a New York rappresentanti di 138 paesi, istituzioni e organizzazioni non governative per promuovere la ricostruzione di Haiti dopo il terremoto di gennaio. 5.300 milioni di dollari nei primi 18 mesi e quasi 10.000 milioni nei prossimi cinque anni: questo l'impegno dei donatori (in prima fila Unione Europea e Stati Uniti), annunciato dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. Ma si tratta di un impegno non vincolante e sono in molti a temere che rimanga sulla carta, magari per il sopraggiungere di altre priorità. Il portavoce di Oxfam, Philippe Mathieu, non ha nascosto il suo scetticismo, ricordando il precedente del Centro America devastato nel 1998 dall'uragano Mitch: erano stati promessi 9 miliardi di dollari di aiuti, ma alla fine ne arrivò solo un terzo. E la dirigente dell'ufficio di New York, Nicole Widdersheim, ha rincarato la dose: "Oxfam ha presenziato altre grandi conferenze. Alla fine della giornata, quando le telecamere si spengono e tutti se ne vanno a casa, restano solo le promesse". Un altro appunto riguarda la valutazione delle necessità e dei bisogni reali dei terremotati, valutazione che è stata fatta dall'alto, senza tener conto del lavoro effettuato dai gruppi di base tra i sopravvissuti: "Ho visto dati scrupolosamente raccolti che sono stati totalmente ignorati", denuncia all'agenzia Ips il sociologo Mark Schuller, che teme il ripetersi del consueto processo di esclusione della popolazione, specie la più povera, da ogni decisione sul proprio futuro. 7/4/2010 |
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Venezuela, da Putin un aiuto all'industria spaziale Hugo Chávez ha accolto con tutti gli onori il premier russo Vladimir Putin, che il 2 aprile ha effettuato la sua prima visita in Venezuela. I due capi di Stato hanno firmato 31 accordi, tra cui la creazione di un'impresa petrolifera mista per lo sfruttamento del ricco giacimento della Fascia dell'Orinoco, la fondazione di un centro di controllo dei disastri a Caracas con tecnologia moscovita, una linea di credito di 2.200 milioni di dollari al governo di Caracas per l'acquisto di armi russe e la creazione di una banca binazionale. Chávez ha poi reso noto che Mosca aiuterà Caracas a sviluppare l'energia nucleare a fini pacifici e a potenziare l'industria spaziale. Quest'ultimo annuncio ha suscitato il sarcasmo di Washington: "L'interesse dovrebbe essere più terrestre e meno extraterrestre", ha detto il portavoce del dipartimento di Stato Philip Crowley, ricordando i recenti problemi energetici del Venezuela. Un commento dettato in realtà dalla contrarietà verso il rafforzamento dei rapporti russo-venezuelani, che rischia di minare gli interessi egemonici degli Stati Uniti in America Latina. E del resto la corsa allo spazio non costituisce un capriccio del governo di Caracas, che già aveva lanciato nell'ottobre del 2008 il satellite Simón Bolívar, ma risponde soprattutto alla necessità di affermare la sovranità nazionale in materia di telecomunicazioni. SI DIMETTE IL VICEPRESIDENTE DEL PSUV. Il vicepresidente del Psuv (Partido Socialista Unido de Venezuela) Alberto Müller Rojas si è dimesso dall'incarico a fine marzo e ha preso le distanze dal presidente Chávez, che aveva appoggiato fin dai primi anni. In un'intervista al quotidiano Panorama, Müller ha spiegato la sua decisione criticando l'imborghesimento della direzione del partito e l'eccessivo personalismo del capo dello Stato: "Stiamo cambiando un internazionalismo, che è la caratteristica delle rivoluzioni, per un nazionalismo piccolo borghese che non rappresenta le aspettative della società". In febbraio era stato Henri Falcón, governatore dello Stato di Lara, a lasciare il Partido Socialista Unido per passare nelle file di Patria para Todos (partito alleato del Psuv, nel quale però si era rifiutato a suo tempo di confluire). 2/4/2010 |
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Honduras, squadroni della morte all'opera Nel silenzio e nella disattenzione dei media internazionali, l'elenco delle vittime degli squadroni della morte si allunga ogni giorno di più. I bersagli delle esecuzioni selettive sono insegnanti, giornalisti, leader contadini. Il 17 marzo vengono assassinati José Antonio Cardoza e José Carías, dirigenti di una cooperativa contadina del dipartimento di Colón in lotta contro i proprietari terrieri della zona. Nello stesso giorno è ucciso a Tegucigalpa Francisco Castillo, membro del Frente Nacional de Resistencia Popular. Il 23 marzo, sempre a Tegucigalpa, cade un altro militante della resistenza, il professor José Manuel Flores: uomini incappucciati gli sparano mentre sta facendo lezione nell'Instituto San José del Pedregal. Il 26 è la volta dei giornalisti José Bayardo Mairena e Manuel Juárez, crivellati di colpi mentre in auto ritornano a Juticalpa (capitale del dipartimento di Olancho), dopo aver partecipato a un programma radiofonico nella vicina città di Catacamas. La mattina del primo aprile muore il ventiduenne Miguel Alonso Oliva, ucciso dai fucili delle guardie al soldo del latifondista René Morales: insieme ai suoi compagni del Movimiento Unificado Campesino del Aguán tentava di recuperare i terreni di cui Morales si era illegalmente appropriato. 1/4/2010 |
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Colombia, libero il figlio del Caminante por la Paz Dopo essere stato per più di dodici anni prigioniero delle Farc, il 30 marzo il militare Pablo Emilio Moncayo è stato rilasciato in una zona boscosa del dipartimento di Caquetá. L'ostaggio è stato consegnato a una missione umanitaria formata dalla senatrice dell'opposizione Piedad Córdoba, da monsignor Leonardo Gómez Serna e da rappresentanti della Croce Rossa Internazionale. Attraverso gli schermi televisivi l'incontro del giovane con i familiari, nell'aeroporto della città di Florencia, è stato seguito con commozione da tutto il paese: Pablo Emilio è figlio del professor Gustavo Moncayo, noto come El Caminante por la Paz per le sue coraggiose iniziative in favore di un accordo umanitario. Davanti alle telecamere, il giovane ha ringraziato per l'opera di mediazione svolta dai presidenti dell'Ecuador, del Venezuela e del Brasile. Non una parola su Uribe, che più volte negli anni scorsi aveva posto ostacoli al suo rilascio. Due giorni prima, ancora zoppicante per una ferita alla gamba, era tornato in libertà un altro militare, José Daniel Calvo. Con Moncayo e Calvo terminano le liberazioni unilaterali decise dal gruppo guerrigliero, che attende adesso un gesto del governo per uno scambio di prigionieri. In precedenza due tragici episodi avevano fatto salire la tensione: il 24 marzo un'autobomba era scoppiata nei pressi di due edifici pubblici della città portuale di Buenaventura, uccidendo nove persone e ferendone una cinquantina. Il 26 un dodicenne era rimasto ucciso dall'esplosione di un ordigno che teneva in mano. Secondo gli inquirenti, che non hanno esitato ad accusare le Farc, il bambino era stato indotto con l'inganno a consegnare il dispositivo in una caserma del dipartimento di Nariño. Anche l'attentato di Buenaventura è stato attribuito dalle autorità a un'alleanza tra narcotrafficanti e guerriglia. LA PARAPOLITICA VINCE LE ELEZIONI. I risultati ufficiali delle legislative del 14 marzo, contrassegnate da molteplici accuse di irregolarità e brogli, sono arrivati con estrema lentezza. Una cosa però è apparsa chiara fin dall'inizio: i vincitori sono Uribe (il suo raggruppamento, il Partido de la U, si è assicurato il maggior numero di seggi, seguito dall'alleato Partido Conservador) e soprattutto la parapolitica. A rappresentare i legami della politica con paramilitari e narcotrafficanti saranno circa un quarto dei deputati e un buon numero di senatori di tutto l'arco della destra. Il caso più clamoroso è quello del Pin (Partido de Integración Nacional), fondato nel novembre 2009 per candidare parenti e amici dei parlamentari sotto inchiesta o già in carcere. E cinque giorni dopo il voto è stato assassinato da un killer a Montería, capitale del dipartimento di Córdoba, il giornalista Clodomiro Castilla, direttore della rivista El Pulso del Tiempo e collaboratore de La Voz de Montería. Castilla era noto per aver più volte denunciato il paramilitarismo e le sue alleanze con le élites locali. Dalle urne del 14 marzo è uscita sconfitta l'opposizione: Partido Verde, Alianza Social Indígena e Compromiso Ciudadano avranno scarsa voce nel prossimo Congresso. E un vero tracollo ha subito il raggruppamento di sinistra Polo Democrático Alternativo, che nelle presidenziali del 2006 - con la candidatura di Carlos Gaviria - si era affermato come seconda forza politica nazionale. Quanto a Gaviria, che nelle primarie per le presidenziali del 30 maggio è stato battuto dal senatore Gustavo Petro, vede con pessimismo l'attuale situazione. "Le elezioni legislative hanno dimostrato che il paese è diventato più conservatore. Lo stesso candidato del Polo ha adottato una posizione di centro", afferma in un'intervista al quotidiano argentino Página/12. E al giornalista che gli domanda in che cosa coincidano tutti i candidati, risponde: "Per esempio, nella sicurezza democratica, la politica di Uribe per fronteggiare le guerriglie. Non importa l'enorme deterioramento dei diritti umani né l'esistenza di centinaia di casi confermati di falsi positivi. Persino Petro dice che seguirebbe la strada della sicurezza democratica. Non c'è nessun candidato che ponga al primo posto la pace, che dica che questo è l'unico cammino per giungere a una società democratica". 31/3/2010 |
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Argentina, ricordate le vittime del golpe del 1976 Decine di migliaia di persone hanno ricordato, nel Día Nacional de la Memoria, por la Verdad y la Justicia, le vittime del golpe del 24 marzo 1976. La manifestazione principale si è svolta in Plaza de Mayo, dove una lunghissima bandiera recava i volti di migliaia di scomparsi. Il documento letto in piazza, concordato tra diversi organismi per i diritti umani, ha reclamato con forza "l'accelerazione dei processi a genocidi, complici, ideologi e beneficiari". Anche la presidente Cristina Fernández ha chiesto che il potere giudiziario attui con maggiore celerità e, davanti alle Abuelas, ha ribadito il suo impegno affinché si chiarisca il caso dei figli di Ernestina Herrera, la proprietaria del Grupo Clarín. Il 21 marzo la magistratura, rispondendo a un ricorso degli avvocati, aveva deciso di sospendere le prove del Dna sui due figli adottivi di Ernestina Herrera, Felipe e Marcela, che si sospetta siano figli di desaparecidos. Un'altra manifestazione è stata promossa, sempre il 24 marzo, dai gruppi di sinistra aderenti a Encuentro Memoria, Verdad y Justicia, che hanno accusato il governo di "monopolizzare Plaza de Mayo". LA DESTRA ANCORA ALL'ATTACCO. L'opposizione di destra continua la sua offensiva contro la presidente Fernández, nella speranza di costringerla a terminare anticipatamente il suo mandato. La battaglia si centra ancora sul pagamento del debito, che la destra vorrebbe avvenisse con il contenimento della spesa pubblica, anziché con le riserve del Banco Central (mentre Proyecto Sur, il raggruppamento di Pino Solanas, vorrebbe che il debito non fosse pagato affatto). Agli inizi di marzo con il voto di 37 parlamentari, tra cui l'ex presidente Carlos Menem, l'opposizione era riuscita a garantirsi la maggioranza nelle 25 commissioni senatoriali. Il suo tentativo di respingere la nomina dell'economista Mercedes Marcó del Pont alla guida del Banco Central era però naufragato per la decisione della senatrice Roxana Latorre che, pur negando di essere passata al kirchnerismo, aveva voluto prendere le distanze dallo "spirito golpista che si respira in Parlamento". Ma un forte appoggio a Cristina Fernández era venuto soprattutto da due mobilitazioni popolari. L'11 marzo il marito, l'ex capo dello Stato Néstor Kirchner, aveva parlato davanti a una folla di lavoratori, sindacalisti della Cgt e militanti dei movimenti politici e sociali, rivendicando le conquiste democratiche degli ultimi anni. Due giorni dopo migliaia di persone si erano raccolte in Plaza de Mayo, aderendo alla convocazione lanciata attraverso Internet da un gruppo di giornalisti che si battono contro lo strapotere dei grandi media e a favore della nuova legge sull'informazione audiovisiva. 24/3/2010 |
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El Salvador, un militare argentino l'assassino di Romero? Il 24 marzo, nel trentesimo anniversario della morte di monsignor Romero, il presidente Funes ha chiesto perdono "a nome dello Stato" per quel delitto. Durante la cerimonia di commemorazione è stato inaugurato un grande mural dell'artista Rafael Varela, che mostra i momenti salienti della vita dell'arcivescovo e che è stato collocato nell'aeroporto della capitale. Concerti, documentari e persino un'edizione di francobolli hanno ricordato l'opera di Romero a favore della pace. Ma gli autori del crimine godono ancora dell'impunità, grazie all'amnistia del 1993 che il governo Funes non sembra intenzionato ad abrogare. Il mandante dell'omicidio è già stato indicato con chiarezza dalla Comisión de la Verdad: si tratta del maggiore D’Aubuisson, capo degli squadroni della morte e fondatore del partito Arena, morto nel 1992. Quanto all'autore materiale, in questi giorni è rispuntato sulla stampa internazionale il nome di Emilio Antonio Mendoza, un ufficiale argentino inviato nel 1980 in Centro America dal generale Viola (allora capo dell'esercito e in seguito divenuto dittatore). Di Mendoza si parla in un cablogramma della Cia, declassificato nel 1993 e rivelato nel 2006 da un'inchiesta del giornalista salvadoregno Ricardo Valencia. Nel documento, un agente operante nell'ambasciata Usa di San Salvador afferma che Mendoza "ha ammesso di fatto di aver sparato a Romero", senza però precisare la fonte dell'informazione. È del resto provato che all'epoca D'Aubuisson riceveva istruzioni da militari argentini. 24/3/2010 |
