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El Salvador, ambientalisti nel mirino Dora Alicia Recinos Sorto, 32 anni, è stata assassinata il 26 dicembre nel dipartimento di Cabañas. La militante ambientalista, che era all'ottavo mese di gravidanza, è stata raggiunta dai colpi d'arma da fuoco sparati da ignoti killer; il figlio di tre anni che era con lei è rimasto ferito. Meno di una settimana prima i sicari avevano abbattuto un altro ambientalista, Ramiro Rivera Gómez, che pure era sotto protezione della polizia perché in agosto era stato gravemente ferito in un attentato. E in giugno si era registrato il rapimento di Marcelo Rivera: il suo cadavere era stato ritrovato dodici giorni dopo con evidenti segni di tortura. Tutte e tre le vittime erano impegnate nella lotta contro la riapertura della miniera di El Dorado da parte della Pacific Rim Mining, un'impresa canadese presente nel paese dal 2002. La forte opposizione popolare e le irregolarità riscontrate nello studio di impatto ambientale presentato dalla compagnia avevano convinto il governo a non rinnovare il permesso di sfruttamento minerario. Per tutta risposta la Pacific Rim aveva denunciato lo Stato salvadoregno, chiedendo un indennizzo di cento milioni di dollari. 28/12/2009 |
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Messico, la vendetta dei narcos Un'atroce vendetta. È quella che ha fatto seguito all'uccisione di Arturo Beltrán Leyva detto La Muerte, uno dei trafficanti di droga più ricercati al mondo. Un commando armato ha assassinato il 22 dicembre quattro familiari (la madre, un fratello, una sorella e la zia) di Melquisedec Angulo Córdova, il militare delle forze speciali della marina caduto nell'operazione contro il capo dei narcos. Un'altra sorella, rimasta gravemente ferita, è morta il giorno successivo. Beltrán Leyva, capo del cartello omonimo, era stato sorpreso la sera del 16 dicembre in una lussuosa proprietà a Cuernavaca, capitale dello Stato di Morelos. Per sfuggire alla cattura aveva ingaggiato un conflitto a fuoco con i militari che, a decine, circondavano l'edificio. Nel corso della sparatoria erano morti, oltre a lui, altri sei narcotrafficanti e il giovane Melquisedec. Questa la versione ufficiale. Ma la ricostruzione dei fatti lascia adito a molti dubbi, tanto che il vescovo Raúl Vera López ha parlato apertamente di "esecuzione extragiudiziaria". E John Ackerman scrive, su La Jornada del 28 dicembre: "l'operazione nonvenne realizzata con l'intenzione di arrestare Beltrán Leyva, ma di ucciderlo". Forse si temeva che La Muerte, una volta in carcere, avrebbe potuto fare rivelazioni compromettenti o coinvolgere nomi eccellenti? ESTHER CHAVEZ, UNA VITA CONTRO I FEMINICIDIOS. È morta il 25 dicembre a 73 anni Esther Chávez Cano, pioniera della lotta contro i feminicidios. Fin da quando erano venuti alla luce, nel 1993, i primi casi di donne violentate e assassinate a Ciudad Juárez, Esther Chávez si era assunta il compito di documentare questi crimini, condannando l'inattività delle autorità locali. Le ripetute minacce di morte non erano mai riuscite a intimidirla. Tra le sue iniziative, la fondazione della Casa Amiga Centro de Crisis, che nel corso degli anni ha fornito appoggio a oltre 472.000 donne. Nel 2007 era stato istituito in suo onore il Premio Esther Chávez Cano per il lavoro sociale e l'anno seguente il governo federale le aveva attribuito il Premio Nacional de Derechos Humanos. 28/12/2009 |
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Argentina, la destra ancora all'attacco Il governo Fernández continua a essere oggetto di pesanti attacchi. L'11 dicembre, nella stessa ora in cui iniziava il megaprocesso per crimini di lesa umanità contro gli ex repressori della Esma, qualcuno interferiva nelle comunicazioni dell'elicottero che trasportava Cristina Fernández, vomitando contro di lei insulti e minacce. In novembre si era saputo che la presidente e il marito, Néstor Kirchner, erano stati controllati e spiati dalla polizia di Buenos Aires. In seguito a tale scoperta il capo di governo della città, l'imprenditore di destra Mauricio Macri, era stato costretto a chiedere le dimissioni del responsabile della polizia cittadina, Osvaldo Chamorro (quest'ultimo aveva preso il posto del commissario Jorge Fino Palacios, anch'egli costretto alla rinuncia perché coinvolto nell'occultamento di prove sull'attentato del 1994 all'Amia, l'Asociación Mutual Israelita Argentina). Sul piano internazionale la pubblicazione inglese The Economist, nelle sue previsioni politico-economiche per il 2010, ha predetto una fine anticipata per la presidenza Fernández, dovuta al fatto che "l'opposizione controlla il Congresso e la lealtà all'interno del partito peronista declina". E il sottosegretario di Stato Usa per l'Emisfero Occidentale, Arturo Valenzuela, in visita nel paese, ha parlato dell'influenza negativa che la mancanza di "sicurezza giuridica" in Argentina provoca sugli investimenti statunitensi e ha ricordato con nostalgia la presidenza Menem, quando "c'era molto entusiasmo e interesse nell'investire" (fu il periodo in cui vennero privatizzati i beni statali, svendute le imprese, distrutta l'industria nazionale in ossequio ai dettami del Fondo Monetario Internazionale). Non solo: dopo l'incontro con il capo di gabinetto Aníbal Fernández, Valenzuela - con un gesto dal chiaro significato politico - si è riunito con i tre principali leader dell'opposizione di destra, il vicepresidente Julio Cobos, il miliardario candidato presidenziale Francisco De Narváez e Mauricio Macri. SI DIMETTE ESPONENTE DEL GOVERNO DI BUENOS AIRES. È durato solo dodici giorni come titolare dell'Istruzione nel governo di Buenos Aires. Abel Posse, scrittore ed ex diplomatico di estrema destra scelto da Macri come responsabile dell'educazione, ha dovuto rinunciare di fronte all'ondata di proteste suscitate dalle sue prese di posizione. Si era pronunciato a favore della sanguinosa dittatura militare di Videla e soci, aveva affermato che i giovani "sono drogati e istupiditi dal rock", si era dimostrato oscurantista e antidemocratico. Contro di lui erano insorti insegnanti, studenti, intellettuali, militanti dei diritti umani. A sostituirlo è stato chiamato Esteban Bullrich, altro esponente della destra oltranzista. 23/12/2009 |
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Panama, un corteo ricorda l'invasione Usa Una Marcha Negra di studenti, operai, familiari delle vittime ha commemorato il 20 dicembre il ventesimo anniversario dell'invasione statunitense. L'operazione militare costò la vita a centinaia, forse migliaia di persone, per lo più abitanti del popoloso quartiere di El Chorrillo colpito da pesanti bombardamenti aerei: i superstiti attendono ancora che Washington paghi i danni umani e materiali di quell'azione. Oltre a ricordare il tragico giorno di vent'anni fa, il corteo ha voluto esprimere la protesta contro la decisione dell'attuale governo panamense di autorizzare l'installazione di basi Usa sul territorio nazionale. "No alle basi militari", dicevano infatti gli striscioni e i cartelli dei manifestanti. Ma il vicepresidente Juan Carlos Varela ha già ribadito che la realizzazione delle basi andrà avanti. L'intervento del 1989 aveva lo scopo ufficiale di catturare il generale Manuel Antonio Noriega, accusato di narcotraffico e riciclaggio. In realtà, afferma l'accademico Marco Gandásegui, "lo spiegamento di 26.000 soldati statunitensi all'alba del 20 dicembre 1989 servì da pretesto, all'allora presidente George Bush padre, per sostituire la guerra contro il comunismo con la guerra contro le droghe in America Latina e presentarsi come la prima potenza mondiale, giorni dopo la caduta del Muro di Berlino". Nonostante fosse stato membro della Cia e avesse assunto il potere nel 1983 con l'aiuto statunitense, in seguito Noriega aveva preso sempre più le distanze dalla politica della Casa Bianca. Allo sbarco dei marines seguirono due anni di occupazione: come presidente venne imposto l'imprenditore Guillermo Endara al quale - secondo Washington - era stata sottratta la vittoria elettorale nel maggio 1989. Portato negli Usa, Noriega venne condannato a 40 anni di prigione, pena poi ridotta per buona condotta a 17 (finiti di scontare nel settembre 2007). L'ex generale è comunque ancora in carcere in attesa della decisione della Corte Suprema, davanti alla quale ha presentato domanda perché venga riconosciuta la sua condizione di "prigioniero di guerra". Tale condizione gli consentirebbe di essere rinviato a Panama (ad affrontare altre pendenze giudiziarie), evitando l'estradizione in Francia, dove lo attende un processo per riciclaggio. Ma né il governo di Washington né quello di Panama vedono di buon occhio un suo rientro in patria, nel timore di conseguenze sugli equilibri interni e internazionali. 20/12/2009 |
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Messico, la riforma politica di Calderón Felipe Calderón ha presentato il 15 dicembre un'iniziativa di riforma che cambierebbe radicalmente il sistema politico messicano. Innanzitutto si prevede l'introduzione del ballottaggio per l'elezione del presidente della Repubblica, quando nessuno dei candidati abbia ottenuto al primo turno la maggioranza assoluta. Viene poi rimesso in discussione il divieto di esercitare più mandati consecutivi: la possibilità di concorrere alla stessa carica fino a un massimo di dodici anni verrebbe concessa alle autorità locali e ai parlamentari federali. Il numero dei senatori scenderebbe da 128 a 96; quello dei deputati da 500 a 400. Lo sbarramento per i partiti politici a livello nazionale verrebbe portato dal 2 al 4% e si ammetterebbe la presentazione di candidature indipendenti. "In altre circostanze, alcune di queste iniziative sarebbero risultate pertinenti e persino plausibili, ma la premura e l'estemporaneità con cui si presentano, la decomposizione accusata dal complesso delle istituzioni politiche del paese e la crescente breccia esistente tra la realtà e il discorso ufficiale obbligano a chiedersi se queste riforme permetteranno, una volta approvate dal Legislativo, un maggiore controllo cittadino sulle autorità, come sostiene Calderón, o se sono il risultato di altri calcoli e interessi", commenta La Jornada nel suo editoriale del 16 dicembre. Il quotidiano collega gli inviti di Calderón a una maggiore trasparenza attraverso il ballottaggio nelle presidenziali alle circostanze che segnarono la sua contestata elezione e che ancor oggi gettano ombre sulla legittimità del suo mandato: tali ombre "avrebbero potuto essere cancellate all'interno del quadro legale vigente in una forma più semplice e meno costosa delle elezioni in due turni: con il riconteggio totale dei voti". LEADER COMUNITARIO UCCISO IN CHIAPAS. Il 27 novembre è stato ucciso a Chicomuselo (Stato del Chiapas) Mariano Abarca Roblero, leader della Red Mexicana de Afectados por la Minería. Con altri membri della comunità, Abarca era impegnato nella lotta contro l'estrazione del minerale di barite da parte della transnazionale canadese Blackfire Exploration Ltd (la barite viene utilizzata nella perforazione dei pozzi petroliferi e nell'industria automobilistica). Qualche giorno prima del suo assassinio, Mariano Abarca aveva denunciato di aver ricevuto minacce di morte da due impiegati dell'impresa, ma nessuna misura era stata presa per proteggerlo. 17/12/2009 |
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Attacco di Hillary al governo cubano Il governo di Cuba non è disposto "a fare i cambiamenti che i suoi cittadini meritano. In questi casi dobbiamo esercitare ferma pressione sui dirigenti per porre fine alla repressione e allo stesso tempo appoggiare quanti lavorano per ottenere un cambiamento all'interno della società". Lo ha detto la segretaria di Stato Usa Hillary Clinton nel corso di una conferenza alla Georgetown University. L'attacco ai governi progressisti della regione è continuato con una chiara allusione a Chávez e Morales: "Ci preoccupano i leader che hanno confiscato proprietà, calpestato i diritti e abusato della giustizia per aumentare il loro potere personale". Nei confronti dell'Avana viene dunque ribadita la politica di sempre. Lo stesso Obama aveva manifestato in novembre il suo sostegno ai dissidenti cubani in un modo alquanto insolito: rispondendo alle domande di Yoani Sánchez, nota per il suo blog Generación Y. Recentemente Yoani Sánchez ha denunciato di essere stata sequestrata in pieno giorno e selvaggiamente picchiata da agenti del governo. Una versione che è stata messa in dubbio da più parti: tre giorni dopo, il giornalista della Bbc che l'ha incontrata non ha notato alcun ematoma, fatto confermato anche dalle immagini della Cnn. Ma "al presunto attacco alla blogger cubana è stata dedicata dai mezzi di informazione più attenzione che a un centinaio di omicidi, scomparse e atti di violenza della dittatura honduregna di Roberto Micheletti", afferma Frei Betto in un articolo apparso su Adital (A blogueira Yoani e suas contradições). "Un dettaglio: il portale Generación Y di Yoani Sánchez è altamente sofisticato, con collegamenti a Facebook e Twitter. Riceve 14 milioni di visite al mese ed è disponibile in 18 idiomi! Neppure il Dipartimento di Stato Usa dispone di tanta varietà linguistica. Chi paga i traduttori all'estero? Chi finanzia l'alto costo del flusso di 14 milioni di accessi? Yoani Sánchez ha tutto il diritto di criticare Cuba e il governo del suo paese. Però solo gli ingenui credono che si tratti di una semplice blogger", scrive ancora Betto. ARRESTATO CITTADINO USA. Il Dipartimento di Stato ha confermato la notizia dell'arresto a Cuba, il 5 dicembre, di un cittadino statunitense che - secondo The New York Times - distribuiva cellulari e computer portatili. Sono state intanto ridotte le pene a due dei cinque cubani detenuti negli Stati Uniti per spionaggio. La condanna di Ramón Labañino è stata commutata dall'ergastolo a 30 anni, quella di Fernando González è passata da 19 a 18 anni. In ottobre anche l'ergastolo di Antonio Guerrero era stato commutato in 21 anni e 10 mesi di carcere. 17/12/2009 |
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Dall'Alba una risposta agli Usa I paesi dell'Alba, riuniti all'Avana per il loro VIII Vertice, hanno espresso un'energica condanna "dell'offensiva politica e militare degli Stati Uniti". La dichiarazione finale dell'incontro, conclusosi il 14 dicembre, ha centrato la polemica con Washington sui temi dell'Honduras, della Colombia e dei rapporti con l'Iran. "Il golpe militare in Honduras, perpetrato con l'appoggio degli Stati Uniti, ha avuto l'obiettivo di frenare i passi avanti delle forze progressiste e della giustizia sociale in quel paese e nella regione", afferma il documento, aggiungendo che i membri dell'Alba non riconosceranno validità alle elezioni del 29 novembre. Quanto alle basi statunitensi in Colombia, il vero scopo non è la battaglia contro il narcotraffico e il terrorismo, ma "il controllo delle risorse economiche, il dominio dei mercati e la lotta contro i cambiamenti sociali in corso". Infine l'Iran: nella dichiarazione vengono respinti gli avvertimenti inviati da Hillary Clinton l'11 dicembre ("Quelli che vogliono civettare con l'Iran dovrebbero fare attenzione alle possibili conseguenze per loro. E speriamo che ci pensino due volte"). Hillary aveva citato Venezuela, Bolivia e Nicaragua, che hanno risposto con durezza. Ma le parole della segretaria di Stato Usa non sono piaciute neppure a Brasilia. Netta la dichiarazione del consigliere di Lula, Marco Aurélio Garcia: "Non è stato un messaggio rivolto al Brasile. Se lo è stato, si è trattato di un errore". 15/12/2009 |
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Cile, si va al ballottaggio Sebastián Piñera, il "Berlusconi cileno", ha ottenuto il maggior numero di voti nelle elezioni del 13 dicembre, ma il suo 44% non è stato sufficiente a trasformarlo nel primo presidente di destra del periodo post dittatura. Tutto è dunque rinviato al ballottaggio, che avrà luogo il 17 gennaio: in quella data Piñera dovrà vedersela con il candidato della Concertación Eduardo Frei Ruiz-Tagle, già capo di Stato dal 1994 al 2000, che ha ottenuto il 29,6% dei suffragi. Personaggio sostanzialmente incolore, il democristiano Frei non è riuscito a capitalizzare l'enorme popolarità di Michelle Bachelet. La sua battaglia è stata resa ancora più difficile dal terzo incomodo, il giovane indipendente Marco Enríquez-Ominami, un fuoriuscito dalla Concertación che con il suo 20,1% è stato la rivelazione di questa tornata elettorale. Al quarto posto con il 6,2% il socialista Jorge Arrate, ex ministro di Salvador Allende, sostenuto dal Partido Comunista e da altri gruppi minoritari di sinistra riuniti nella coalizione Juntos Podemos. Arrate aveva già annunciato l'intenzione di sostenere Frei in un eventuale secondo turno, per frenare l'avanzata della destra. Non così Enríquez-Ominami, che per il ballottaggio non ha voluto dare indicazioni di voto, lasciando libero il suo elettorato. Strana posizione per un politico che si proclama progressista: è vero che Frei non ha dato grandi prove nel corso del suo primo mandato e che la Concertación nel suo complesso non ha messo in discussione il modello neoliberista e si è mostrata fin troppo prudente nella transizione. Dall'altra parte c'è però il miliardario Piñera, candidato della Coalición por el Cambio, che non nasconde le sue simpatie per Pinochet e che recentemente ha promesso ad alti ufficiali della dittatura di frenare i processi per violazione dei diritti umani (lui stesso è accusato di aver ammassato la sua fortuna anche grazie ai suoi contatti con il regime militare). Proprietario di un canale tv e di una squadra di calcio, principale azionista della linea aerea Lan Chile, per guadagnarsi il favore popolare Piñera ha garantito la creazione di un milione di posti di lavoro, senza specificare in che modo intenda raggiungere tale obiettivo. Il 13 dicembre gli elettori erano chiamati a votare anche per il rinnovo della Camera e di metà Senato. La Concertación ha ottenuto al Senato una risicata maggioranza, mentre l'ha persa alla Camera (54 seggi contro i 58 della coalizione di destra). Tra le novità, i tre deputati conquistati dal Partido Comunista: era dai tempi di Allende che i comunisti non sedevano in Parlamento. Non è stato eletto invece Rodrigo García Pinochet, nipote del dittatore, che si presentava come indipendente di destra. L'EX PRESIDENTE FREI FU AVVELENATO. Il tema dei diritti umani è tornato tragicamente d'attualità a pochi giorni dalla chiusura della campagna elettorale. Il 7 dicembre, dopo anni di indagini, il giudice Alejandro Madrid ha confermato che la morte nel 1982 di Eduardo Frei Montalva, presidente dal 1964 al 1970 e padre dell'attuale candidato della Concertación, non fu causata da una setticemia seguita a un intervento chirurgico (come affermato dalle fonti ufficiali), ma venne provocata con un lento avvelenamento da agenti di Pinochet. In tal modo il regime riuscì a liberarsi di uno dei leader dell'opposizione. Per quell'omicidio sono state rinviate a giudizio sei persone: tra queste il medico Patricio Silva Garín, colonnello dell'esercito, e l'ex membro della Dina (la polizia politica) Raúl Lillo. Sempre agli inizi di dicembre Santiago ha voluto rendere omaggio al cantautore Víctor Jara, assassinato dai militari subito dopo il golpe. È stata una vera e propria festa popolare, con cantanti di strada, venditori ambulanti, poeti. Centinaia di persone hanno sfidato il caldo torrido per sfilare davanti alla semplice bara con i resti dell'artista, la stessa in cui l'autore di Te recuerdo Amanda e Manifiesto era stato sepolto in clandestinità il 18 settembre 1973. "Dopo 36 anni Víctor Jara può riposare in pace", ha detto commossa la presidente Michelle Bachelet. 15/12/2009 |
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Honduras, decapitato membro del Frente de Resistencia Il corpo decapitato di Santos Corrales García, membro del Frente Nacional de Resistencia, è stato trovato l'11 dicembre in una località a una cinquantina di chilometri dalla capitale. Santos Corrales era stato arrestato sabato 5 a Tegucigalpa da cinque persone vestite con l'uniforme della Dirección Nacional de Investigación Criminal. Il giorno dopo erano stati fermati altri quattro militanti del Frente, due uomini e due donne, portati in celle clandestine e interrogati perché rivelassero dove si trovava Ada Marina Castilla, una commerciante che in questi mesi di lotta ha fornito aiuti alla resistenza. I quattro erano stati poi rilasciati con l'avvertenza di lasciare entro tre giorni il loro quartiere. "Questo orrendo crimine si aggiunge ad altri che sono avvenuti, dove i corpi presentano segni di brutale tortura, come il taglio della lingua e delle orecchie - denuncia un comunicato del Comité para la Defensa de los Derechos Humanos - Questa aggressione di bassa intensità mira alla costruzione della paura collettiva". ZELAYA NON PUO' LASCIARE L'AMBASCIATA. Sono passati ormai due mesi e mezzo da quando Manuel Zelaya ha trovato rifugio nell'ambasciata brasiliana. Venuto meno - a causa del voltafaccia statunitense - il tentativo di costringere i golpisti ad accettare il suo reinsediamento come condizione per il riconoscimento del voto del 29 novembre, Zelaya ha cercato di abbandonare il paese per continuare all'estero la sua battaglia. Ma Micheletti si è rifiutato di firmare il salvacondotto che avrebbe garantito al presidente deposto, ai membri della sua famiglia e al consigliere Rasel Tomé di lasciare la sede diplomatica: in cambio pretendeva la rinuncia formale di Zelaya alla presidenza (in pratica il riconoscimento del golpe). "È stato un ricatto", ha spiegato Tomé. La decisione di espatriare era stata presa di fronte all'impossibilità di proseguire qualsiasi negoziato in un'ambasciata posta sotto assedio dalle forze di sicurezza. In un primo momento Zelaya aveva pensato di partire per Città del Messico, poi aveva optato per Santo Domingo. Qui il 14 dicembre avrebbe dovuto incontrare il vincitore delle contestate elezioni di novembre, Porfirio Lobo. La riunione è stata sospesa, ha annunciato la presidenza della Repubblica Dominicana: un'altra possibilità di dialogo impedita dall'intransigenza del governo golpista. Mentre Zelaya resta prigioniero a Tegucigalpa, il continente si divide sulla situazione honduregna. L'8 dicembre si è riunito a Montevideo il vertice del Mercosur, che ha condannato il colpo di Stato e manifestato "totale e pieno disconoscimento delle consultazioni" del 29 novembre, realizzate "in un ambiente di incostituzionalità, illegittimità e illegalità". Il comunicato è stato sottoscritto solo dai cinque presidenti presenti (Lugo, Chávez, Tabaré Vázquez, Cristina Fernández, Lula), di fronte alle divergenze di alcune delegazioni dei paesi associati. In particolare, secondo il vicepresidente colombiano Francisco Santos "non possiamo isolare un popolo alla solitudine eterna per un problema che ha avuto in un determinato momento". E per la ministra degli Esteri messicana, Patricia Espinosa, "le recenti elezioni sono una condizione necessaria, ma non sufficiente" (la stessa posizione di Washington) e dunque va aperto "uno spazio di dialogo". 13/12/2009 |
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Bolivia, Morales riconfermato al primo turno Le consultazioni del 6 dicembre, le prime realizzate nel quadro della nuova Costituzione, hanno sancito la rielezione di Evo Morales al primo turno con quasi il 63% dei voti e hanno garantito al Mas la maggioranza di seggi nella futura Asamblea Legislativa Plurinacional. Un risultato che garantisce l'approfondimento dei cambiamenti in corso nel paese, come ha ribadito lo stesso Morales davanti alla folla di sostenitori che in Plaza Murillo, a La Paz, celebravano il trionfo: "Più di due terzi del Congresso mi impongono di accelerare questo processo rivoluzionario". L'elemento più rilevante del 6 dicembre è che la percentuale di suffragi a favore di Morales è maggiore di quella della popolazione indigena: la proposta politica dell'attuale governo ha superato dunque le frontiere etniche per raggiungere un più ampio elettorato. A ciò hanno contribuito sicuramente i programmi sociali messi in atto in questi anni: il Bono Juancito Pinto, un sussidio per promuovere la scolarizzazione che ha beneficiato oltre un milione di bambini; la Renta Dignidad per gli ultrasessantenni che non hanno altra fonte di reddito; il Bono Juana Azurduy per le donne incinte. Senza dimenticare la vittoria sull'analfabetismo (come ha riconosciuto l'Unesco nel dicembre 2008); la creazione, grazie anche all'appoggio di Cuba e del Venezuela, di ospedali e ambulatori per la popolazione priva di assistenza medica; i notevoli passi avanti nella riforma agraria; la costruzione di nuove infrastrutture. Il tutto reso possibile dal recupero delle ricchezze nazionali e dagli aiuti di Caracas nel quadro dell'Alba: per la prima volta nella sua storia la Bolivia può oggi contare su riserve stimate intorno ai 10.000 milioni di dollari. L'opposizione, divisa e incapace di proporre una valida alternativa, è uscita pesantemente sconfitta dalle urne: Manfred Reyes Villa, l'ex militare candidato per il raggruppamento Plan Progreso Bolivia-Convergencia Nacional si è fermato al 27,7%; l'imprenditore Samuel Doria Medina (Unidad Nacional) a meno del 6% (i dati, forniti dalla Corte Nacional Electoral il 10 dicembre, si riferiscono allo scrutinio dell'82,4% delle schede). Pur non avendo sfondato in tutti i dipartimenti, il Mas ha registrato progressi significativi anche nella cosiddetta Media Luna, tradizionale feudo della destra. Da notare che Reyes Villa aveva candidato a suo vice Leopoldo Fernández, l'ex prefetto del dipartimento di Pando attualmente in carcere per il massacro di indigeni del settembre 2008. I sostenitori di Evo hanno avuto buon gioco ad attaccare Fernández, che cercava di farsi eleggere per uscire dalla galera, e Reyes, che sperava invece di evitarla (deve rispondere di accuse di corruzione). Tra le prossime sfide del suo nuovo mandato, Morales dovrà affrontare le conseguenze della crisi economica: calo generale delle esportazioni e in particolare del gas, sulle cui entrate si regge gran parte della spesa pubblica. E dovrà farlo cercando di mantenere la promessa di combattere la povertà e industrializzare il paese. Per quest'ultimo obiettivo si punta molto sulle riserve di litio, il materiale usato per le batterie dei cellulari e delle future auto elettriche. Molte sono le imprese interessate a investire nel settore (Toyota, Mitsubishi, Sumitomo, Korex) e il governo di La Paz intende concedere lo sfruttamento a due condizioni: l'uso della formula sviluppata da ricercatori boliviani per ottenere il carbonato di litio e la produzione in loco. 10/12/2009 |
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Benedetto XVI attacca la Teologia della Liberazione Pesante attacco di Benedetto XVI alla Teologia della Liberazione. Ricevendo il 5 dicembre in Vaticano un gruppo di vescovi brasiliani, il pontefice ha denunciato il rischio di quella che ha definito "assunzione acritica di tesi e metodologie provenienti dal marxismo". "Le sue conseguenze più o meno visibili - ha aggiunto - fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia si fanno ancora sentire, creando nelle vostre comunità diocesane una grande sofferenza e una grave perdita di forze vive". Ha poi invitato quanti si sentano attratti "da certi principi ingannevoli della Teologia della Liberazione" a rileggersi il documento Libertatis Nuntius, elaborato 25 anni fa proprio dal cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. 6/12/2009 |
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Guatemala, le prove di un genocidio La fase peggiore del genocidio della popolazione indigena guatemalteca avvenne su ordine del governo militare di Efraín Ríos Montt. Lo prova la documentazione divulgata il 2 dicembre dalla ong statunitense National Security Archive. Gli archivi dell'Operación Sofía contengono documenti segreti sulla campagna di controinsurrezione che portò al massacro di migliaia di civili disarmati, alla distruzione di case e terreni, al bombardamento indiscriminato di uomini, donne, bambini. Accanto ai piani operativi, alle mappe, ai rapporti, figura l'ordine iniziale datato 8 luglio 1982 e sottoscritto dal generale Héctor Mario López Fuentes. Da queste carte emerge con chiarezza che l'allora presidente di fatto (nonché comandante generale dell'esercito e ministro della Difesa) Ríos Montt e il viceministro della Difesa Oscar Humberto Mejía Víctores, erano "perfettamente a conoscenza delle operazioni sul campo": lo ha detto Kate Doyle, del National Security Archive, presentando i documenti davanti all'Audiencia Nacional de España. I magistrati spagnoli hanno avviato il procedimento sul caso dietro denuncia della Fundación Rigoberta Menchú Tum. 3/12/2009 |
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Honduras, il golpe legittimato dal Congresso Con la decisione del Congresso, che il 2 dicembre ha votato contro il reinsediamento di Zelaya, si è completata la manovra di legittimazione del colpo di Stato. Porfirio Pepe Lobo, del Partido Nacional, vincitore delle contestate consultazioni del 29 novembre, aveva promesso: "Ci riuniremo con tutti i rappresentanti dei diversi settori del paese per cercare un grande accordo nazionale". La mattina del 2 dicembre, però, si è incontrato con i vertici delle forze armate, che devono avergli prospettato il rischio di fare la fine di Zelaya. Così nel pomeriggio, nel corso del dibattito parlamentare, il Partido Nacional si è schierato compatto sulle posizioni golpiste. In tal modo l'accordo sottoscritto il 30 ottobre (il cosiddetto Accordo di San José-Tegucigalpa) dal presidente costituzionale e dal dittatore Micheletti è definitivamente carta straccia. Il voto di domenica 29 si era svolto in un clima di intimidazione: arresti, intimidazioni, perquisizioni arbitrarie; a San Pedro Sula una manifestazione pacifica era stata repressa dalla polizia con gas lacrimogeni e idranti. La resistenza aveva espresso la sua protesta con un forte tasso di astensionismo, che avrebbe superato il 60% (difficile dare dati precisi, visto il tentativo del regime di rimescolare le carte parlando di alta affluenza alle urne). Ma tutto questo non preoccupa la destra honduregna, che può ormai contare sul riconoscimento delle elezioni da parte degli Stati Uniti. A ESTORIL SI DISCUTE DI HONDURAS. Il tema Honduras è stato al centro della XIX Cumbre Iberoamericana tenutasi a Estoril, in Portogallo, dal 29 novembre al primo dicembre. La discussione sulla posizione da assumere nei confronti delle nuove autorità di Tegucigalpa ha messo a nudo contrasti insanabili tra i partecipanti al vertice. Così la dichiarazione finale, firmata solo dall'anfitrione, il presidente portoghese Aníbal Cavaco Silva, si mantiene equidistante: "Condanniamo il colpo di Stato, ma crediamo anche che si debba promuovere il dialogo nazionale honduregno". Nel corso del dibattito le divergenze sono apparse chiarissime. Da una parte quanti rifiutano legittimità al voto del 29 novembre: tra questi il brasiliano Lula e l'argentina Cristina Fernández. Dall'altra i simpatizzanti del golpe, in prima fila il panamense Ricardo Martinelli. A lui si è affiancato recentemente il presidente del Costa Rica, Oscar Arias. Questi, su richiesta statunitense, agli inizi della crisi aveva vestito i panni del mediatore, favorendo in realtà la tattica dilatoria dei golpisti: oggi getta la maschera e si allinea alla destra del continente. Il pretesto è la solidarietà verso la popolazione più povera, che a detta di Arias soffrirebbe le conseguenze dell'isolamento internazionale del paese. 3/12/2009 |
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Uruguay, l'elettorato sceglie l'ex tupamaro José Pepe Mujica ha vinto il ballottaggio per le presidenziali con il 52,6% dei voti, mentre il suo rivale Luis Alberto Lacalle si è fermato al 43,3%. A scrutinio quasi ultimato, il responso delle urne è chiarissimo: il passato guerrigliero del candidato del Frente Amplio non ha generato nell'elettorato quel rifiuto sperato dalla destra. La coalizione di governo ottiene un successo indiscusso, che va oltre il risultato del 2004. Nonostante i tentativi degli avversari di coinvolgerlo in una falsa denuncia sul ritrovamento di un deposito di armi, il 29 novembre Mujica ha mantenuta intatta la percentuale di suffragi del primo turno, cui si sono aggiunti votanti del Partido Colorado e del raggruppamento di estrema sinistra Asamblea Popular e la maggioranza degli elettori del Partido Independiente. Nel suo primo discorso dopo il trionfo, Mujica ha ribadito il suo invito al dialogo e al confronto con tutti i settori politici. La presenza, accanto a lui, del presidente uscente Tabaré Vázquez ha dato un segnale di continuità. La vittoria del vecchio dirigente tupamaro è stata accolta con enorme entusiasmo dalla folla di sostenitori, che a Montevideo sono scesi in piazza per acclamarlo sfidando una pioggia a tratti torrenziale. 30/11/2009 |
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America Latina, la visita di Ahmadinejad Non è piaciuto al presidente Lula il tono del messaggio ricevuto da Obama il 22 novembre, in cui il capo della casa Bianca - in occasione dell'imminente visita di Ahmadinejad a Brasilia - ribadiva la sua preoccupazione sul programma nucleare iraniano. Lula non ha tenuto in alcun conto i "suggerimenti" di Washington, perché ricevendo Ahmadinejad ha sostenuto a chiare lettere il diritto di Teheran a sviluppare l'energia atomica a fini pacifici. L'incontro con il presidente iraniano, svoltosi il 23 novembre, ha contribuito ad accrescere il ruolo del Brasile sullo scacchiere geopolitico mondiale (e ha garantito a Teheran l'uscita dal parziale isolamento internazionale). Anche in Bolivia, dove ha compiuto una breve sosta provenendo dal Brasile, il leader iraniano ha ottenuto il riconoscimento del diritto a un programma nucleare pacifico. Evo Morales e Ahmadinejad hanno inoltre firmato una dichiarazione congiunta e sottoscritto accordi di cooperazione in diversi settori, tra cui l'industrializzazione della nuova ricchezza boliviana, il litio. Ultima tappa del viaggio, il Venezuela. Qui Ahmadinejad ha passato in rassegna con Hugo Chávez i progetti di cooperazione bilaterale in corso e ha riaffermato il suo appoggio a Caracas nei confronti delle critiche statunitensi. Anche in Venezuela, come prima in Brasile e in Bolivia, non sono mancate le proteste di gruppi dell'opposizione contro la presenza del contestato leader iraniano. E QUELLA DI ABU MAZEN. Dopo Ahmadinejad è stata la volta del presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, che in America Latina ha trovato ampia solidarietà. A Caracas è stato ricevuto come un eroe e si è riferito al Venezuela come a una "seconda patria": il governo Chávez è stato infatti uno dei pochi a rompere le relazioni con Tel Aviv dopo l'invasione della Striscia di Gaza. In precedenza Abu Mazen aveva visitato il Brasile, l'Argentina e il Cile. In Brasile aveva firmato con Lula una serie di dichiarazioni d'intenti, ma soprattutto aveva chiesto in via ufficiosa un coinvolgimento del presidente brasiliano nella soluzione del conflitto mediorientale. Lula aveva ribadito il suo sostegno a uno Stato palestinese e aveva criticato i settori separatisti: un commento letto dai media brasiliani come una critica ad Hamas. "Fervido appoggio" alla creazione di uno Stato palestinese era stato espresso anche dalla presidente argentina Cristina Fernández. E in Cile Michelle Bachelet e Abu Mazen, in un comunicato congiunto, avevano sottolineato la necessità di giungere in Medio Oriente a una pace giusta e duratura basata sull'esistenza di due Stati. 27/11/2009 |
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Honduras, gli Usa avallano le elezioni della dittatura Barack Obama ha formalizzato il suo mutamento di rotta sulla questione honduregna. In una lettera al presidente brasiliano Lula, ha giustificato l'appoggio statunitense alle elezioni indette dal governo golpista perché costituirebbero la soluzione migliore all'attuale crisi. Una motivazione che non ha convinto Brasilia: il principale consigliere di Lula sui temi internazionali, Marco Aurélio Garcia, ha infatti definito "deplorevole" il tentativo di "ripulire un colpo di Stato" in un paese sottoposto a stato d'assedio. Resta il fatto che le consultazioni del 29 novembre verranno considerate legittime dalla Casa Bianca, contro il parere di quasi tutto il continente (con l'eccezione finora di Panama e Perù). Micheletti può ben dirsi soddisfatto, visto che il sostegno del "padrone" nordamericano è per lui l'unico che conta. C'è da chiedersi se tutto questo non fosse previsto fin dall'inizio: lo farebbe pensare la sicurezza con cui i golpisti hanno agito in questi mesi, senza mai un tentennamento nonostante le ripetute condanne a livello mondiale. Quanto a Zelaya, gli Usa lo hanno lasciato "in mezzo al guado", come ha commentato lui stesso con amarezza. Al Vertice delle Americhe di Trinidad and Tobago Obama si era presentato come il rappresentante del futuro, si è sfogato il presidente deposto, "ma oggi gli Stati Uniti hanno smesso di essere il futuro per essere nuovamente il passato, quello dei colpi di Stato, delle elezioni imposte, delle frodi elettorali". Di frode preventiva si può ben parlare per il voto di domenica 29, che si svolgerà sotto il controllo di 12.000 militari e 14.000 agenti di polizia. Dagli Usa invieranno osservatori due istituti politici che ricevono fondi pubblici: il National Democratic Institute e l'International Republican Institute (quest'ultimo sostenitore del golpe contro Hugo Chávez in Venezuela). Non mancheranno poi gli anticastristi del Directorio Democrático Cubano e i rappresentanti di UnoAmérica, l'organizzazione regionale collegata alla Cia e sospettata di essere coinvolta nel complotto per assassinare Evo Morales. Sono attesi inoltre - o sono già arrivati - alcuni noti esponenti dell'estrema destra del continente: gli ex presidenti Jorge Quiroga (Bolivia) e Armando Calderón (El Salvador) e l'ex carapintada argentino Jorge Mones Ruiz. Saranno i garanti di consultazioni "libere, spontanee e trasparenti", come ha promesso Micheletti prima di lasciare temporaneamente il potere (dal 25 novembre al 2 dicembre) per mostrare la sua vocazione democratica. Una decisione per la quale il portavoce del Dipartimento di Stato, Ian Kelly, ha avuto parole di elogio. Intanto la Corte Suprema ha sentenziato che un eventuale reinsediamento di Zelaya sarebbe illegale: il deposto presidente dovrebbe prima rispondere delle pretestuose accuse mosse contro di lui. Quanto al Congresso, discuterà l'argomento solo dopo le elezioni. Zelaya aveva comunque già chiarito che non avrebbe accettato di tornare solo per legittimare il golpe e aveva invitato i suoi sostenitori a disertare le urne. Non tutti condividono questa posizione. Dalla contesa elettorale si sono ritirati il candidato indipendente alla presidenza Carlos Reyes e il sindaco di San Pedro Sula Rodolfo Padilla (che puntava alla riconferma), mentre César Ham, del raggruppamento di sinistra Unificación Democrática, ha deciso di andare avanti sostenendo: "Se consegniamo loro tutte le cariche sarà molto più difficile recuperare la nostra democrazia". Il Frente de Resistencia ha invece deciso di promuovere il boicottaggio nonostante le minacce della dittatura. "La lotta contro le elezioni si fa organizzando il Frente nei 298 municipi dei 18 dipartimenti del paese - ha dichiarato il leader sindacale Juan Barahona - Il nostro appello è di non andare a votare per nessun candidato". Nel frattempo il Comité para la Defensa de los Derechos Humanos denuncia "i preparativi dello Stato per effettuare azioni terroristiche facendosi passare per militanti della Resistenza" e giustificare così la repressione. A pochi giorni dal voto, si susseguono sui media le notizie di attentati dinamitardi in varie zone del paese, tutti attribuiti all'opposizione democratica. Si tratta per lo più di ordigni di bassa potenza: solo in un caso una persona è rimasta ferita. I principali organi di stampa hanno invece ignorato il ritrovamento del cadavere del professor Luis Gradis Espinal, trovato morto a Tegucigalpa dopo essere stato arrestato dalla polizia. 26/11/2009 |
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Messico, lo Stato condannato per i feminicidios Storica sentenza della Corte Interamericana per i Diritti Umani contro lo Stato messicano per i feminicidios di Ciudad Juárez. Secondo il tribunale dell'Oea, i governi di Vicente Fox e di Felipe Calderón non hanno garantito ai parenti delle vittime due principi democratici basilari: giustizia e riparazione. Il caso preso in esame è quello di tre ragazze, tra i 15 e i 19 anni, assassinate nel 2001: le autorità inquirenti fecero poco o nulla per individuare i responsabili del crimine. I familiari sperano ora che la sentenza obblighi il presidente Calderón ad adottare misure concrete per far fronte al tremendo fenomeno. Intanto gli omicidi non si arrestano: le organizzazioni per i diritti umani calcolano che quest'anno, a Ciudad Juárez e dintorni, siano già state uccise più di 110 donne. L'ondata di violenza in Messico non risparmia giornalisti e militanti sociali. L'11 novembre è scomparsa a Zamora (Stato del Michoacán) María Esther Aguilar Camcinden, giornalista presso il quotidiano locale. Da quattro anni María Esther Aguilar si occupava di cronaca nera: recentemente aveva denunciato in un articolo un caso di abuso d'autorità che coinvolgeva il direttore del corpo di Policía y Tránsito della città, Jorge Arturo Cambroni (questi era stato destituito poco dopo). A fine ottobre nello Stato di Sonora è caduto vittima di un'imboscata il dirigente dell'Unión General Obrera, Campesina y Popular Margarito Montes Parra. Insieme a lui sono state uccise altre 14 persone, tra cui la moglie, un figlio tredicenne e due nipoti. Due delle armi utilizzate dai killer sono risultate di uso esclusivo delle forze armate. Nel marzo 2007, quando erano stati assassinati il figlio Adrián e altri due giovani, Margarito Montes aveva accusato il governo statale del priista Eduardo Bours Castelo di proteggere gli autori del delitto. Sempre a fine ottobre è stato ucciso nello Stato di Morelos il leader indigeno Miguel Angel Pérez Cazales, che si batteva per la salvaguardia della riserva ecologica di El Texcal. ACCORDO PAN-PRI SULLA SPESA PUBBLICA. Il 17 novembre la Camera in seduta plenaria ha approvato il preventivo di spesa pubblica per il 2010. Un'approvazione che l'editoriale de La Jornada vede come "una sorta di assunzione anticipata del potere da parte del Partido Revolucionario Institucional in seguito alla sua vittoria elettorale nel luglio scorso, un chiaro posizionamento di quell'istituzione politica con lo sguardo volto alle consultazioni presidenziali del 2012 e un trionfo per i suoi cacicchi locali: non altra cosa è la storica assegnazione ai governi statali in mano al tricolore della maggior quantità di risorse pubbliche della sua storia, sotto forma di trasferimenti federali, infrastruttura viaria e appoggi per la campagna". E più avanti: "La forma in cui sono stati approvati la Ley de Ingresos e il Presupuesto de Egresos de la Federación per l'anno entrante obbliga a presupporre l'esistenza di un negoziato tra il Pri e il Partido Acción Nacional, per concedere al primo il controllo del bilancio nazionale in cambio del suo appoggio agli aumenti di imposte recentemente applicati al consumo e ai salari". A fine ottobre infatti il Senato aveva approvato l'innalzamento dell'Iva dal 15 al 16% e l'incremento di due punti dell'imposta sulla rendita, mentre aveva diminuito la percentuale dovuta dai grandi consorzi per le imposte pregresse. Questi provvedimenti erano stati criticati dai parlamentari di Prd, Pt e Convergencia perché destinati a mantenere i privilegi fiscali dei maggiori gruppi imprenditoriali, a colpire quanti pagano regolarmente le tasse e ad erodere il potere d'acquisto della popolazione meno abbiente. 21/11/2009 |
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Il repressore cileno Podlech resta in carcere in Italia Resterà in carcere a Rebibbia Alfonso Podlech Michaud, l'ex procuratore militare sotto processo per la scomparsa di Omar Venturelli e di altri cittadini italiani durante il regime di Pinochet. I giudici della Prima Corte d'Assise di Roma, dove il 18 novembre si è tenuta la prima udienza del processo, hanno infatti respinto le richieste della difesa. Podlech è accusato di strage, omicidio aggravato, sequestro di persona. In Cile però i processi per violazione dei diritti umani potrebbero essere messi a rischio da un'eventuale vittoria del miliardario Sebastián Piñera alle prossime presidenziali. A caccia di voti, il candidato della destra si è riunito con alti ufficiali del periodo della dittatura e ha affermato che, se venisse eletto, porrà un limite ai procedimenti giudiziari nei confronti degli ex repressori. L'incontro si è svolto in forma privata e Piñera avrebbe preferito che non se ne parlasse troppo, ma a divulgare le sue promesse ci hanno pensato gli stessi militari. Rafael Villarroel, presidente di Chile Mi Patria (organismo che raggruppa gli ufficiali a riposo), ha elogiato Piñera per la sua disponibilità a "dare una soluzione definitiva a una situazione che reca pregiudizio a innumerevoli ufficiali e sottufficiali". 18/11/2009 |
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Relazioni Cile-Perù a rischio per spionaggio All'annosa disputa per problemi di frontiera marittima si erano aggiunte recentemente le critiche del Perù al riarmo delle forze armate cilene. E ora i rapporti tra Lima e Santiago vengono ulteriormente complicati da un caso di spionaggio: il sottufficiale dell'aviazione peruviana Víctor Ariza è finito in manette sotto l'accusa di aver venduto informazioni segrete al Cile con la complicità di un commilitone e di due militari cileni. L'arresto di Ariza è stato reso noto il 12 novembre, mentre Michelle Bachelet e Alan García erano impegnati nel vertice dell'Apec a Singapore: subito dopo l'annuncio, le autorità peruviane hanno cancellato la prevista riunione tra i due presidenti e hanno richiamato in patria l'ambasciatore per consultazioni. Il governo di Lima ha agito "in maniera precipitosa", ha ribattuto Santiago respingendo ogni addebito. Le polemiche sono continuate nei giorni successivi, con pesanti accuse peruviane e sdegnati dinieghi cileni. Resta il fatto che l'affaire Ariza ha dato una mano a quei settori dell'esercito peruviano interessati a nuovi acquisti di armi. Ed è servito ad Alan García per recuperare un po' di credibilità facendo appello alla difesa della sovranità nazionale. Se infatti Michelle Bachelet registra una popolarità record (quasi l'80% dei suoi compatrioti ne approva l'operato), García deve far fronte a un diffuso malcontento e a crescenti proteste sociali. 17/11/2009 |
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Colombia, altri ostacoli alla ricandidatura La raccolta di firme per il referendum sulla riforma costituzionale che consentirebbe la ricandidatura di Uribe non ha validità alcuna. Lo affermano due dei tre giudici convocati dal Consejo Nacional Electoral per dare un parere in merito: il finanziamento dell'iniziativa ha infatti superato il tetto massimo previsto per legge. La raccolta di firme necessarie a promuovere il referendum è costata una cifra equivalente a un milione di dollari, mentre il limite stabilito è di 150.000 dollari. La convocazione del referendum era stata approvata dal Congresso agli inizi di settembre dopo una maratonica seduta. Al momento della votazione i parlamentari dell'opposizione avevano in gran parte abbandonato l'aula, denunciando una compravendita di voti. E in effetti la maggioranza era stata raggiunta solo grazie al sostegno di cinque transfughi del partito Cambio Radical, passati all'ultima ora a dar man forte agli uribisti. Sull'argomento deve ancora pronunciarsi la Corte Costituzionale. RIANNODATI I RAPPORTI CON L'ECUADOR. La Colombia ha riannodato il 13 novembre i rapporti diplomatici con l'Ecuador, rotti nel marzo del 2008. I due governi hanno designato i rispettivi incaricati d'affari, primo passo verso la piena normalizzazione delle relazioni. Rimane alta invece la tensione con il Venezuela, nonostante la decisione di Bogotá di riconsegnare alle autorità di Caracas quattro membri della Guardia Nacional venezuelana, che erano stati fermati in territorio colombiano. Hugo Chávez ha ripetuto il suo rifiuto di dialogare con il governo Uribe, ribadendo che il problema di fondo è l'accordo con cui la Colombia ha ceduto agli Stati Uniti l'uso di sette basi militari. 15/11/2009 |
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Argentina, piani di destabilizzazione Il governo di Cristina Fernández si trova al centro di una vera e propria offensiva, che mira alla destabilizzazione del paese per bloccare l'applicazione della Ley de Servicios de Comunicación Audiovisual. Contro questa legge, che stabilisce il pluralismo nei servizi radiotelevisivi e limita la concentrazione, si sono scagliati tutti i giornali delle grandi corporazioni (il Clarín l'ha paragonata ai provvedimenti della dittatura). Critiche sono venute anche dalla Sociedad Interamericana de Prensa (Sip), che non è stata altrettanto dura con i golpisti honduregni. Da notare che all'incontro tenuto dalla Sip a Buenos Aires ha assistito, come rappresentante dell'opposizione argentina, il vicepresidente della Repubblica Cobos. L'offensiva contro l'esecutivo può contare sul sostegno aperto di esponenti della passata dittatura e di UnoAmérica, l'organizzazione legata alla Cia che unisce i partiti di estrema destra del continente e che sogna di ripetere in Argentina quanto avvenuto in Honduras: un colpo di Stato istituzionale che porti alla destituzione della presidente Fernández, accusata di essere troppo vicina al Venezuela di Hugo Chávez. L'attacco sfrutta anche la tensione provocata da una serie di mobilitazioni e blocchi stradali ad opera di gruppi di piqueteros (fautori del "tanto peggio tanto meglio"), che a suo tempo appoggiarono le proteste degli agrari contro l'aumento delle tasse. Ad alimentare il caos si è aggiunta il 10 novembre - per lo sciopero di una componente minoritaria del sindacato di categoria - la paralisi della metropolitana di Buenos Aires, con forti disagi per migliaia di utenti. Il governo ha finora evitato la risposta repressiva: il ministro Aníbal Fernández ha dichiarato che "è preferibile pagare il costo politico di non reprimere che avere sangue, feriti o morti". A fine ottobre Cristina Fernández aveva annunciato l'assegnazione di un sussidio di quasi 50 dollari per i minori di 18 anni con genitori disoccupati o sottoccupati (i lavoratori dipendenti ne usufruiscono già). Il sussidio, concesso anche agli handicappati di ogni età, sarà subordinato all'adempimento dell'obbligo scolastico e dei controlli sanitari. Il provvedimento è destinato ad accrescere la popolarità del governo presso gli strati più disagiati della popolazione: non è un caso che alcune azioni antigovernative abbiano preso il via proprio dopo questo annuncio. 12/11/2009 |
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Bolivia, riforma agraria dalla parte delle donne Durante l'attuale governo, l'Inra (Instituto Nacional de Reforma Agraria) ha assegnato i titoli di proprietà di oltre 28 milioni di ettari. La Ley 3545 de Reconducción Comunitaria de la Reforma Agraria concede all'Istituto la possibilità di espropriare latifondi per ragioni di interesse pubblico e di recuperare terreni quando non venga rispettato l'obiettivo economico-sociale cui erano destinati. La Legge 3545 è stata applicata, pur tra mille difficoltà, anche nei dipartimenti di Santa Cruz e di Pando. A Santa Cruz nel 2008, "nonostante gli attacchi a uffici dell'Inra e nonostante le aggressioni ai nostri funzionari, siamo riusciti a regolarizzare un po' più di tre milioni di ettari", afferma il direttore dell'Istituto, Juan Carlos Rojas. E nel Pando, teatro nel settembre dello scorso anno di un massacro di contadini, "è stata modificata la struttura di distribuzione della terra. Non c'era nessuna comunità indigena cui fossero riconosciuti diritti proprietari. Noi, con il nostro lavoro, abbiamo consegnato titoli di proprietà per oltre due milioni e mezzo di ettari a comunità contadine". Significativa, in questa vera e propria rivoluzione agraria, è l'attenzione rivolta alla componente femminile. "Già nel 2006 venne approvato un complesso di decreti, prima della promulgazione della Legge 3.545, che stabilivano l'obbligo dell'Istituto di titolare a favore delle donne - spiega Rojas - Nelle coppie regolarmente sposate o in quelle di fatto deve figurare prima il nome della donna e poi quello dell'uomo". Grazie a questa politica, tendente a contrastare la tradizione machista in rapporto alla terra, 56.957 donne sono già diventate titolari, proprietarie o comproprietarie di appezzamenti individuali o rappresentanti di appezzamenti collettivi. 12/11/2009 |
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Uruguay, un arsenale contro Mujica Nella prossima legislatura il Frente Amplio potrà contare sulla maggioranza in entrambi i rami del Parlamento: 16 seggi al Senato, contro i 9 del Partido Nacional e i 5 del Partido Colorado; 50 alla Camera (il Pn 30, i colorados 17 e il Partido Independiente de Pablo Mieres 2). E José Mujica rimane in testa nei sondaggi per il secondo turno delle presidenziali con il 49% delle intenzioni di voto, mentre il suo avversario Alberto Lacalle è al 40%. Sembra dunque che l'appoggio promesso ufficialmente a Lacalle dai colorados non possa capovolgere le previsioni che indicano nell'ex tupamaro il futuro capo dello Stato. Forse per questo l'opposizione ha tentato di resuscitare nell'elettorato la paura della guerriglia, collegando Mujica al ritrovamento di un deposito di armi alla periferia di Montevideo. Il deposito, scoperto a fine ottobre in seguito a un incendio, conteneva oltre 700 armi, 400 granate e 40.000 munizioni. All'arrivo della polizia il proprietario Saúl Feldman si era barricato in casa e aveva aperto il fuoco, uccidendo un agente e ferendone due prima di essere ucciso a sua volta. Partendo da questo fatto di cronaca la propaganda di centro destra ha diffuso uno spot televisivo che mostra, accanto al titolo Arsenale di guerriglia, la foto di Mujica. Le indagini in realtà puntano in tutt'altra direzione: gli inquirenti pensano a un legame con i narcotrafficanti brasiliani o con gli ex militari argentini coinvolti nella vendita illegale di armi all'Ecuador durante il primo governo Menem. 12/11/2009 |