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Messico, Ciudad Juárez più pericolosa di Kabul "Immensamente più pericolosa di Baghdad o di Kabul": così il generale statunitense Barry McCaffrey ha dipinto la situazione a Ciudad Juárez. Proprio per questo da sei mesi il Dipartimento di Stato Usa sta addestrando soldati e agenti federali messicani a una guerra di tipo iracheno o afghano. La collaborazione tra Washington e Città del Messico ha subito un'accelerazione dopo l'uccisione il 14 marzo, in due diversi attacchi, di tre persone legate al consolato nordamericano. Immediata la reazione della Casa Bianca, che ha autorizzato i familiari dei diplomatici impiegati nella zona di frontiera a rientrare in patria. La stampa Usa parla chiaramente di fallimento della politica di sicurezza del governo messicano e avanza dubbi sulla stessa sopravvivenza della presidenza Calderón. È ormai provato che affidare all'esercito la lotta contro i cartelli della droga non ha fermato il narcotraffico: in compenso ha prodotto innumerevoli denunce per violazione dei diritti umani e tante vittime innocenti (è accaduto il 19 marzo a due studenti di Monterrey, uccisi dal fuoco dei militari perché presi per sicari). Gli Stati Uniti sembrano rendersi conto solo ora, dopo oltre 18.000 morti in meno di 40 mesi, del livello di violenza provocato dal traffico di stupefacenti diretto verso il loro confine. Il 23 marzo si è tenuta a Città del Messico una riunione bilaterale sulla sicurezza. La delegazione giunta da Washington era di alto livello: ne facevano parte tra gli altri la segretaria di Stato Hillary Clinton, la segretaria della Sicurezza Interna Janet Napolitano, il segretario della Difesa Robert Gates, il direttore dell'intelligence Dennis Blair e il capo di stato maggiore delle forze armate Michael Mullen. Nell'incontro si è deciso di lanciare una nuova fase della Iniciativa Mérida, comprendente un piano di disarticolazione delle organizzazioni criminali, lo sviluppo di una "frontiera sicura" e misure di "appoggio mutuo per rafforzare le istituzioni di sicurezza del Messico e degli Stati Uniti". Ma se Hillary Clinton ha riconosciuto la responsabilità del suo paese per l'insaziabile domanda di droga e per il consistente contrabbando di armi, ha dimenticato la forte incidenza della corruzione. Negli ultimi due anni - affermano dati ufficiali - negli Stati Uniti si sono registrate 1.600 sentenze (altri 3.200 sono i casi in attesa) nei confronti di funzionari federali, statali e locali accusati di essersi lasciati comprare dai narcos a suon di decine di milioni di dollari. RADIOGRAFIA DELLA FAME. Una drammatica radiografia della fame in Messico è stata fornita dal Coneval (Consejo Nacional de Evaluación de la Política de Desarrollo Social). Nel 2008, affermano le rilevazioni, 23 milioni di persone hanno sofferto insicurezza alimentare in forma più o meno grave; altri 25,8 milioni in forma lieve. Sul totale complessivo di poveri, 11,2 milioni di individui non sono stati in grado neppure di assicurarsi il paniere di alimenti di base (del valore di 864 pesos al mese, circa 68 dollari); nei casi "più fortunati" hanno consumato cibi con maggiore livello calorico, che costano meno, ma non garantiscono una dieta equilibrata. 23/3/2010 |
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Cuba, manifestazioni e contromanifestazioni Manifestazioni e contromanifestazioni si sono susseguite per giorni nelle strade dell'Avana, a sette anni dall'arresto di 75 oppositori: le Damas de Blanco, le mogli dei dissidenti incarcerati, sono state contestate da sostenitori e soprattutto da sostenitrici del governo. Mercoledì 17, nel momento di maggiore tensione, la polizia ha interrotto la marcia delle Damas obbligandole a salire su alcuni autobus e ad allontanarsi. Il giorno successivo, invece, gli agenti hanno costituito una barriera tra i due gruppi contrapposti, permettendo così alle dimostranti di terminare il loro percorso. Critiche all'intervento delle forze dell'ordine non sono mancate da parte del Dipartimento di Stato Usa, di Amnesty International, del presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek. Già l'11 marzo a Strasburgo era stata approvata su Cuba una risoluzione di condanna, che definiva "evitabile e crudele" la morte di Orlando Zapata, avvenuta in prigione dopo un lungo sciopero della fame. Dura la risposta dell'Asamblea Nacional cubana, che ha accusato il Parlamento Europeo di manipolazioni e menzogne. E CubaDebate ha denunciato la presenza, nei cortei delle Damas de Blanco, di membri del corpo diplomatico statunitense ed europeo: Lowell Dale Lawton, funzionario della Sezione di Interessi Usa; Ingemar Cederberg, dell'ambasciata svedese e Volker Pellet, della rappresentanza tedesca. Infine in un comunicato congiunto l'Unión Nacional de Escritores y Artistas e l'Asociación Hermanos Saíz (che raggruppa i giovani artisti) hanno negato che nell'ultimo mezzo secolo vi siano state sull'isola torture, scomparse o esecuzioni sommarie: "Abbiamo fondato una nostra democrazia, imperfetta sì, ma molto più partecipativa e legittima di quella che pretendono di imporci". 20/3/2010 |
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Brasile, Lula mediatore in Medio Oriente? Dopo le visite in Israele e in Cisgiordania, si è concluso il 18 marzo ad Amman il giro in Medio Oriente di Lula da Silva. Si è trattato del primo viaggio di un presidente brasiliano nella regione, a dimostrazione del crescente peso internazionale della diplomazia di Brasilia e del suo desiderio di assumere un ruolo di mediazione tra israeliani e palestinesi. Prima di ritornare in patria, Lula ha annunciato di aver inviato in Siria il ministro degli Esteri Celso Amorim, con il compito di avviare conversazioni sul conflitto siro-israeliano per le Alture del Golan. Secondo fonti diplomatiche brasiliane, era stato lo stesso presidente israeliano Shimon Peres a suggerire che Lula cercasse di favorire il dialogo tra i due paesi. Dal canto suo il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, in un'intervista al quotidiano O Estado de São Paulo, ha chiesto a Lula di premere sull'Iran perché smetta di appoggiare Hamas. Il capo di Stato brasiliano ha accettato di buon grado la funzione di negoziatore: "Se i paesi ricchi dell'Europa o gli Stati Uniti non conversano con la Siria e il Brasile ha buone relazioni con la Siria, il Brasile converserà con la Siria. Se è necessario parlare con l'Iran, parleremo con l'Iran". In Cisgiordania Lula aveva difeso la creazione di uno Stato palestinese e aveva criticato i nuovi insediamenti israeliani nei territori occupati. 18/3/2010 |
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Bolivia, la prigione di lusso di García Meza Le perquisizioni ordinate dal governo in seguito allo scoppio di una granata nel carcere di massima sicurezza di Chonchocoro, nei pressi di La Paz, hanno portato alla luce consistenti traffici di armi e droga dietro le sbarre. I controlli hanno anche permesso di scoprire i privilegi concessi all'ex dittatore Luis García Meza (1980-1981), che evidentemente gode ancora di potenti complicità nel paese: scontava infatti la sua pena in un vasto appartamento con biblioteca, sauna, attrezzi da ginnastica, giardino. Attualmente ricoverato in una clinica militare per curare i disturbi dell'età (ha 81 anni), al ritorno in carcere García Meza dovrà accontentarsi di una cella comune. Gli ottanta agenti del penitenziario sono stati posti sotto inchiesta. "CONTINUEREMO A MASTICARE COCA". Il presidente Morales ha respinto la richiesta dell'International Narcotics Control Board (che controlla l'attuazione delle convenzioni Onu sulla droga) di incoraggiare nel paese l'abbandono della tradizionale masticazione delle foglie di coca. Pur deplorando la produzione illegale della cocaina, Morales ha ricordato che "la coca è medicina e alimento" e ha invitato i membri dell'organismo internazionale a provarla, per imparare a "comprendere e a rispettare la diversità sociale del mondo". 17/3/2010 |
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Honduras, atroce strategia contro gli oppositori La denuncia proviene da fonte non sospetta: la Commissione Interamericana per i Diritti Umani. Sui media internazionali, però, è passata quasi inosservata perché gran parte dello spazio era dedicato agli scioperi della fame dei dissidenti cubani. "La Commissione osserva con costernazione che si starebbe assassinando, sequestrando, aggredendo e minacciando i figli dei dirigenti del Frente de Resistencia, come strategia per farli tacere - afferma l'ultimo rapporto sulla situazione in Honduras - Il 17 febbraio 2010 Dara Gudiel, 17 anni, è stata trovata impiccata nella città di Danlí, dipartimento di Paraíso. Dara Gudiel era figlia del giornalista Enrique Gudiel, che dirige un programma radiofonico intitolato Siempre al Frente con el Frente, nel quale si trasmettono informazioni sulla resistenza. Giorni prima Dara Gudiel era stata liberata, dopo essere stata sequestrata per due giorni durante i quali sarebbe stata maltrattata fisicamente". E il documento prosegue raccontando del sequestro di cinque membri di una stessa famiglia di militanti della resistenza, da parte di sette uomini vestiti con uniformi militari e con il volto coperto da passamontagna. "Una delle persone sequestrate era una giovane che aveva denunciato, nell'agosto del 2009, di essere stata violentata da quattro poliziotti che l'avevano arrestata in una manifestazione contro il colpo di Stato del 28 giugno. Il 9 febbraio uomini armati intercettarono un veicolo in cui viaggiava la giovane insieme al fratello, alla sorella e ad altre due persone. Quando vennero loro offerte le chiavi dell'automobile, risposero che quello che volevano era la ragazza, per vedere se questa volta li denunciava. I cinque furono obbligati a camminare verso una zona montagnosa, dove due delle donne furono stuprate, la terza rapinata e minacciata di morte e i due uomini furono torturati". Gli squadroni della morte sembrano dunque aver escogitato un nuovo, atroce sistema di seminare il terrore: colpire i figli per indurre gli oppositori al silenzio. Questo non significa che abbiano rinunciato ai crimini "classici". L'11 marzo, a La Ceiba, il giornalista radiofonico David Enrique Meza veniva raggiunto dai colpi dei suoi assassini mentre tornava a casa in macchina. E il 14 marzo mentre a La Esperanza (dipartimento di Intibucá), i delegati delle diverse organizzazioni sociali e politiche della resistenza concludevano il II Encuentro Nacional por la Refundación de Honduras, il direttore di Canal 5 di Aguán, Nahum Palacios, veniva ucciso da ignoti killer. Palacios si era opposto con forza al golpe del 28 giugno e per questo era stato più volte minacciato di morte. Recentemente aveva svolto un reportage sulla lotta del Movimiento Unificado Campesino del Aguán contro i latifondisti, testimoniando la falsità delle voci sulla nascita di una guerriglia nella zona, messe in giro per giustificare la repressione. L'attuale presidenza di Porfirio Lobo si pone in sostanziale continuità con il regime di Micheletti (ora parlamentare a vita): il generale golpista Romeo Vázquez ha assunto la direzione dell'Empresa Hondureña de Telecomunicaciones, mentre ministro della Sicurezza è stato designato Oscar Alvarez, che aveva guidato lo stesso dicastero durante il mandato di Ricardo Maduro (2002-2006), epoca in cui gruppi paramilitari si incaricavano della limpieza social contro le bande giovanili. Difficile parlare di ristabilimento della democrazia e di rispetto dei diritti umani: eppure per il governo Lobo si avvicina la fine dell'isolamento internazionale. Il 5 marzo, in concomitanza con un viaggio in Centro America della segretaria di Stato Usa Hillary Clinton, i presidenti del Guatemala, Alvaro Colom, e del Salvador, Mauricio Funes, hanno accettato "l'immediato reintegro" dell'Honduras nel Sica, il Sistema de la Integración Centroamericana, e si sono impegnati a sostenere il suo rientro nell'Oea: una posizione condivisa dagli altri paesi della regione, compreso il Nicaragua di Daniel Ortega. Qualche ora più tardi Funes veniva ricevuto da Obama alla Casa Bianca e dopo il colloquio plaudiva al ripristino da parte statunitense degli aiuti finanziari a Tegucigalpa. 15/3/2010 |
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Cile, insediamento tra le scosse Saranno in molti a ricordare il giovedì 11 marzo, giornata del passaggio dei poteri dalla presidente Bachelet al suo successore Sebastián Piñera. A salutare la presidenta all'uscita dal Palacio de La Moneda c'era una grande folla con striscioni, fazzoletti bianchi, cartelli che le davano appuntamento alle elezioni del 2014. A lungo Michelle Bachelet ha risposto commossa agli abbracci e alle strette di mano, una dimostrazione di affetto e di simpatia mai vista al termine di un mandato presidenziale. A bordo di un'auto ufficiale si è poi recata a Valparaíso dove, proprio mentre stava per iniziare la cerimonia di insediamento del nuovo presidente, si è registrata la scossa più forte dal 27 febbraio: 7,2° della scala Richter, seguita a distanza di pochi minuti da un'altra e poi da una terza. Con la terra che tremava, e gli invitati indecisi se restare fermi ai loro posti o precipitarsi all'esterno, Piñera ha ricevuto la fascia presidenziale, primo capo di Stato di destra dopo la dittatura di Pinochet. Eredita un paese prostrato da uno dei più tremendi disastri della sua storia e deve affrontare il compito della ricostruzione (e probabilmente anche qui, come in Italia dopo il terremoto de L'Aquila, c'è chi si frega le mani e si prepara ad arricchirsi sulla tragedia). Il sisma ha messo a nudo le tensioni esistenti nella società, ma ne ha anche rivelato gli aspetti migliori. Due esempi contrapposti: a Hualpén, nella regione del Bío Bío, cinque militari sono stati arrestati sotto l'accusa di aver assassinato a bastonate un uomo sorpreso a girare durante il coprifuoco. Negli stessi giorni un docente universitario scrive da Chillán, uno dei centri più colpiti: "Mentre la morte e la distruzione sono ancora fresche, mi riempie d'orgoglio raccontarvi ciò che sto vivendo nell'epicentro della catastrofe. Lo slogan della solidarietà, il Cile aiuta il Cile, non è soltanto una realtà, ma una grande gioia, un'enorme felicità. La televisione ha trasmesso immagini, che ci fanno vergognare tutti, di saccheggi e furti molto localizzati in alcune città e solo da ieri cominciano a trasmettere le immense dimostrazioni di solidarietà e sostegno, nell'intero Cile e nei paesi vicini, verso quelli che hanno poco o niente". 11/3/2010 |
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Colombia, Uribe campione dei diritti umani? Il presidente colombiano Uribe è uno dei leader del continente americano che "maggiore impegno" ha mostrato nel rispetto dei diritti umani: durante gli anni della sua presidenza la situazione "è migliorata", sebbene vi sia ancora "un lungo cammino da percorrere". Lo ha detto il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, rispondendo il 9 marzo in Senato a un'interrogazione del parlamentare Joan Josep Nuet i Pujals (Entesa Catalana de Progrés). "Con le ombre e le luci che ha avuto questo processo difficile di lotta contro le Farc e la guerriglia, possiamo dire che, se facciamo un bilancio oggettivo del mandato di Uribe, è estremamente positivo", ha riassunto il ministro spagnolo. Di parere ben diverso il Movimiento de Víctimas de Crímenes del Estado, che in occasione della giornata di lotta del 6 marzo ha dato qualche cifra sulla politica di "sicurezza democratica" dell'attuale governo: oltre 1.200 casi di esecuzioni sommarie commesse dall'esercito e 430 sindacalisti assassinati dai gruppi paramilitari che, come segnala anche un recente rapporto di Human Rights Watch, hanno ripreso in grande stile la loro attività. E proprio mentre a Madrid Moratinos dava a Uribe la patente di difensore dei diritti umani, a Bogotá Alejandra Barrios, direttrice della Misión de Observación Electoral che raggruppa diverse organizzazioni della società civile, lanciava un altro allarme: almeno ottanta candidati alle elezioni legislative del 14 marzo, appartenenti alle forze politiche che sostengono Uribe, hanno legami con i paramilitari e hanno fatto campagna con il denaro dei narcos. Ma tutto questo sembra preoccupare poco gli europarlamentari del Psoe e del Partido Popular, che su una cosa si trovano d'accordo: promuovere la firma dell'accordo di libero commercio tra Unione Europea e Colombia. IL GOVERNO CHAVEZ ACCUSATO DI TERRORISMO. "Non appoggiamo né le Farc né l'Eta né le guerriglie né il terrorismo". Il presidente Chávez ha energicamente respinto le accuse del giudice spagnolo Eloy Velasco sulla presunta partecipazione del suo governo a un piano di Farc ed Eta per assassinare esponenti politici colombiani (tra cui lo stesso Uribe). Sulle affermazioni del magistrato il premier Zapatero aveva chiesto "spiegazioni" al Venezuela, innescando una crisi diplomatica. La tensione tra i due paesi è poi scesa con il comunicato congiunto del 6 marzo, in cui Madrid e Caracas "ratificano la loro più energica condanna al terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni e si impegnano a continuare la collaborazione nell'ambito giudiziario e di polizia". Ma una successiva dichiarazione del ministro degli Esteri venezuelano Nicolás Maduro, che rimprovera a Velasco di essere "associato alla mafia dell'ex presidente José María Aznar, al peggio del Partido Popular e a settori dell'ultradestra", ha riacceso le polemiche: Zapatero ha definito "deplorevoli e inaccettabili" le parole di Maduro. Nella polemica sono intervenuti anche i parlamentari del Pp, che hanno attaccato il loro governo accusandolo di essere "molto compiacente con i paesi dove si violano i diritti umani e che sono santuario dei terroristi". 10/3/2010 |
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Ecuador, rottura tra Correa e la Conaie Tra la principale confederazione indigena e Rafael Correa si è consumata la rottura. La risoluzione dell'assemblea straordinaria della Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador) del 25 e 26 febbraio considera chiuso il dialogo con l'esecutivo "per carenza di volontà politica, mancato rispetto dei diritti dei popoli e delle nazionalità indigene e assenza di risultati" e chiama a un'insurrezione plurinazionale, "preceduta da azioni e mobilitazioni concrete, contro le politiche neoliberiste" del governo. Secondo il presidente della confederazione, Marlon Santi, il capo dello Stato ha tradito i principi dell'alleanza che lo ha portato al potere. Per tutta risposta, Correa ha invitato la base indigena a sollevarsi "contro questi cattivi dirigenti che stanno facendo il gioco della destra". Non tutte le organizzazioni delle comunità native, del resto, condividono le scelte della Conaie: la Feine (Federación de Indígenas Evangélicos del Ecuador) è su posizioni meno intransigenti, mentre il leader della Fenocin (Federación Nacional de Organizaciones Campesinas, Indígenas y Negras) Pedro de la Cruz, parlamentare di Alianza País, ha ribadito l'appoggio critico al governo. La Conaie contesta soprattutto la nuova Ley de Minería, che prevede la concessione di ampie licenze per l'attività estrattiva a compagnie nazionali e straniere, la mancata approvazione della legge sull'acqua come stabilito dalla Costituzione del 2008 (la bozza è tuttora in discussione) e lo sfruttamento delle risorse petrolifere nella regione amazzonica. Quest'ultimo punto rimanda al Proyecto Yasuní, la proposta lanciata dallo Stato nel 2007: l'Ecuador avrebbe rinunciato a sfruttare la riserva di petrolio del Parque Yasuní se la comunità internazionale avesse garantito al paese almeno la metà dei mancati introiti, contribuendo così alla salvaguardia della biodiversità e sostenendo la battaglia contro il riscaldamento globale. L'iniziativa si sta però avviando al fallimento e ha già portato alle dimissioni, in gennaio, del suo maggiore sostenitore, il ministro degli Esteri Fander Falconí. Alcune nazioni europee si erano dette disposte a sborsare parte della cifra richiesta, ma pretendendo di mantenere il controllo sull'amministrazione dei fondi e sulla valutazione dei progetti. Condizioni da Correa giudicate inaccettabili: "Sono i cittadini dell'Ecuador che stanno facendo i maggiori sacrifici. In qualunque parte del mondo avrebbero sfruttato il petrolio - aveva detto nel corso del suo programma radiofonico - Siamo stufi che ci trattino come colonia, che ci trattino come inferiori". E pur non chiudendo la porta al negoziato, aveva fissato come scadenza tassativa il prossimo giugno. Un termine che Falconí aveva interpretato come un no definitivo. 8/3/2010 |
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Messico, Corte Suprema: "garanzia di impunità" Sulla falsariga delle certificazioni Iso 9000 concesse alle imprese per attestare la qualità dei loro prodotti, il Comité Eureka e l'organizzazione Hijos hanno assegnato alla Corte Suprema il certificato Impu 9000 ("garanzia di impunità"), in considerazione della sua collaborazione con gli apparati repressivi dello Stato nel coprire i responsabili di violazioni dei diritti umani. Sono oltre cinquecento i militanti politici desaparecidos dal periodo della guerra sucia a oggi e i familiari si sono ritrovati il 6 marzo a Città del Messico, come ogni primo sabato del mese dall'ottobre 2008, davanti alla sede del massimo tribunale per chiedere verità e giustizia. Hanno appeso le foto dei parenti scomparsi alle transenne metalliche che proteggono l'entrata principale della Corte e hanno distribuito volantini ai passanti. Le periodiche manifestazioni stanno ottenendo visibilità e l'opinione pubblica comincia a interrogarsi su questi crimini, affermano gli organizzatori, che denunciano almeno sei nuovi casi di oppositori desaparecidos durante l'attuale presidenza Calderón. 6/3/2010 |
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Bolivia, i militari contro la magistratura Braccio di ferro tra la magistratura e le forze armate, che hanno respinto l'ordine del giudice Roger Valverde di consegnare la documentazione sui crimini della dittatura di Luis García Meza (1980-81). I vertici militari si sono limitati a fornire scarne informazioni, insufficienti a far luce sui responsabili di violazioni dei diritti umani. Ora il magistrato valuta la possibilità di far perquisire la caserma dove potrebbero essere sepolti i resti di numerosi assassinati. García Meza e il suo ex ministro dell'Interno, Luis Arce Gómez, condannati a trent'anni e attualmente rinchiusi in un carcere di massima sicurezza, si sono sempre rifiutati di rivelare la sorte dei desaparecidos. L'indagine giudiziaria, partita dalle denunce dei familiari di alcuni scomparsi, tra cui lo scrittore e dirigente politico Marcelo Quiroga Santa Cruz e il deputato Juan Carlos Flores Bedregal, si è poi ampliata con l'aggiunta di molti altri nomi. L'Asociación de Familiares de Detenidos, Desaparecidos y Mártires por la Liberación Nacional chiede che vengano aperti tutti gli archivi, in base a un decreto che proibisce il segreto quando siano trascorsi vent'anni dai fatti. I familiari lamentano anche il sostegno troppo tiepido dell'esecutivo: "Abbiamo ricevuto dichiarazioni di appoggio e interesse da parte del governo, però nei fatti manca la volontà politica", ha detto María Soledad Quiroga, figlia di Marcelo Quiroga. In realtà anche la risoluzione del Ministero della Difesa, che intimava alle forze armate di consegnare i documenti in loro possesso, è rimasta lettera morta. Per ottenere verità e giustizia Olga Flores, sorella di Juan Carlos Flores, e Marta Montiel, figlia del guerrigliero Tirso Montiel, scomparso nel 1970, avevano effettuato in febbraio uno sciopero della fame (il secondo, dopo quello realizzato tra maggio e giugno dello scorso anno). Ma finora la speranza di porre fine all'impunità si è rivelata illusoria e i militari appaiono più forti dei tribunali e del governo. 6/3/2010 |
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Uruguay, il governo del dialogo "È fondamentale eliminare l'indigenza e diminuire la povertà di un 50%. E ampliare alle masse la cultura. Si può negoziare la forma in cui farlo, non si può negoziare la rotta. Attualmente il 2% degli uruguayani vive nell'indigenza, è una vergogna nazionale". Con queste parole, il primo marzo, José Pepe Mujica ha tracciato gli obiettivi del suo mandato presidenziale. Alla cerimonia di insediamento erano presenti i presidenti Evo Morales, Cristina Fernández, Rafael Correa, Lula da Silva, Hugo Chávez, Fernando Lugo. A loro Mujica si è rivolto con un appello all'unità della regione: "Non perdiamo la speranza che vi sia una sola nazione latinoamericana, dal Río Bravo alle Malvinas". E ha strappato un applauso quando ha esclamato: "Il Mercosur sarà fino a che morte non ci separi". Il nuovo governo si presenta nel segno della continuità (il vicepresidente, il moderato Danilo Astori, era ministro dell'Economia di Tabaré Vázquez) e del dialogo con tutti, opposizione compresa, come era stato più volte promesso in campagna elettorale. Anche con le forze armate il dialogo è aperto: il neopresidente lo ha ripetuto il 2 marzo, durante l'assunzione come ministro della Difesa di Luis Rosadilla. Quest'ultimo è un ex tupamaro al pari di Mujica e del nuovo ministro dell'Interno, Eduardo Bonomi, e la sua designazione poteva causare qualche malumore tra i vertici militari. Nei rapporti delle forze armate con il paese pesa ancora il problema dell'impunità. Dopo la sconfitta nell'ottobre scorso del referendum per l'abrogazione della Ley de Caducidad, il Frente Amplio conta comunque su una maggioranza parlamentare in grado di cancellare l'amnistia e di portare davanti ai tribunali i repressori della dittatura. Una richiesta in tal senso è stata inviata al neopresidente da alcuni familiari di desaparecidos, che a gran voce domandano verità e giustizia. 2/3/2010 |
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Colombia, niente rielezione per Uribe Alvaro Uribe non potrà ripresentarsi candidato alle presidenziali del 30 maggio: la Corte Costituzionale ha infatti bocciato il referendum popolare sulla modifica della Carta Magna. La condanna della Corte è senza appello: "Non si tratta di semplici irregolarità formali - afferma la sentenza - ma di violazioni sostanziali al principio democratico". Negata dunque la possibilità di concorrere a un terzo mandato consecutivo per l'attuale capo dello Stato, che già nel 2006 era riuscito a farsi rieleggere con una riforma costituzionale varata dal Parlamento grazie alla compravendita di voti. Candidato del movimento uribista sarà l'ex ministro della Difesa Juan Manuel Santos, che i primi sondaggi indicano come favorito (anche se con una percentuale insufficiente a vincere al primo turno). Juan Manuel è cugino dell'attuale vicepresidente Francisco Santos, recentemente accusato dall'ex capo paramilitare Salvatore Mancuso, in carcere negli Stati Uniti, di legami con i gruppi armati di estrema destra. Secondo Mancuso, nel corso di una riunione Santos chiese ai paras di espandere le loro azioni terroristiche a Bogotá per frenare l'avanzata della guerriglia. Anche un altro parente illustre, il cugino del capo dello Stato Mario Uribe, è stato raggiunto da un mandato di cattura per complicità con i paramilitari ed è finito per la seconda volta dietro le sbarre (era stato scarcerato in agosto). Negli stessi giorni l'ex senatore Alvaro García è stato condannato a 40 anni di galera per associazione a delinquere e peculato e come mandante del massacro di quindici contadini, assassinati a colpi di machete nell'ottobre del 2000 a Macayepo (dipartimento di Bolívar). A quanto è emerso dal dibattimento, García aveva incaricato i paramilitari di intimidire e minacciare gli elettori della zona per assicurarsi il seggio parlamentare, pagando poi questo "appoggio politico" con soldi pubblici. Quelli che stanno venendo alla luce sono solo una minima parte dei crimini compiuti dai gruppi armati di estrema destra. I dati rivelati il 16 febbraio da un rapporto della Procura, sulla base delle confessioni di 4.000 paras che hanno lasciato le armi, sono agghiaccianti: 30.000 omicidi, 1.000 massacri e 2.500 sparizioni. E tuttavia, affermano le organizzazioni per i diritti umani, le cifre reali sono molto più alte: il quotidiano El Tiempo scrive che le denunce di omicidio ricevute dalla Procura riguardano circa 150.000 vittime. Tra gli artefici dell'impunità ci sono anche gli Stati Uniti. Lo sostiene il rapporto di un gruppo di avvocati dell'Università di Berkeley denunciando la gestione in Usa dei procedimenti contro i leader paramilitari estradati sotto l'accusa di narcotraffico. "Le estradizioni - afferma il documento - hanno ridotto in modo sostanziale la cooperazione degli accusati nei processi per violazione dei diritti umani e per corruzione e hanno ostacolato l'accesso alle vittime colombiane". Una situazione che ha spinto lo scorso anno la Corte Suprema di Bogotá a respingere future estradizioni, perché queste "hanno permesso che nei processi di giustizia e pace si bloccasse la conoscenza della verità". 1/3/2010 |
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Cile, una scossa di 8,8° Richter Alle 3,34 di sabato 27 febbraio una scossa di 8,8° della scala Richter, con epicentro in mare a una novantina di chilometri dalla città di Concepción, ha devastato la zona centro meridionale del paese, in particolare le regioni del Bío Bío e del Maule. In seguito gigantesche ondate hanno spazzato la costa, cancellando interi paesi. Una tragedia nella tragedia, che si sarebbe potuta evitare: come lo stesso ministro della Difesa ha dovuto riconoscere, la marina aveva escluso un pericolo tsunami. Dopo la prima, tremenda scossa, numerose repliche si sono succedute, accrescendo il terrore dei sopravvissuti. Il sisma ha distrutto ponti e strade, ha interrotto l'energia elettrica e i collegamenti via telefono e via Internet. Anche a Santiago si sono registrati crolli e distruzioni e l'aeroporto è stato chiuso. Le vittime sono già oltre 700, ma il loro numero è destinato ad aumentare; i senzatetto sarebbero circa due milioni. La presidente Michelle Bachelet, che ha sorvolato in elicottero l'area del disastro, è apparsa molto provata: ha dichiarato lo stato di catastrofe nelle regioni colpite e ha subito ordinato la distribuzione di alimenti. Ma i soccorsi hanno registrato lentezze e ritardi e, con una popolazione in preda alla disperazione e priva di tutto, sono iniziati furti e saccheggi. Domenica il governo ha mobilitato l'esercito e ha imposto il coprifuoco a Concepción, provvedimenti che non sono bastati a riportare la calma. Intanto cominciano ad arrivare i primi aiuti internazionali, specie da parte dei paesi latinoamericani; una richiesta ufficiale di materiale sanitario e generatori elettrici è stata inviata da Santiago alle Nazioni Unite. 1/3/2010 |