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Rischi di guerra tra Venezuela e Colombia? La tensione tra Colombia e Venezuela è ormai giunta ai livelli di guardia. Domenica 8 novembre, durante il consueto programma Aló Presidente, Hugo Chávez ha invitato i suoi concittadini a prepararsi alla guerra e ha lanciato un ammonimento a Barack Obama: "Non cada in errore e non ordini un'aggressione aperta contro il Venezuela utilizzando la Colombia. Perché noi siamo disposti a tutto: il Venezuela non sarà mai più una colonia degli yankee né di nessuno". Il bersaglio polemico di Chávez era l'accordo tra Washington e Bogotá, formalizzato il 30 ottobre, che consente ai militari Usa di utilizzare sette basi colombiane, ufficialmente per combattere il terrorismo e il narcotraffico. "L'accordo si basa sul totale rispetto dei principi di uguaglianza sovrana, integrità territoriale e non intervento negli affari interni di altri Stati", ha affermato in tono tranquillizzante il ministro degli Esteri di Bogotá, Jaime Bermúdez. Ma il testo, reso pubblico qualche giorno dopo la firma, non ha certo dissipato le preoccupazioni (Fidel Castro ha parlato di "annessione della Colombia agli Stati Uniti"). Tra i punti che suscitano maggiori perplessità, quello sul numero dei militari statunitensi: si tratta di 800 soldati e 600 contrattisti, ma l'articolo IV apre la porta a un aumento anche considerevole del contingente. Alle truppe nordamericane viene concesso l'utilizzo di installazioni militari e civili e il libero transito attraverso il territorio colombiano. Tutto il personale statunitense sarà protetto da una sorta di immunità diplomatica e non dovrà rispondere dei propri atti davanti alla giustizia locale. L'accordo, della durata di dieci anni rinnovabili, non è stato sottoposto all'approvazione del Senato colombiano ed è stato definito illegale dai candidati presidenziali dell'opposizione Gustavo Petro (Polo Democrático Alternativo) e Rafael Pardo (Partido Liberal). La conflittualità tra Caracas e Bogotá è stata ravvivata negli ultimi tempi da gravi incidenti nella zona di confine. Il 2 novembre il presidente Chávez ha ordinato la chiusura delle frontiere dopo la morte di due soldati della Guardia Nacional venezuelana in uno scontro a fuoco nello Stato di Táchira. Contemporaneamente il ministro degli Esteri di Caracas, Nicolás Maduro, basandosi su documenti sequestrati ad agenti del Das (Departamento Administrativo de Seguridad, la polizia politica colombiana) arrestati in Venezuela, accusava il governo Uribe di voler spiare e destabilizzare i paesi della regione. Intanto filtrano nuovi dettagli sugli accordi raggiunti tra il presidente panamense Martinelli e il Dipartimento di Stato Usa. Agli Stati Uniti verranno concesse quattro basi aeronavali: nell'Isla Chapera (arcipelago di Las Perlas), a Rambala (provincia di Bocas del Toro), a Punta Coco (provincia di Veraguas) e a Bahía Piña (provincia di Darién). Anche in questo caso la presenza nordamericana viene giustificata con la guerra alla droga e al terrorismo. 8/11/2009 |
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Paraguay, effetto Honduras? Effetto Honduras in Paraguay? Nel paese sudamericano da giorni si rincorrono le voci di un tentativo di golpe militare. Il 6 novembre il presidente Lugo ha destituito il comandante delle forze militari, contrammiraglio Cíbar Benítez; due giorni prima aveva fatto lo stesso con i capi delle tre armi. A sostituire Benítez è stato chiamato il generale Juan Oscar Velázquez, considerato uomo di fiducia del capo dello Stato. Lugo ha poi dovuto riconoscere l'esistenza di piccole sacche di ufficiali "che avrebbero rapporti o potrebbero essere utilizzati dalla classe politica". L'opposizione ha scatenato nelle ultime settimane una vera e propria offensiva contro l'ex vescovo, spaventata più dai suoi propositi di cambiamento che dalle riforme effettivamente realizzate. Nonostante i suoi sforzi Lugo non è riuscito finora a incidere sulla realtà di una nazione profondamente diseguale, dove i possidenti contano su strutture di potere consolidate da decenni. Forse gli atti più innovativi della sua gestione sono stati l'apertura degli archivi del Ministero della Difesa alle indagini sui crimini di lesa umanità della dittatura Stroessner e la cancellazione delle esercitazioni congiunte paraguayano-statunitensi Nuevos Horizontes, che prevedevano per il 2010 l'ingresso nel paese di 500 soldati Usa. Quest'ultima decisione è stata fortemente criticata dal vicepresidente Federico Franco, che da tempo ha preso le distanze dalle posizioni dell'esecutivo e che potrebbe rappresentare la "continuità costituzionale" se si concretizzasse la minaccia dell'opposizione parlamentare di porre Lugo in stato d'accusa. L'attacco più recente riguarda la politica in tema di sicurezza: il pretesto è stato fornito dal sequestro, a metà ottobre, di un noto allevatore. Pur in mancanza di rivendicazioni, il rapimento è stato attribuito all'Ejército del Pueblo Paraguayo, uno sparuto gruppo guerrigliero dai contorni incerti, la cui presenza nel nord serve egregiamente ai latifondisti per combattere il movimento contadino e le sue richieste di riforma agraria. Questo governo "chiude gli occhi davanti all'avanzare della guerriglia, invece di inviare subito le truppe nella zona", ha scritto l'allevatore cileno Eduardo Avilés, invitando i colleghi ad armarsi contro i "comunisti". Avilés, ricercato dalla giustizia del suo paese perché sospettato di aver partecipato, nel 1970, all'uccisione del generale allendista René Schneider, ha sempre trovato in Paraguay forti protezioni. Anche se per ora l'appello a prendere le armi non è stato raccolto, l'ex presidente dell'Asociación Rural Alberto Soljancic ha avvertito: "La violenza non è una buona cosa, ma che altro possiamo fare?" Quanto alle organizzazioni contadine, "il governo dovrebbe smettere di invitare al tavolo delle trattative questi creatori di conflitti", ha sentenziato il vicepresidente degli agrari Germán Ruiz Aveiro. 6/11/2009 |
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Honduras, un "governo di unità" golpista Una presa in giro. Così si è rivelato l'accordo del 30 ottobre, con il quale i golpisti si impegnavano a reintegrare il presidente Zelaya (sia pure privato di ogni reale potere) e a costituire un governo di unità nazionale. Giovedì 5 novembre, allo scadere del termine fissato, il regime ha annunciato la creazione di un gabinetto di unità e riconciliazione guidato dallo stesso Micheletti. Tra i suoi membri non figurano i rappresentanti del presidente costituzionale, che si sono rifiutati di avallare la farsa. È di fronte al legittimo capo dello Stato, infatti, che i nuovi ministri dovrebbero giurare, ma questi è ancora rifugiato nell'ambasciata brasiliana e probabilmente ci resterà per un pezzo. Il Congresso che in seduta plenaria era chiamato a decretare il suo ritorno non si è riunito e non mostra alcuna fretta di farlo: tanto il risultato che i golpisti si proponevano è stato ottenuto e Washington è ormai propensa a legittimare le elezioni del 29 novembre. Lo ha detto apertamente il senatore repubblicano Jim DeMint, annunciando il ritiro del suo veto alla candidatura dell'accademico Arturo Valenzuela a sottosegretario di Stato per l'Emisfero Occidentale (il veto era motivato dalla condanna della Casa Bianca al golpe honduregno): "La segretaria di Stato Hillary Clinton e il sottosegretario Thomas Shannon mi hanno garantito che gli Stati Uniti riconosceranno il risultato delle elezioni honduregne, sia stato o no reintegrato Manuel Zelaya". Al deposto presidente non è rimasto altro che denunciare il mancato compimento dell'accordo e appellarsi al Consiglio Permanente dell'Oea. Per colmo d'ironia il portavoce del Dipartimento di Stato, Ian Kelly, ha distribuito "equamente" le colpe: "Siamo delusi con entrambe le parti perché non hanno seguito questo cammino ben delineato. Hanno bisogno di sedersi e dialogare di nuovo. Devono smettere di fare dichiarazioni estreme come quella che l'accordo è morto" (l'ultima frase si riferisce ovviamente a Zelaya). La vicenda honduregna mostra con chiarezza che - nonostante le promesse di Obama - la nuova politica statunitense verso l'America Latina si fonda su vecchi e consolidati metodi. L'ambasciata Usa a Tegucigalpa sapeva in anticipo del golpe, lo ha sostenuto e finanziato attraverso la famigerata Usaid (già nota in altri paesi, come la Bolivia, per le sue attività di destabilizzazione) e alla base nordamericana di Soto Cano ha fatto scalo l'aereo con a bordo Zelaya, imbarcato a forza dai militari il 28 giugno. Il tutto mentre la Casa Bianca condannava tiepidamente la rottura dell'ordine costituzionale. La parola torna ora al movimento di resistenza, che ha già preannunciato il boicottaggio delle consultazioni del 29 novembre. E alla resistenza si è rivolto Zelaya con il messaggio trasmesso da Radio Globo: "Non voglio per il mio paese elezioni tipo Afghanistan. Non sono disposto a legittimare una frode o un'imposizione, né a convalidare questo colpo di Stato". 6/11/2009 |
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Paesi sulla via dell'integrazione La presidente argentina Cristina Fernández e la sua omologa cilena Michelle Bachelet hanno firmato il 30 ottobre il Tratado de Maipú, che approfondisce i rapporti in campo migratorio e apre la strada alla libera circolazione tra le due nazioni. Per l'occasione Fernández e Bachelet hanno replicato lo storico abbraccio avvenuto nel 1818, proprio nella località cilena di Maipú, tra i libertadores Bernardo O'Higgins e José de San Martín. "Oggi, con l'abbraccio che ci siamo date, ma soprattutto con le cose che abbiamo concordato, siamo protagoniste di un altro passaggio fondamentale", ha affermato Cristina Fernández. E Michelle Bachelet ha sottolineato come questa firma abbia formalizzato "la svolta dal conflitto alla cooperazione che la nostra relazione bilaterale ha conosciuto a partire dal 1984 e in modo particolare dopo il recupero della democrazia nei nostri paesi e l'inizio del processo di integrazione bilaterale negli anni Novanta". Nel 1984 i rappresentanti di Santiago e Buenos Aires avevano posto fine, con il Tratado de Paz y Amistad, a una controversia di confine che li aveva portati sull'orlo della guerra. Tra i punti concordati dalle due presidenti, la costruzione di due tunnel nella Cordigliera delle Ande, progetto che prevede un investimento di tre miliardi di dollari e richiederà otto-dieci anni di lavoro. Nello stesso giorno i presidenti del Venezuela, Hugo Chávez, e del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, firmavano quindici accordi in campo energetico, petrolchimico, industriale, biotecnologico, alimentare. Lula era giunto a Caracas con la notizia dell'approvazione, da parte della Commissione Esteri del Senato brasiliano, dell'ingresso del Venezuela nel Mercosur. Ora la decisione dovrà essere ratificata dall'Assemblea plenaria. 31/10/2009 |
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Haiti, destituita la prima ministra Michele Pierre-Louis La prima ministra Michele Pierre-Louis è stata destituita il 30 ottobre con una mozione di censura del Senato, approvata con 18 voti a favore, 11 contrari e un'astensione (i sostenitori di Pierre-Louis avevano boicottato la votazione). In poche ore il presidente Préval ha proceduto a nominare il successore: si tratta di Jean Max Bellerive, ministro della Pianificazione del governo uscente. L'economista Michele Pierre-Louis, in carica da poco più di un anno, non aveva risposto alla convocazione in Senato della maggioranza del partito Lespwa (La speranza in creolo), affermando che la decisione di destituirla era già stata presa, e aveva respinto l'accusa di non aver utilizzato in maniera efficiente i milioni di dollari ottenuti grazie a uno sconto sul petrolio venezuelano per riparare i danni provocati dagli uragani del 2008. La Minustah, la missione dell'Onu ad Haiti (il cui mandato a metà ottobre è stato prorogato di un altro anno dal Consiglio di Sicurezza), ha affermato in un comunicato che "questa mozione di censura giunge in un momento critico per gli sforzi volti a ottenere la stabilizzazione politica, economica e sociale del paese". 31/10/2009 |
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Honduras, verso una soluzione della crisi? Alla fine i golpisti si sono visti costretti a cedere e il 30 ottobre hanno firmato un accordo in otto punti che prevede il reintegro del presidente costituzionale e la costituzione di un governo di unità e riconciliazione nazionale. Sarà il Congresso, dopo aver consultato la Corte Suprema, a decretare formalmente il ritorno alla situazione precedente il golpe del 28 giugno: per questo i sostenitori di Zelaya devono ora puntare al raggiungimento della maggioranza parlamentare. A convincere Micheletti è stata la pressione statunitense: l'arrivo a Tegucigalpa del sottosegretario di Stato per l'America Latina, Thomas Shannon, è stato il segnale che Washington aveva deciso di esercitare la spallata decisiva. Del resto la soluzione che si va delineando è quanto di meglio gli Usa potessero sperare: ritorno del legittimo presidente, ma solo per un "ruolo cerimoniale" (dalle elezioni del 29 novembre uscirà il suo successore), e affossamento dell'Assemblea Costituente che tanto aveva spaventato l'oligarchia. L'altra ipotesi, quella di un consolidamento della dittatura, si è dimostrata impraticabile per l'opposizione decisa della comunità internazionale: in quest'ambito l'appoggio determinante a Zelaya ha messo in chiaro l'acquisita autorità emisferica del Brasile. Ma soprattutto i golpisti sono stati sconfitti dallo straordinario movimento di resistenza, che per più di quattro mesi si è mobilitato sfidando la repressione. Una volta ottenuto - almeno si spera - il ristabilimento della legalità democratica, toccherà alla resistenza lottare ancora per strappare quel referendum sulla Costituente che era stato chiesto da 400.000 cittadini. Un altro punto su cui sarà necessaria la pressione popolare è la punizione dei responsabili di violazione dei diritti umani in questi quattro mesi. Il testo dell'accordo in proposito è poco preciso e qualcuno teme che tutto finisca in un'amnistia di fatto. Intanto non si arresta la violenza della polizia, che ha attaccato i dimostranti nel giorno stesso della firma. In una situazione ancora così incerta, l'ambasciatore venezuelano all'Oea Roy Chanderton ha affermato: "Crediamo non sia la migliore soluzione per la crisi che l'Honduras continua a vivere" e ha chiarito che il suo paese "non comincerà a ballare prima che il direttore d'orchestra sia salito sul podio". 31/10/2009 |
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Cuba, ennesima condanna dell'Onu all'embargo Usa Il 28 ottobre, per la diciottesima volta l'Assemblea Generale dell'Onu ha votato a larghissima maggioranza una risoluzione di condanna dell'embargo statunitense a Cuba. Solo tre i voti contrari: Usa, Israele e Palau (piccolo arcipelago dell'Oceano Pacifico che dipende in tutto dagli Stati Uniti); due gli astenuti: Micronesia e Isole Marshall. "È un'altra clamorosa vittoria della diplomazia cubana all'Onu verso la politica ostile di Washington", ha commentato il ministro degli Esteri dell'Avana Bruno Rodríguez, che ha ricordato le conseguenze più drammatiche del blocco: "Bambini cubani che soffrono di leucemia non possono essere curati con prodotti nordamericani. E non si è potuto aumentare il trattamento del tumore alla mammella nelle donne perché la tecnologia è un brevetto nordamericano". La conferma del blocco (a parte modesti ritocchi) dimostra che l'arrivo di Obama alla Casa Bianca non ha significato grandi cambiamenti nei rapporti con Cuba. Dalla nuova amministrazione Usa arrivano ambigui segnali. A fine settembre, per la prima volta un gruppo di artisti legati alla Rivoluzione è stato invitato a un ricevimento nella sede diplomatica statunitense all'Avana. Nella stessa settimana Washington ha negato i visti chiesti dalla Filarmonica di New York, che avrebbe dovuto tenere due concerti nell'isola. I cinque antiterroristi cubani continuano a rimanere nelle carceri nordamericane, anche se il 13 ottobre una giudice di Miami ha ridotto a 21 anni e 10 mesi la pena per uno di loro, Antonio Guerrero, precedentemente condannato all'ergastolo. Dal canto suo il governo di Raúl Castro ha comunicato che i rappresentanti diplomatici di Washington potranno visitare in prigione non più solo i loro concittadini, ma i detenuti dalla doppia nazionalità cubano-statunitense. È rivolto invece a Madrid l'altro gesto di distensione del governo cubano: la liberazione di due dissidenti e la concessione della libertà provvisoria a un imprenditore spagnolo sono state annunciate in occasione della visita di Miguel Angel Moratinos, ministro degli Esteri di Zapatero. All'arrivo il 18 ottobre all'Avana, Moratinos ha anticipato i suoi obiettivi: "costruire un rapporto di fiducia" con le autorità cubane e in tal modo preparare l'agenda estera dell'Unione Europea, che la Spagna presiederà nel primo semestre del 2010. Nel semestre successivo Zapatero potrebbe compiere un viaggio a Cuba: è stato questo uno degli argomenti di cui Moratinos ha parlato con il presidente Raúl Castro. LA SORELLA DI FIDEL SPIA DELLA CIA. Juanita Castro, sorella di Fidel e di Raúl, ha lavorato come agente della Cia contro il governo cubano nei tre anni successivi alla fallita invasione della Baia dei Porci. Lo rivela lei stessa nel suo libro di memorie, Mis hermanos Fidel y Raúl, scritto in collaborazione con la giornalista ispano-americana María Antonieta Collins. Nel libro Juanita racconta che in quel periodo aiutò a passare messaggi, denaro e documenti agli altri agenti statunitensi presenti sull'isola e - afferma - fu lei a informare la Cia che i sovietici si preparavano a installare i missili che avrebbero portato il mondo sull'orlo di una guerra nucleare. Nel 1964, avvertita dal fratello Raúl che si stava indagando su di lei, lasciò Cuba e si stabilì negli Stati Uniti. 28/10/2009 |
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Venezuela, sale la tensione con la Colombia Sale nuovamente la tensione tra Colombia e Venezuela. Agenti della polizia politica colombiana sono stati arrestati in territorio venezuelano sotto l'accusa di spionaggio e il governo di Caracas ha presentato a quello di Bogotà due note di protesta nel giro di 48 ore. Sempre in Venezuela, nei pressi della frontiera sono stati trovati il 24 ottobre i cadaveri di otto cittadini colombiani. Secondo quanto ha dichiarato il vicepresidente Ramón Carrizález, si sospetta fossero paramilitari o infiltrati inviati dal governo Uribe. POPOLO IN ARMI. Il presidente Chávez ha promulgato il 21 ottobre la riforma della legge sulle forze armate, che prevede la partecipazione del popolo in armi - organizzato in milizie e corpi combattenti - alla difesa del paese. Qualche giorno prima, con l'obiettivo di promuovere "un turismo nazionale e popolare", Chávez aveva decretato l'acquisizione da parte dello Stato dell'hotel Hilton di Isla de Margarita. Le costruzioni del complesso superano gli 89.000 metri quadri, cui si aggiungono 26.000 metri quadri di costa, dotata di porto per crociere internazionali. Il governo di Caracas persegue da tempo una politica di nazionalizzazione di imprese in settori strategici come l'energia, la siderurgia, le telecomunicazioni, il cemento, gli alimenti e le banche. 27/10/2009 |
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Honduras, prosegue la tattica dilatoria dei golpisti Dopo giorni e giorni di inutili trattative è sempre più chiara la tattica dilatoria dei golpisti, che cercano di guadagnare tempo per giungere alle elezioni del 29 novembre. Elezioni di cui la comunità internazionale contesta la legittimità e che all'interno sono respinte dal movimento di resistenza e anche da una parte del mondo politico. In una lettera al segretario generale dell'Organización de los Estados Americanos, Insulza, 26 parlamentari del Partido Liberal hanno spiegato il motivo del rifiuto: "Sotto una tirannia e senza l'immediata restituzione del presidente Zelaya non siamo disposti ad avallare questa enorme truffa elettorale". John Biehl, capo della missione dell'Oea, si mostra ottimista e sostiene che un accordo è imminente, ma sono in pochi a crederci. Il 23 ottobre, dopo che per l'ennesima volta era scaduto il termine fissato per il suo ritorno alla presidenza, Zelaya aveva dato per terminato il dialogo. Per tutta risposta Micheletti aveva riesumato una proposta inaccettabile, dicendosi disposto a rinunciare al potere se Zelaya faceva altrettanto. E pensare che nei giorni precedenti i negoziatori del presidente costituzionale avevano già fatto numerose concessioni, tra cui la rinuncia all'Assemblea Costituente (provocando l'uscita dalla delegazione di uno dei leader del Frente Nacional de Resistencia, Juan Barahona). Lo stallo nelle trattative riporta in primo piano il ruolo della resistenza popolare, che continua a scendere pacificamente in piazza pagando un alto tributo di sangue: il 17 ottobre è morto Jairo Sánchez, presidente del Sindicato de Trabajadores del Instituto de Formación Profesional (era stato colpito da un proiettile quasi un mese prima, durante una carica della polizia). Poco da sperare invece dalla comunità internazionale, in particolare da Washington, che pur potrebbe indurre in poche ore Micheletti a farsi da parte. "Negli Stati Uniti si trovano le riserve internazionali dell'Honduras - ha spiegato l'avvocato Rasel Tomé a Página/12 - Il governo democratico di Barack Obama potrebbe ordinare che si riconosca unicamente la firma del presidente Zelaya per aver accesso al denaro. Se questo avvenisse, il regime di fatto crollerebbe immediatamente". Ad aumentare la tensione nel paese la scomparsa, il 23 ottobre, del nipote del dittatore, Enzo Micheletti: il suo corpo, insieme a quello di un'altra persona, è stato ritrovato tre giorni dopo all'interno di un'auto, in una zona boscosa a 200 chilometri dalla capitale. E il 25 ottobre, mentre rientrava nella sua abitazione, è stato assassinato a colpi d'arma da fuoco il colonnello Concepción Jiménez, direttore dell'impresa delle forze armate Industria Militar. Secondo gli inquirenti i due delitti non hanno alcun legame con la crisi politica in atto. 26/10/2009 |
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Uruguay, tutto rinviato al ballottaggio L'elezione del nuovo presidente è rinviata al ballottaggio del 29 novembre. Secondo i dati ufficiali (escluse le schede contestate, che verranno riesaminate nei prossimi giorni), il candidato del Frente Amplio José Mujica ha ottenuto il 47,4% dei voti: per imporsi al primo turno sul suo diretto avversario, l'ex presidente Luis Alberto Lacalle del Partido Nacional (28,5%), avrebbe dovuto arrivare alla maggioranza assoluta. Tutti i pronostici danno Mujica vittorioso al secondo turno, anche se Lacalle potrà contare sull'appoggio di Pedro Bordaberry, del Partido Colorado, che domenica ha raccolto il 16,6% dei suffragi. Al quarto posto si è piazzato Pablo Mieres (2,4%), del Partido Independiente. L'affluenza alle urne ha raggiunto quasi il 90%: va considerato però che in Uruguay il voto è obbligatorio. La notevole percentuale di consensi ottenuta da José Mujica si spiega con i positivi risultati del governo del Frente Amplio: la popolazione in situazione di povertà è scesa dal 30 al 20%; il sistema sanitario è stato riformato con un ampliamento della copertura; il salario reale è cresciuto e la disoccupazione si è dimezzata; è stata istituita la contrattazione collettiva Stato-sindacati-impenditori; tutti gli alunni delle elementari sono stati dotati di computer; sono state approvate leggi che riconoscono le unioni di fatto e favoriscono l'adozione anche da parte di coppie gay (sulla depenalizzazione dell'aborto, pur votata in Parlamento, il presidente Vázquez ha posto il veto). Perché allora Mujica non è riuscito ad aggiudicarsi l'elezione al primo turno? Ha pesato probabilmente la delusione di quanti si aspettavano riforme più incisive e hanno votato scheda bianca per protesta. In effetti, se in campo sociale i progressi sono stati indubbi, il modello economico non è stato posto in discussione. Si è registrato anzi un incremento del settore legato alla grande produzione agricola e al grande allevamento, a detrimento dei piccoli produttori. Circa un quarto delle terre coltivabili è ormai in mano a stranieri, soprattutto argentini e brasiliani, un fenomeno che è cresciuto negli ultimi cinque anni; imprese brasiliane controllano il 40% della produzione di carne, principale prodotto d'esportazione, e una percentuale ancora maggiore della produzione di riso. Più che per il mancato trionfo al primo turno, l'elettorato progressista è rimasto fortemente deluso dalla sconfitta del referendum sull'abrogazione della Ley de Caducidad, la norma che impedisce di perseguire i torturatori e gli assassini della dittatura. Il sì si è fermato al 47,3% (era necessario il 50% più uno). Sono pochi finora i casi in cui la giustizia è riuscita a operare passando attraverso le maglie di questa legge. Il 22 ottobre l'ex dittatore Gregorio Alvarez era stato condannato a 25 anni di prigione e l'ex ufficiale della marina Juan Carlos Larcebeau a 20 anni, per una serie di omicidi commessi durante il regime militare: le vittime erano oppositori politici arrestati in Argentina e trasferiti in Uruguay nell'ambito del Plan Cóndor. Sempre domenica 25 gli elettori si sono pronunciati su un secondo quesito referendario: l'istituzione di meccanismi di voto per i cittadini uruguayani all'estero. Anche in questo caso la proposta è stata respinta: a favore si è espresso solo il 36,9%. 26/10/2009 |
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Guatemala, assassinato giovane avvocato maya L'avvocato maya Fausto Otzín Poyón, 32 anni, è stato sequestrato il 17 ottobre a San Juan Comalapa, nel dipartimento di Chimaltenango. Il suo corpo, con evidenti tracce di tortura e segni di colpi di machete, è stato ritrovato il giorno seguente nel fondo di un burrone. Fausto Otzín da tempo si batteva per la difesa dei popoli indigeni. Era stato tra i fondatori di Ajesa, l'Asociación Juvenil en Solidaridad y Apoyo nata tra i giovani che avevano conosciuto la violenza dell'esercito durante la sanguinosa guerra civile. Lo scorso anno, come consulente dell'Asociación Guatemalteca de Alcaldes y Autoridades Indígenas, aveva diretto il secondo Encuentro Latinoamericano de Gobiernos Locales en Territorios Indígenas sul tema del diritto all'acqua. E recentemente si stava occupando del Programa de Apoyo a la Reforma de la Justicia, promosso sotto gli auspici dell'Unione Europea. 469 PERSONE UCCISE DALLA FAME. Secondo le cifre fornite dal Ministero della Sanità, almeno 469 persone (tra cui 54 bambini) sono morte quest'anno per la mancanza di cibo. La peggiore siccità degli ultimi 33 anni ha provocato la perdita di 36.000 ettari coltivati a mais e fagioli e ha portato alla fame 90.000 famiglie contadine. Il Guatemala è il paese latinoamericano che registra il maggior tasso di denutrizione cronica nei minori di cinque anni. 20/10/2009 |