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Honduras, uccisa un'altra militante della resistenza Un'altra militante antigolpista è stata assassinata in Honduras. Claudia Larissa Brizuela, 36 anni, madre di due bambini, è stata uccisa il 24 febbraio a San Pedro Sula da ignoti killer, che hanno bussato alla porta della sua abitazione e le hanno sparato numerosi colpi. La giovane, figlia dell'ex leader del Partido Comunista Pedro Brizuela, faceva parte del Frente Nacional de Resistencia Popular. Il delitto costituisce un chiaro avvertimento a tutti gli oppositori contro i quali continuano, nella totale impunità, sequestri, aggressioni e persecuzioni. Contro Manuel Zelaya si utilizzano invece altre armi. Proprio alla vigilia della sua partenza per diversi paesi dell'America Latina, Zelaya è stato formalmente accusato di reati di corruzione e contro di lui il pubblico ministero ha chiesto un ordine di cattura internazionale. "È una rappresaglia in risposta alle posizioni degli Stati latinoamericani" che al vertice di Cancún non hanno invitato il governo Lobo, afferma Zelaya in un comunicato inviato il 25 febbraio dal suo esilio nella Repubblica Dominicana. Insieme al deposto capo dello Stato sono stati accusati quattro ex funzionari del suo esecutivo, tra cui il ministro della Presidenza, Enrique Flores Lanza, e la ministra delle Finanze, Rebeca Patricia Santos. 25/2/2010 |
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Cuba, muore dissidente dopo sciopero della fame Il presidente Castro ha deplorato la morte del dissidente Orlando Zapata Tamayo dopo quasi tre mesi di sciopero della fame, ma ha respinto ogni accusa di torture ai detenuti nelle carceri cubane ("Questo succede nella base di Guantanamo", ha detto). Orlando Zapata, un operaio di 42 anni, era stato condannato nel 2003 a tre anni, ma aveva poi accumulato altre condanne più pesanti per le sue proteste contro le condizioni di detenzione. Il decesso è avvenuto il 23 febbraio nell'ospedale Hermanos Ameijeiras della capitale, dove Zapata era ricoverato in terapia intensiva. L'accaduto ha avuto grande eco sui media internazionali, rinfocolando gli attacchi al governo cubano da parte della dissidenza interna e di quella radicata a Miami. La segretaria di Stato Usa, Hillary Clinton, ha criticato "l'oppressione dei prigionieri politici a Cuba". A nome dell'Unione Europea (siamo nel semestre a guida spagnola), Zapatero ha chiesto al governo di Raúl Castro di "restituire la libertà ai prigionieri di coscienza e rispettare i diritti umani", ma questo non ha impedito che la destra del suo paese gli rimproverasse il tentativo di rilanciare il dialogo europeo con Cuba. E anche Lula è stato accusato dalla stampa brasiliana di non aver adottato una posizione ferma di fronte all'accaduto e di non aver ricevuto i rappresentanti dell'opposizione durante la visita ufficiale fatta proprio in quei giorni all'Avana. La morte di Zapata, avvenuta alla vigilia del secondo anniversario del passaggio dei poteri da Fidel al fratello - scrive Maurizio Matteuzzi sul Manifesto - costituisce "un boomerang per Cuba e per Raúl, di cui si sarebbe dovuto raccontare oggi cosa ha fatto e cosa non è riuscito a fare in questi due anni. E che invece deve affrontare una situazione scabrosa, che alimenta tutte le pulsioni anticubane". Matteuzzi conclude ricordando gli altri dissidenti rinchiusi nelle prigioni dell'isola, "che Cuba non considera detenuti politici, ma che in nessun caso possono essere lasciati morire come è morto Orlando Zapata". 25/2/2010 |
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Una Comunidad senza Usa e Canada Una nuova organizzazione continentale che escluda Stati Uniti e Canada. Si chiama Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños e la sua creazione è stata decisa dai 32 paesi partecipanti al vertice di Cancún del 22 e 23 febbraio (all'incontro non era stato invitato l'Honduras). L'obiettivo del nuovo organismo, si afferma nella dichiarazione finale, è quello di "approfondire l'integrazione politica, economica, sociale e culturale" della regione e difendere il multilateralismo. Il primo capitolo nella vita della Comunidad è fissato a Caracas per il luglio 2011, anno in cui il Venezuela celebra il bicentenario dell'indipendenza. Per la carica di segretario generale, il messicano Felipe Calderón e il venezuelano Hugo Chávez hanno proposto il nome di Lula, che tra pochi mesi lascerà la presidenza del Brasile. I risultati della riunione di Cancún, svoltasi in un clima di eccezionale unità che neppure l'aspro battibecco tra Chávez e il colombiano Uribe è riuscito a scalfire, testimoniano il declino dell'egemonia Usa e la crisi dell'Oea, l'Organización de los Estados Americanos che per decenni è stata il "Ministero delle Colonie" statunitense. E proprio l'Oea si appresta a votare in marzo il nuovo segretario generale. Nel continente è vista con favore un'eventuale rielezione del cileno Miguel Angel Insulza: a opporsi per ora è solo il governo di Washington. Le ragioni di tale opposizione sono enumerate in un articolo del vecchio falco Roger Noriega, pubblicato il 12 febbraio sul quotidiano cileno El Mercurio. Insulza - sostiene Noriega - convinse l'allora segretaria di Stato Condoleezza Rice ad appoggiare la sua candidatura promettendo di impegnarsi per la democrazia: invece, una volta eletto, si è battuto per la riammissione di Cuba nell'organismo e non ha difeso "l'impero della legge, la separazione dei poteri e la libertà di espressione in Venezuela, Nicaragua, Bolivia". Anche in sede di Commissione Esteri del Senato Usa si sono udite lamentele perché, pur dando il maggiore contributo finanziario all'Oea, Washington non riesce più a imporre la sua volontà. Nonostante alcuni passi indietro, come il golpe in Honduras o la vittoria della destra cilena, l'America Latina non è più quella di una volta. 23/2/2010 |
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Sostegno latinoamericano all'Argentina Per conto della compagnia britannica Desire Petroleum, la piattaforma Ocean Guardian ha iniziato il 22 febbraio la ricerca di idrocarburi in mare, a un centinaio di chilometri dalle isole Malvinas. Si calcola che le acque che circondano l'arcipelago contengano una vera ricchezza: 60.000 milioni di barili di grezzo, anche se non tutti sfruttabili commercialmente. La decisione inglese di dare il via alle prospezioni ha provocato un'acuta crisi diplomatica con Buenos Aires. Secondo la presidente Cristina Fernández, "che una potenza che occupa un territorio nazionale venga oggi a sfruttare risorse naturali non rinnovabili come il petrolio, e che l'America Latina e il resto del mondo lo permettano, può costituire un pericoloso precedente su risorse come l'acqua, il petrolio e tante altre di cui le grandi potenze andranno in cerca". In risposta all'iniziativa di Londra, in marzo entrerà in vigore un decreto della presidente Fernández, in base al quale ogni imbarcazione dovrà richiedere una preventiva autorizzazione per poter transitare nei porti situati tra la piattaforma continentale argentina e le isole Malvinas, Georgias del Sur e Sandwich. Il governo di Buenos Aires ha inoltre sollevato la questione delle Malvinas al vertice di Cancún dei paesi latinoamericani e dei Caraibi, ottenendo subito l'appoggio incondizionato di Lula. "Qual è la ragione geografica, politica ed economica per cui l'Inghilterra è nelle Malvinas? - si è chiesto il presidente brasiliano nel suo intervento - Qual è la motivazione politica delle Nazioni Unite per non aver preso una decisione? È necessario che cominciamo a lottare perché il segretario generale dell'Onu riapra questo dibattito con molta forza". E alla fine i rappresentanti delle 32 nazioni partecipanti hanno ratificato i "legittimi diritti" argentini sulle isole contese. L'unanimità è stata raggiunta nonostante le perplessità di tre paesi membri del Commonwealth (Belize, Antigua and Barbuda, Trinidad and Tobago), che avrebbero preferito un documento meno compromettente. Ma il sostegno convinto alla bozza originale da parte di Brasile, Messico, Cuba e Venezuela ha infine portato alla storica firma. 23/2/2010 |
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Brasile, Lula consacra la candidata Dilma I delegati del quarto congresso nazionale del Partido dos Trabalhadores, che quest'anno compie trent'anni dalla sua fondazione, hanno proclamato all'unanimità Dilma Rousseff candidata alle presidenziali di ottobre. Lo stesso Lula è intervenuto ad appoggiare Dilma, elogiandone il rigore e la capacità di gestione: "È la candidata di un governo che creò il Programa de Aceleração do Crescimento. Mai nella storia ci fu un programma di infrastruttura tanto pianificato come il Pac. È la coordinatrice di Minha casa, minha vida. È la candidata del governo del Prosal, che cambierà la produzione nel secolo XXI" (il Prosal è il programma di prospezione petrolifera in acque profonde). Lula ha poi escluso l'intenzione di ripresentarsi nel 2014, dopo l'obbligatoria parentesi imposta da due mandati consecutivi. L'economista Dilma Rousseff ha 62 anni ed è figlia di un immigrato bulgaro. Durante la dittatura militare venne arrestata e torturata per la sua partecipazione al movimento guerrigliero. Ex ministra dell'Energia e attualmente ministra della Presidenza, nel suo discorso programmatico ha promesso un "governo di coalizione", che adotti "misure realistiche e concrete" per proseguire con il processo di redistribuzione e di crescita sostenibile. E ha elencato gli obiettivi fin qui raggiunti: "Ora già attraversiamo il paese e troviamo milioni di brasiliani che mangiano tre volte al giorno" (riferimento alla promessa di Lula nella campagna elettorale del 2002). "Ci sono milioni che coltivano la terra e consumano, milioni che mostrano le luci delle loro modeste case, milioni che posseggono il loro primo frigorifero, milioni di giovani che mostrano i loro diplomi delle università o delle scuole tecniche, milioni che esprimeranno l'orgoglio di vivere in un paese rispettato". E ancora: "Il salario reale è aumentato, abbiamo creato dodici milioni di posti di lavoro e cominciamo a vivere in un Brasile per tutti, non nel Brasile che abbiamo sofferto dai tempi della schiavitù". L'assemblea del Pt ha rappresentato dunque la consacrazione di Dilma Rousseff a candidata alla successione e la celebrazione degli otto anni del governo Lula. Un periodo che ha visto cambiamenti innegabili e un miglioramento del livello di vita di vasti strati della popolazione. Ma i rapporti di potere nel paese sono rimasti pressoché intatti e troppi sono ancora gli emarginati e gli esclusi, mentre la riforma agraria procede con lentezza esasperante. Proprio per sottolineare questa realtà il Movimento Sem Terra aveva promosso pochi giorni prima, nello Stato di San Paolo, il Carnaval Vermelho (il Carnevale Rosso), invadendo alcuni latifondi e reclamando l'espropriazione delle terre improduttive. Intanto la destra sta affrontando un momento di grossa difficoltà: il governatore di Brasilia José Roberto Arruda (del partito conservatore Democratas) è finito dietro le sbarre perché coinvolto in un grave caso di corruzione, documentato attraverso un video. Arruda era stato indicato come possibile compagno di formula di José Serra, il leader del Psdb (Partido da Social Democracia Brasileira) attuale governatore di San Paolo, che a marzo dovrebbe ufficializzare la sua candidatura presidenziale. 20/2/2010 |
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Haiti, le piogge aggravano la situazione La stagione delle piogge era attesa per fine febbraio, ma è giunta in anticipo complicando ulteriormente le già drammatiche condizioni di vita dei senzatetto. All'alba dell'11 febbraio è caduto il primo acquazzone, preannunciando quella che sarà la situazione nelle prossime settimane: torrenti di fango e di rifiuti che scorrono nelle strade minacciando un'emergenza sanitaria. Al termine della pioggia, migliaia di persone si sono radunate di fronte al Palazzo Nazionale per lanciare grida ostili contro il presidente Préval, accusato di inefficienza. Cercando di rispondere alla protesta montante, René Préval ha presieduto il giorno dopo, 12 febbraio, una delle tante cerimonie previste a un mese dalla catastrofe. Vestito di bianco come gran parte delle centinaia di migliaia di persone che affollavano il Campo di Marte, si è sforzato di infondere coraggio: "Haiti non morirà, Haiti non deve morire", ha detto. Ma per gli abitanti sarà difficile dimenticare il lungo silenzio del capo dello Stato dopo il sisma. L'ultimo bilancio del terremoto è già arrivato all'agghiacciante cifra di 230.000 morti e 300.000 feriti. A Quito il vertice straordinario dell'Unasur ha deciso di creare un fondo comune di cento milioni di dollari per finanziare opere di ricostruzione e di chiedere al Banco Interamericano de Desarrollo un prestito fino a duecento milioni di dollari, pagabile a lungo termine e con interesse minimo, garantito dalla stessa Unasur. Fidel Castro ha annunciato che più di mille medici e studenti degli ultimi anni, provenienti dall'America Latina e preparati a Cuba, e decine di ospedali da campo donati dal Venezuela sono a disposizione delle nazioni che vogliano cooperare con Haiti. Ma accanto a chi esprime solidarietà c'è chi specula sulla distruzione e la morte. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha sospeso l'invio di farmaci ad alcune cliniche private e organizzazioni non governative: a quanto si è appreso, facevano pagare ai pazienti quelle stesse medicine ricevute gratuitamente. E a Pétionville, sobborgo di Port-au-Prince, centinaia di manifestanti hanno accusato l'amministratrice locale Lydie Parent di corruzione e accaparramento di alimenti. Intanto gli Stati Uniti hanno chiarito, una volta di più, la loro intenzione di non andarsene tanto presto. "Resteremo ad Haiti fino a quando saremo necessari", ha affermato il 6 febbraio il colonnello Gregory Kane, a capo del contingente di 20.000 uomini inviato da Washington. Parole destinate a confermare le preoccupazioni di quei paesi, dalla Bolivia al Venezuela, dall'Ecuador al Nicaragua, che parlano di occupazione mascherata da soccorso umanitario. Sull'argomento è intervenuto il 16 febbraio il ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorim: "Una volta terminati i lavori d'emergenza - ha detto - la cosa migliore è che rimangano solo le forze dell'Onu". E ha aggiunto che "la sfida è quella di dare una grossa mano, senza però intervenire". La massiccia presenza nordamericana non piace probabilmente neppure a Parigi. Nicolas Sarkozy, giunto a Port-au-Prince il 17 febbraio per una breve visita, la prima di un presidente francese all'ex colonia, ha preannunciato aiuti per 326 milioni di euro (somma che comprende l'annullamento del debito di 56 milioni), ha promesso che "la Francia sarà all'altezza delle sue responsabilità, della sua storia condivisa e della sua amicizia con Haiti" e ha poi sottolineato che tocca "agli haitiani definire per primi un vero progetto nazionale" dopo la tragedia. 17/2/2010 |
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Il ministro russo Lavrov in America Latina La cooperazione tra Mosca e Città del Messico in campo energetico e industriale e i negoziati per un accordo sulla protezione reciproca degli investimenti sono stati al centro dell'incontro del 16 febbraio tra il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e la sua omologa messicana Patricia Espinosa. Con il Messico si è concluso il viaggio di Lavrov in America Latina, un viaggio che ha testimoniato l'attuale interesse della diplomazia russa verso questa regione. In Nicaragua l'inviato di Mosca aveva parlato di cooperazione bilaterale con il presidente Ortega; in Guatemala aveva firmato un accordo per la lotta al narcotraffico e inaugurato un centro culturale russo. Ma la visita più proficua era stata a Cuba: tra le due nazioni c'è "un'associazione veramente strategica", aveva riconosciuto il ministro russo dopo la riunione con il suo omologo cubano Bruno Rodríguez. All'Avana Lavrov aveva anche presenziato, insieme a Raúl Castro, all'inaugurazione della Feria Internacional del Libro, dedicata quest'anno proprio alla Russia. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica i rapporti tra Mosca e l'Avana si erano raffreddati, giungendo ai minimi storici nel 2001. In seguito però le relazioni sono riprese e si sono progressivamente rafforzate. Negli ultimi cinque anni la Russia è diventata uno dei principali creditori dell'isola, cui ha fornito aerei, automotrici, frumento, macchinari agricoli e industriali. 16/2/2010 |
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Uruguay, si inaugura il nuovo Parlamento Hanno prestato giuramento il 15 febbraio i rappresentanti del potere legislativo eletti nelle consultazioni dell'ottobre scorso, che hanno attribuito al Frente Amplio la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Al Senato la cerimonia è stata presieduta dalla parlamentare più votata, Lucia Topolansky (moglie del presidente eletto José Mujica), che dopo il primo marzo, giorno dell'insediamento del nuovo capo dello Stato, lascerà il posto al vicepresidente Danilo Astori. La presidenza della Camera è stata assunta invece dalla deputata Ivonne Passada, ex militante del movimento tupamaro come Lucia Topolansky ed ex dirigente sindacale. A coronare questa festa della democrazia la condanna a trent'anni pronunciata, pochi giorni prima, nei confronti dell'ex dittatore Juan María Bordaberry, riconosciuto colpevole di aver guidato nel 1973 il golpe che dissolse il Parlamento. La giudice Mariana Motta ha anche ritenuto l'imputato responsabile di nove sequestri e due omicidi. Si tratta di una sentenza simbolica: l'ex dittatore già sconta agli arresti domiciliari (per ragioni di salute) una precedente condanna a trent'anni per la morte di 14 prigionieri politici desaparecidos. Il tribunale non ha accettato le giustificazioni di Bordaberry, che ha sostenuto di non aver mai saputo delle torture, dei sequestri e degli omicidi compiuti dai militari sotto il suo regime. E sempre in tema di diritti umani, il presidente Tabaré Vázquez ha deciso di multare 36 enti radiofonici e canali televisivi che, prima del referendum del 25 ottobre, si rifiutarono di trasmettere in catena nazionale un messaggio a favore dell'annullamento della Ley de Caducidad (la legge sull'impunità). Nella consultazione il sì non ottenne la maggioranza necessaria e i suoi promotori attribuirono la sconfitta alla scarsa informazione fornita dai media all'elettorato. 15/2/2010 |
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Venezuela, un piano contro i black out Crisi elettrica, aumento dei prezzi dopo la svalutazione del bolívar, sicurezza pubblica, casi di corruzione: saranno questi i temi all'ordine del giorno nelle elezioni del 26 settembre, quando i venezuelani saranno chiamati a rinnovare l'Assemblea Nazionale. I casi di corruzione, su cui l'opposizione punta per attaccare la Rivoluzione Bolivariana, riguardano quei personaggi che hanno fatto fortuna durante la presidenza Chávez. Emblematico è il caso di Arné Chacón, finito in galera per essersi appropriato dei risparmi dei clienti del Banco Real di cui era dirigente. Arné è fratello dell'ex ministro Jesse Chacón, costretto a dimettersi nel dicembre scorso proprio in seguito a questo scandalo. Ma la preoccupazione maggiore del governo (e della popolazione) è rappresentata dal rischio di black out elettrici, per la quasi totale dipendenza del paese dall'energia idroelettrica e in particolare dal bacino di Guri, che oggi risente della siccità provocata dal fenomeno del Niño. Per far fronte a questa situazione, dopo il fallimento in gennaio del razionamento programmato, Chávez ha lanciato il 9 febbraio un nuovo piano di risparmio energetico che prevede sconti per quanti diminuiranno i consumi e sovrattasse per gli spreconi. Verranno distribuite 80 milioni di lampade a basso consumo e si studieranno programmi educativi sull'uso responsabile dell'energia. Fin qui i progetti immediati. Ma si pensa anche alla diversificazione delle fonti, ricorrendo ai consigli di paesi amici (sono già accorsi in aiuto esperti cubani, brasiliani, argentini). Agli inizi di marzo Caracas firmerà un contratto con Buenos Aires per l'installazione in Venezuela del primo parco di energia eolica e intanto è all'esame lo sfruttamento delle riserve nazionali di gas. 11/2/2010 |
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El Salvador, tornano i gruppi di sterminio? Prima una serie di attacchi con granate di tipo militare. Poi due massacri in diverse località del paese contro presunti pandilleros, i membri delle bande criminali: il 2 febbraio a Suchitoto con un bilancio di sette morti; quattro giorni dopo, nei pressi di San Salvador, con sei vittime. Tutto fa pensare alla nascita di nuovi gruppi di sterminio dediti alla "pulizia sociale". Le stragi sono state compiute da individui ben armati e con il viso coperto da passamontagna, che hanno agito in maniera pianificata. Ad avvalorare l'ipotesi di pattuglie paramilitari vi sono i manifestini distribuiti in alcune località del dipartimento di San Salvador, che preannunciano azioni contro la delinquenza. E in Internet un gruppo che si fa chiamare La Calle Negra minaccia rappresaglie contro i pandilleros: "lapidazioni, decapitazioni, smembramenti, resti di corpi che spargeremo ai quattro punti cardinali come segnale della nostra presenza ovunque". Sono parole da prendere sul serio? È presto per dirlo, ma il Salvador è da tempo il paese più violento dell'America Latina e nuovi squadroni della morte potrebbero aver deciso di sostituirsi a uno Stato che giudicano debole. 10/2/2010 |
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Cile, Piñera presenta il suo governo Il presidente eletto Sebastián Piñera ha presentato il suo futuro governo, formato per lo più da esponenti del mondo imprenditoriale con scarsa esperienza politica. Tredici infatti gli indipendenti, cui si affiancheranno quattro rappresentanti di Renovación Nacional e quattro dell'Unión Democráta Independiente. Infine il democristiano Jaime Ravinet, che per assumere l'incarico di ministro della Difesa si è dimesso dal suo partito: un duro colpo per la sconfitta Concertación, anche se per ora Ravinet è l'unico transfuga ed è quindi fallito l'obiettivo di Piñera di creare un governo di unità nazionale. I dicasteri fondamentali sono stati affidati all'avvocato conservatore Rodrigo Hinzpeter (Interno), all'imprenditore Alfredo Moreno Charme (Esteri), all'ex consulente della dittatura Joaquín Lavín (Istruzione), agli economisti Juan Andrés Fontaine (Economia) e Felipe Larraín (Tesoro), al direttore della clinica privata Las Condes Jaime Mañalich (Sanità). La coalizione vincitrice ha assicurato che eventuali conflitti di interesse all'interno del nuovo esecutivo saranno risolti prima dell'insediamento. Ma non si può dire che il presidente eletto stia dando il buon esempio. Solo il 5 febbraio Piñera ha iniziato la vendita delle quote in suo possesso della compagnia aerea Lan: nel frattempo il valore delle azioni ha registrato un enorme incremento proprio grazie alla vittoria elettorale. Quanto a Chilevisión, la proprietà verrà trasferita a una fondazione senza fini di lucro (la Fundación Cultura y Sociedad) creata all'uopo in gennaio: in tal modo Piñera potrà mantenere il controllo del canale televisivo, designarne la dirigenza e riprenderlo in mano quando vorrà. IDENTIFICATI I RESTI DI UNDICI COLLABORATORI DI ALLENDE. Il Servicio Médico Legal, con la collaborazione del laboratorio di genetica di Innsbruck, ha identificato con certezza i resti di due consiglieri (Héctor Pincheira Núñez ed Enrique Paris Roa) e nove agenti di scorta del presidente Salvador Allende, catturati dai militari l'11 settembre 1973. Subito dopo il golpe, le persone che nel Palacio de la Moneda avevano tentato un'ultima disperata resistenza furono arrestate e portate al reggimento Tacna, allora comandato dal colonnello Joaquín Ramírez Pineda. Due giorni dopo, una ventina di prigionieri furono trasferiti al campo di addestramento di Peldehue, a nord della capitale, per essere assassinati. I loro corpi vennero buttati in un pozzo secco profondo dieci metri, dentro il quale furono poi lanciate delle granate. Nel dicembre del 1978 i cadaveri vennero recuperati e gettati in mare da un elicottero, perché di loro non rimanesse traccia. Ma nel 2001, in seguito a una segnalazione, la giudice Amanda Valdovinos fece ispezionare il pozzo e alcuni reperti ossei hanno permesso di risalire all'identità di undici vittime. 10/2/2010 |
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Costa Rica, Laura Chinchilla eletta presidente Laura Chinchilla Miranda, del Partido Liberación Nacional (centrodestra), ha vinto le presidenziali con quasi il 47% dei voti: è la prima donna in Costa Rica eletta alla massima carica dello Stato. Nella sua campagna elettorale, però, i temi di genere erano assenti o quasi; nessun accenno alla violenza domestica o al drammatico fenomeno dei feminicidios, posizioni ambigue sulla pillola del giorno dopo e sull'aborto terapeutico; in compenso la proposta di fondere l'Instituto Nacional de las Mujeres nel nuovo Ministero della Famiglia. Per tutto questo, diverse organizzazioni femministe avevano apertamente dichiarato: "Laura non ci rappresenta". Vicepresidente durante la gestione Arias, Laura Chinchilla rappresenta una sostanziale continuità all'insegna del neoliberismo e della conservazione. La scelta dei futuri vicepresidenti parla chiaro: Luis Liberman, banchiere e affarista, e Alfio Piva, membro dell'Opus Dei e sostenitore della concessione ai privati delle aree protette e dei parchi nazionali. Di politica estera non si è praticamente parlato durante la campagna elettorale, ma è noto che la neoeletta vede con simpatia i repubblicani Usa e nel suo primo discorso dopo l'elezione ha preannunciato una sorta di Plan Costa Rica contro la droga, simile a quelli varati da Washington in Colombia e in Messico. L'ipotesi ha allarmato molti osservatori, che temono una maggiore presenza di militari nordamericani nel paese (esiste già un accordo di pattugliamento congiunto che autorizza la marina da guerra Usa a solcare le acque del Costa Rica). "Bisognerà fare molta attenzione alla politica che seguirà la presidente eletta nel campo della lotta al narcotraffico, per evitare che indebolisca la sovranità nazionale", ha detto a La Jornada l'accademico Alberto Cortez. Con le consultazioni del 7 febbraio la destra si conferma alla guida del paese. Il Partido Liberación Nacional ottiene 23 parlamentari, due in meno rispetto all'attuale legislatura. Passa da sei a dieci seggi il Movimiento Libertario di Otto Guevara (destra), mentre perde sei parlamentari il Pac (Partido Acción Ciudadana, centrosinistra). Il candidato presidenziale di quest'ultimo raggruppamento, Ottón Solís, che nel 2006 aveva perso per un soffio contro Arias, questa volta non è andato oltre il 25%. Il Pac - sostiene Cortez - è stato punito dall'elettorato perché, dopo essersi impegnato nella battaglia contro il Tratado de Libre Comercio con gli Stati Uniti (approvato da un referendum nell'ottobre 2007), "non ha voluto assumere la leadership conseguente e ha rifiutato una grande alleanza con le organizzazioni sociali, i sindacati e i partiti di sinistra con cui aveva combattuto il Tlc". 9/2/2010 |
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Messico, il proclama del cartello della droga La violenza della criminalità organizzata sembra ormai abituale in Messico, ma il massacro avvenuto nella notte tra il 30 e il 31 gennaio a Ciudad Juárez presenta aspetti inconsueti. A cadere sotto i colpi di una ventina di killer non sono stati i membri di una banda rivale, ma studenti tra i 13 e i 19 anni che partecipavano a una festa. Sedici le vittime, alcune uccise sul colpo, altre spirate nei giorni successivi. Poche ore più tardi, in un bar di Torreón (Stato di Coahuila) venivano assassinati altri dieci giovani. Dopo questi ultimi sanguinosi episodi, una cinquantina di scritte sono apparse contemporaneamente in diverse parti del paese. A firmare il proclama non è qualche associazione legalitaria, ma il cartello della droga La Familia Michoacana, che si rivolge direttamente alla società civile invitandola a organizzarsi "in una grande famiglia contro Los Zetas", il cartello avversario. "È un altro modo di dire che viviamo in uno Stato fallito, perché semplicemente lo Stato non ce la fa contro Los Zetas", commenta lo storico Lorenzo Meyer, e dunque "l'iniziativa politica contro un gruppo criminale è presa da un altro gruppo criminale". È un fatto che la guerra al narcotraffico, dichiarata dal presidente Calderón per legittimarsi dopo la sua contestata elezione, non ha portato finora ad alcun risultato e sta sommergendo il paese in una spirale di violenza. Gli arresti sbandierati come grosse vittorie (tra i più recenti, quello di René Calderón Rana, uno dei capi della Familia nell'Estado de México) sembrano non incidere sulla potenza dei cartelli. Le cifre mostrano un crescendo impressionante di omicidi: 2.712 nel 2007, 5.661 nel 2008, 7.724 nel 2009. Per non parlare del gennaio 2010, che ha visto la morte violenta di 904 persone. Tra le vittime, tre giornalisti. Valentín Valdés Espinosa, cronista del quotidiano El Zócalo de Saltillo (Stato di Coahuila), è stato sequestrato la sera del 7 gennaio e trovato cadavere all'alba del giorno dopo; sul petto un messaggio di stampo mafioso: "Questo succederà a quanti non capiscono". Il 16 gennaio è stato rinvenuto il corpo di José Luis Romero, collaboratore del notiziario radiofonico Línea Directa a Los Mochis (Sinaloa). Il 29 gennaio è stato assassinato ad Ayutla (Guerrero) Jorge Ochoa Martinez, direttore ed editore del quotidiano El Sol de la Costa. Sempre in gennaio è stata gravemente ferita da colpi d'arma da fuoco María Santos Gorrostieta Salazar, sindaca priista di Tiquicheo (Michoacán). Colpite anche tre persone che erano con lei. Lo scorso anno María Santos era stata vittima di altri due attentati, in uno dei quali era stato ucciso il marito. 7/2/2010 |
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Honduras, assassinata militante della resistenza La situazione dei diritti umani non è certo migliorata con il governo "democraticamente eletto" di Porfirio Lobo. Due operatori televisivi del canale pubblico hanno denunciato di essere stati sequestrati la sera del 2 febbraio, torturati e minacciati di morte da un gruppo di uomini, che volevano sapere dove avevano nascosto le armi. "Ma l'unica arma che usiamo è la nostra telecamera", ha detto Manuel de Jesús Murillo raccontando la vicenda ai militanti del Cofadeh (Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos). Nel pomeriggio dello stesso martedì 2 era scomparsa Vanesa Cepeda, 28 anni, madre di quattro bambini di cui uno di appena quattro mesi. Il suo cadavere è stato trovato qualche ora dopo nei pressi della capitale: presentava il segno di un colpo alla fronte. "Vanesa lavorava nel Seguro Social e i suoi capi le rendevano la vita impossibile perché faceva parte della Resistencia", ha ricordato la responsabile del Cofadeh, Bertha Oliva, concludendo con amarezza: "Viviamo in un paese dove la giustizia non esiste". Di parere analogo la Commissione Interamericana per i Diritti Umani, che ha chiesto al presidente Lobo di rivedere il provvedimento d'amnistia promulgato il giorno del suo insediamento. In un comunicato, la Commissione definisce ambiguo il testo e ricorda che "nella pratica l'applicazione di leggi di amnistia ha impedito il chiarimento, il processo e la punizione dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, lasciandoli nell'impunità". 5/2/2010 |