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Uruguay, in corteo contro l'impunità Un grande corteo che il 20 ottobre ha attraversato il centro di Montevideo ha chiuso la campagna per l'annullamento della Ley de Caducidad, la legge che garantisce l'impunità agli ex repressori, sulla quale l'elettorato sarà chiamato a pronunciarsi domenica 25. Il giorno precedente, per la prima volta nella sua storia, la Corte Suprema aveva sentenziato l'incostituzionalità di questa norma. La decisione si riferisce però solo al caso preso in esame dai giudici, quello della militante comunista Nibia Sabalsagaray, sequestrata e torturata a morte nel 1974. La Ley de Caducidad, promulgata nel 1986 e ratificata da un plebiscito tre anni dopo, era già stata giudicata incostituzionale da governo e Parlamento. Il referendum abrogativo, convocato dopo la raccolta di 300.000 firme, conta sull'appoggio del Frente Amplio, mentre Partido Nacional e Partido Colorado sono favorevoli al mantenimento della legge. Domenica 25 si svolgeranno anche le presidenziali per designare il successore di Tabaré Vázquez. Il candidato del Frente Amplio, l'ex tupamaro José Mujica, continua ad essere il favorito nei sondaggi, anche se potrebbe non farcela al primo turno. Il 18 ottobre i suoi sostenitori avevano dato vita a una spettacolare carovana di auto, moto, camionette, biciclette lunga 25 chilometri, che aveva attraversato la capitale e aveva toccato anche il dipartimento di Canelones, considerato zona chiave per le consultazioni elettorali. 20/10/2009 |
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Brasile, segnali di distensione con la Colombia Segnali di distensione tra Brasilia e Bogotá: il 19 ottobre, nel corso di un incontro con Uribe a San Paolo, Lula si è detto disposto a trovare un'intesa sul problema delle basi statunitensi in territorio colombiano. "Il Brasile non ha ragione di sentirsi contrariato" se gli accordi tra Usa e Colombia hanno unicamente un obiettivo di "protezione interna", ha affermato Lula: "Confido nella parola del presidente Uribe e nella parola del presidente Obama". Ma ha aggiunto che sarebbe preferibile da parte di entrambi la firma di un impegno legale. Alcuni membri del suo governo interpretano infatti la dislocazione di truppe di Washington in Colombia come un velato avvertimento verso le aspirazioni geopolitiche brasiliane. Se qualche preoccupazione permane sul piano politico, i rapporti economici tra i due paesi marciano invece a gonfie vele: nel 2008 il volume degli scambi commerciali si è attestato sui 3.200 milioni di dollari e Lula si è impegnato a promuoverlo ulteriormente. Nel corso della conferenza stampa congiunta è stato affrontato anche il problema della lotta al narcotraffico. Non poteva essere altrimenti, visti i sanguinosi incidenti di due giorni prima in una favela di Rio de Janeiro. Lo scontro tra bande rivali era sfociato in una battaglia tra trafficanti e agenti, conclusasi con 12 morti e un elicottero della polizia dato alle fiamme. Lula ha promesso mano dura contro la criminalità organizzata, per ripulire l'immagine del paese che nel 2014 ospiterà i Mondiali di calcio e nel 2016 le Olimpiadi. 19/10/2009 |
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Dall'Alba uno schiaffo al dollaro A Cochabamba (Bolivia) il settimo vertice dei capi di Stato e di governo dell'Alba ha fatto un nuovo passo verso l'integrazione con l'approvazione del Sucre, il Sistema Unico de Compensación Regional che consentirà il commercio tra i paesi membri prescindendo dal dollaro. Per ora l'uso del Sucre verrà limitato al pagamento delle operazioni tra le banche centrali del blocco: prima di giungere a una moneta unica passeranno probabilmente parecchi anni. All'incontro di Cochabamba erano presenti il presidente boliviano Morales, il venezuelano Chávez, l'ecuadoriano Correa, il nicaraguense Ortega, i primi ministri di Dominica, Antigua and Barbuda, Saint Vincenti and the Grenadines, il primo vicepresidente del Consiglio di Stato di Cuba José Ramón Machado e la ministra degli Esteri honduregna Patricia Rodas in rappresentanza del legittimo governo Zelaya. Il vertice ha sollecitato la Colombia a "riconsiderare" la concessione agli Usa di basi militari sul suo territorio, ha stabilito un embargo al regime golpista di Micheletti finché non verrà reinsediato il presidente costituzionale e ha sottolineato la necessità che le Nazioni Unite approvino una dichiarazione sui diritti della Madre Terra, per combattere i cambiamenti climatici e salvare il pianeta. Quest'ultimo punto era tra le conclusioni dell'incontro dei movimenti sociali, che si era svolto il 15 e il 16 ottobre parallelamente a quello dei capi di Stato, con la partecipazione di circa 35.000 persone. IL BRASILE NEL CONSIGLIO DI SICUREZZA. "Da quindici anni il Brasile chiede una riforma del Consiglio di Sicurezza dell'Onu", con l'inclusione di un maggior numero di nazioni. Lo ha detto il presidente Lula il 15 ottobre, proprio il giorno in cui il suo paese è stato eletto membro non permanente dell'organismo in sostituzione del Costa Rica. L'altro Stato latinoamericano presente nel Consiglio è il Messico, il cui mandato scade alla fine del 2010. 17/10/2009 |
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Calcio e politica Nel 1978 i Mondiali si svolsero in Argentina. Da due anni nel paese era al potere una delle più sanguinarie dittature dell'America Latina e il calcio servì egregiamente al regime per nascondere i propri crimini, per presentare al mondo un'immagine di normalità e far calare il silenzio sulle migliaia di oppositori che in quello stesso momento, nelle carceri clandestine, venivano torturati e fatti sparire. Anche oggi il calcio viene utilizzato per sviare l'attenzione dell'opinione pubblica. È successo in Messico: il governo doveva inviare la polizia a occupare le sedi della compagnia elettrica Luz y Fuerza del Centro e lo ha fatto proprio nella tarda serata del 10 ottobre, giorno in cui la vittoria sul Salvador per 4 reti a 1 aveva aperto alla squadra nazionale le porte del Sudafrica. Nella capitale chi vide passare gli automezzi carichi di agenti pensò che erano diretti a presidiare il monumento dell'Angel de la Independencia, dove si erano raccolti i tifosi in festa. All'alba del giorno dopo la notizia venne data dalle radio con scarsi dettagli; la stampa non riuscì a dare all'avvenimento il risalto che meritava e i primi cortei di protesta non furono coperti dai media. Ma chi ha saputo sfruttare al meglio la passione calcistica è stata la dittatura dell'Honduras. Il 14 ottobre la selezione honduregna si è qualificata per i Mondiali: erano 27 anni che non succedeva e Micheletti ne ha approfittato per far dimenticare la crisi in atto e la sanguinosa repressione. Ad aiutarlo è stato il fatto che l'avversario nella partita decisiva era El Salvador, la nazione che quarant'anni prima aveva invaso militarmente l'Honduras nel corso della breve Guerra del fútbol. Alla notizia del risultato una folla festante ha invaso le strade di Tegucigalpa e San Pedro Sula e il regime ha decretato un giorno di festa preparandosi a ricevere la nazionale in pompa magna. Ma non tutto è andato per il verso giusto: il capitano della squadra ha voluto dedicare la vittoria a Zelaya e lo ha scritto a chiare lettere sulla sua maglietta: "Per il signor presidente José Manuel Zelaya, dal suo amico Amado Guevara". Davanti a decine di giornalisti la maglietta è stata consegnata alla figlia del deposto presidente, Hortensia Zelaya, da Flor Guevara, madre del calciatore e militante della resistenza. Amado non era presente: insieme ai suoi compagni era stato trasportato dall'aeroporto di Tegucigalpa direttamente al Palacio de Gobierno, per ricevere le poco gradite congratulazioni del dittatore. 16/10/2009 |
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Honduras, a colloquio con Betty Matamoros "La resistenza ha bisogno dell'appoggio internazionale per rovesciare il colpo di Stato. È necessario spezzare il silenzio mediaticoal quale ci hanno condannato in tutto questo tempo". È per far conoscere all'estero quanto sta realmente avvenendo nel suo paese che Betty Matamoros, rappresentante del Frente Nacional de Resistencia contra el Golpe de Estado, ha deciso di intraprendere un viaggio in Europa. L'abbiamo intervistata durante il suo passaggio a Milano. -L'elemento che in questi mesi ha sorpreso maggiormente è stata l'eccezionale resistenza del popolo honduregno, la sua capacità di scendere ogni giorno pacificamente in piazza, sfidando coprifuoco e stato d'assedio. -Sì, è qualcosa di impressionante. Sento un profondo rispetto per il mio popolo perché non ha fatto ricorso in alcun modo alla violenza; ha continuato a rispondere in modo pacifico alla repressione. In un altro momento probabilmente non sarebbe successo, ma ora la gente sa quello che vuole e come lottare per ottenerlo. -Nei decenni scorsi la situazione era molto diversa in Centro America: in Salvador esercito e paramilitari, con gli aiuti militari di Washington, tentavano inutilmente di piegare la guerriglia del Fmln; in Nicaragua contro la Rivoluzione Sandinista si erano scatenati i contras, anch'essi armati e sostenuti dagli Stati Uniti... -Gli avvenimenti di quegli anni in Salvador e in Nicaragua hanno lasciato il loro segno in Honduras. Anche per noi furono tempi molto difficili perché dal nostro territorio partiva la repressione contro i fratelli salvadoregni e nicaraguensi. E in certo modo abbiamo appreso una lezione: non è positivo per un popolo soffrire tante perdite per ottenere un cambiamento. In Salvador ci furono moltissimi morti, in Nicaragua anche. Ora si trovano in una condizione diversa dalla nostra, ma il prezzo che hanno dovuto pagare è stato altissimo. Pensiamo che sia stata per noi una specie di apprendistato: ci ha permesso di vedere quello che sarebbe successo se avessimo risposto con la violenza al colpo di Stato. Ora i golpisti stanno perdendo forza di fronte alla nostra resistenza pacifica e vorrebbero una risposta violenta per giustificare una repressione maggiore. -Ma da dove nasce quest'organizzazione che consente al Frente di resistere da oltre tre mesi? -È un elemento nuovo, che prima del golpe non esisteva. Su un milione e mezzo di lavoratori, solo il 7% era organizzato. Eppure le gente, quando ha visto che venivano violati i suoi diritti, ha cominciato a raggrupparsi spontaneamente e a voler partecipare. Nasce così la resistenza nei quartieri e nei diversi settori popolari. Ogni settimana si tengono assemblee generali in ogni dipartimento per discutere la situazione e valutare collettivamente le iniziative da prendere. Tra le forme di protesta nei quartieri c'è la bullaranga, che consiste nel fare rumore tutti insieme fino a tarda notte. La polizia non può tenere tutti contemporaneamente sotto controllo. -Come valuta il Frente la figura di Manuel Zelaya? -Il presidente ha svolto un compito fondamentale, quello di volgere lo sguardo verso il popolo honduregno, un compito che dovrebbe essere proprio di tutti i capi di Stato. E solo per questo la classe sociale privilegiata alla quale apparteneva gli ha voltato le spalle, la classe politica di cui faceva parte gli ha voltato le spalle. L'unico che finora ha sostenuto quello che Zelaya veniva portando avanti è stato il movimento popolare. Riconosciamo le conquiste ottenute durante la sua presidenza: l'opposizione alla privatizzazione dei servizi pubblici e allo sfruttamento delle risorse naturali del paese, l'accordo con PetroCaribe, l'adesione all'Alba, l'aumento dei salario minimo, infine la proposta di consultazione sull'Assemblea Nazionale Costituente, una richiesta avanzata da tempo dal movimento contro il Tratado de Libre Comercio. -Ma ora il negoziato in corso con i golpisti costringerà probabilmente Zelaya a rinunciare alla Costituente... -Noi pensiamo che il punto più importante in questo momento sia il ristabilimento dell'ordine costituzionale. Per il resto, è possibile che il presidente debba accettare alcune condizioni, ma non siamo disposti a fermarci per questo. Come popolo siamo sovrani, lo dice la stessa Costituzione, e possiamo dirigere la lotta nella direzione che riteniamo più opportuna. Se non otteniamo adesso una Costituente riprenderemo questo obiettivo in seguito dandogli nuovo impulso. 15/10/2009 |
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Messico, il governo all'attacco del sindacato elettricisti Accelerare il processo di privatizzazione dell'energia elettrica mettendo a tacere l'opposizione del sindacato. Questo l'obiettivo che ha spinto il presidente Calderón a mandare migliaia di agenti della polizia federale, verso la mezzanotte di sabato 10 ottobre, a occupare le installazioni della compagnia Luz y Fuerza del Centro, che fornisce energia al 40% del paese. Il giorno e l'ora sono stati scelti con cura: in un paese in festa per la vittoria calcistica sul Salvador e la conseguente qualificazione ai Mondiali, i convogli pieni di poliziotti diretti verso gli impianti del Distrito Federal, dell' Estado de México, di Hidalgo, Morelos e Puebla sono passati quasi inosservati. Qualche giorno prima il governo aveva tentato di "addomesticare" il Sindicato Mexicano de Electricistas (Sme), una delle poche organizzazioni operaie indipendenti, disconoscendo il segretario generale Martín Esparza Flores e gli altri dirigenti eletti dai lavoratori, colpevoli di non aver voluto avallare 20.000 licenziamenti (primo passo per la liquidazione dell'azienda). Il passaggio di Luz y Fuerza del Centro ai privati poteva però incontrare qualche difficoltà: per questo il presidente del Consejo Coordinador Empresarial, Armando Paredes, aveva suggerito di fondere la compagnia con la Cfe, la Comisión Federal de Electricidad (già in via di privatizzazione con un procedimento per molti versi incostituzionale). E infatti, chiusa l'impresa pubblica con il pretesto di una sua "comprovata inefficienza operativa e finanziaria", i dipendenti sono stati rimpiazzati da personale di fiducia della Cfe, che d'ora in poi si farà carico del servizio. Si intende così colpire una categoria che l'8 ottobre aveva mostrato la sua forza con un corteo di quasi 50.000 persone. "Il messaggio è chiaro - afferma l'editoriale de La Jornada dell'11 ottobre - Per i sindacati i cui leader sono esempio di corruzione senza limiti, ma vengono a patti allo stesso modo con il Pri e con il Pan, la mano tesa e generosa; per gli altri, piombo e carcere". Di fronte all'attacco del governo (ribattezzato il sabadazo), i lavoratori hanno comunque reagito scendendo subito in piazza e annunciando nuove mobilitazioni. UCCISO DIFENSORE DEI DIRITTI UMANI. Un difensore dei diritti umani, Paz Rodríguez Ortiz, è stato assassinato da due uomini incappucciati a Nuevo Casas Grandes, nello Stato di Chihuahua. Paz Rodríguez si trovava in macchina insieme alla moglie, Alicia Saláis. I due coniugi erano già stati minacciati di morte per le loro coraggiose denunce dei sequestri e degli arresti arbitrari nella zona di Ciudad Juárez. Nell'ottobre dello scorso anno un loro figlio era stato ucciso e due mesi più tardi la loro abitazione, sede tra l'altro dell'Asociación Civil de Derechos Humanos diretta dalla stessa Alicia, era stata attaccata a colpi d'arma da fuoco. 12/10/2009 |
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Argentina, approvata la nuova legge su radio e tv Ci sono volute più di venti ore di dibattito, ma alla fine anche il Senato (come già aveva fatto la Camera il 17 settembre) ha approvato per 44 voti contro 24 la Ley de Servicios de Comunicación Audiovisual. La nuova legge, che cancella le norme sulla radiodiffusione lasciate in eredità dalla dittatura, riconosce il diritto sociale alla comunicazione, stabilisce il pluralismo nell'accesso ai servizi audiovisivi e pone una barriera alla concentrazione fissando un limite alla quantità di licenze in mano a uno stesso proprietario e stabilendo una quota massima del 35% di penetrazione nel mercato. L'approvazione costituisce una rilevante vittoria politica per la presidente Fernández, che ha voluto prontamente promulgare la legge prima di partire per una visita ufficiale in India. Proprio Cristina Fernández aveva deciso di coinvolgere nell'elaborazione della proposta settori del mondo accademico, della politica, dell'arte e della cultura: decine di riunioni e assemblee in tutto il paese avevano apportato correzioni e cambiamenti. Il governo era stato oggetto, in queste ultime settimane, di un attacco senza precedenti da parte dei grandi gruppi (primo tra tutti il Grupo Clarín) che controllano radio e tv: la presidente era stata accusata di voler imporre una legislazione "autoritaria" sui media. Ma a favore della nuova legge si erano mobilitati sindacati, movimenti sociali, organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Anche il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel, spesso critico nei confronti del governo, questa volta si era schierato al suo fianco. E in sede di votazione parlamentare il Frente para la Victoria ha trovato l'appoggio di non pochi esponenti dell'opposizione. 10/10/2009 |
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Ecuador, prove di dialogo tra governo e indigeni Il 7 ottobre il presidente Correa si è recato a Caracas per discutere con Hugo Chávez del rafforzamento della cooperazione bilaterale, in particolare in campo energetico. Ma l'obiettivo - ha spiegato il presidente venezuelano al termine del colloquio - è molto più ambizioso: "È nostro desiderio giungere a un'unione politica, sociale ed economica". Il 9 ottobre si sono incontrati invece i ministri degli Esteri di Quito e di Bogotá per ricucire i rapporti tra i due paesi. Entro questo mese, si è deciso, verranno nominati gli incaricati d'affari: è il primo passo verso il ristabilimento delle relazioni diplomatiche, rotte nel marzo 2008 dopo il bombardamento colombiano a un accampamento delle Farc in territorio ecuadoriano. Se sul piano internazionale le prospettive appaiono positive, sul piano interno Rafael Correa deve affrontare le dure contestazioni delle popolazioni indigene, contrarie a una proposta di legge sulle risorse idriche che - sostengono - apre la strada alla privatizzazione (cosa che il governo nega). Le comunità native respingono inoltre i progetti di sfruttamento minerario e petrolifero sui loro territori. La protesta ha portato alla fine di settembre a violenti scontri, con la morte di un professore di etnia shuar e il ferimento di una quarantina di persone. Correa, dopo aver respinto le responsabilità della polizia nella morte del professore e aver accusato alcuni gruppi indigeni di estremismo e di complicità con la destra, ha lanciato un appello al dialogo. Un primo incontro tra i rappresentanti delle comunità native e il governo si è svolto il 5 ottobre nel palazzo presidenziale di Carondelet e si è concluso con un accordo in sei punti (dei 25 proposti dal movimento indigeno), tra cui figura la formazione di una commissione mista sulla Ley de Aguas. È la base di partenza per "istituzionalizzare il dialogo", hanno commentato le comunità dopo la riunione. Dal canto suo il vicepresidente Lenín Moreno, pur ribadendo la volontà dell'esecutivo di privilegiare il negoziato, ha avvertito: "Ciò che un governo responsabile non può accettare sono le imposizioni che favoriscono un gruppo, per importante che sia, a scapito del resto". 9/10/2009 |
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Panama, i primi cento giorni di Martinelli Arresto dei membri della comunità naso di Bocas del Toro, che da mesi protestavano nella Plaza Catedral della capitale (erano stati sgomberati dall'amministrazione Torrijos per far posto a un allevamento di bestiame); repressione degli studenti dell'Instituto Nacional: in questo modo Ricardo Martinelli si è preparato a compiere i suoi primi cento giorni di governo. Da buon imprenditore non ha perso l'occasione per annunciare al mondo, dalla tribuna dell'Assemblea Generale dell'Onu, che il Panama è pronto ad accogliere chi voglia fare affari. In seguito ha rivelato di aver preso accordi con il Dipartimento di Stato per l'installazione di basi militari Usa sulle coste panamensi del Pacifico. Quanto alla lotta alla criminalità, su cui tanto aveva insistito in campagna elettorale, le statistiche dicono che la violenza è in aumento. Comunque il governo ha già trovato la soluzione: ha infatti deciso di investire cento milioni di dollari per costruire nuove carceri. Altri 54 milioni saranno rivolti all'ampliamento della cinta costera, la cintura viaria realizzata dal presidente Martín Torrijos per risolvere il problema del traffico e che è costata la cifra assurda di quasi 190 milioni di dollari (l'impresa costruttrice è la brasiliana Odebrecht, associata ai vecchi governi corrotti di Brasilia ed espulsa nel 2008 dall'Ecuador per violazione dei contratti): e pensare che Martinelli, quando era candidato, aveva criticato la faraonica opera. In politica economica Martinelli ha già preannunciato i suoi regali agli imprenditori: meno tasse e maggiore flessibilità della forza lavoro. Contemporaneamente ha sospeso alcuni programmi sociali della precedente amministrazione, mentre per istruzione e sanità prevede tagli e privatizzazioni. In politica estera il governo di Panama si è allineato alle nazioni latinoamericane più conservatrici (Messico, Colombia, Perù) ed è stato finora l'unico a riconoscere ufficialmente la convocazione elettorale del regime golpista honduregno. A metà settembre Martinelli aveva compiuto un viaggio in Italia, dove aveva visitato Lucca (da cui è originaria la sua famiglia) e aveva ricevuto dal sindaco di centrodestra Mauro Favilla le chiavi della città. A Roma Martinelli aveva incontrato il papa e aveva poi avuto un colloquio con Berlusconi. Per gli investimenti italiani il Panama è terra di conquista: un consorzio di cui fa parte l'Impregilo realizzerà il nuovo sistema di chiuse nel Canale, mentre cresce la presenza dell'Enel. E l'anno prossimo la cordataAstaldi-Impregilo-Ghella parteciperà alla gara d'appalto per la costruzione di una linea della metropolitana. 8/10/2009 |
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Honduras, l'intransigenza del golpista Micheletti È iniziata il 7 ottobre, con grande sfoggio di ottimismo, la missione diplomatica dell'Oea per trovare una soluzione negoziata alla crisi. Ma l'ottimismo è solo di facciata: nessuno si nasconde la difficoltà di piegare l'intransigenza di Micheletti, deciso a guadagnare tempo fino a giungere alle elezioni di novembre, dalle quali spera di ottenere legittimità. "Il presidente ci ha detto di temere che questo si trasformi in un atto demagogico", ha dichiarato a Página/12 César Ham, uno dei rappresentanti di Zelaya. E un comunicato del Frente Nacional de Resistencia contra el golpe de Estado avverte: "Nessun dialogo è possibile se a una delle parti si impedisce di parlare e le si punta una pistola alla testa". In effetti, anche se lo stato d'assedio è stato sospeso il 5 ottobre, la repressione continua: non si fermano gli omicidi politici e molti oppositori sono tuttora in prigione. Tra questi i contadini che, per protesta contro il golpe, avevano occupato l'Instituto Nacional Agrario, sgomberato con la forza all'alba del 30 settembre. Lo stesso giorno dell'inizio dei colloqui la polizia ha disperso una manifestazione di sostenitori di Zelaya di fronte all'ambasciata statunitense. Proprio dagli Stati Uniti erano giunti nei giorni scorsi a Tegucigalpa, a sostenere il regime golpista, diversi parlamentari di estrema destra, tra i quali non potevano mancare i tre congressisti di origine cubana Ileana Ros-Lehtinen e i fratelli Lincoln e Mario Díaz-Balart. La destra insomma serra i ranghi, facendo del caso Honduras un banco di prova per la sua offensiva a livello continentale. Nel frattempo in un "documento preliminare" il governo Zelaya ha segnalato i principali responsabili del colpo di Stato del 28 giugno: i proprietari dei grandi media Jorge Canahuati (La Prensa, El Heraldo) e José Rafael Ferrari (Grupo Televicentro, Emisoras Unidas), gli ex presidenti Carlos Roberto Flores Facussé (anch'egli magnate dei media) e Ricardo Maduro, i padroni di banche e gruppi industriali Camilo Atala, Freddy Nasser e Arturo Corrales. Appartengono tutti alla ristrettissima élite che ha in pugno economicamente il paese. 7/10/2009 |
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Brasile, festa per le Olimpiadi e proteste dei sem terra Rio de Janeiro ospiterà l'edizione 2016 dei Giochi Olimpici. La candidatura della città brasiliana si è imposta con forza su quelle di Chicago (sostenuta da Obama in persona), Tokyo e Madrid, portando per la prima volta le Olimpiadi in Sud America. Una grossa vittoria per Lula, che corona così la sua seconda e ultima presidenza: all'interno gode di una popolarità che sfiora il 90%; all'estero è riuscito a ottenere il riconoscimento del Brasile come nuova grande potenza. Se infatti l'assegnazione delle Olimpiadi a Rio, annunciata il 2 ottobre, ha rappresentato una notizia di grande impatto a livello popolare (e i festeggiamenti nella città carioca hanno coinvolto veramente tutti), non meno importante è stato il vertice tenutosi quattro giorni dopo a Stoccolma con l'Unione Europea, il terzo dalla creazione nel 2007 dell'associazione strategica Ue-Brasile. Al centro dei colloqui di Lula con lo svedese Reinfeldt, presidente di turno dell'Ue, e con il presidente della Commissione Europea Barroso la lotta ai cambiamenti climatici, la crisi economica mondiale e il rafforzamento delle relazioni bilaterali. Lula ne ha anche approfittato per far approvare un documento di condanna della violazione dell'ordine costituzionale in Honduras, sottolineando dunque il ruolo fondamentale che il suo paese sta giocando nella crisi del paese centroamericano. Ma anche in precedenza il Brasile aveva svolto una funzione fondamentale nel mantenere gli equilibri latinoamericani e non per niente gli era stata affidata, nel 2004, la guida militare della Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti. Se a livello internazionale il Brasile ha ormai guadagnato un posto di tutto rispetto, molti problemi interni restano irrisolti. Proprio mentre Lula si riuniva con Barroso e Reinfeldt nella capitale svedese, nello Stato di San Paolo circa 250 famiglie del Movimento Sem Terra occupavano l'aranceto più grande del paese, per protestare contro la concessione di terreni pubblici a imprese private. L'estendersi delle coltivazioni destinate all'esportazione, come la soia, la canna da zucchero (per produrre biocombustibili), le arance e gli eucalipti e il diffondersi dell'allevamento hanno determinato una brutale concentrazione delle terre, denuncia il Mst. Secondo l'Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística, le proprietà superiori ai mille ettari controllano il 46% dei terreni, mentre quelle sotto i dieci ettari occupano solo il 2,7%. La riforma agraria durante la presidenza Lula non si è fermata: dal 2003 al 2008 - segnala l'Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária - sono stati distribuiti appezzamenti a 519.000 famiglie contadine (il 59% delle assegnazioni dell'intera storia del paese) e sono stati destinati crediti per 1.275 milioni di dollari. Ma questi progressi costituiscono solo "una compensazione sociale" e non intaccano la grande proprietà terriera, ha affermato il leader del Mst, João Pedro Stédile. 6/10/2009 |