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Argentina, conclusa la crisi del Banco Central Con la nomina dell'economista Mercedes Marcó del Pont alla guida del Banco Central in sostituzione di Martín Redrado si conclude la crisi che ha contrapposto, nelle ultime settimane, governo e opposizione sulla destinazione delle riserve monetarie. Cristina Fernández aveva deciso di rimuovere Redrado dalla presidenza del Banco Central dopo il rifiuto di quest'ultimo di utilizzare le riserve per pagare le scadenze del debito pubblico. La destra si era schierata a favore di Redrado e della sua proposta di far fronte al debito con il denaro sottratto alle spese sociali. Ma anche alcuni settori della sinistra avevano contestato l'esecutivo, criticando la decisione di piegarsi alle richieste del sistema finanziario internazionale. Dopo una dura battaglia politica, la Commissione Bicamerale convocata sull'argomento aveva appoggiato a maggioranza la scelta governativa. Insieme alla designazione di Mercedes Marcó, la presidente Fernández ha annunciato la creazione di un Consiglio Economico, di cui faranno parte sia la presidente del Banco Central che il ministro dell'Economia, Boudou. Il Consiglio si ispira a un analogo organismo di coordinamento creato dal governo Lula in Brasile. PROTESTA CONTRO LONDRA PER LE MALVINAS. Il Ministero degli Esteri ha consegnato all'ambasciata britannica una nota di protesta dopo l'annuncio inglese dell'avvio di prospezioni petrolifere al nord delle Malvinas (Falkland), le isole rivendicate dall'Argentina e teatro nel 1982 di uno scontro armato tra i due paesi. La decisione di Londra è considerata una grave provocazione dal governo di Buenos Aires, che nella nota "respinge fermamente la pretesa del Regno Unito di autorizzare la realizzazione di operazioni di esplorazione e sfruttamento di idrocarburi nell'area della piattaforma continentale argentina". Recentemente era stato denunciato il progetto di installare sulle isole una base militare anglo-statunitense. 3/2/2010 |
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Colombia, paramilitari: violenza senza fine La Macarena è un piccolo centro a duecento chilometri da Bogotá. Qui è stata rinvenuta l'anno scorso la fossa comune più grande del paese: conteneva circa duemila cadaveri. Tra questi corpi senza nome potrebbero esserci i tanti dirigenti sociali e comunitari della zona, spariti senza lasciare traccia. Sepolture analoghe, con resti di adulti e bambini, sono venute alla luce nel dipartimento meridionale di Putumayo e in quello centrale di Antioquia. Le scoperte si devono in parte alle dichiarazioni di ex paramilitari, che con le loro confessioni mirano a ottenere i benefici concessi dalla Ley de Justicia y Paz. Ma se una parte dei paras ha lasciato le armi, altri le hanno riprese. Lo denuncia il rapporto di Human Rights Watch presentato a Bogotá il 3 febbraio: "Tra il 2003 e il 2006 la Colombia ha promosso un processo di smobilitazione della violenta coalizione armata Auc. Secondo il governo, il processo ha avuto successo e da allora hanno affermato in diverse occasioni che non ci sono più paramilitari nel paese. Tuttavia poco dopo la smobilitazione sono sorti in tutta la Colombia gruppi che hanno preso il loro posto, continuando con l'attività criminale". Il rapporto, frutto di due anni di lavoro sul campo, descrive la partecipazione di queste nuove bande armate in massacri, omicidi, stupri ed estorsioni e la costante minaccia in cui vengono tenute le comunità sotto la loro influenza. Tra i bersagli della violenza soprattutto le popolazioni autoctone, che vedono minacciata la loro sopravvivenza fisica e culturale: lo ha detto recentemente il relatore speciale dell'Onu per i popoli indigeni, James Anaya. E il pericolo non proviene solo dai paramilitari: alla fine di gennaio un bombardamento dell'esercito nella zona di Alto Guayabal ha provocato il ferimento di quattro persone della comunità Embera Katio, tra cui un bambino di due anni. ACCORDO TRA FARC ED ELN. Dopo un periodo di confronto armato che durava dal 2005, l'Eln (Ejército de Liberación Nacional) e le Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) hanno concordato un cessate il fuoco. I due gruppi guerriglieri hanno stabilito di battersi insieme contro l'eventualità di un terzo mandato presidenziale di Alvaro Uribe. 3/2/2010 |
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Guatemala, trent'anni fa il massacro nell'ambasciata È stato ricordato il 31 gennaio, a Città del Guatemala, il trentesimo anniversario del sanguinoso assalto della polizia all'ambasciata spagnola. La sede diplomatica era stata occupata pacificamente da un gruppo di contadini e studenti, che protestavano contro la repressione esercitata, soprattutto nella zona occidentale del paese, dalla dittatura di Romeo Lucas García. L'intervento delle forze di sicurezza, con il lancio di bombe incendiarie all'interno dell'edificio, provocò la morte di 37 persone, tra cui tre cittadini spagnoli. L'unico manifestante sopravvissuto venne rapito dall'ospedale dove era stato ricoverato e fu poi ritrovato cadavere con chiari segni di tortura. Nel settembre dello stesso anno venne assassinato il docente universitario Roberto Mertins Murúa, che alla televisione spagnola aveva condannato pubblicamente il massacro. In seguito all'accaduto, il governo di Madrid ruppe le relazioni diplomatiche con il Guatemala, riallacciandole solo tre anni dopo. Durante la commemorazione il Premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchú (che quel giorno perse il padre Vicente) ha sottolineato l'impunità di cui ancora godono i responsabili della strage e ha lamentato la "mancanza di volontà" del sistema giudiziario guatemalteco. Su denuncia di Rigoberta, la giustizia spagnola aveva avviato un processo penale per genocidio nei confronti degli alti comandi militari dell'epoca, tra cui Benedicto Lucas García (il fratello Romeo è morto nel 2006) e gli ex dittatori Oscar Mejía Víctores ed Efraín Ríos Montt. Ma nel 2007 la Corte de Constitucionalidad, massimo tribunale guatemalteco, ha respinto con motivazioni pretestuose il mandato di cattura internazionale emesso dai giudici spagnoli. 1/2/2010 |
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Haiti, ladri di bambini in azione La polizia di frontiera ha arrestato dieci membri dell'organizzazione battista statunitense New Life Children’s Refuge che, a bordo di un autobus, tentavano di portare nella Repubblica Dominicana 33 piccoli haitiani (dai sette mesi ai 14 anni). Un vero e proprio rapimento: i bambini, sprovvisti di documenti, non erano orfani e i genitori li stavano cercando disperatamente. Laura Silsby, una delle responsabili dell'organizzazione, ha cercato di giustificare l'accaduto con la situazione caotica del governo haitiano, di fronte alla quale "volevamo fare semplicemente quello che ci sembrava giusto". E agli occhi di questi fondamentalisti era meglio far crescere i bimbi in un sano ambiente cristiano che lasciarli alle famiglie d'origine (magari di religione vudù). L'episodio ha rivelato un aspetto poco noto del dopo terremoto: Haiti trasformata in terra di missione. In seguito alla tragedia, scrive Kim Sengupta sul giornale inglese The Independent, sono arrivate le più svariate confessioni religiose: cristiani, ebrei, musulmani, perfino sikh, a portare aiuto, ma soprattutto a fare proseliti. Non poteva mancare Scientology, rappresentata dall'attore John Travolta atterrato con il suo jet privato. Un gruppo evangelico ha inviato ai terremotati 600 Bibbie elettroniche a energia solare e un altro ha raccomandato la purificazione attraverso il digiuno (come se gli haitiani non digiunassero già abbastanza). Del resto il telepredicatore statunitense Pat Robertson, all'indomani del sisma, aveva parlato di punizione divina contro gli abitanti, colpevoli di aver stretto un patto con il diavolo due secoli fa per ottenere la liberazione dai francesi. I dieci cittadini statunitensi detenuti saranno rinviati a giudizio per "traffico di bambini, sequestro di minori e associazione a delinquere". Non è ancora chiaro se verranno processati ad Haiti o in patria; comunque le autorità consolari statunitensi si sono affrettate a fornir loro ogni assistenza legale. Il fenomeno della tratta di minori, già esistente prima del terremoto, si è intensificato in seguito: l'Unicef ha denunciato il 22 gennaio la scomparsa di quindici bambini dagli ospedali, avanzando il sospetto che siano stati portati all'estero. 1/2/2010 |
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El Salvador, la prudenza di Mauricio Funes "Come titolare dell'organo esecutivo della nazione e a nome dello Stato salvadoregno" il presidente Mauricio Funes ha chiesto perdono, in occasione del 18° anniversario degli accordi di pace, per "le gravi violazioni ai diritti umani e gli abusi di potere" realizzati dalle forze armate. Un'iniziativa applaudita dalle organizzazioni per i diritti umani, per le quali rappresenta un segnale di cambiamento che restituisce dignità a quanti soffrirono la violenza dell'esercito. Critici naturalmente alcuni funzionari dei passati governi di Arena. Qualche ora prima, il vicepresidente della Repubblica e ministro dell'Istruzione, Salvador Sánchez Cerén, aveva fatto una dichiarazione simile a nome della guerriglia: "A tutto il popolo salvadoregno, pregiudicato dalle nostre azioni militari, Il Fmln chiede perdono". Se con la sua richiesta di perdono a nome dello Stato il presidente Funes ha voluto imprimere una svolta per quanto riguarda il passato, per il futuro la sua linea politica si muove all'insegna della continuità. Il golpe nel vicino Honduras sembra averlo reso assai prudente, allontanandolo dalle posizioni del suo partito, il Fmln. Recentemente Funes ha chiarito senza mezzi termini che il suo governo "non farà un solo passo verso l'adesione all'Alba e al Socialismo del XXI secolo", ha difeso "l'alleanza strategica" con gli Stati Uniti e ha detto di non condividere l'appoggio del Farabundo Martí all'iniziativa venezuelana per una V Internazionale Socialista. Nessuna alternativa, dunque, ma il tentativo di non scontentare i potenti di sempre per non fare la fine di Zelaya. 28/1/2010 |
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Honduras, Zelaya parte per l'esilio Il 27 gennaio costituisce uno spartiacque per la politica honduregna. Con l'assunzione al potere di Porfirio Lobo, eletto nelle consultazioni promosse dalla dittatura, e la partenza per l'esilio di Manuel Zelaya, la destra pone una pesante ipoteca sulla democrazia dell'intera regione. E gli Stati Uniti di Obama possono festeggiare la vittoria dei colpi di Stato soft, con istituzioni come il Congresso e la Corte Suprema chiamate a dare una parvenza di democrazia. Quanto ai protagonisti del golpe, i vertici militari sono stati prosciolti dalle lievi accuse di abuso di autorità ed espulsione illegale del presidente Zelaya e a Micheletti sono stati riservati riconoscimenti ufficiali: nominato parlamentare a vita dal Congresso e dichiarato "primo eroe nazionale del XXI secolo" dall'Asociación Nacional de Industriales. L'Honduras resta legato al carro Usa, garantendo al colosso del Nord non solo il mantenimento della base militare di Soto Cano, ma il controllo sulle risorse petrolifere che quasi certamente abbondano nella zona caraibica. Le prime prospezioni erano state realizzate durante la gestione di Zelaya in base a un accordo sottoscritto con il Venezuela, accordo per cui l'opposizione aveva accusato il presidente di voler regalare il petrolio a Chávez. Il 27 gennaio a mezzogiorno Porfirio Lobo ha giurato nello stadio nazionale di Tegucigalpa, tra ingenti forze militari e di polizia. Nonostante la sua contestata elezione, alla cerimonia erano presenti tre capi di Stato (il panamense Martinelli, il taiwanese Ma Ying-jeou e il dominicano Fernández), il vicepresidente colombiano Francisco Santos, il sottosegretario di Stato Usa per l'Emisfero Occidentale Arturo Valenzuela, rappresentanti di El Salvador, Guatemala, Perù, Spagna, Unione Europea, Vaticano, Israele e Canada. Il neopresidente ha subito annunciato il suo primo provvedimento: la promulgazione dell'amnistia generale approvata la sera prima dal Congresso. Poi si è recato all'ambasciata brasiliana per scortare fino all'aeroporto Manuel Zelaya: il deposto presidente ha potuto così lasciare il suo rifugio nella sede diplomatica per raggiungere la Repubblica Dominicana. Prima di partire Zelaya ha inutilmente tentato di salutare i suoi sostenitori, che a decine di migliaia si accalcavano dietro le recinzioni intorno alla pista di decollo. L'assunzione di Lobo non significa la fine della resistenza, ma solo l'inizio di una nuova stagione di lotte. Lo ha chiarito il dirigente del Frente, Juan Barahona: "Oggi ha ricevuto il mandato presidenziale un altro golpista. La Resistenza non ha riconosciuto le elezioni e non riconoscerà questo governo. Per questo continueremo la battaglia, anche se sappiamo che il partito politico giunto al potere con Porfirio Lobo è di quelli che esercitano maggiore repressione. La politica di questo governo sarà una continuazione della dittatura. Imporranno misure neoliberiste e per questo dovranno reprimere il popolo". 27/1/2010 |