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Argentina, la scomparsa di Mercedes Sosa Una folla commossa ha visitato la camera ardente allestita nel palazzo del Congresso per dare l'ultimo saluto a Mercedes Sosa, la grande cantante di Tucumán morta il 4 ottobre a 74 anni. E in migliaia hanno fatto ala al passaggio del feretro per le strade di Buenos Aires. Un omaggio non solo alle sue doti di interprete, ma a quanto Mercedes aveva saputo rappresentare soprattutto nel periodo della dittatura, quando sfidando la censura dei militari aveva dato voce alla protesta. In quegli anni di terrore aveva inciso un disco con temi di Víctor Jara e Pablo Neruda e realizzato un omaggio ad Atahualpa Yupanqui. Nel 1978, durante un concerto a La Plata, era stata arrestata insieme a molti spettatori e aveva dovuto poi partire per l'esilio, per tornare solo nel 1982. Lei stessa aveva sempre rivendicato l'importanza del suo messaggio artistico. Nel dvd che accompagna il suo ultimo lavoro, Cantora, afferma: "Questi premi appesi alle pareti della mia casa non sono solamente perché canto, sono perché penso. Mi preoccupo degli esseri umani, dell'ingiustizia. Sono convinta che se non avessi pensato in questo modo, il mio destino sarebbe stato diverso. Sarei stata una cantante comune. Questo mi fa pensare che non mi sono sbagliata". 5/10/2009 |
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Messico, cortei in tutto il paese per il 2 ottobre Decine di migliaia di persone hanno partecipato ai cortei in ricordo del massacro di Tlatelolco (1968) che si sono tenuti nella capitale e negli Stati di Oaxaca, Guerrero, Michoacán, Tlaxcala, Chiapas, Veracruz, Sinaloa e Chihuahua. Quest'anno le manifestazioni sono state contrassegnate dalla protesta contro la politica economica e sociale del governo Calderón e in alcuni casi si sono concluse con scontri tra giovani e polizia. "Più cultura, meno armi" e "La crisi la sta pagando il popolo" si leggeva su striscioni e cartelli. A Città del Messico la marcia, partita da Plaza de las Tres Culturas, si è diretta verso lo Zocalo al grido di: "Il due ottobre non si dimentica". In testa i membri del Comité 68, seguiti dal Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra de San Salvador Atenco, dall'organizzazione Hijos (composta dai familiari dei desaparecidos), dagli studenti e dai docenti dell'Unam e degli altri atenei della capitale. A metà percorso si sono aggiunti al corteo i lavoratori e i sindacalisti partiti dal Monumento a la Revolución. ARTURO CHAVEZ È IL NUOVO PROCURATORE GENERALE. Le proteste delle organizzazioni per i diritti umani non sono bastate: il 24 settembre il Senato ha ratificato la nomina di Arturo Chávez Chávez a procuratore generale della Repubblica. A favore si sono espressi il Pri, il Pan e il Partido Verde Ecologista; contrari il Prd, il Pt e Convergencia. Nel corso del dibattito Pablo Gómez, del Prd, aveva contestato la nomina ricordando come un gruppo di esperti dell'Onu avesse ravvisato responsabilità amministrative e penali nella gestione della Procura di Chihuahua da parte di Arturo Chávez: in particolare questi era stato accusato di negligenza nelle indagini sugli omicidi di donne a Ciudad Juárez. 2/10/2009 |
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Perù, quarta condanna per Fujimori Alberto Fujimori ha collezionato un'altra condanna, questa volta per aver corrotto parlamentari e giornalisti e per aver ordinato di spiare le conversazioni telefoniche dei suoi avversari politici. La pena prevista, otto anni, è stata ribassata a sei visto che l'imputato ha ammesso tutti gli addebiti, ma Fujimori ha comunque annunciato che ricorrerà in appello. In una serie di processi trasmessi in diretta televisiva, l'ex presidente-dittatore era già stato condannato a 25 anni per violazione dei diritti umani, a sette anni e mezzo per aver consegnato 16 milioni di dollari di fondi pubblici al suo braccio destro Montesinos e a sei anni per la perquisizione illegale dell'abitazione dello stesso Montesinos. Non ne sconterà in realtà più di 25, visto che la giustizia peruviana non contempla l'accumulo delle pene. La decisione di ammettere le sue colpe in quest'ultimo processo non deriva comunque da un improvviso pentimento, ma da un preciso calcolo: Fujimori ha voluto evitare la sfilata di testimoni che avrebbero svelato tutti i dettagli della sua corrotta gestione del potere. Le rivelazioni avrebbero potuto compromettere la figlia Keiko, anche lei sospettata di aver tratto beneficio da quella disinvolta amministrazione, mettendo a rischio la sua candidatura presidenziale nel 2011 (e tra i primi punti del programma elettorale di Keiko c'è la concessione dell'indulto al padre). Nell'attesa il detenuto passa il tempo dipingendo, coltivando il giardino e riunendosi con i leader del suo movimento politico, nella prigione dorata che gli è stata riservata grazie alla sua alleanza con Alan García. 30/9/2009 |
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Stato d'assedio in Honduras, chiusa Radio Globo Nonostante tutto Radio Globo continua a trasmettere attraverso Internet. Dopo la chiusura della installazioni e il sequestro dell'apparecchiatura da parte delle forze repressive (lo stesso destino è stato riservato a Canal 36), l'emittente che rappresenta una delle poche voci della resistenza è riuscita a inviare nuovamente il suo messaggio da un luogo non precisato dell'Honduras. È stata questa la coraggiosa risposta al regime golpista, che continua a inasprire la repressione. Micheletti ha reagito in maniera inconsulta all'invito a realizzare grandi manifestazioni pacifiche il 28 settembre (a tre mesi dal colpo di Stato), lanciato dal presidente costituzionale. Prima di tutto ha ingiunto al Brasile di definire entro dieci giorni lo status di Zelaya: trascorso tale termine verranno rotte le relazioni diplomatiche e l'ambasciata non sarà più riconosciuta come territorio straniero. Lula ha immediatamente replicato che non intende ubbidire all'ultimatum di un "usurpatore". Momenti di tensione si sono vissuti all'aeroporto internazionale di Toncontín, quando a tre funzionari dell'Oea è stato impedito l'ingresso in Honduras e a un quarto è stato concesso di rimanere nel paese solo per un brevissimo lasso di tempo. Infine domenica 27 è stato decretato lo stato d'assedio e sono state sospese per 45 giorni le principali garanzie costituzionali, in particolare le libertà di riunione, di espressione e di stampa. Il Frente Nacional de Resistencia contra el Golpe de Estado non si è lasciato intimidire e ha deciso di continuare le mobilitazioni. Del resto lo avevano promesso in migliaia, sabato, sfilando a Tegucigalpa al grido di: "Qui nessuno si arrende". Lo stesso giorno il Codeh (Comité por la Defensa de los Derechos Humanos de Honduras) aveva reso pubblico un rapporto sulle drammatiche cifre della repressione: oltre cento persone assassinate nei tre mesi di dittatura. Un massacro silenzioso, reso possibile dalla censura sui media e dal blocco informativo in cui vive il paese. Tra le vittime la studentessa universitaria Wendy Elizabeth Avila: la giovane, che soffriva d'asma, è stata stroncata da problemi broncopolmonari provocati dai gas tossici lanciati dalla polizia. E proprio a proposito di questi gas la ministra degli Esteri del governo legittimo, Patricia Rodas, in una conferenza stampa all'Onu ha denunciato che le forniture provengono dalle imprese del cittadino di origine israeliana Yehuda Leitner. Membro attivo della comunità ebraica, Leitner è noto per essere stato, negli anni Ottanta, uno degli istruttori del Batallón 316, il più sanguinario squadrone della morte della storia honduregna. Una soluzione negoziata della crisi appare più lontana che mai. Dopo dieci ore di discussione a Washington, il Consiglio Permanente dell'Oea non è riuscito a trovare un consenso su due punti fondamentali: la legittimità o meno delle elezioni del 29 novembre e il linguaggio da utilizzare per condannare il regime. Se il rappresentante brasiliano Ruy Casaes è stato perentorio ("È giunto il momento di dire basta e questo significa impedire che continui questo stato di fatto che potrebbe estendersi ad altri paesi della regione"), lo statunitense Lewis Anselem ha criticato sia Micheletti che Zelaya, quest'ultimo per la sua decisione di tornare in patria ("Deve smettere di agire come se fosse una stella del cinema"). Agli occhi degli Stati Uniti il rientro di Zelaya e l'intransigenza di Micheletti rendono più difficile un esito formalmente democratico, che riporti al governo il legittimo presidente, impedendogli però di proseguire il processo di cambiamento che aveva iniziato. Nel frattempo a Tegucigalpa continuano le tattiche dilatorie: dopo aver espulso i rappresentanti dell'Oea, il regime si è detto disposto a ricevere, il 7 ottobre, una missione di ministri degli Esteri e di inviati dell'organizzazione. E il leader degli industriali Adolfo Facussé, sostenitore del golpe, ha presentato un piano alternativo a quello del presidente del Costa Rica, Arias: Zelaya potrà tornare al governo con poteri limitati e solo se accetterà di essere rinviato a giudizio (i golpisti lo hanno accusato di una serie di reati tra cui abuso d'autorità, usurpazione di funzioni, tradimento). Una proposta chiaramente inaccettabile, ma che serve a guadagnare tempo. 29/9/2009 |
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Firmato l'accordo costitutivo del Banco del Sur Il 26 settembre nella venezuelana Isla de Margarita, dove era in corso il secondo vertice Asa (Sud America-Africa), i capi di Stato di Argentina, Brasile, Bolivia, Ecuador, Paraguay, Uruguay e Venezuela hanno sottoscritto l'accordo costitutivo del Banco del Sur. Il capitale del nuovo organismo finanziario sarà di 20.000 milioni di dollari, ben superiore ai 7.000 milioni annunciati nel dicembre 2007 (in realtà l'accordo parla di 10.000 milioni di dollari iniziali: il raddoppio è stato autorizzato, ma senza precisare quando e come verrà concretizzato). Si attende adesso la ratifica dei Parlamenti dei paesi firmatari perché la nuova banca regionale possa cominciare a funzionare. Il Banco del Sur era stato proposto per la prima volta nel 2004 da Hugo Chávez, che ha ora invitato la presidente cilena Bachelet a unirsi all'iniziativa. 27/9/2009 |
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Honduras, gas tossici contro l'ambasciata brasiliana Gas tossici contro l'ambasciata del Brasile: è l'ultima arma della dittatura Micheletti per cercare di spezzare la resistenza del presidente Zelaya e dei suoi sostenitori. Un'arma micidiale che colpisce quanti si trovano all'interno della sede diplomatica e quanti vivono nei pressi, bambini compresi. Le denunce delle poche emittenti ancora libere parlano di sintomi gravissimi: difficoltà di respirazione, bruciore agli occhi, mal di testa, sangue nel vomito e nelle urine. Mentre veniva lanciato questo ennesimo attacco, a New York il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite intimava la fine dell'assedio all'ambasciata. Il ricorso alla guerra chimica è avvenuto venerdì 25, dopo una giornata nella quale il governo golpista aveva dato qualche segnale di apertura e un esponente vicino al regime aveva incontrato il presidente legittimo. Ma a quanto pare era solo un mezzo per guadagnare tempo, nella speranza di schiacciare la rivolta popolare. Speranza vana: durante il giorno Tegucigalpa aveva goduto di una relativa calma (i leader della resistenza avevano deciso di sospendere le iniziative di massa per non dare adito a provocazioni), ma nella notte le proteste e le barricate erano riprese e con esse i violenti attacchi della polizia, le perquisizioni, gli arresti senza mandato. La pressione della base ha poi imposto ai dirigenti la ripresa delle mobilitazioni, anche per non lasciare il centro della capitale in mano ai golpisti, che giovedì avevano tentato di mostrare la loro forza manifestando davanti all'ambasciata Usa e alla rappresentanza delle Nazioni Unite. Sempre giovedì, nel suo intervento all'Assemblea Generale dell'Onu, Hugo Chávez aveva denunciato l'atteggiamento ambivalente degli Stati Uniti sul tema honduregno e l'appoggio israeliano ai golpisti (il governo di Tel Aviv è uno dei pochi interlocutori di Micheletti: gli avrebbe fornito tra l'altro le armi acustiche utilizzate contro l'ambasciata brasiliana). Un altro alleato è il Perù di Alan García, che avrebbe fornito i candelotti lacrimogeni utilizzati nella repressione. Lo ha rivelato il quotidiano peruviano La Primera e lo conferma un video su YouTube: su un candelotto lanciato contro i dimostranti compare la scritta Policía Nacional del Perú. Nonostante le smentite di quest'ultima, è forte il sospetto che Lima abbia violato l'embargo imposto dall'Oea: García non ha mai mostrato grande entusiasmo nel sostenere Zelaya e alcuni importanti dirigenti del Partido Aprista sono arrivati a giustificare il colpo di Stato. 26/9/2009 |
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Argentina, arrestato uno dei "piloti della morte" Julio Alberto Poch, tenente di fregata a riposo, è stato arrestato a Valencia dalla polizia spagnola su richiesta della giustizia argentina: è accusato di aver partecipato come pilota ai famigerati "voli della morte", durante i quali venivano gettati in mare i detenuti politici. Del resto se ne era vantato lui stesso: trasferitosi nel 1988 nei Paesi Bassi, aveva trovato lavoro come pilota civile e ai suoi colleghi aveva raccontato della sua partecipazione alla "guerra contro i terroristi di sinistra". Nella sua abitazione olandese sono stati ritrovati i necessari riscontri e Poch attende ora l'estradizione. Se una parte dell'Argentina comincia a fare i conti con il passato, gli ex repressori della dittatura contano ancora su potenti appoggi nell'apparato statale. Lo dimostra il caso di Julio López, principale testimone d'accusa nel processo contro l'ex commissario Miguel Etchecolatz, desaparecido tre anni fa. Il 18 settembre centinaia di persone a Buenos Aires e a La Plata sono scese in piazza per ricordarlo e per chiedere la verità sulla sua scomparsa. 24/9/2009 |
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Honduras, un paese in rivolta Facendosi gioco di tutte le misure di sicurezza il presidente Manuel Zelaya, deposto da un colpo di Stato il 28 giugno, è tornato clandestinamente in patria il 21 settembre e si è rifugiato nell'ambasciata brasiliana di Tegucigalpa insieme alla moglie, Xiomara Castro, e ai figli. Da qui ha lanciato un appello: "Sono tornato per la volontà del popolo di costruire la democrazia. Che tutti gli honduregni vengano qui per proteggerci, per evitare qualsiasi malinteso". Ha poi invitato al dialogo: "Apriremo contatti con diverse organizzazioni della società perché la pace e la tranquillità tornino in Honduras". Ha infine annunciato il prossimo arrivo nel paese del segretario generale dell'Oea, Insulza. Per tutta risposta il regime golpista ha scatenato la repressione: ha imposto il coprifuoco, ha decretato la chiusura degli aeroporti per impedire il viaggio di Insulza e ha ordinato a esercito e polizia di attaccare con brutalità i sostenitori di Zelaya, che a migliaia si erano concentrati nei pressi della rappresentanza diplomatica. L'edificio è stato posto sotto assedio, gli occupanti privati di acqua e luce e sottoposti al lancio di lacrimogeni e all'uso di armi acustiche. Solo dopo lunghe trattative con le autorità golpiste, un contingente dell'Onu è riuscito a portare cibo e acqua all'interno. Nel frattempo all'esterno centinaia di persone venivano arrestate e rinchiuse nello stadio Chochi Sosa: una misura che riporta alla memoria i momenti più bui del Cile di Pinochet. Nuovi focolai di resistenza sono sorti però in numerosi quartieri della città dove la gente, scesa in piazza sfidando il coprifuoco, ha bloccato le strade ed eretto barricate. Una vera e propria sollevazione popolare, che le forze armate non sono riuscite a contrastare. La giornata del 22 si è chiusa con il bilancio di tre morti e un numero imprecisato di feriti. Il giorno successivo il centro della capitale è stato nuovamente invaso da migliaia di persone: una manifestazione pacifica che il regime non ha però tollerato. L'attacco poliziesco è scattato all'improvviso, con estrema violenza, provocando altri feriti e forse altri morti. La repressione contro ogni tentativo di protesta si è fatta sentire anche nella seconda città del paese, San Pedro Sula. Il ritorno a sorpresa di Zelaya potrebbe segnare la fine della dittatura Micheletti. Molti sono infatti gli elementi di debolezza dei golpisti, primo tra tutti la portata della resistenza, che non ha mai vacillato dal giorno del colpo di Stato. A livello internazionale il regime è apparso isolato fin dall'inizio, anche se il governo Usa non ha esercitato tutta la pressione che avrebbe potuto ed è apparso diviso al suo interno. Ma proprio il desiderio di riaffermare il suo controllo sul Pentagono potrebbe ora portare Obama a un appoggio più risoluto a Zelaya.Nel frattempo il Brasile ha già dimostrato - accogliendolo prontamente nell'ambasciata - il suo pieno sostegno al legittimo presidente honduregno (una mossa che - secondo diversi commentatori - mostra anche la volontà brasiliana di proporsi come nuova potenza geopolitica regionale). Mercoledì 23 a New York, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Lula è stato categorico: "La comunità internazionale esige che Zelaya ritorni immediatamente alla presidenza del suo paese". Gli hanno fatto eco la cilena Bachelet, l'uruguayano Tabaré Vázquez, l'argentina Cristina Fernández. La soluzione della crisi comunque non appare vicina: imprenditori e militari hanno ribadito il loro appoggio a Micheletti, anche se qualche esponente politico comincia a prendere le distanze dal regime. Un'esortazione al dialogo è venuta dal candidato presidenziale del Partido Nacional, Porfirio Lobo, mentre alcuni deputati liberali hanno riconosciuto pubblicamente che nel paese è avvenuto un colpo di Stato. 23/9/2009 |
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Cuba, oltre un milione al concerto per la pace Erano oltre un milione il 20 settembre, sulla Plaza de la Revolución dell'Avana, ad ascoltare il concerto Paz sin fronteras, organizzato dal cantante colombiano Juanes per promuovere il riavvicinamento tra tutti i cubani. L'iniziativa, accolta con favore dagli abitanti dell'isola, ha visto la reazione inconsulta dai gruppi anticastristi: a Miami i cd di Jaunes, accusato di sostenere un governo comunista, sono stati distrutti e i suoi manifesti strappati. Entusiasta invece il commento del presidente venezuelano Chávez ("La cultura non ha frontiere. Mi sembra meraviglioso che artisti di questo livello cantino nella Plaza de la Revolución"), mentre Obama si è mostrato più cauto ("Sono sicuro che questo tipo di eventi culturali non pregiudica le relazioni cubano-statunitensi"). Accanto a Juanes si sono esibiti numerosi cantanti e musicisti stranieri, tra cui l'italiano Jovanotti e lo spagnolo Miguel Bosé. La politica di Washington nei confronti di Cuba continua intanto un percorso contraddittorio: mentre una delegazione statunitense visitava l'isola per discutere come riallacciare il servizio postale diretto tra le due nazioni (attualmente la posta passa attraverso un terzo paese, con i ritardi che si possono immaginare), il presidente Obama decideva - "nell'interesse nazionale degli Stati Uniti" - di prolungare l'embargo per un altro anno. SCOMPARE UNO DEI LEADER DELLA RIVOLUZIONE. È morto l'11 settembre, a 82 anni, il vicepresidente Juan Almeida Bosque, uno dei leader storici della Rivoluzione. Nato all'Avana da famiglia operaia, Almeida aveva partecipato insieme ai fratelli Castro a tutte le fasi della lotta contro la dittatura di Batista, dall'assalto al Moncada alla spedizione del Granma, alla guerriglia nella Sierra Maestra. Dopo la vittoria aveva ricoperto vari incarichi militari e politici e nel 1998 era stato insignito del titolo onorifico di Héroe de la República de Cuba. Appassionato di musica, aveva composto oltre 300 canzoni. 20/9/2009 |
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Messico, tra crisi economica e violenza crescente La seconda parte del mandato presidenziale di Felipe Calderón è iniziata sotto i peggiori auspici. Per non essere costretto ad affrontare un Parlamento controllato dall'opposizione priista, Calderón ha trasformato il tradizionale informe de gobierno dell'inizio di settembre in una cerimonia privata: davanti a un migliaio di invitati accuratamente selezionati ha esposto la sua visione dello stato del paese, nascondendo la realtà drammatica di un'economia in profonda crisi e di una popolazione che per oltre il 51% vive nella miseria. Nel frattempo non si arresta l'ondata di violenza politica: il 5 settembre a Villahermosa, nello Stato del Tabasco, sono stati assassinati il candidato del Pri a deputato José Francisco Fuentes Esperón, la moglie Lilián Argüelles Beltrán e i loro due figli, di 8 e 10 anni. Non va certo meglio per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata: dal primo dicembre 2006 al 31 luglio di quest'anno gli omicidi sono arrivati a quota 14.371. Come unica risposta Calderón ha deciso la destituzione del procuratore generale della Repubblica Eduardo Medina Mora, il funzionario a cui, all'inizio della sua presidenza, aveva affidato il compito di perseguire il narcotraffico (e che non era riuscito a evitare le infiltrazioni dei narcos tra i suoi stessi collaboratori). Al posto di Medina Mora, Calderón ha proposto Arturo Chávez Chávez: una scelta che ha provocato le proteste delle organizzazioni per i diritti umani. Quando era procuratore dello Stato di Chihuahua, Arturo Chávez venne infatti accusato di negligenza nelle indagini sulle centinaia di vittime di feminicidios a Ciudad Juárez. Avrebbe inoltre liberato una banda di rapinatori perché il loro capo era membro del partito di governo, il Pan. Riferendosi alla nomina del nuovo procuratore generale (che deve ancora essere ratificata dal Senato), la legale della Corte Interamericana per i Diritti Umani Karla Michele Salas ha accusato il governo messicano di trascurare intenzionalmente i casi di Ciudad Juárez, nonostante le centinaia di raccomandazioni ricevute dagli organismi internazionali. 17/9/2009 |
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Bolivia, Morales cerca investimenti per il litio Tre giorni ricchi di impegni quelli trascorsi da Evo Morales in Spagna. Il presidente boliviano ha tenuto un comizio nel comune di Leganés, alle porte di Madrid, davanti ad alcune migliaia di connazionali. Ha parlato ai più importanti industriali locali raccolti nell'organizzazione Nueva Economía Fórum, rassicurandoli sulla volontà del suo governo di non rompere le relazioni con gli Stati Uniti. È stato ricevuto da re Juan Carlos a Palazzo Reale e ha avuto infine un incontro con il premier Rodríguez Zapatero. Ha trovato un'accoglienza molto più cordiale rispetto alla sua visita precedente (nel gennaio 2006, quando non aveva ancora assunto la presidenza): il sindaco della capitale gli ha anche consegnato la chiave d'oro della città. Ma a Morales premeva soprattutto attirare l'interesse degli imprenditori verso lo sfruttamento del litio, elemento utilizzato nelle batterie per computer e cellulari di cui la Bolivia possiede la maggiore riserva mondiale. Il governo di La Paz ha già chiarito che non intende esportare la materia prima, ma industrializzarla localmente per creare posti di lavoro: servono però nuovi investimenti per sviluppare il settore. Il discorso pare abbia suscitato l'interesse di Repsol, già ampiamente impegnata in America Latina nell'estrazione di gas e petrolio: è stato annunciato infatti un prossimo viaggio in Bolivia del presidente della multinazionale, Antonio Brufau. Un risultato importante per Morales anche in vista delle consultazioni del 6 dicembre, dove tutti i sondaggi lo danno per favorito. 15/9/2009 |
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Honduras, invito del Pentagono ai militari golpisti Delmer Urbizo, ambasciatore a Ginevra del regime golpista, è stato allontanato il 14 settembre dal Consiglio per i Diritti Umani dell'Onu su richiesta dei paesi latinoamericani. E il ministro degli Esteri di Madrid, Moratinos, ha annunciato che la Spagna proibirà l'ingresso ai rappresentanti del governo Micheletti. Ma nonostante l'isolamento internazionale in cui si trovano, e nonostante le quotidiane mobilitazioni di protesta di sindacati e organizzazioni sociali, i golpisti appaiono decisi a non cedere e respingono ogni ipotesi di accordo. Un atteggiamento che prende forza dalla debolezza della posizione statunitense. Agli inizi del mese Washington aveva annunciato la graduale revoca degli aiuti finanziari e la sospensione dei visti ai maggiori esponenti del regime (quest'ultimo provvedimento è stato concretizzato il 12 settembre) e aveva dichiarato che non avrebbe riconosciuto il risultato delle elezioni previste per fine novembre. Non ha rotto però i rapporti con Tegucigalpa, non ha ritirato il proprio personale dalla base aerea di Soto Cano e il Dipartimento della Difesa ha addirittura invitato le forze armate honduregne a partecipare alle manovre militari congiunte Panamax 2009. Bush non è più alla Casa Bianca, ma il Pentagono riesce ancora a dettare l'agenda politica Usa. 14/9/2009 |
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Venezuela, nuovi acquisti di armi dalla Russia Il Venezuela ha ottenuto un credito di 2.200 milioni di dollari per l'acquisto di armi dalla Russia. Lo ha reso noto il 13 settembre il presidente Chávez, citando tra i nuovi acquisti dispositivi per la difesa antiaerea, da installare "in montagna, in pianura, lungo le coste e perfino sottoterra", e carri armati T-72. Questi accordi militari, ha sottolineato il capo dello Stato, sono puramente difensivi. "La realtà ce lo ha insegnato e abbiamo preso coscienza delle minacce", soprattutto considerando le grandi riserve di gas e petrolio del paese: con la presenza di imprese russe, cinesi e spagnole, la fascia petrolifera dell'Orinoco acquisisce "una nuova connotazione geopolitica al momento di stabilire i parametri di difesa e di sovranità". Tra il 2005 e il 2007 il governo di Caracas aveva comprato da Mosca armamenti per 4.400 milioni di dollari. Chávez aveva incontrato il presidente russo Medvedev nel corso di un lungo giro internazionale che aveva concluso l'11 settembre a Madrid. Qui aveva annunciato con soddisfazione la scoperta, da parte della compagnia statale Pdvsa e della spagnola Repsol, di uno dei maggiori giacimenti di gas del territorio venezuelano. La tappa più contestata del viaggio era stata Teheran dove Chávez, oltre a stipulare nuovi accordi economici, aveva ribadito il suo appoggio ad Ahmadinejad, da poco rieletto presidente con una consultazione contrassegnata da brogli e irregolarità. Il 4 settembre manifestazioni contro Chávez si erano svolte in numerose città europee, statunitensi, australiane e latinoamericane. L'iniziativa, promossa da un gruppo di imprenditori colombiani, non aveva avuto comunque il successo che gli organizzatori speravano. E in alcuni casi le contromanifestazioni indette dai sostenitori del presidente venezuelano avevano raccolto un seguito maggiore: ad esempio a Caracas e soprattutto a Tegucigalpa, dove si era registrata una protesta di massa contro il golpista Micheletti e i suoi appelli antichavisti. 13/9/2009 |