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Venezuela, in piazza pro e contro Rctv Giorni di tensione in Venezuela dopo la decisione del governo di oscurare, a partire dalla mezzanotte del 23 gennaio, Rctv (Radio Caracas Televisión Internacional) e altri cinque canali via cavo, accusati di aver violato la Ley de Responsabilidad Social en Radio y Televisión che impone alle reti nazionali la trasmissione delle comunicazioni ufficiali (compresi i discorsi del presidente Chávez). Contro il provvedimento la Mesa de la Unidad Democrática, che raccoglie undici partiti d'opposizione, ha emesso un duro comunicato di protesta. La questione si è presto spostata nelle piazze dove proprio il 23, anniversario della caduta del dittatore Marcos Pérez Jiménez, si erano già misurate le forze di chavisti e antichavisti: da una parte una marea di camicie rosse, dall'altra una moltitudine multicolore di oppositori. Durante le manifestazioni a favore e contro la chiusura di Rctv si sono registrati incidenti e scontri in tutto il paese, con il tragico bilancio di due morti (due studenti filogovernativi raggiunti da colpi d'arma da fuoco) e una trentina di feriti. In seguito la Comisión Nacional de Telecomunicaciones ha ritirato il provvedimento contro TV Chile e due televisioni del gruppo messicano Televisa, perché i canali internazionali non sono tenuti all'osservanza della Ley de Responsabilidad Social. Per quanto riguarda invece Rctv, ci si chiede perché i suoi dirigenti abbiano deciso di sfidare il governo andando incontro a una sicura sanzione. C'è chi ritiene che la proprietà cercasse proprio un provvedimento di chiusura, per giustificare il ricorso a massicci licenziamenti del personale. Intanto il presidente Chávez ha nominato il ministro dell'Agricoltura, Elías Jaua, nuovo vicepresidente della Repubblica in sostituzione di Ramón Carrizález, dimessosi per ragioni personali. Dopo la rinuncia agli incarichi di governo di Carrizález e della moglie, Yubirí Ortega, i dicasteri della Difesa e dell'Ambiente sono stati assegnati rispettivamente al generale Carlos Mata Figueroa e al presidente di Hidroven, Alejandro Hitcher. SVALUTAZIONE E RISPARMIO ENERGETICO. L'11 gennaio il valore del bolívar è passato da 2,15 unità per dollaro a 2,60 per i prodotti di prima necessità, le rimesse e le importazioni del settore pubblico, a 4,30 per tutti gli altri beni. Il deprezzamento della moneta nazionale porterà a un potenziamento dell'economia e della produttività, ha affermato il presidente Chávez: "Stiamo vendendo i dollari a prezzi molto bassi da parecchio tempo e questo fa sì che parecchi settori dell'economica nazionale preferiscano importare perché gli costa pochissimo, piuttosto che aumentare gli sforzi per produrre in Venezuela". Nei giorni successivi al decreto si sono registrati numerosi interventi contro negozianti che, approfittando della svalutazione, avevano speculato sui prezzi: a decine di negozi e supermercati è stata imposta la chiusura. Non si sono salvate neppure le due grandi catene commerciali Cada ed Exito (quest'ultima a capitale franco-colombiano), per le quali è stata annunciata l'espropriazione. Alla svalutazione del bolívar ha fatto seguito la decisione del governo di aumentare il salario minimo del 10% in marzo e di un altro 15% in settembre. Lo ha annunciato il presidente Chávez il 16 gennaio con un lungo discorso all'Assemblea Nazionale, nel quale ha parlato anche delle difficoltà suscitate nella capitale dal piano di razionamento energetico. A Caracas l'entrata in vigore del decreto che sospendeva per quattro ore al giorno l'energia elettrica aveva provocato un caos generalizzato, costringendo il governo a tornare sui suoi passi e a sostituire il ministro dell'Energia, Angel Rodríguez, con il titolare delle Finanze, Alí Rodríguez. Quest'ultimo ha comunque ribadito che il piano di risparmio energetico deve continuare, per evitare un "disastro nazionale". 27/1/2010 |
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Bolivia, nasce lo Stato plurinazionale Dieci donne (tra cui tre indigene) e dieci uomini. Questa la composizione del nuovo governo presentato da Evo Morales il 23 gennaio nel Palacio Quemado di La Paz. Tra i ministri confermati nell'incarico David Choquehuanca agli Esteri, Luis Arce all'Economia e Finanze, Carlos Romero alle Autonomie. Morales si è preoccupato di far fronte ad alcune critiche nei confronti della neoministra del Lavoro, la giovane Carmen Trujillo, considerata ancora inesperta dai vertici sindacali: "È molto difficile scegliere il miglior compagno o la migliore compagna combinando coscienza sociale e capacità intellettuale - ha affermato - ma in genere non mi sbaglio". Il 21 gennaio Evo Morales aveva ricevuto per la seconda volta i bastones de mando dei popoli indigeni nel corso di una solenne cerimonia a Tiwanaku. Aveva presentato offerte e ringraziato la Pachamama, la Madre Terra; aveva chiesto benessere economico e unità per il paese e saggezza nel prendere decisioni. Parlando in aymara, quechua e spagnolo davanti a 30.000 persone, aveva affermato: "Oggi ho l'orgoglio di annunciarvi che i tempi della Bolivia mendicante e senza dignità sono terminati" e aveva poi dichiarato la morte dello Stato coloniale e la nascita di uno Stato plurinazionale. E proprio la fascia presidenziale dell'Estado Plurinacional de Bolivia, che unisce i colori dello stendardo nazionale con quelli della wiphala (anch'essa riconosciuta come bandiera nazionale), era stata consegnata a Morales nel corso dell'insediamento ufficiale di fronte ai membri della nuova Asamblea Legislativa Plurinacional. Erano presenti tra gli altri la presidente cilena Michelle Bachelet, l'ecuadoriano Rafael Correa, il venezuelano Hugo Chávez, il paraguayano Fernando Lugo. In rappresentanza di Obama era giunta la ministra del Lavoro statunitense Hilda Solís, con un messaggio conciliante che poneva in secondo piano le tensioni tra i due paesi: "Vogliamo costruire legami più forti come nazioni indipendenti, sotto il principio del rispetto e della ricerca di un mondo più giusto, democratico e pacifico". 23/1/2010 |
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Paraguay, libero l'allevatore; in carcere dirigenti contadini Il gruppo armato Ejército del Pueblo Paraguayo (Epp) ha liberato il 18 gennaio l'allevatore Fidel Zavala, sequestrato oltre tre mesi prima, abbandonandolo nei pressi del dipartimento di Concepción. Per il rilascio è stato pagato un riscatto di 550.000 dollari; inoltre la settimana precedente i familiari avevano dovuto distribuire 12.000 chili di carne alla popolazione di un quartiere popolare della capitale e delle comunità indigene di Redención e Boquerón. Dopo la liberazione di Zavala, il presidente Lugo ha annunciato il rafforzamento dei contingenti militari e di polizia incaricati della caccia ai rapitori. Ma questo non è bastato all'opposizione, che accusa il governo di debolezza e addirittura di complicità con la guerriglia (l'esponente del Partido Colorado Luis Schupp è giunto ad affermare che parte del riscatto "è finita in mano a Lugo"). L'attività delle forze di sicurezza ha già portato in carcere nove persone, tra cui Sindulfo Agüero, dirigente dell'Organización Campesina del Norte, altri militanti dell'organizzazione contadina e la funzionaria del Ministero dell'Agricoltura, Sonia Muñoz. L'avvocato Juan Martens, della Coordinadora de Derechos Humanos del Paraguay, ha definito arbitrari gli arresti: si teme che il pretesto della lotta ai guerriglieri nasconda il tentativo di reprimere la battaglia contro il latifondo. Proprio un anno fa nel dipartimento di Concepción era stato assassinato Martín Ocampos Páez, direttore della radio comunitaria Hugua Ñandu FM, che denunciava gli abusi delle autorità di polizia al soldo dei grandi allevatori e dei narcos. Il delitto è rimasto impunito. 21/1/2010 |
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Haiti, la "solidarietà armata" di Washington La discesa dagli elicotteri il 19 gennaio di decine di marines, mitragliatrici in pugno, di fronte al Palazzo Nazionale di Port-au-Prince rimarrà, nella cronaca drammatica del dopo terremoto, come l'immagine più emblematica della "solidarietà armata" di Washington. Invece di medici, infermieri, squadre di soccorso, il governo statunitense ha inviato soldati, più adatti a far fronte a rivolte e saccheggi che ad assistere una popolazione stremata e da giorni senza acqua né cibo. Nella zona colpita continua senza sosta l'opera eroica dei volontari di tantissime nazioni, che scavano tra le macerie, distribuiscono generi di prima necessità, operano e medicano feriti. Ma spesso le organizzazioni umanitarie si devono scontrare con le autorità militari Usa, che fin dai primi giorni occupano l'aeroporto: più di un aereo con a bordo ospedali da campo e medicine è stato costretto ad atterrare nella Repubblica Dominicana (da dove è molto difficile raggiungere il territorio haitiano), per lasciare pista libera all'arrivo delle truppe o alla visita della segretaria di Stato Hillary Clinton. A volte si è sfiorato l'incidente diplomatico: il ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorim ha protestato con il Dipartimento di Stato per i ritardi nei soccorsi provocati dalla gestione dell'aeroporto. Denunce in tal senso sono venute da Médecins Sans Frontières e dalla ong Konbit pou Ayiti. E il ministro francese alla Cooperazione, Alain Joyandet, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di definire il ruolo statunitense, dichiarando senza mezzi termini: "Si tratta di aiutare Haiti, non di occuparla". Di "occupazione militare" ha parlato il presidente boliviano Evo Morales, mentre il venezuelano Hugo Chávez ha affermato che "l'impero" sta prendendo possesso del paese "sui cadaveri e le lacrime del suo popolo". Ad aumentare la preoccupazione sui risvolti dell'intervento nordamericano, la decisione di Obama di affidare ai suoi predecessori Bush e Clinton la guida della raccolta di fondi a favore della ricostruzione, una missione il cui successo sarà misurato "non in giorni e settimane, ma mesi e anni". Per non lasciar adito a dubbi, il 21 gennaio l'ambasciatore Usa presso l'Onu, Alejandro Wolff, ha precisato che gli Stati Uniti manterranno le loro truppe nel paese "a lungo termine" e ha annunciato l'invio di altri 4.000 soldati, che si aggiungeranno agli 11.000 già presenti sul posto. 21/1/2010 |
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Cile, la destra conquista La Moneda Frei non ce l'ha fatta. Nonostante l'eccezionale rimonta registrata negli ultimi giorni, il candidato della Concertación por la Democracia si è fermato a poco più del 48% dei voti. Per la prima volta dopo Pinochet la destra conquista dunque La Moneda. In campagna elettorale Sebastián Piñera aveva cercato di presentare un'immagine di destra moderna, progressista in materia sociale e favorevole ai matrimoni gay. Ma nell'Alianza por el Cambio che lo ha portato alla vittoria c'è anche l'Unión Demócrata Independiente, formata da nostalgici della dittatura e dai settori più reazionari della Chiesa cattolica. E tra gli stessi collaboratori del presidente eletto molti sono i personaggi compromessi con il passato regime. Il "Berlusconi cileno" arriva al potere con un enorme conflitto d'interessi, che dovrà ora risolvere in ossequio alla recente riforma costituzionale su Transparencia, Modernización del Estado y Calidad de la Política. "Dobbiamo impedire qualsiasi tentativo di approfittare di una carica di autorità per beneficiare i propri interessi", aveva avvertito Michelle Bachelet promulgando la legge lo scorso dicembre. A portare al trionfo Piñera è stata soprattutto la crisi della coalizione di centrosinistra, che si era presentata divisa all'appuntamento del 13 dicembre. Al ballottaggio non è bastato a salvare Frei l'appoggio di Jorge Arrate e quello - tardivo e non troppo convinto - di Marco Enríquez-Ominami, i due candidati sconfitti al primo turno. A negare il proprio consenso è stato soprattutto l'elettorato di sinistra, che non si riconosce più nella politica, troppo moderata e prudente, della Concertación. Il centrosinistra ha avuto un ruolo fondamentale nella fase della transizione democratica, ma non è riuscito a spazzare via l'eredità di Pinochet. Non è stato riformato il sistema fiscale, che pesa in modo assai ridotto sulla rendita mentre colpisce i prodotti al consumo (compresi quelli di base come latte e pane). Non è stato scalfito lo strapotere delle grandi corporazioni, la legislazione del lavoro è tutta a favore degli imprenditori e il tasso di sindacalizzazione è tra i più bassi della regione. Il modello economico fondato sulle esportazioni si è rafforzato con i trattati di libero commercio firmati con una ventina di paesi, primi tra tutti Stati Uniti e Cina. E se le politiche sociali hanno ridotto in modo significativo la povertà, passata dal 42% del 1989 (quando ancora era al potere il dittatore) al 13,2% di oggi, la forbice tra ricchi e poveri fa del Cile uno dei paesi più disuguali del Sud America. Sul piano politico e su quello dei diritti civili, qualcosa è cambiato nei vent'anni di centrosinistra: è stata avviata una democratizzazione della giustizia, sono stati eliminati i senatori a vita creati da Pinochet, le forze armate sono tornate sotto controllo presidenziale, è stata eliminata la censura, è cambiata (anche grazie alle lotte studentesche) la legge sulla scuola, è stato approvato il divorzio e - proprio in questi giorni - la presidente Bachelet ha promulgato il provvedimento che garantisce la distribuzione della pillola del giorno dopo. Non è stato però intaccato il sistema elettorale binominale, che limita la rappresentanza parlamentare delle minoranze (solo nel prossimo Congresso saranno presenti per la prima volta tre deputati comunisti). E la stessa Concertación ha fatto ricorso alla Ley Antiterrorista del regime militare contro le rivendicazioni del movimento mapuche. L'11 gennaio, meno di una settimana prima del voto che ha riportato la destra alla guida del paese, Michelle Bachelet aveva inaugurato a Santiago il Museo de la Memoria: uno spazio dedicato ai documenti e alle testimonianze del periodo di Pinochet. "Che le nuove generazioni assimilino le lezioni della nostra storia e contribuiscano a sostenere l'impegno morale di impedire che la società cilena commetta gli stessi errori e gli stessi orrori", era stato l'auspicio della presidente. Nel corso della cerimonia il discorso di Michelle Bachelet era stato interrotto dalla sorella di Matías Catrileo, il giovane mapuche ucciso nel gennaio 2008 in uno scontro con i carabineros. Dopo averla lasciata parlare, l'oratrice ha risposto: "Comprendiamo il suo dolore, ma in democrazia si fa giustizia e si farà giustizia, questo è ciò che possiamo assicurarle. Giustizia che non abbiamo mai avuto in quegli anni". INDIGENI ESIBITI COME BESTIE DA FIERA. Il 12 gennaio la presidente Bachelet ha reso omaggio, all'aeroporto di Santiago, ai resti di cinque degli undici indigeni kawesqar che nel 1881 furono portati con la forza in Europa per essere esibiti come bestie da fiera. A Parigi, Berlino, Zurigo, la gente pagava un biglietto per poter ammirare quegli strani esseri provenienti "dalla fine del mondo". "Nel riceverli oggi il governo del Cile ha voluto rendere pubblico, a nome della nazione, un chiaro mea culpa per la complicità delle autorità dell'epoca con queste spedizioni infraumane, o quantomeno per la noncuranza di fronte a tali abusi - ha detto Michelle Bachelet - Non si è trattato solo di un atteggiamento razzista verso i nostri popoli originari, ma di un'offesa alla dignità umana, di un'atrocità che non vogliamo ripetere mai più nella nostra storia". Le spoglie verranno trasportate a Punta Arenas per poi essere seppellite in un'isola dello Stretto di Magellano. 18/1/2010 |
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Guatemala, fu Rosenberg a pianificare il suo omicidio Sembra finalmente chiarito il caso dell'avvocato Rodrigo Rosenberg, ucciso nel maggio del 2008 dopo aver girato un video in cui incolpava della sua morte il presidente Colom. "Se in questo momento state ascoltando o vedendo questo messaggio è perché io sono stato assassinato dal signor presidente Alvaro Colom, con l'aiuto di Gustavo Alejos e del signor Gregorio Valdez": la diffusione del filmato, che iniziava con queste parole, provocò un vero e proprio terremoto politico e manifestazioni popolari pro e contro il capo dello Stato. L'indagine condotta dalla Comisión Internacional contra la impunidad en Guatemala rivela ora una realtà sconcertante: fu lo stesso Rosenberg a pianificare il suo omicidio. Prese contatto con alcuni killer attraverso i due imprenditori Francisco e José Estuardo Valdés Paiz; fece acquistare i telefoni cellulari con cui comunicare con gli autori materiali del crimine e li pagò attraverso un trasferimento bancario effettuato da Panama. Secondo gli inquirenti, con il suo "suicidio" Rosenberg voleva attirare l'attenzione sull'uccisione, avvenuta il mese prima, della sua amante Marjorie Musa e del padre di questa, Khalil: un delitto tuttora senza colpevoli. L'inchiesta non spiega però il motivo per cui l'avvocato chiamò in causa Alvaro Colom: l'unica ipotesi è che ritenesse il presidente responsabile della morte di Khalil e di sua figlia e intendesse punirlo con il suo gesto. 14/1/2010 |
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Haiti, una catastrofe di immani proporzioni Una catastrofe di immani proporzioni. Il terremoto di 7,3 gradi della scala Richter che il pomeriggio del 12 gennaio ha devastato il più povero paese del continente ha colpito con forza Port-au-Prince, Pétionville, Carrefour e altri centri. Nella capitale sono crollati l'edificio che ospitava le forze dell'Onu, la Cattedrale, il Palazzo Nazionale; lo stesso presidente Préval si è salvato per puro caso. Le vittime sono decine, forse centinaia di migliaia. Per ore i superstiti hanno scavato con le mani alla ricerca dei familiari rimasti sotto le macerie. Migliaia di persone, abbandonate a sé stesse, dormono nelle strade perché senza più una casa; manca la luce e l'acqua e le comunicazioni sono interrotte: solo attraverso Internet passano le disperate ricerche dei dispersi. Alcuni ospedali sono crollati travolgendo medici, infermieri, pazienti; quelli ancora in piedi sono pieni fino all'inverosimile. Il caos rende più difficoltoso anche lo smistamento degli aiuti internazionali che stanno giungendo dagli altri paesi dell'America Latina, dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea. Tra i primi a prestare soccorso, poche ore dopo il sisma, i venezuelani e i cubani: questi ultimi avevano già una missione sanitaria sul posto, che è stata poi raggiunta da un nuovo contingente di medici. Polemiche ha suscitato invece la decisione della Repubblica Dominicana di chiudere le frontiere per evitare l'ondata di profughi. 14/1/2010 |
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Gli Usa includono Cuba tra i "patrocinatori del terrorismo" L'inclusione di Cuba nella lista dei "patrocinatori del terrorismo", compilata dagli Usa dopo il fallito attentato di Natale al volo Amsterdam-Detroit, rappresenta l'amara conferma che la politica estera di Washington non è cambiata con Obama. Il Ministero degli Esteri dell'Avana, in una nota di protesta, ha chiesto a Washington l'immediata cancellazione dell'isola dalla lista nera e ha ricordato di aver proposto a più riprese, anche nel luglio scorso, l'inserimento della cooperazione contro il terrorismo in un'agenda bilaterale, senza ottenere alcuna risposta. Secondo il Dipartimento di Stato Usa, l'isola è stata inclusa nell'elenco per l'appoggio fornito a una serie di "gruppi radicali": le Farc, l'Eln, l'Eta. Un argomento pretestuoso: come ricorda il comunicato del Ministero, Cuba ha accolto membri delle Farc e dell'Eln nell'ambito della sua opera di mediazione tra la guerriglia e diversi governi colombiani; quanto ai membri dell'Eta, la loro presenza si deve a una specifica richiesta del governo spagnolo degli anni Ottanta. Sono invece gli Stati Uniti a ospitare sul loro territorio veri e propri terroristi, a cominciare dall'anticastrista Posada Carriles, responsabile dell'esplosione di un aereo della Cubana de Aviación (73 morti) e di diversi attentati all'Avana, tra cui quello che uccise l'italiano Di Celmo. NEL 2009 MODESTA CRESCITA ECONOMICA. L'economia cubana ha registrato nel 2009 una crescita economica dell'1,4%, la più bassa degli ultimi sette anni. Hanno inciso su questo modesto risultato il calo - in seguito alla crisi internazionale - di entrate fondamentali quali il nichel e il turismo, le perdite per 10.000 milioni di dollari provocate dagli uragani e l'embargo Usa. Il bilancio è stato presentato in dicembre dal governo nel corso di una seduta parlamentare presieduta da Raúl Castro. Il ministro dell'Economia, Marino Murillo, ha riconosciuto "una marcata diminuzione nel flusso di entrate in divisa nel 2009, cosa che ha provocato il mancato pagamento di debiti a fornitori e difficoltà ad accedere a fonti di finanziamento". Gli impegni finanziari esistenti determinano una situazione molto tesa, ha aggiunto Murillo: per questo "si sono iniziate trattative tese alla riprogrammazione del debito con alcuni paesi e fornitori al fine di garantire i pagamenti in condizioni più favorevoli". Il ministro ha quindi segnalato la necessità di "dare priorità alla produzione che genera entrate attraverso le esportazioni e ridurre le spese nella sfera sociale". 8/1/2010 |
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Colombia, duro colpo alla "sicurezza democratica" di Uribe Con un comunicato divulgato il 5 gennaio dall'agenzia Anncol, il Bloque Sur delle Farc ha ammesso di aver sequestrato e ucciso il governatore del dipartimento di Caquetá, Luis Francisco Cuéllar. "L'obiettivo della cattura non era quello di giustiziarlo - sostiene la nota - ma di sottoporlo a processo politico per corruzione". Il tragico epilogo, affermano i guerriglieri, si deve alla decisione del presidente Uribe di far ricorso ai militari. Subito dopo il rapimento, avvenuto il 21 dicembre, Uribe aveva dichiarato pubblicamente: "Ho chiesto alle forze armate di fare tutti gli sforzi per salvare il signor governatore di Caquetá e tutti i sequestrati ancora nelle mani di questi banditi". L'opzione militare per il riscatto degli ostaggi è sempre stata contestata dai familiari: più di una volta infatti il tentativo si è risolto, come in questo caso, con la morte del sequestrato. La vicenda Cuéllar rischia inoltre di ripercuotersi negativamente sulle liberazioni unilaterali promesse dalla guerriglia e che avrebbero dovuto concretizzarsi nei prossimi giorni. E i rilasci non saranno certo favoriti dai bombardamenti che l'esercito ha realizzato, all'inizio dell'anno, contro gli accampamenti delle Farc in diverse zone del paese (secondo i militari sarebbero morti 22 guerriglieri, tra cui tre comandanti). Ma il rapimento e l'uccisione di Luis Francisco Cuéllar rappresentano anche un duro colpo alla politica di "sicurezza democratica" di Uribe. Il governatore era stato sequestrato nella sua casa di Florencia, capitale del dipartimento, da un gruppo di uomini in divisa militare che avevano fatto scoppiare un ordigno di fronte all'abitazione, avevano ucciso un agente di scorta e ferito altri due e si erano poi allontanati indisturbati con l'ostaggio. Il giorno seguente il cadavere era stato ritrovato da alcuni contadini in una zona rurale a 15 chilometri dalla città. 5/1/2010 |
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Bolivia, tensione con Lima per la fuga di Reyes Dopo essersi dato alla clandestinità sostenendo di essere un perseguitato politico, Manfred Reyes Villa, avversario di Evo Morales nelle ultime presidenziali, è fuggito all'estero per evitare di rispondere davanti alla giustizia di pesanti accuse di corruzione. Lo ha reso noto il presidente Morales il 31 dicembre. Secondo l'indagine ufficiale, Reyes Villa ha attraversato la frontiera con il Perù per poi imbarcarsi su un aereo diretto negli Stati Uniti. La vicenda ha fatto salire nuovamente la tensione tra La Paz e Lima. Nello stesso giorno in cui Morales denunciava la fuga di Reyes Villa e accusava Perù e Stati Uniti di "accogliere delinquenti" (negli Usa vive da tempo l'ex presidente Sánchez de Lozada, ricercato per genocidio), un tribunale peruviano rifiutava l'estradizione di tre ex ministri del governo Sánchez: Jorge Torres Obleas, Javier Torres Goitia e Mirtha Quevedo, rifugiati a Lima dal maggio scorso. Alle parole del suo omologo boliviano, il presidente Alan García ha risposto affermando che l'attacco di Morales avviene per ordine di Hugo Chávez. 3/1/2010 |
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Perù, condanna confermata per Fujimori Condanna confermata in appello per Alberto Fujimori. L'ex presidente-dittatore dovrà scontare la pena di 25 anni di carcere come mandante dei massacri di Barrios Altos e dell'Università La Cantuta, oltre che di due sequestri, nell'ambito della guerra sucia contro l'opposizione armata. La prima sentenza era stata proclamata il 7 aprile dello scorso anno e aveva segnato un precedente storico: per la prima volta un capo di Stato eletto veniva condannato per violazione dei diritti umani. Durante il dibattimento Fujimori ha respinto tutte le accuse dichiarandosi innocente. Dopo la condanna il suo difensore, César Nakazaki, ha sostenuto che si è trattato di un processo "politico" e che "il potere giudiziario ha una posizione ideologica" contro il fujimorismo. Ben diversa la reazione dei familiari delle vittime, che hanno espresso la loro soddisfazione per la conferma della pena. Quanto al governo, rispetterà la decisione del tribunale: lo ha detto il primo ministro Velásquez Quesquén. "UNA VERSIONE DI PARTE" IL RAPPORTO SU BAGUA. È stato presentato a fine dicembre dal governo di Alan García il rapporto ufficiale sulla violenta repressione del movimento indigeno nella zona di Bagua, che il 5 giugno 2009 provocò la morte di decine di agenti e dimostranti. L'allora ministra dell'Interno, Mercedes Cabanillas, ha sempre negato di aver autorizzato lo sgombero con la forza del blocco stradale realizzato dai manifestanti, scaricando la colpa sui capi della polizia presenti sul posto. Ma un memorandum del 3 giugno citato nel rapporto, indirizzato al generale della Policía Nacional incaricato delle operazioni, dice ben altro: all'alto ufficiale viene ingiunto di aggiornare costantemente sulla situazione il suo comando e la ministra dell'Interno, perché assumano le relative decisioni. E sempre nel rapporto si legge che, la sera del 4, la ministra venne informata dal comando di polizia che lo sgombero era programmato per l'alba del giorno dopo. Nonostante queste evidenze, le conclusioni non stabiliscono la responsabilità diretta di Mercedes Cabanillas: si limitano a indicare, tra le altre cause dell'accaduto, "il mancato coordinamento tra ministri e tra istituzioni dipendenti dall'Alta Direzione dei Ministeri dell'Interno e della Difesa". Il punto maggiormente controverso è però quello che addossa agli indigeni la colpa di aver attaccato gli agenti. Il presidente della commissione d'inchiesta, Jesús Manacés Valverde della comunità awajún, ha dichiarato all'agenzia Ips che il documento non riflette in maniera imparziale le testimonianze e le prove raccolte in 120 giorni di lavoro. "È stata data una versione di parte e si è preferito accettare come verità quanto detto dalle autorità piuttosto che quanto segnalato dagli indigeni", ha affermato Manacés che insieme a un altro membro della commissione, la religiosa María del Carmen Gómez, si è rifiutato di sottoscrivere il rapporto. 3/1/2010 |
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Brasile, ancora lontana la fine dell'impunità Non è ancora giunto per il Brasile il momento di proclamare la fine dell'impunità. La proposta del presidente Lula di creare una Comissão Nacional da Verdade sui crimini della dittatura militare (1964-1985) aveva suscitato in dicembre la sollevazione del ministro della Difesa, Nelson Jobim, e dei vertici delle forze armate, che avevano minacciato le dimissioni. Gli alti comandi avevano chiarito che non avrebbero accettato indagini sui delitti di lesa umanità avvenuti in quegli anni. E questo nonostante il progetto di Lula non prevedesse sanzioni ai responsabili: la Commissione Verità, simile a quella instaurata in Sudafrica al termine dell'apartheid, si sarebbe limitata a "requisire documenti pubblici, ricostruire la storia dei casi di violazione dei diritti umani, localizzare e identificare corpi, chiarire casi di tortura, morte e scomparsa". Il presidente stesso aveva discusso l'argomento con l'alta commissaria per i Diritti Umani dell'Onu, la giurista sudafricana Navanethem Pillay. "Con questo atteggiamento i militari stanno dicendo alla società che rivendicano ancora il colpo di Stato del 1964", aveva commentato Jair Krischke, del Movimento de Justiça e Direitos Humanos. Dopo le proteste, il governo aveva deciso di rinviare ogni decisione al nuovo anno. Il 2 gennaio il segretario nazionale per i Diritti Umani, Paulo Vannuchi, è tornato sul tema affermando che la creazione di una Commissione Verità "va a favore delle forze armate" e che non vi è nella proposta "alcuno spirito di vendetta". Ma non sarà facile superare l'ostilità delle gerarchie militari. 2/1/2010 |
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Argentina, assalto alla Segreteria dei Diritti Umani Due uomini armati hanno fatto irruzione il 30 dicembre nella sede della Segreteria dei Diritti Umani della provincia di Buenos Aires. Hanno legato la titolare, Sara Derotier de Cobacho, e altre sette persone presenti nell'ufficio e hanno rubato documenti relativi alle denunce di abusi commessi dalla polizia provinciale e a crimini di lesa umanità avvenuti durante la dittatura. Hanno prelevato anche un computer, alcuni telefoni cellulari e una somma di denaro, ma gli inquirenti sono convinti che il movente dell'assalto non sia stato il furto: il governatore della provincia, Daniel Scioli, ha parlato di un atto mafioso e intimidatorio. Le indagini hanno già portato all'arresto di un ex agente della polizia di Buenos Aires. Sempre il 30 dicembre, per ordine del magistrato Conrado Bergesio, le abitazioni di Marcela e Felipe, figli adottivi della proprietaria del Grupo Clarín Ernestina Herrera de Noble, sono state perquisite alla ricerca di campioni di Dna. Si sospetta infatti che i due giovani, che erediteranno la guida del potente gruppo mediatico, siano in realtà figli di desaparecidos. La decisione è il culmine di un'annosa contesa giudiziaria che ha visto contrapposte Ernestina Herrera e le Abuelas de Plaza de Mayo. Queste ultime hanno contestato il procedimento deciso dal giudice: Bergesio, dopo aver lasciato "dormire" a lungo la pratica, ha ora disposto il confronto dei campioni prelevati dai due fratelli unicamente con quelli delle due famiglie che hanno avviato la causa, escludendo tutti gli altri familiari di desaparecidos che da decenni sono alla ricerca dei loro nipoti. A USHUAIA IL PRIMO MATRIMONIO GAY. È stato celebrato il 28 dicembre a Ushuaia il primo matrimonio gay dell'America Latina. Alex Freyre e José María Di Bello hanno potuto finalmente sposarsi grazie al deciso intervento della governatrice della provincia di Tierra del Fuego, Fabiana Ríos, che ha autorizzato le nozze riconoscendo per decreto la sentenza della giudice Gabriela Seijas. La cerimonia avrebbe dovuto avvenire a Buenos Aires agli inizi di dicembre, ma era stata bloccata all'ultimo momento da iniziative giudiziarie promosse dall'integralismo cattolico. 1/1/2010 |
Latinoamerica-online.it a cura di Nicoletta Manuzzato |