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Cile, tre morti nell'anniversario del golpe Anche quest'anno l'anniversario del golpe dell'11 settembre 1973 è stato contrassegnato da proteste e scontri, con il bilancio di tre morti, una ventina di feriti e oltre duecento arresti. Gli incidenti più gravi nei quartieri periferici di Santiago, dove in serata centinaia di giovani sono scesi in piazza, costruendo barricate e scontrandosi con la polizia. Il ricordo dell'esperienza di Unidad Popular, drammaticamente interrotta dai carri armati, divide ancora il paese, in prossimità di un voto che potrebbe cambiare il panorama politico. Mentre la presidente Michelle Bachelet partecipava con commozione alla cerimonia in memoria di Salvador Allende, "simbolo di coerenza e di un popolo che non rinuncia alla sua libertà", Sebastián Piñera - candidato della destra che i sondaggi danno per favorito alle prossime elezioni - dichiarava che "il governo Allende ha fatto molto male al Cile". Parole accolte con favore dal nipote del dittatore, Rodrigo García Pinochet, che ha prontamente risposto definendo Piñera "la migliore scelta per il paese". Gli avvenimenti di questi ultimi tempi riflettono le contraddizioni di una transizione incompiuta: agli inizi di settembre il giudice Víctor Montiglio ha disposto il rinvio a giudizio di circa 150 ex militari e agenti della Dina, la polizia segreta del regime, accusati di violazione dei diritti umani per la loro partecipazione al Plan Cóndor, al Plan Colombo e all'operazione nota come Calle Conferencia (l'arresto nel 1976 di dieci membri del Partido Comunista, tuttora desaparecidos). Negli stessi giorni un altro tribunale ha ordinato l'arresto del generale a riposo Sergio Moreno, ex segretario di Pinochet, per malversazione di fondi pubblici nell'ambito del caso della Riggs Bank (dove il dittatore aveva depositato parte del suo patrimonio segreto, proveniente dalla compravendita di droga e armi). Contemporaneamente si è appreso che almeno tredici ex agenti della Dina continuano indisturbati a lavorare per l'esercito, ricevendo lauti compensi. La notizia è stata confermata dal ministro della Difesa, Francisco Vidal. 12/9/2009 |
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36 anni fa la morte di Allende Fine agosto 1973. Di lì a poco il colpo di Stato militare, con l'appoggio di Washington, avrebbe precipitato il paese nella notte della dittatura. La tensione era altissima. Di giorno le strade della capitale erano perennemente percorse da cortei: la destra scendeva in piazza sempre più baldanzosa; la sinistra rispondeva manifestando al grido di El pueblo unido jamás será vencido, senza riuscire a nascondere le tanti divisioni al suo interno. Di notte continui attentati alimentavano l'inquietudine. La preoccupazione si respirava dappertutto: nelle redazioni dei giornali progressisti, nei quartieri popolari, nelle fabbriche, tra i tanti giovani giunti da ogni parte del mondo attratti dall'eccezionale esperienza cilena. Su tutti gravava un'opprimente sensazione di tragedia incombente. Tra gli stessi collaboratori del presidente girava in quei giorni una barzelletta: Salvador Allende rivolge un messaggio alla nazione attraverso la radio. "Compatrioti, è il vostro presidente che vi parla. Voglio ribadire - dice con tono grave e con lunghe pause - che ho la massima fiducia nelle forze armate, ho la massima fiducia nei carabineros. So che non mi tradiranno, che non tradiranno la lealtà costituzionale. È per questa fiducia che ora vi parlo... dall'aeroporto internazionale da cui mi preparo a partire". Si rideva per esorcizzare la paura, sapendo che nella realtà Allende non sarebbe mai scappato, non avrebbe mai abbandonato il suo posto accanto al popolo. Lo dimostrò pochi giorni dopo, scegliendo la morte piuttosto che venire a patti con i golpisti. Con quella scelta Salvador Allende è entrato nel mito e la sua figura è divenuta familiare anche in Europa. Qui però la portata rivoluzionaria del suo programma politico è stata spesso messa in ombra dal fatto di essere arrivato alla guida del paese non con la lotta armata, come Fidel Castro a Cuba, ma attraverso la via elettorale. Se Stati Uniti e oligarchia cilena avevano compreso benissimo il pericolo che rappresentava per lo status quo, tanto da promuovere un golpe per fermarlo, da noi Allende veniva presentato come un socialdemocratico. Niente di più sbagliato: il suo obiettivo era "costruire la nuova società, la nuova convivenza sociale, la nuova morale e la nuova patria" (dal discorso per la vittoria elettorale, 5 settembre 1970). Un compito quasi impossibile. "Molti dimenticarono - scrive Marta Harnecker nel settembre 1998 sulla rivista Encuentro XXI - che avevamo conquistato il governo, ma non il potere; che i poteri legislativo e giudiziario erano nelle mani delle forze d'opposizione e che il pilastro fondamentale dello Stato borghese, l'esercito, rimaneva intatto, protetto dal cosiddetto Estatuto de Garantías Constitucionales, in base al quale il governo di Salvador Allende si era impegnato a non toccare le forze armate, l'educazione e i mezzi di comunicazione. Questo era stato l'impegno preteso dalla Democracia Cristiana per appoggiare la sua ratifica in Parlamento". Nonostante tutti questi ostacoli, e nonostante i reiterati attacchi del 70% dei giornali e di tre radio su quattro, nei tre anni di governo di Unidad Popular si cambiò veramente pagina: dall'espropriazione dei latifondi alle grandi nazionalizzazioni (prima tra tutte quella del rame), dalla costituzione dell'area di proprietà sociale al ristabilimento di rapporti diplomatici con Cuba. E come riconoscono gli storici, Salvador Allende fu l'unico a cercare seriamente una soluzione al problema dei mapuche e a quello dello sbocco al mare per la Bolivia. Erano le basi di quel socialismo con vino tinto y empanadas, di quel socialismo alla cilena sognato dal compañero presidente, come lui stesso amava essere chiamato. 11/9/2009 |
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Nasce l'alleanza strategica Parigi-Brasilia "L'accordo firmato il 7 settembre da Luiz Inácio Lula da Silva e Nicolas Sarkozy completa la svolta strategica prodotta nella regione con la decadenza dell'egemonia degli Stati Uniti e l'ascesa del Brasile come potenza globale. Nasce un complesso militare-industriale autonomo in quello che una volta fu il giardino di casa dell'impero, che ottiene lo scopo di blindare l'Amazzonia e le riserve di idrocarburi scoperte nel litorale marittimo brasiliano. Come se ciò non bastasse, si è reso noto che il Brasile è in condizione di fabbricare armi atomiche". Così Raúl Zibechi commenta, sul quotidiano messicano La Jornada dell'11 settembre, il risultato dell'incontro tra Lula e il presidente francese, che nel 187° anniversario dell'indipendenza brasiliana hanno formalizzato la nascita di un'alleanza strategica tra i due paesi. L'accordo prevede l'acquisto da parte di Brasilia di cinque sottomarini Scorpène (uno a energia nucleare e quattro convenzionali) e di cinquanta elicotteri Cougar. Lula ha poi comunicato l'intenzione di comprare da Parigi 36 cacciabombardieri Rafale, rifiutando le offerte di F-18 Super Hornet della statunitense Boeing. Come contropartita, il Brasile venderà dieci aerei da carico KC-390 alla Francia, che con essi sostituirà gli Hercules statunitensi. Per la costruzione dei sottomarini saranno allestiti degli arsenali a Rio de Janeiro, mentre gli elicotteri verranno fabbricati nello Stato di Minas Gerais ad opera dell'impresa binazionale Helibras (filiale di Eads). Quanto ai cacciabombardieri, i primi sei verrebbero consegnati dalla Francia, gli altri trenta assemblati dalla brasiliana Embraer, che già costituisce la terza impresa aeronautica al mondo dopo Airbus e Boeing. Il contratto permetterebbe inoltre a Brasilia di vendere i Rafale ad altri Stati sudamericani. L'ammontare complessivo dell'intesa, compresi i caccia, supererebbe di quattro volte il costo del Plan Colombia. L'alleanza con Parigi costituisce anche un chiaro messaggio diretto a Washington. La decisione statunitense di installare nuovi basi militari in Colombia (sia essa una scelta autonoma di Obama o un'imposizione del Pentagono) ha provocato parecchia delusione a Brasilia, dopo le speranze indotte dalla vittoria dei democratici e l'impegno, assunto dalla nuova amministrazione Usa nel vertice di Trinidad and Tobago, di avviare un diverso rapporto con l'America Latina. La settimana precedente Lula aveva annunciato l'invio al Congresso, con carattere d'urgenza, di una serie di proposte per il rafforzamento del ruolo dello Stato in campo petrolifero. Tra queste la creazione di una nuova compagnia pubblica, Petrosal, per gestire l'estrazione del greggio individuato nelle acque costiere. Queste proposte hanno suscitato subito l'allarme del settore privato, ma il presidente sa di poter contare sull'appoggio dell'opinione pubblica, che già durante la campagna elettorale del 2006 aveva dimostrato di non gradire i richiami alle privatizzazioni degli anni Novanta fatti dal rivale di Lula, Alckmin. Gli introiti dello sfruttamento degli idrocarburi - ha affermato il capo dello Stato - saranno destinati "a combattere la povertà, a sostenere l’educazione, la cultura, la scienza e la tecnologia". 11/9/2009 |
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Uruguay, adozioni permesse anche alle coppie gay L'Uruguay è il primo paese dell'America Latina a legalizzare l'adozione da parte di persone omosessuali. Lo ha deciso il 9 settembre il Senato con 17 voti a favore e 6 contrari (la Camera aveva già detto sì a fine agosto con 40 voti contro 13). Le nuove norme prevedono che un bambino possa essere adottato anche da una coppia di fatto, senza determinazione di genere, purché questa sia "accettata come tale nel suo ambiente". Allo Stato viene riservata ogni decisione sui casi di adozione e le pene contro i trasgressori sono inasprite, per far fronte all'alto tasso di illegalità che si registra nel paese. Come ha spiegato la senatrice Margarita Percovich, del Frente Amplio, "le adozioni illegali sono quattro volte quelle legali. Molti professionisti vivevano di questo: funzionari che, quando una ragazza consegnava il figlio a un coppia, stendevano un atto di affidamento; un anno dopo i genitori adottivi illegali si presentavano davanti a un giudice che, davanti al fatto compiuto, legalizzava l'affidamento. La Chiesa cattolica aveva creato un'organizzazione che aveva un accordo con l'Instituto de la Niñez y Adolescencia e disponeva persino di un locale per far partorire le ragazze povere e consegnare i neonati a coppie cattoliche". La nuova legge stabilisce il procedimento da seguire per verificare che la famiglia adottante risponda ai requisiti richiesti e che venga rispettato il termine di trenta giorni, internazionalmente accettato, durante i quali la madre biologica ha il diritto di ripensarci e di riprendere con sé il bambino. Le coppie di fatto (tra cui le coppie gay) sono regolate con un provvedimento dello scorso anno, che riconosce alla loro unione gli stessi diritti del matrimonio civile. 9/9/2009 |
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El Salvador, assassinato il regista de La vida loca Una vera e propria esecuzione: il regista e documentarista franco-spagnolo Christian Poveda, 54 anni, è stato assassinato a colpi d'arma da fuoco all'alba del 2 settembre, mentre si trovava al volante della sua auto nei pressi di San Salvador. Lo scorso anno Poveda aveva realizzato La vida loca, un film-denuncia di 90 minuti sul fenomeno delle maras, le bande criminali protagoniste di innumerevoli episodi di violenza. La pellicola raccontava la vita quotidiana dei giovanissimi membri di questi gruppi, tutti provenienti dagli strati più disagiati della popolazione. "Bisogna capire per quale ragione un bambino di 12 o 13 anni arriva a legarsi a una banda per consegnarle la sua vita, perché di questo stiamo parlando - spiegava Poveda nel luglio 2007, in un'intervista al giornale digitale El Faro - Non è solo per il lavoro di reclutamento che fanno le bande, come leggiamo ultimamente sulla stampa. Io l'ho visto con i miei occhi: arrivano spontaneamente. Le bande non hanno bisogno di andare a cercarli, i bambini vengono da soli. Bambini che hanno problemi di famiglia terribili, o provenienti da famiglie povere che non hanno il tempo di occuparsi dei figli. E siccome non vi è alcuna politica familiare in questo paese, gente che lavora duramente si trova con 6-7 figli. Se guadagni cento dollari al mese, come puoi occuparti dei tuoi figli e dar loro un'educazione?" La vida loca era stata girata a La Campanera, zona controllata dalla Mara 18 perennemente in lotta contro la rivale Mara Salvatrucha, una guerra che ha già provocato centinaia di morti. Nel corso dei sedici mesi di lavorazione il regista aveva visto uccidere sette persone, tre delle quali erano state protagoniste del documentario. 3/9/2009 |
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Argentina, morto l'ispiratore dei carapintadas È morto il 2 settembre, a 75 anni, l'ex colonnello Mohamed Alí Seineldín, ispiratore dei carapintadas (i militari ammutinatisi contro il tentativo di sottoporre a giudizio i repressori della dittatura). Era un fanatico nazionalista e un fondamentalista cattolico, devoto alla Vergine di Luján. Veterano della guerra delle Malvinas, si fece conoscere in Centro America come istruttore militare nell'uso della tortura. Condannato all'ergastolo per il tentato golpe del 1990, ottenne nel 2003 l'indulto dall'allora presidente Duhalde. Finì la sua carriera come insegnante in un poligono di tiro e come mercenario al soldo dei latifondisti di Santiago del Estero, che lo pagavano per cacciare dalle terre le famiglie contadine. Il suo pensiero è riassunto in un'intervista del 1983 alla rivista Ariel, destinata ai cadetti del Liceo Militar, in cui giustificava con il richiamo alla religione i crimini compiuti dal regime: "Il paese ha due istituzioni di base, la Chiesa e le forze armate. Oggi tutte e due sono sotto attacco. In questo il nemico è coerente; il giorno in cui entrambe saranno indebolite praticamente la nostra patria non esisterà più. Non dimenticate che qui l'Adelantado spagnolo venne con la spada e la croce. E con quale scopo? Quello di uccidere e di distruggere? No! Venne a convertire gli aborigeni per far conoscere loro la verità. Pertanto la Chiesa e le forze armate costituiscono un solo nucleo e queste ultime devono essere le continuatrici degli insegnamenti di Cristo". 2/9/2009 |
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Guatemala, ex paramilitare condannato a 150 anni Condanna a 150 anni di carcere per l'ex paramilitare Felipe Cusanero, accusato della scomparsa di sei contadini, quattro uomini e due donne, avvenuta tra il 1982 e il 1984 nel villaggio di Choatalum (Chimaltenango). I sei sarebbero stati poi uccisi dall'esercito. Il procedimento era stato sospeso per un anno e mezzo in seguito ai continui ricorsi presentati dalla difesa, che ha già preannunciato una richiesta di appello. Cusanero è il primo paramilitare chiamato a rispondere del reato di desaparición forzada durante la sanguinosa guerra civile terminata nel 1996. Il Caldh (Centro de Acción Legal para los Derechos Humanos) ha definito storica la sentenza, sottolineando la sua importanza per la ricerca della verità e il recupero della memoria. Durante i 36 anni di conflitto circa 45.000 persone furono sequestrate e di loro non si seppe più nulla. 1/9/2009 |
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Le basi Usa dividono l'Unasur Lo scontro tanto atteso si è verificato al vertice dell'Unasur di San Carlos de Bariloche (Argentina). Da una parte il colombiano Uribe, impegnato a difendere l'installazione di basi statunitensi nel suo paese, dall'altra soprattutto l'ecuadoriano Correa, il venezuelano Chávez, il boliviano Morales che le considerano una minaccia per l'intera regione. Alla fine il rischio di una rottura è stato sventato con l'approvazione di un documento che ammonisce: "La presenza di forze militari straniere non può minacciare la sovranità di qualsiasi paese sudamericano" e che affida al Consejo de Defensa dell'organizzazione il compito di ispezionare le attività delle truppe di Washington e dei suoi radar, aerei e armamenti in territorio colombiano. Nel corso dell'incontro Correa aveva attaccato duramente Uribe, accusandolo di aver bombardato per due volte l'Ecuador. Per contestare gli argomenti del governo di Bogotá, Correa aveva fatto riferimento a un rapporto del Senato Usa del 2005 (firmatari Barack Obama e John Kerry), che avanza seri dubbi sull'efficacia degli aiuti statunitensi nel determinare un indebolimento dei narcos. "Senza la base di Manta e senza la Dea - aveva aggiunto il presidente ecuadoriano - noi abbiamo già raddoppiato il tasso medio storico nel sequestro di droga". Quanto alla lotta contro le Farc, altro pretesto per la presenza di soldati nordamericani in Colombia, aveva fatto presente la diminuzione dei membri del gruppo guerrigliero nel 2009 da 22.000 a 8.000: "Se gli uomini armati si sono ridotti in questa proporzione, perché allora le nuove basi? Perché è stato firmato questo nuovo accordo?" Aveva infine citato un paragrafo del libro bianco dell'Air Mobility Command statunitense che - riferendosi alla strategia in Sud America - pone tra gli obiettivi della base aerea di Palenquero (a sud est di Medellín), oltre alla guerra ai narcotrafficanti, eventuali "operazioni di mobilità". Parole ambigue, secondo Correa, che rendono possibile l'utilizzo di Palenquero per voli di spionaggio o per il sabotaggio delle comunicazioni in altri paesi sudamericani. 28/8/2009 |
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Messico, scarcerati gli autori del massacro di Acteal Non c'è giustizia per le vittime di Acteal. Nel dicembre 1997 un gruppo paramilitare fece incursione nella zona zapatista del Chiapas, massacrando 45 indigeni tzotziles dell'organizzazione Las Abejas (tra cui quattro donne incinte e 15 bambini) che stavano pregando all'interno di una cappella. Della strage furono accusati 26 indigeni, identificati dagli stessi sopravvissuti. Ora la Corte Suprema ha accettato il ricorso degli imputati, riconoscendo che nel corso delle indagini la Procura Generale commise diverse irregolarità, e ha disposto l'immediata scarcerazione di venti di loro. In pratica, se in tutti questi anni è mancata la volontà politica di colpire i mandanti, ora anche agli autori materiali viene garantita l'impunità. "L'argomento delle lacune formali delle accuse alle persone coinvolte ha significato una soluzione particolarmente conveniente per settori politici che hanno assunto la difesa dei paramilitari e che mantengono stretti legami con il gruppo di governo - si legge nell'editoriale de La Jornada del 13 agosto - Tra questi spicca, per il suo attivismo, il raggruppamento Encuentro Social, organizzazione che ha mantenuto alleanze con diverse forze politiche nazionali e il cui ascendente nel blanquiazul si è riflesso nel contesto della campagna elettorale del 2006, quando l'allora aspirante panista alla presidenza, Felipe Calderón Hinojosa, si impegnò a riaprire le pratiche degli implicati nel caso Acteal". Dopo la sentenza, i sopravvissuti al massacro hanno manifestato il timore che il ritorno dei paramilitari alle comunità possa innescare nuove violenze e hanno chiesto che nella zona vengano inviati osservatori nazionali e internazionali. E a riprova delle continue violazioni dei diritti umani nel paese, a fine luglio è stato ritrovato il cadavere dello studente Fermín Mariano Matías, che collaborava con alcune organizzazioni sociali di Puebla. Il colpo del giovane, raggiunto da quattro colpi d'arma da fuoco, era stato sepolto in una fossa comune. Il rispetto dei diritti umani dei messicani in patria e degli indocumentados negli Stati Uniti è passato in secondo piano anche nell'incontro del 9 e 10 agosto a Guadalajara tra Calderón, Obama e il primo ministro canadese Harper. Il vertice si è concentrato sulla lotta al narcotraffico, sorvolando sulle ripetute denunce degli abusi commessi dai militari (che - secondo alcune stime - sotto Calderón sono aumentati dell'800%). Quanto al tema migratorio, Obama ha confermato che se ne parlerà non prima della fine dell'anno: per ora le sue priorità sono altre. 17/8/2009 |
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Argentina, il vicepresidente Cobos contro il governo L'offensiva della destra, appoggiata dal potente Grupo Clarín, ha trovato il suo più sicuro alleato in Julio Cobos. Nel luglio 2008 questi, votando contro l'aumento delle tasse sull'esportazione dei grani, determinò la sconfitta dell'esecutivo e da allora non ha fatto mistero delle sue posizioni sempre più ostili alla politica del governo. Nonostante ciò non molla l'incarico di vicepresidente, come richiederebbe un minimo di coerenza. E ora si è detto favorevole all'avvio di un'indagine giudiziaria sulla dichiarazione dei redditi della presidente Fernández e del marito Néstor Kirchner, le cui proprietà avrebbero conosciuto negli ultimi anni un notevole aumento di valore. La richiesta di indagine, avanzata da tre parlamentari della Coalición Cívica (centrodestra), è vista da molti osservatori come un chiaro attacco politico, tanto più che i media, così pronti a dare alla vicenda ampia diffusione, tendono invece a "dimenticare" accuse e denunce nei confronti dei leader dell'opposizione, come il miliardario Francisco de Narváez. In luglio, dopo i negativi risultati delle legislative di metà mandato, Cristina Fernández aveva introdotto profondi cambiamenti nel governo. Il ministro dell'Economia Carlos Fernández era stato sostituito da Amado Boudou, l'economista che aveva guidato il ritorno al pubblico del sistema previdenziale. Aníbal Fernández era passato alla guida del gabinetto, succedendo a Sergio Massa e lasciando il dicastero della Giustizia a Julio Alak. Alla Cultura il cineasta Jorge Coscia aveva preso il posto di José Nun. ERGASTOLO PER L'ASSASSINO DI FLOREAL. Ergastolo per il generale Santiago Omar Rivero e pene fino a 25 anni di carcere per altri alti ufficiali dell'esercito. Questa la sentenza per i responsabili delle torture e della morte del quattordicenne Floreal El negrito Avellaneda: il ragazzo era stato sequestrato nell'aprile 1976 e il suo cadavere venne ritrovato un mese dopo sulle coste dell'Uruguay. È la prima condanna "per crimini di lesa umanità" nelle caserme di Campo de Mayo, dove funzionarono diversi centri clandestini di detenzione. Intanto la ministra della Difesa Nilda Garré ha ordinato al comandante della marina, Jorge Godoy, di disporre l'allontanamento del capitano di fregata e cappellano militare Alberto Angel Zanchetta. Durante la dittatura Zanchetta, nella sua qualità di sacerdote, era incaricato di portare conforto spirituale ai piloti dei cosiddetti "voli della morte", che gettavano in mare i detenuti politici. 17/8/2009 |
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Cile, carabinero uccide giovane mapuche Oltre tremila persone hanno partecipato ai funerali del comunero mapuche Jaime Mendoza Collio, 24 anni, ucciso il 12 agosto durante il violento sgombero di una proprietà agricola nei pressi di Collipulli (nella regione dell'Araucania). Il carabinero che ha sparato verrà giudicato dalla Procura Militare: la sua versione (aveva parlato di legittima difesa) non ha retto perché l'autopsia ha rivelato che il giovane Mendoza è stato colpito alle spalle. Mendoza è la terza vittima dal 2002 dei brutali interventi polizieschi contro terreni occupati dalle comunità indigene, che rivendicano il possesso ancestrale di quelle terre. "È tanta l'angoscia e la disperazione che alcuni fratelli si lanciano direttamente a recuperare il proprio territorio e pertanto non vengano a dirci che siamo terroristi, qui l'unico responsabile è lo Stato cileno", ha commentato Il leader mapuche José Santos Millao. Dal canto suo la presidente Bachelet ha lanciato un appello al dialogo per la soluzione "delle legittime richieste storiche del popolo mapuche". PROMULGATA LA NUOVA LEGGE SULLA SCUOLA. È stata promulgata il 17 agosto la Lge, Ley General de Educación: sostituisce la famigerata Loce (Ley Orgánica Constitucional de Enseñanza), eredità della dittatura, contro la quale era insorto negli anni scorsi il movimento degli studenti. La nuova legge, ha spiegato Michelle Bachelet, "regola diritti e doveri dei membri della comunità educativa, definisce i requisiti richiesti a ogni livello, stabilisce inoltre il dovere dello Stato di vegliare per un'istruzione di qualità". Ma non tutti hanno accolto positivamente il provvedimento: secondo Jaime Gajardo, presidente del Colegio de Profesores, la Ley General de Educación" è stata approvata in un quadro di insoddisfazione". E Pablo Moyano, leader della Federación de Estudiantes dell'Università di Santiago, ha affermato: "La legge che era stata presentata dalla presidente Bachelet era migliore di quella che è emersa alla fine. La Lge era nata dalla mobilitazione dei pingüinos, ma durante la strada ha perso ogni senso". 17/8/2009 |
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Le basi Usa in Colombia, una minaccia per la regione Il Ministero della Difesa colombiano è tornato in mani civili, dopo due mesi di gestione militare: il nuovo titolare è il liberale Gabriel Silva Luján, imprenditore di successo del settore del caffè. Tra i primi problemi che Silva ha dovuto affrontare vi sono state le critiche della Commissione Esteri del Congresso, preoccupata per l'immunità concessa ai militari statunitensi. L'accordo sottoscritto il 14 agosto tra Washington e Bogotá prevede l'utilizzo, da parte di soldati, aerei e imbarcazioni Usa, di sette basi colombiane: tre dell'aviazione (Palenquero, Apiay e Malambo), due dell'esercito (Tres Esquinas e Tolemaida) e due della marina (Cartagena e Bahía Málaga). Nella regione l'accordo ha suscitato numerose reazioni negative. Il presidente Uribe si è recato agli inizi di agosto in sette paesi (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay, Perù e Uruguay), cercando di convincere i rispettivi governi della bontà della sua posizione. Ma se un appoggio incondizionato è venuto dal peruviano Alan García (e successivamente dal messicano Calderón, in visita a Bogotá), Uribe non è riuscito a convincere gli altri, neppure il moderato Lula. Del resto i brasiliani sanno che i velivoli per il trasporto delle truppe C-17 Globemaster III hanno un'autonomia di volo di oltre 7.000 chilometri, sufficienti a coprire senza scalo il tragitto da Palenquero alla Triple Frontera, che il Brasile divide con Paraguay e Argentina. Risulta difficile credere che questa accentuata presenza militare statunitense (aggiunta alla ricomparsa della Quarta Flotta) sia diretta solo alla lotta contro i narcos o contro le Farc: soprattutto Venezuela ed Ecuador la vedono come una minaccia nei loro confronti e un mezzo per mantenere in America Latina l'egemonia del colosso del Nord. L'argomento è stato dibattuto al vertice dei capi di Stato dell'Unasur, che si è tenuto a Quito il 10 agosto. A sollevare la questione il venezuelano Hugo Chávez, che ha parlato di "venti di guerra" nel continente, subito seguito dall'ecuadoriano Correa. Qualche giorno prima il boliviano Morales aveva accusato Uribe di "tradimento" nei confronti dei popoli latinoamericani che combattono per la dignità e la sovranità. 15/8/2009 |
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Honduras, continua la repressione Migliaia di sostenitori di Zelaya avevano raggiunto l'11 agosto, con due diverse marce, Tegucigalpa e San Pedro Sula, decisi a rimanere fino all'arrivo della missione dell'Oea (la cui data è stata però rinviata per volere dei golpisti). Ma il giorno seguente sono stati aggrediti con estrema violenza dalle forze di sicurezza: secondo le denunce di testimoni oculari, alcuni infiltrati hanno favorito lo scoppio di incidenti dando il pretesto all'intervento degli agenti, che hanno ferito un centinaio di persone e compiuto decine di arresti.Del resto la repressione del regime non conosce tregua: l'insegnante Martín Florencio Rivera è stato assassinato a pugnalate dopo essere uscito dalla veglia funebre del suo collega Roger Vallejo, ferito a morte durante una manifestazione. Nei pressi della frontiera con il Nicaragua l'esercito ha sparato contro un'auto che non si era fermata al posto di blocco, uccidendo una persona che si trovava a bordo. Nella capitale circa tremila studenti, che protestavano davanti alla sede dell'Universidad Nacional Autónoma de Honduras, sono stati attaccati dalla polizia. Gli agenti sono anche entrati nell'ateneo spintonando e gettando a terra la rettrice Julieta Castellanos, che tentava di mediare. La resistenza comunque mostra una forza insospettata: agli insegnanti in sciopero si sono ora uniti i lavoratori della sanità pubblica, tanto che il regime ha deciso di porre gli ospedali sotto controllo militare. Nel frattempo Manuel Zelaya continua il suo viaggio nel continente alla ricerca di appoggi. Il 12 agosto ha incontrato a Brasilia il presidente Lula ed entrambi hanno convenuto sulla necessità che l'amministrazione Obama assuma un atteggiamento più fermo nei confronti del regime Micheletti: "Le azioni adottate finora sono state tiepide e pertanto non sono bastate", ha affermato Lula. E il ministro degli Esteri Celso Amorim ha ribadito la posizione assunta nel vertice di Quito dai paesi dell'Unasur: il Brasile non accetterà elezioni convocate dai golpisti. Il 13 agosto il presidente deposto si è riunito a Santiago con Michelle Bachelet, che gli ha confermato il sostegno del suo governo a una soluzione negoziata nell'ambito del piano Arias. Prima ancora Zelaya era stato in Messico, accolto inizialmente con tutti gli onori, ma liquidato senza troppe cerimonie al termine della visita. A spiegare il comportamento di Calderón non bastano le affermazioni a favore di López Obrador attribuite a Zelaya: il messicano non ha fatto altro che riflettere l'atteggiamento ambiguo del suo alleato statunitense. Una testimonianza di questa ambiguità di Washington risiede nella lettera del 4 agosto con cui il funzionario Richard Verma spiega al senatore repubblicano Lugar che la posizione del Dipartimento di Stato "non è basata sull'appoggio a un politico o a un individuo in particolare. Piuttosto è basata sulla ricerca di una soluzione che serva nel modo migliore al popolo dell'Honduras e alle sue aspirazioni democratiche". Non solo. Verma scrive che il governo Obama non ha ancora deciso se quello del 28 giugno possa essere definito un golpe militare e che ha respinto gli inviti ad applicare sanzioni economiche pesanti. Avanza poi critiche a Zelaya, che dopo il colpo di Stato avrebbe compiuto azioni "provocatorie". 13/8/2009 |
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Venezuela, assalto a Globovisión Lina Ron che il 3 agosto a Caracas aveva guidato l'assalto, con lancio di bombe lacrimogene, alla sede di Globovisión (uno dei media protagonisti del golpe del 2002), si è presentata alla polizia ed è stata arrestata. Lo ha reso noto il presidente Chávez, chiarendo il suo totale disaccordo con l'attacco, che "non fa altro che dare ossigeno alla controrivoluzione ed è un atto che noi non possiamo permettere né come rivoluzione, né come governo, né come Stato". Dirigente dell'Unión Popular Venezolana, Lina Ron è un'esponente del chavismo radicale e già in altre occasioni l'esecutivo aveva dovuto prendere le distanze dal suo operato. L'azione contro Globovisión ha messo in imbarazzo il governo, ridando fiato a quanti accusano il chavismo di voler far tacere le voci critiche. Già il primo agosto l'opposizione aveva parlato di attentato alla libertà di stampa, dopo la decisione della Comisión Nacional de Telecomunicaciones (Conatel) di revocare la licenza, per irregolarità amministrative, a 32 emittenti radiofoniche e a due reti televisive regionali (analogo provvedimento minaccia altre decine di radio e tv). Le frequenze rimaste libere verranno assegnate alle emittenti comunitarie, ha assicurato il direttore di Conatel, Diosdado Cabello. 4/8/2009 |
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Panama, anche l'Impregilo nell'ampliamento del Canale Il Grupo Unidos por el Canal si è aggiudicato la gara per la realizzazione di un nuovo sistema di chiuse nell’ambito del progetto per l’ampliamento del Canale di Panama. Il consorzio, guidato dalla spagnola Sacyr Vallehermoso e di cui fanno parte l'italiana Impregilo, la belga Jan de Nul e la panamense Constructora Urbana, ha proposto un prezzo base di poco superiore ai tre miliardi di dollari: si tratta del contratto più consistente previsto dal programma di allargamento del Canale. L'Impregilo, il cui nome ricorre sempre quando si parla delle Grandi Opere del governo Berlusconi (dall'alta velocità al ponte sullo stretto), figura anche tra i costruttori dell'ospedale dell'Aquila, l'edificio costato svariate volte più del necessario e che - pur essendo stato ultimato pochi anni fa - non ha retto alle recenti scosse. 3/8/2009 |
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Honduras, è un insegnante la terza vittima del golpe È morto il primo agosto l'insegnante Roger Abraham Vallejo: era stato colpito due giorni prima, durante una manifestazione, da un colpo d'arma da fuoco sparato dalle forze di sicurezza. È la terza vittima accertata (si teme siano molte di più) della repressione golpista, contro la quale quotidianamente scendono in piazza i sostenitori del deposto presidente. I feriti sono decine e centinaia gli arresti; è finito in carcere anche un ragazzino di undici anni, sorpreso un quarto d'ora prima del termine del coprifuoco mentre con altri dimostranti cercava di raggiungere il centro della capitale. Alla testa dei cortei anche la moglie di Zelaya, Xiomara Castro, tornata a Tegucigalpa dopo aver inutilmente tentato di eludere i blocchi militari per raggiungere il marito alla frontiera nicaraguense. Qui Zelaya si è riunito con l'ambasciatore statunitense in Honduras Hugo Llorens: un incontro probabilmente inutile, visto il ruolo giocato da Llorens nel colpo di Stato. È chiaro che Washington continua a puntare sul piano Arias, che consentirebbe a Zelaya di concludere formalmente il suo mandato, privandolo però di ogni potere (a favore della proposta Arias è anche la Declaración de Guanacaste, la località del Costa Rica dove il 29 luglio si è tenuto - con l'assenza significativa del Nicaragua - l'XI vertice del Mecanismo de Diálogo y Concertación de Tuxtla). Il 28 luglio il Dipartimento di Stato Usa aveva fatto un piccolo passo a favore del legittimo presidente, sospendendo il visto a quattro funzionari del regime golpista: un provvedimento giusto, ma non sufficiente, aveva detto Zelaya, che aveva chiesto agli Stati Uniti di "esercitare maggiori pressioni sui golpisti". Per il ritorno alla democrazia e alla tranquillità nel paese si erano espresse anche - con una lettera alla segretaria di Stato Hillary Clinton - le multinazionali Nike, Gap, Adidas e Knights Apparel: il clima da guerra civile non favorisce gli affari. 2/8/2009 |
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Cuba, rinviato il congresso del Partido Comunista Il Sesto Congresso del Partido Comunista, che si doveva tenere alla fine del 2009, è stato rinviato a data da destinarsi, probabilmente al termine del dibattito in corso sul modello economico da seguire nei prossimi anni. La decisione, assunta dall'assemblea plenaria del comitato centrale, viene riportata sull'edizione del Granma del 31 luglio. Come ha spiegato Raúl Castro nel corso della riunione, "siamo di fronte all'imperativo di far bene i conti su ciò di cui realmente dispone il paese, su quanto possiamo contare per vivere e svilupparci". Si tratterà innanzitutto "di concludere la preparazione del partito, poi di discutere con la popolazione nel suo complesso e di realizzare il congresso solo al termine di questo grande processo". Il rinvio avviene in un quadro di difficoltà economica che ha obbligato a rivedere l'obiettivo della crescita del prodotto interno lordo, sceso dal 6 all'1%. Il 26 luglio, celebrando a Holguín il 56° anniversario dell'assalto al Cuartel Moncada, il presidente cubano aveva annunciato un secondo taglio alla spesa pubblica (dopo quello del primo trimestre), in seguito alla significativa riduzione delle entrate provenienti dall'esportazione del nichel e dal turismo. La mancanza di liquidità ha provocato una crisi bancaria che ha paralizzato i conti dei fornitori esteri: in risposta alcuni di questi hanno limitato le forniture, alimentando così la spirale recessiva. Inoltre il governo ha deciso di ridurre del 12% il consumo di elettricità, un provvedimento che ha generato ulteriori cali nella produzione e nei servizi. Se la situazione dell'economia non è delle migliori, notizie positive si registrano invece sul piano dei rapporti con il colosso del Nord. In giugno gli statunitensi avevano spento la scritta elettronica di propaganda che da tempo campeggiava sull'edificio della loro Sezione di Interessi all'Avana. Da parte sua Cuba aveva smantellato alcune strutture recanti messaggi negativi sul governo di Washington. Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha ora dichiarato che questo duello propagandistico non serviva allo scopo di promuovere "una relazione più produttiva" e ha ribadito l'obiettivo della politica di Obama: favorire "il libero flusso di informazioni" tra i due paesi. 31/7/2009 |
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Critiche all'aumento della presenza militare Usa Il presidente brasiliano Lula e la cilena Michelle Bachelet si sono incontrati il 30 luglio a San Paolo per parlare di commercio e di investimenti, ma soprattutto del golpe in Honduras e del nuovo accordo militare tra Washington e Bogotá. I due capi di Stato hanno espresso la loro contrarietà all'aumento di soldati Usa in Colombia e hanno proposto di convocare, in occasione del prossimo vertice il 10 agosto, il Consejo de Defensa dell'Unasur. In Venezuela il rafforzamento della presenza statunitense in Colombia e le accuse di Uribe su un presunto passaggio di armi da Caracas alle Farc hanno indotto Hugo Chávez a congelare le relazioni diplomatiche con Bogotá e a minacciare la sospensione del commercio bilaterale. Anche tra Bogotá e Quito la tensione è alta. Il governo Uribe ha recentemente diffuso un video in cui un leader delle Farc sostiene che nel 2006 la guerriglia fornì un "aiuto in dollari" alla campagna elettorale di Rafael Correa. La circostanza è stata negata con decisione sia da Correa, sia dalle stesse Farc, che in un comunicato diffuso dall'agenzia Anncol affermano che il filmato è stato contraffatto. Ora il presidente Correa, parlando alla televisione locale, ha ricordato l'aggressione colombiana del primo marzo 2008 al suo paese e ha minacciato una risposta militare in caso di nuovo attacco. In questo clima convulso si è svolta la visita del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman. Il viaggio di Lieberman, volto a contrastare l'influenza iraniana nella regione, ha toccato Brasile, Argentina, Perù e Colombia. Esclusi naturalmente paesi come la Bolivia o il Venezuela, che avevano rotto i rapporti con Israele dopo l'aggressione a Gaza e che Tel Aviv sospetta di cooperare con il programma nucleare di Teheran. Non sono certo servite a calmare le acque le affermazioni di Lieberman, secondo cui il gruppo degli Hezbollah è presente in Venezuela, in Messico, nel dipartimento colombiano de La Guajira e alla Triple Frontera tra Paraguay, Argentina e Brasile. ACCORDO SU ITAIPU'. Il presidente paraguayano Lugo e il brasiliano Lula hanno sottoscritto un accordo che stabilisce nuovi parametri per l'utilizzo della centrale idroelettrica di Itaipú. Il coefficiente di compensazione dovuto da Brasilia ad Asunción passa dal 5,1 al 15,3: ai valori attuali da 120 a 360 milioni di dollari l'anno. Il Brasile fornirà inoltre al Paraguay una serie di infrastrutture come ponti, ferrovie e linee elettriche. 30/7/2009 |
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Perù, Alan García inizia il quarto anno di presidenza Il 28 luglio, nel suo discorso al Congresso, ha chiesto "fiducia e ottimismo", ma difficilmente il paese è disposto ad accontentarlo. Alan García inizia il suo quarto anno di presidenza nel pieno di una crisi economica e sociale, con accuse di corruzione e una popolarità che non supera il 21%. Per far fronte alle crescenti proteste contro la sua gestione, García - che si era fatto eleggere con un programma di centrosinistra e ha governato con una politica di destra - ha invitato il ministro dell'Interno a far ricorso alla repressione "con severità e senza vacillare". E ha spiegato l'insoddisfazione popolare con l'ingerenza di Stati esteri che fomenterebbero il malcontento: non ha fatto nomi, ma è apparso chiaro a tutti il riferimento al Venezuela di Hugo Chávez e alla Bolivia di Evo Morales. García ha poi difeso il discusso Tlc con gli Stati Uniti, entrato in vigore in febbraio, e ha parlato di crescita economica chiudendo gli occhi alla realtà: le esportazioni peruviane sono diminuite del 31% e negli ultimi mesi sono stati licenziati 150.000 lavoratori. NUOVA CONDANNA PER FUJIMORI. Alberto Fujimori ha collezionato una nuova condanna: sette anni e sei mesi per aver consegnato 15 milioni di dollari provenienti dai fondi pubblici alla sua eminenza grigia Vladimiro Montesinos, due mesi prima di abbandonare il paese e rifugiarsi in Giappone. L'ex presidente-dittatore ha giustificato il pagamento affermando che quel denaro serviva a evitare un colpo di Stato da parte dello stesso Montesinos. In precedenza Fujimori era stato condannato a sei anni per aver ordinato una perquisizione illegale allo scopo di far sparire prove compromettenti, e a 25 anni per 25 omicidi e due sequestri. Lo attende ora un quarto processo, in cui dovrà rispondere delle bustarelle pagate a politici e giornalisti compiacenti e delle intercettazioni telefoniche ai danni degli oppositori. Poiché però il codice peruviano non prevede l'accumulo delle pene, Fujimori dovrà scontare al massimo 25 anni. 28/7/2009 |
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Honduras, "Che la Casa Bianca smetta di svicolare" Il giovane Pedro Muñoz era stato fermato dalla polizia venerdì 24 luglio. Il suo cadavere, con evidenti segni di tortura, è stato rinvenuto il giorno seguente nei pressi del confine con il Nicaragua: è l'ennesima vittima del regime di Roberto Micheletti. E sabato è stato fermato Rafael Alegría, il leader contadino che sta svolgendo un ruolo determinante nella resistenza contro il golpe. Accusato di non aver rispettato il coprifuoco (tornato nuovamente in vigore dopo una breve sospensione), Alegría è stato rilasciato dopo sei ore di detenzione. Dall'altra parte della frontiera, in territorio nicaraguense, Manuel Zelaya attende i suoi sostenitori, che a migliaia stanno cercando di superare i cordoni militari. E soprattutto attende che Washington faccia valere la sua massiccia presenza militare (con la base aerea di Soto Cano) nel paese per indurre i golpisti a recedere. Lo ha ripetuto anche domenica 26: "Che la Casa Bianca smetta di svicolare sul tema della dittatura!" Venerdì il deposto presidente era rientrato in patria, sia pure per pochi minuti: in quell'atto simbolico era stato accompagnato da centinaia di persone, che avevano formato una catena umana per proteggerlo. La massa dei manifestanti non era però riuscita a raggiungere Zelaya, perché attaccata dalle forze di sicurezza con gas lacrimogeni e colpi d'arma da fuoco. Intanto nella capitale si registrava una massiccia partecipazione allo sciopero generale del settore pubblico, proclamato dalle tre centrali dei lavoratori e dai sindacati degli insegnanti. La sfida di Zelaya alla dittatura ha suscitato commenti contrastanti. La segretaria di Stato Usa, Hillary Clinton, l'ha definita "imprudente" e ha invitato "entrambe le parti" a impegnarsi per una "soluzione negoziata". Secondo il mediatore Oscar Arias, "non è questa la strada per la riconciliazione del popolo honduregno". E il segretario generale dell'Oea, Insulza, ha parlato di decisione "prematura". Sul fronte opposto il presidente dell'Assemblea Generale dell'Onu, D’Escoto, ha affermato: "A me sembra un'azione corretta ed eroica". E Fidel Castro ha attaccato la mediazione di Arias, "una geniale idea yankee per tentare di guadagnare tempo, consolidare il golpe e demoralizzare gli organismi internazionali che appoggiarono Zelaya". Sulla situazione honduregna si sofferma anche il documento finale del vertice del Mercosur, sottoscritto il 24 ad Asunción: i paesi membri, accogliendo la proposta della presidente argentina Cristina Fernández, affermano che non considereranno valido alcun atto del governo golpista, neppure la convocazione di elezioni. La decisione di tentare il rientro era stata presa da Zelaya dopo il fallimento di ogni tentativo di mediazione. I golpisti avevano respinto il piano proposto da Oscar Arias e in particolare erano stati categorici nel rifiutare ogni ipotesi di ritorno del legittimo capo dello Stato. In tal modo dimostravano, una volta di più, di aver accettato il negoziato unicamente per ottenere un riconoscimento internazionale. Per ora solo Bogotá sembra abbia espresso "simpatia" per il regime instaurato con la forza a Tegucigalpa. Lo ha sostenuto il ministro degli Esteri golpista dopo un incontro con Uribe, anche se il ministro colombiano Jaime Bermúdez si è affrettato a ricordare che il suo paese ha condannato il colpo di Stato "fin dal primo giorno". Appoggi espliciti a Micheletti sono venuti invece da Lucía Pinochet, figlia del defunto dittatore cileno; da Pedro Carmona, l'imprenditore venezuelano che sostituì Chávez al potere durante il breve colpo di Stato del 2002; da Juan Carlos Varela, ministro degli Esteri del nuovo governo di Panama e da Jorge del Castillo, uomo forte del Partido Aprista al potere in Perù. Vi è poi il tacito sostegno di Washington, con i suoi sforzi per rilanciare fino all'ultimo una soluzione negoziata. Nel frattempo il regime non esita a usare la repressione contro ogni espressione di dissenso. Una missione internazionale ha denunciato "violazioni gravi e sistematiche" dei diritti umani: arresti indiscriminati, esecuzioni sommarie durante il coprifuoco, pressioni e minacce a giornalisti e organi di stampa. 26/7/2009 |
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Colombia, arrivano altri militari Usa Grazie a un accordo con il governo Uribe, 800 militari e 600 civili Usa si insedieranno in tre basi colombiane, incrementando così la presenza statunitense, già notevole, nel paese. "Stiamo consegnando la nostra sovranità, ci stiamo comportando come una nazione suddita degli Stati Uniti": questo il commento di Carlos Gaviria, del Polo Democrático Alternativo. Nonostante le smentite del ministro degli Esteri, generale Freddy Padilla, sono in molti a sostenere che Washington intende così rimpiazzare la perdita della base di Manta, in Ecuador, il cui contratto non è stato rinnovato per decisione del presidente Correa. NUOVI OSTACOLI ALLA RIELEZIONE DI URIBE. Il presidente Uribe ha perso il controllo delle presidenze delle due Camere e questo potrebbe porre nuovi ostacoli all'approvazione di un referendum che apra la strada a un nuovo mandato nel 2010. Al Senato è stato eletto presidente Javier Cáceres: il suo partito, Cambio Radical, fa parte della coalizione di governo, ma ha già preannunciato di non voler sostenere l'ipotesi di rielezione. Il nuovo presidente della Camera è Edgar Gómez, di Convergencia Ciudadana. Anche in questo caso la formazione appartiene alla maggioranza, ma Gómez deve il suo incarico all'appoggio di due raggruppamenti di opposizione, il Partido Liberal e il Polo Democrático Alternativo. 21/7/2009 |
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Nicaragua, trent'anni fa la Rivoluzione Sandinista Il 19 luglio 1979 l'insurrezione popolare guidata dal Frente Sandinista de Liberación Nacional cacciava dal paese la dinastia dei Somoza, segnando la fine di decenni di dittatura. Il presidente Ortega ha voluto celebrare l'anniversario con un'imponente mobilitazione in Plaza de la Fe, nel centro di Managua. E ha approfittato dell'occasione per esplicitare le sue intenzioni di concorrere alla rielezione nel 2011, previa consulta popolare e riforma della Costituzione (che attualmente gli vieta un nuovo mandato). Ma se trent'anni dopo alla guida del Nicaragua c'è ancora Ortega, il clima è ben diverso da allora. "Noi sandinisti celebriamo la Rivoluzione Popolare e l'orteguismo celebra Daniel Ortega e sua moglie, Rosario Murillo. Questa è la differenza", afferma Dora María Téllez, ex guerrigliera ed ex ministra, tra i fondatori del Movimiento Renovador Sandinista, ricordando il patto di impunità tra l'attuale capo dello Stato e l'ex presidente liberale Arnoldo Alemán. Grazie a questo patto Ortega ha potuto consolidare il suo potere e Alemán ha ottenuto l'assoluzione dalla lunga serie di reati per cui era stato condannato. 19/7/2009 |
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Perù, un governo ancora più a destra L'11 luglio ha prestato giuramento il nuovo governo, il terzo di questo mandato di Alan García. A sostituire Yehude Simon, dimissionario dopo i tragici fatti di Bagua, è stato chiamato il presidente del Congresso Javier Velásquez Quesquén, esponente di quel settore del partito aprista maggiormente legato al capo dello Stato. Nel paese si registra un diffuso malessere sociale e crescono le manifestazioni, i blocchi stradali, gli scioperi promossi dalla Confederación General de Trabajadores del Perú e dai movimenti indigeni. L'8 luglio migliaia di lavoratori sono scesi in piazza a Lima per rivendicare una diversa politica economica e le mobilitazioni hanno paralizzato le città di Arequipa, Cuzco, Puno, Ayacucho, Huancavelica. La risposta del presidente García, a giudicare dalla composizione di questo nuovo gabinetto, va verso un rafforzamento delle spinte autoritarie. Dieci ministri sono stati confermati nell'incarico, compreso il titolare dell'Economia, Luis Carranza: un modo per ribadire la continuità del modello neoliberista. Mercedes Aráoz, sostenitrice dei Tlc, passa dal dicastero del Commercio Estero a quello della Produzione. Sei i nomi nuovi: tra questi il generale a riposo Octavio Salazar, ex direttore della Polizia (era stato rimosso mesi fa sotto l'accusa di inefficienza), che sostituisce la ministra dell'Interno, Mercedes Cabanillas. La Giustizia viene affidata all'aprista di destra Aurelio Pastor e la Difesa a Rafael Rey, membro dell'Opus Dei. Durante il regime Fujimori, l'allora parlamentare Rey si era fatto promotore di un'amnistia per i responsabili di violazione dei diritti umani (amnistia annullata dopo la caduta di Fujimori). Intanto la protesta non si ferma. Mercoledì 15 hanno incrociato le braccia i medici: chiedono miglioramenti salariali e maggiori finanziamenti per la sanità. I fondi destinati al settore rappresentano infatti solo il 4% circa del prodotto interno lordo, una delle percentuali più basse della regione. E questo in un paese alle prese con emergenze vecchie e nuove, non ultima la diffusione del virus dell'influenza suina. Un'altra emergenza viene segnalata proprio in questi giorni dalla Dirección General de Epidemiología: l'inverno particolarmente rigido ha già provocato la morte di quasi 260 persone, in gran parte bambini sotto i cinque anni. I decessi, causati da polmonite e altre infezioni delle vie respiratorie, sono favoriti dallo stato di denutrizione in cui versano vasti strati della popolazione. 17/7/2009 |
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Brasile, ai militari il compito di cercare le loro vittime Le forze armate inizieranno in agosto le ricerche dei resti di guerriglieri e contadini uccisi in Amazzonia negli anni della dittatura militare. L'operazione, annunciata dal ministro della Difesa Nelson Jobim, è stata decisa in ottemperanza a un'ordinanza giudiziaria del 2003, che impone allo Stato il recupero dei corpi degli scomparsi. Il dibattito sull'argomento aveva ripreso vigore nel giugno scorso, dopo le rivelazioni di un ex militare sull'esecuzione a sangue freddo di 41 insorti, catturati da membri dell'esercito e della marina tra il 1971 e il 1973 (la versione ufficiale sosteneva che i guerriglieri erano caduti in combattimento). Se l'iniziativa permetterà per la prima volta al Brasile di fare i conti con il suo passato, suscita parecchie perplessità il fatto che a guidare il recupero sia un generale dell'esercito. Il compito di cercare i corpi delle vittime non può essere affidato alla stessa istituzione coinvolta nella loro morte, ha fatto notare il presidente della commissione parlamentare per i Diritti Umani, Luiz Couto. Quanto ai familiari, si sono rifiutati di partecipare alla spedizione perché non è stata concessa loro la possibilità di controllare l'operato dei militari. L'intera operazione è "una farsa", ha affermato la presidente del Grupo Tortura Nunca Mais, Cecilia Coimbra: non si è tenuto conto delle informazioni e delle testimonianze raccolte dagli organismi per i diritti umani e dagli stessi familiari fin dagli anni Ottanta, come non è stata accolta la richiesta di una completa apertura degli archivi della dittatura, per far luce sui crimini di lesa umanità avvenuti in quel periodo. SANGUINOSI ATTACCHI A MILITANTI SEM TERRA. Cinque militanti del Movimento Sem Terra sono stati uccisi e un sesto ferito il 6 luglio da due uomini armati nell'Assentamento Chico Mendes (Stato di Pernambuco). Nell'insediamento, conquistato dopo undici anni di lotta, abitano oggi trenta famiglie, alcune delle quali hanno già ottenuto i crediti per la costruzione delle case. L'11 luglio è stata assassinata un'altra militante sem terra, Iraci Otila da Silva, che per diversi anni era stata coordinatrice dell'insediamento Sitio Novo, nello Stato di Alagoas. 14/7/2009 |
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Honduras, il tempo gioca a favore dei golpisti Il tempo gioca a favore dei golpisti. È questa la constatazione del Frente Nacional de Resistencia contra el Golpe de Estado, che ha deciso di rafforzare il coordinamento con i sindacati (finora marginali nella resistenza, a parte il settore della scuola) e di promuovere a breve un grande sciopero generale. Il tentativo di conciliazione del presidente del Costa Rica, Oscar Arias Sánchez, si sta risolvendo in un fallimento e l'idea stessa di mediazione ha finito per porre le parti sullo stesso piano, legittimando di fatto il regime. La scelta di Washington di affidare il compito di mediatore ad Arias, anziché al segretario generale dell'Oea, Insulza (che a Tegucigalpa si era rifiutato di incontrare Micheletti per evitare qualsiasi riconoscimento del regime), mostra il desiderio del governo Usa di mantenere una certa equidistanza. Gli avvenimenti honduregni stanno in effetti mettendo a dura prova le parole di Barack Obama, che aveva promesso un "nuovo inizio" nei rapporti con l'America Latina. Se la Casa Bianca ha subito condannato il golpe (senza però definirlo tale) e la segretaria di Stato Hillary Clinton ha pubblicamente incontrato Zelaya, l'incaricato per l'America Latina del Dipartimento di Stato, Thomas Shannon, si è riunito in privato con un amico dei golpisti, l'ex presidente honduregno Ricardo Maduro. Del resto non è un segreto per nessuno: Cia e Pentagono sapevano in anticipo quanto si stava preparando in Honduras, così come lo sapeva l'ambasciatore a Tegucigalpa Hugo Llorens, quello stesso personaggio che nel 2002-2003, gli anni del golpe e del paro petrolifero in Venezuela, si occupava dei paesi andini all'interno del National Security Council. Un consolidamento di Micheletti rischia perciò di indebolire la posizione di Obama, mostrando che il successore di Bush non è in grado di controllare apparati fondamentali dello Stato e che forze armate e servizi segreti possono agire in direzione contraria alla politica ufficiale. Nonostante il ripudio internazionale (e la sospensione dell'Honduras dall'Organización de los Estados Americanos), i golpisti continuano ad agire indisturbati e il 12 luglio si sono permessi il lusso di sospendere il coprifuoco, per dare un'immagine di ritorno alla normalità. Ma nel frattempo, con vari pretesti, hanno espulso dal paese i giornalisti di Telesur e della rete televisiva venezuelana Vtv. I media non devono mostrare al mondo le continue manifestazioni in favore di Zelaya e la sanguinosa risposta del regime, con le retate notturne che hanno portato in galera centinaia di persone. La repressione, iniziata immediatamente dopo il colpo di Stato, si è manifestata in tutta la sua violenza il 5 luglio, quando Manuel Zelaya ha tentato invano di rientrare in patria. L'aereo su cui viaggiava insieme al presidente dell'Assemblea Generale dell'Onu, il nicaraguense Miguel D'Escoto, non ha potuto atterrare perché la pista era stata occupata militarmente. Ad attendere il deposto presidente c'erano almeno 200.000 sostenitori, una delle più grandi mobilitazioni mai viste in Honduras. I soldati hanno aperto il fuoco contro la folla che premeva ai cancelli dell'aeroporto, uccidendo il diciannovenne Isis Obeid Murillo. Quattro giorni dopo il padre del giovane, David Murillo, vecchio militante ambientalista, veniva arrestato mentre usciva dalla sede del Cofadeh, il Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos. E l'11 luglio, in due diverse zone del paese, gli esponenti del partito di sinistra Unificación Democrática Roger Bados e Ramón García cadevano sotto i colpi di ignoti killer. 14/7/2009 |
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Messico, il ritorno del dinosauro "Il ritorno del dinosauro": così gli osservatori hanno commentato la vittoria del Pri alle elezioni di medio termine di domenica 5 luglio. I deputati del vecchio Partido Revolucionario Institucional costituiranno il gruppo più numeroso e, grazie all'alleanza con l'opportunista Partido Verde Ecologista, potranno contare sulla maggioranza assoluta. Il tracollo del Pan, il partito di governo, obbligherà il presidente Felipe Calderón a scendere a patti con una Camera dominata dall'opposizione, privandolo di qualsiasi margine di manovra. Il Pan è stato sconfitto anche nel voto per il rinnovo di sei governatori: ha conquistato solo Sonora, mentre gli altri cinque Stati (Querétaro, San Luis Potosí, Nuevo León, Campeche e Colima) sono rimasti o sono passati sotto il controllo del Pri. Come il Pan, anche la sinistra esce malconcia da queste consultazioni. Convergencia e Partido del Trabajo, le due formazioni che sostengono López Obrador, hanno raggiunto entrambe il quorum mettendo insieme però solo il 6% dei suffragi. Quanto al Prd, ha superato di poco il 12%: è il peggior risultato dal 2000, conseguenza delle lotte intestine degli ultimi mesi. Che sono riprese violentissime subito dopo il voto. Riferendosi alla corrente di López Obrador, il dirigente nazionale Jesús Ortega ha parlato esplicitamente di espulsione: "I perredisti che, nel processo elettorale conclusosi oggi, hanno appoggiato altri partiti politici restano fuori". 6/7/2009 |
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Honduras, il governo golpista si ritira dall'Oea Non è servito a nulla il viaggio a Tegucigalpa del segretario generale dell'Organización de los Estados Americanos, José Miguel Insulza: il presidente de facto, Roberto Micheletti, ha ribadito che non intende cedere e ha anzi annunciato che l'Honduras ha deciso di ritirarsi dall'Oea (anticipando così un'eventuale sospensione dall'organismo). Tale decisione non ha alcun valore legale, ha ribattuto Insulza, perché proviene da un governo che la comunità internazionale non riconosce. Tra le più recenti prese di posizione quella dell'amministrazione Usa, che ha sospeso le operazioni congiunte con le forze armate golpiste, anche se non ha cancellato l'assistenza militare ed economica. E la Banca Mondiale ha congelato un credito per 270 milioni di dollari. Italia, Germania e Francia, seguendo l'esempio della Spagna, hanno richiamato i loro rappresentanti diplomatici e lo stesso ha fatto la Commissione Europea. Infine Zelaya ha destituito gli ambasciatori honduregni a Washington e a Bruxelles, che facendosi portavoce di Micheletti negavano che nel paese ci fosse stato un golpe. Finora le pressioni esterne non hanno prodotto risultati: dopo aver spiccato un mandato di cattura contro il legittimo presidente, accusandolo di tradimento, il regime ha sospeso le garanzie costituzionali e inasprito la repressione. Ma la resistenza al golpe non si ferma: tutti i giorni migliaia di persone manifestano nella capitale, sfidando la violenza delle forze di sicurezza. E dalle comunità rurali centinaia di contadini e indigeni stanno tentando di raggiungere Tegucigalpa, respinti dai proiettili dei militari. Un comunicato del Cofadeh (Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos) denuncia perquisizioni, pestaggi e arresti illegali in particolare nel dipartimento di Olancho, di cui è originario Manuel Zelaya. 4/7/2009 |
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Haiti, cinque anni di intervento Onu La Minustah, la Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti, ha recentemente compiuto cinque anni. Il bilancio dell'intervento non è certo positivo: le truppe Onu sono state spesso coinvolte in casi di violenze e abusi. E nulla è cambiato nella situazione economico-sociale del paese: gran parte della popolazione vive ancora nella più assoluta miseria. L'80% degli abitanti deve sopravvivere con meno di due dollari al giorno; in molte case manca elettricità e acqua potabile e l'assistenza sanitaria è un lusso che pochi possono permettersi. In aprile la comunità internazionale aveva promesso aiuti per 324 milioni di dollari (una cifra di molto inferiore alle reali necessità). Ma di questo denaro, alla data del 19 giugno non era arrivato neppure un dollaro. In compenso ad Haiti giungono, via mare o in aerei che atterrano su piste clandestine, i corrieri della droga partiti da Colombia e Venezuela e diretti negli Stati Uniti. I tanti disoccupati che cercano lavoro nella vicina Repubblica Dominicana sono oggetto di sfruttamento e razzismo. Nei primi cinque mesi di quest'anno, secondo cifre ufficiali, le autorità dominicane hanno rinviato oltre frontiera oltre 5.000 clandestini. Le operazioni di rimpatrio forzato vengono effettuate dalle forze della Dirección General de Inmigración, dall'esercito e dal Cesfront, il Cuerpo Especializado en Seguridad Fronteriza Terrestre, creato alla fine del 2007. I membri del Cesfront sono stati più volte accusati di corruzione e di prepotenze nei confronti dei migranti. 2/7/2009 |
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Panama, tante promesse dal neopresidente Martinelli In controtendenza rispetto alla maggior parte dei paesi del continente, l'imprenditore Ricardo Martinelli si è insediato il primo luglio promettendo di fare il possibile "per progredire negli ideali di un'economia libera". Alla cerimonia, accanto agli altri capi di Stato era presente anche Manuel Zelaya per ribadire la sua posizione di presidente legittimo dell'Honduras, nonostante il golpe che l'ha deposto domenica 28 giugno. Martinelli, che sostituisce al potere Martín Torrijos (sotto la cui gestione è iniziato l'ampliamento del Canale), ha ripetuto durante il suo primo discorso presidenziale la parola d'ordine di lotta alla corruzione che è stata il suo cavallo di battaglia: "È finita l'epoca dei politici che entrano puliti ed escono miliardari". A parte questa generica promessa, durante la campagna Martinelli si era anche impegnato a sradicare la delinquenza, ad aumentare i salari dei poliziotti, ad assegnare una pensione di 100 dollari a ogni ultrasettantenne e a costruire una metropolitana nella capitale. Secondo gli osservatori, tutti questi progetti richiederebbero entrate statali ben superiori alle attuali e, in un contesto di crisi finanziaria internazionale, appaiono poco realistici. 1/7/2009 |
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Honduras, proteste interne e internazionali contro il golpe "Sono a San José de Costa Rica, sono stato vittima di un sequestro da parte di un gruppo di militari honduregni. I vertici delle forze armate mi hanno tradito, mi hanno oltraggiato, hanno invaso la mia casa questa mattina. Hanno minacciato di spararmi, è un sequestro brutale contro la mia persona, senza nessuna giustificazione. Mi hanno fatto salire su un veicolo, mi hanno portato alla base aerea, mi hanno imbarcato su un aereo". Questo le drammatiche fasi del colpo di Stato di domenica 28 giugno, raccontate per telefono dal presidente Manuel Zelaya ai giornalisti di Telesur. Anche la ministra degli Esteri, Patricia Rodas, veniva sequestrata dai golpisti (più tardi sarà rilasciata e potrà raggiungere il Messico), così come i rappresentanti diplomatici di Cuba, Venezuela e Nicaragua, liberati solo dopo essere stati picchiati. Tanti elementi ricordano il fallito golpe dell'aprile 2002 in Venezuela, compresa la falsa lettera di dimissioni di Zelaya, diffusa con lo scopo di confondere e demoralizzare la popolazione (avvenne lo stesso con Chávez). E come in Venezuela, si è tentato di salvare la forma sostituendo il capo di Stato deposto con un civile, in questo caso il presidente del Congresso Roberto Micheletti. Le analogie non finiscono qui: anche in Honduras la reazione popolare è stata immediata: migliaia di persone sono scese in piazza sfidando i soldati e chiedendo a gran voce il ritorno di Zelaya. Il quale ha ricevuto il sostegno dell'intera comunità internazionale, dall'Onu all'Unione Europea. Organización de los Estados Americanos, Gruppo di Rio, Mercosur e singoli governi del continente hanno condannato il golpe: anche Barack Obama ha dichiarato che Zelaya "è l'unico presidente dell'Honduras che riconosco". I paesi dell'Alba hanno deciso di ritirare i loro ambasciatori a Tegucigalpa (lo stesso ha fatto il governo di La Paz), mentre quelli del Sica (Sistema de la Integración Centroamericana) li hanno richiamati per consultazioni. Nella serata di domenica i golpisti hanno imposto il coprifuoco, ma questo non ha impedito che molti sostenitori di Mel (così Zelaya viene popolarmente chiamato) permanessero di fronte alla Casa Presidencial. E proprio nei pressi della residenza presidenziale, nel pomeriggio di lunedì le forze di sicurezza hanno attaccato con brutalità le manifestazioni di protesta: si parla di un morto, di una cinquantina di feriti e di numerosi arresti. Le confederazioni sindacali, il Bloque Popular e le centrali contadine hanno promosso uno sciopero generale e in diversi punti del paese si sono realizzati cortei e blocchi stradali. Ma tutto questo non giunge alle orecchie del cittadino medio: sulla stampa vige una rigida censura e i media alternativi sono stati chiusi; le trasmissioni di Telesur e perfino quelle della Cnn vengono impedite. Il 28 giugno era il giorno fissato per una consultazione popolare non vincolante (l'avevano richiesta con le loro firme 400.000 cittadini), con cui Zelaya contava di ottenere l'appoggio sufficiente per convocare l'elezione di un'Assemblea Costituente. Nel paese più povero del Centro America (e uno dei più poveri del continente) le istituzioni sono sempre state dalla parte dell'oligarchia e Zelaya, che pure proveniva dal Partido Liberal, voleva cambiare questo stato di cose prima del termine del suo mandato nel gennaio del 2010. Ma si è trovato ad affrontare l'opposizione del potere legislativo (compresi i parlamentari del suo partito) e della Corte Suprema, che hanno dichiarato non valida la convocazione del referendum, e gli attacchi dei media e delle gerarchie cattoliche. Quanto ai militari, avevano già dato vita a un minigolpe quattro giorni prima: si erano rifiutati di portare ai seggi le schede per la votazione e - quando Zelaya aveva destituito il comandante in capo, generale Vásquez, per questa insubordinazione - avevano circondato l'aeroporto e i principali edifici statali. Per nulla intimorito il presidente, accompagnato dai suoi sostenitori, si era incaricato di ritirare personalmente le schede. Come aveva spiegato a La Jornada la dirigente nazionale delle Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras, Berta Cáceres, "fa paura il fatto che il popolo decida, per questo abbiamo recuperato dalla forza aerea il materiale elettorale che era stato sequestrato per impedire la consultazione". Nei suoi tre anni e mezzo di governo, Zelaya ha innalzato il salario minimo, ha controllato i prezzi del paniere, ha stabilito la gratuità dell'istruzione pubblica, ha assunto il controllo dell'importazione e della distribuzione dei combustibili limitando i profitti miliardari delle transnazionali, ha emanato provvedimenti in difesa delle minoranze indigene e - a dispetto del suo passato di imprenditore del legname - per la protezione delle foreste. 30/6/2009 |
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Argentina, Kirchner sconfitto e opposizione divisa Ora sarà necessario raggiungere il consenso per mantenere la governabilità. Lo ha detto la presidente Cristina Fernández dopo i risultati delle legislative di metà mandato, che hanno visto l'alleanza di governo perdere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Per uno stretto margine Néstor Kirchner è stato superato nella provincia di Buenos Aires dalla coalizione di destra Unión-Pro, schieramento vincente anche su scala nazionale. Lo stesso Kirchner ha riconosciuto la sconfitta, abbandonando la direzione del Partido Justicialista nelle mani di Daniel Scioli. Come prima conseguenza del voto del 28 giugno, dunque, l'esecutivo rischia di trovarsi in serie difficoltà. L'opposizione, che ha raccolto i consensi di quasi il 70% dell'elettorato, appare però divisa tra peronisti di destra, socialisti, radicali, ecc. La destra, che già l'anno scorso con il conflitto agrario aveva portato il paese sull'orlo del colpo di Stato, appare in netta avanzata agitando, come in Europa, lo spauracchio della criminalità e proponendo di riprivatizzare quanto nazionalizzato dal governo Fernández (pensioni, compagnia aerea). Ma è la sinistra che rappresenta forse la vera sorpresa di questa consultazione: con Proyecto Sur, il regista Fernando Pino Solanas ha ottenuto nella capitale il 24% dei suffragi, subito dopo Gabriela Michetti di Propuesta Republicana, la forza politica che governa la città. E, pur disponendo di pochissimi mezzi economici, ha conseguito un buon risultato anche Martín Sabbatella con Nuevo Encuentro, formazione di centrosinistra alla sua prima prova elettorale. All'indomani del voto ha rassegnato le dimissioni la ministra della Sanità, Graciela Ocaña. Una rinuncia attesa: da tempo erano note le sue divergenze con Cristina Fernández. Il nuovo responsabile del dicastero sarà l'attuale vicegovernatore di Tucumán, il medico Juan Luis Manzur. Intanto aumenta il contagio dell'influenza suina, che ha già infettato oltre 2.000 persone provocando una trentina di morti. 29/6/2009 |
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Uruguay, Mujica vince le primarie del Frente Amplio Si sono tenute il 28 giugno le primarie in vista delle presidenziali del 25 ottobre. Per il Frente Amplio l'ex tupamaro José Pepe Mujica, che fu ministro dell'Agricoltura nel governo Vázquez, si è imposto sull'ex titolare dell'Economia Danilo Astori. Al terzo posto, con un forte distacco, l'altro candidato Marcos Carámbula. "Il mondo sta cambiando perché Obama è al governo negli Stati Uniti, Lula in Brasile ed Evo in Bolivia. Qui voglio sappiate che rappresento quelli che vengono dal basso e provo orgoglio e impegno", ha affermato Mujica dopo la vittoria. Il suo primo compito sarà quello di ricostruire l'unità del Frente, dopo il lungo e aspro dibattito tra i sostenitori dei due principali contendenti. Nel conservatore Partido Nacional (Blanco) Luis Lacalle, già presidente negli anni Novanta, ha sconfitto il senatore Jorge Larrañaga, che ha accettato di concorrere per la vicepresidenza. Infine per il Partido Colorado ha vinto, con una nettissima maggioranza, Pedro Bordaberry, figlio dell'ex dittatore José María Bordaberry (attualmente in carcere). 29/6/2009 |
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Caracas riallaccia le relazioni con Washington Sono state riallacciate le relazioni diplomatiche tra Washington e Caracas: lo hanno annunciato i due governi, stabilendo il ritorno in sede dei rispettivi ambasciatori, Patrick Duddy e Bernardo Alvarez Herrera. Si conclude così la crisi scoppiata nel settembre 2008, quando Hugo Chávez aveva espulso Duddy in segno di solidarietà con il presidente boliviano Evo Morales, che aveva accusato l'ambasciatore Usa di complottare contro il suo governo. I primi segni di distensione si sono avuti in aprile, al Vertice delle Americhe di Trinidad and Tobago, con la stretta di mano tra Chávez e Obama. Il 24 giugno il Venezuela ha ospitato a Maracay il sesto vertice dell'Alba. L'organizzazione ha deciso di mutare il suo nome da Alternativa Bolivariana para las Américas ad Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América - Tratado de Comercio de los Pueblos e ha salutato l'ingresso ufficiale di altri tre paesi: l'Ecuador e i due Stati caraibici di Antigua and Barbuda e Saint Vincent and the Grenadines. L'incontro è stato preceduto da una sfilata militare per la celebrazione del 188° anniversario della Battaglia di Carabobo, un avvenimento cruciale per l'indipendenza venezuelana. 25/6/2009 |
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Perù, un accordo e tante proteste È stato raggiunto un accordo tra il governo e le organizzazioni contadine della provincia di Andahuaylas (nel dipartimento di Apurímac), che da tredici giorni attuavano blocchi stradali e impedivano il funzionamento del locale aeroporto. Nell'accordo l'esecutivo si impegna a costruire una strada e a non privatizzare l'aeroporto. La tensione rimane alta invece nella provincia di Canchis (dipartimento di Cuzco), dove la popolazione respinge le concessioni minerarie e chiede la sospensione della costruzione di un'impresa idroelettrica e l'annullamento delle norme sulle risorse idriche. In difesa dell'acqua - e contro ogni ipotesi di privatizzazione - si sono mobilitati anche i contadini del dipartimento di Puno. Infine a La Oroya (dipartimento di Junín) sono scesi in sciopero i lavoratori della compagnia mineraria statunitense Doe Run, che bloccano l'arteria principale della regione. Sono stati diffusi intanto i risultati di un sondaggio che indica un calo dal 30 al 21% della popolarità del presidente García dopo il conflitto con le comunità amazzoniche. Secondo il rilevamento, il 57% dei peruviani è convinto che avessero ragione gli indigeni; solo il 18% sostiene le motivazioni del governo. Dal 19 giugno il primo ministro Yehude Simon, attaccato da destra e da sinistra, è dimissionario: la sinistra lo responsabilizza per il tragico bilancio della repressione, la destra gli rimprovera di aver ceduto alle richieste del movimento. 24/6/2009 |
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Cile, dagli Usa niente scuse per il golpe "Ritengo sia una delle migliori leader dell'America Latina, è una persona molto capace". È stato questo l'elogio di Barack Obama nei confronti di Michelle Bachelet, che il 23 giugno ha avuto con il presidente Usa il suo primo incontro a Washington. Obama ha anche ricordato le misure adottate dal Cile per fronteggiare la crisi, definendole "un esempio per tutti" di una buona politica economica, in grado di affrontare i periodi favorevoli e quelli difficili. Michelle Bachelet gli ha restituito i complimenti ricordando "l'eccellente immagine" che di Obama hanno avuto i capi di Stato latinoamericani durante il vertice di Trinidad and Tobago. I due paesi hanno anche firmato un accordo di cooperazione per lo sviluppo di energie alternative. Unica nota stonata, la risposta di Obama a un giornalista cileno che gli chiedeva se gli Usa intendessero ammettere la partecipazione della Cia nel golpe del 1973 e chiedere scusa. "Sono sostenitore dei passi in avanti, non degli sguardi indietro - ha risposto Obama - Credo che gli Stati Uniti siano stati un'enorme forza rivolta al bene nel mondo. Nel passato in alcune occasioni abbiamo sbagliato, ma penso che la cosa importante siano le nostre politiche attuali". LA SCOMPARSA DI HORTENSIA BUSSI. Nonostante il freddo e la pioggia, migliaia di persone hanno accompagnato il 20 giugno l'ultimo viaggio di Hortensia Bussi, vedova di Salvador Allende, il presidente costituzionale vittima del golpe di Pinochet. Alle esequie solenni ha partecipato la presidente Michelle Bachelet, che ha salutato in Hortensia "un simbolo" della resistenza contro la dittatura, una donna "piena di dignità e coraggio", che ha incarnato valori come la solidarietà e il rispetto "nei momenti più difficili" della storia cilena. Tencha, così era chiamata dai familiari, era morta il 18 giugno nella sua casa di Santiago, all'età di 94 anni. I suoi resti riposano ora nel mausoleo del Cementerio General, accanto a quelli del marito. Laureata in Storia e Geografia, nel 1940 Hortensia Bussi aveva sposato Allende, con cui aveva avuto tre figlie: Carmen Paz, Beatriz (laureata in medicina come il padre, morta suicida all'Avana nel 1977) e Isabel (oggi parlamentare socialista). Dopo il colpo di Stato aveva vissuto in esilio in Messico, dove aveva lottato tenacemente per il ritorno della democrazia, e soltanto nel 1988 aveva potuto ritornare in patria. 23/6/2009 |
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Colombia, un altro sindacalista vittima dei paras Un altro dirigente sindacale vittima dei paramilitari. Rafael Sepúlveda, dell'Asociación Nacional de Trabajadores Hospitalarios de Colombia, è stato assassinato a Cúcuta, capitale del dipartimento di Norte de Santander, da ignoti killer che sono poi fuggiti a bordo di una moto. Nella zona sono almeno sette i sindacalisti uccisi negli ultimi mesi e una trentina hanno ricevuto minacce di morte dai gruppo di estrema destra noto come Aguilas Negras. Recentemente il rapporto annuale della Confederazione Sindacale Internazionale ha indicato la Colombia come il paese in cui si verifica il maggior numero di delitti contro chi cerca di difendere i diritti dei lavoratori. Una tendenza in costante aumento, nonostante le rassicurazioni del presidente Uribe. "Non ci sono stati, non ci sono e non ci saranno reali progressi fino a che l'impunità non verrà autenticamente e seriamente risolta" con la condanna di mandanti e autori materiali, ha affermato il rappresentante della statunitense Afl-Cio, Stanley Gacek. Considerando che ogni anno si pronunciano una settantina di sentenze, per garantire la giustizia negli oltre 2.700 casi di sindacalisti assassinati dal 1986 a oggi sarebbero necessari quasi quarant'anni. E anche quando si arriva al processo, spesso i magistrati danno credito al movente passionale, oppure accusano la vittima di insurrezione. Nel conflitto tra capitale e lavoro, governo e istituzioni stanno dalla parte del capitale, denuncia Domingo Tovar, segretario generale della Central Unitaria de Trabajadores de Colombia. Intervistato dall'agenzia Ips, Tovar ha ricordato le tante transnazionali accusate di violazioni dei diritti umani: dalla Chiquita alla Dole, dalla Cerrejón all'Unión Fenosa, dalla Nestlé alla Telmex. 21/6/2009 |
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Guatemala, in ricordo dei desaparecidos L'associazione che raggruppa i familiari dei detenidos-desaparecidos (Famdegua) ha realizzato una cerimonia nella capitale, di fronte a quella che fu la sede della Central Nacional de Trabajadores. Qui il 21 giugno del 1980 27 sindacalisti e dirigenti del movimento degli studenti furono sequestrati dalle forze di sicurezza e fatti sparire. In ricordo di quel tragico fatto, nel 2004 il Congresso dichiarò il 21 giugno Día Nacional contra la Desaparición Forzada. Varie attività culturali (musica, poesia, mostra fotografica) sono state realizzate nella Plaza Central di Città del Guatemala. Il primo caso di sequestro, la scomparsa di sei indigeni di Choatalum tra il novembre del 1982 e l'ottobre del 1984, venne portato davanti alla giustizia nel 2003. Il procedimento è però fermo dal 2006 per un ricorso dell'imputato, un ex membro delle Patrullas de Autodefensa Civil, i gruppi paramilitari che agivano in complicità con l'esercito. Secondo Famdegua, il conflitto civile ha provocato 45.000 desaparecidos, di cui oltre 5.000 erano bambini. 21/6/2009 |
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Perù, il movimento indigeno sconfigge il presidente Con 82 voti a favore, 12 contrari e due astensioni, il Congresso ha annullato il 18 giugno i due decreti più contestati dal movimento indigeno. "Una giornata storica", l'ha definita la dirigente Daysi Zapata. Per Alan García è la più grossa sconfitta politica da quando è tornato al potere: la sanguinosa repressione scatenata il 5 giugno aveva provocato reazioni in tutto il paese e aveva lasciato il governo isolato e senza alternative, costringendo il capo dello Stato, in un messaggio alla nazione, ad ammettere di aver commesso degli errori. A Bagua, però, nessuno è sceso in piazza a festeggiare. La vittoria è costata troppo cara: 34 morti, oltre 60 desaparecidos e un centinaio di feriti. "È deplorevole che il governo, che avrebbe potuto arrivare prima a una soluzione, abbia aspettato che ci fosse tanta violenza, che ci fossero tanti morti, per abrogare queste leggi", ha commentato Salomón Awananch, uno dei leader della protesta. Per continuare il dialogo, il movimento indigeno chiede ora la scarcerazione degli arrestati e il ritiro dei mandati di cattura contro i protagonisti della rivolta. 18/6/2009 |
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Argentina, l'ex repressore non può candidarsi L'ex repressore Luis Abelardo Patti, in carcere in attesa di giudizio per una serie di sequestri e di omicidi commessi durante la dittatura militare, non potrà presentarsi candidato alle legislative del 28 giugno. Lo hanno disposto le autorità elettorali, accettando i ricorsi presentati dai familiari delle vittime e dalle organizzazioni per i diritti umani. Nelle scorse settimane Patti, attraverso il telefono del penitenziario collegato a un altoparlante, era intervenuto in diverse iniziative elettorali come candidato dell'alleanza Con Vos Buenos Aires. Non è l'unico "nostalgico" riemerso in questa campagna: gruppi che si richiamano all'ideologia della dittatura hanno fatto la loro comparsa con attacchi violenti a esponenti della maggioranza. La posta in gioco del voto di domenica 28 è la continuazione del progetto di governo di Cristina Fernández e Néstor Kirchner (quest'ultimo ha messo in campo tutto il suo prestigio, presentandosi come capolista del raggruppamento di centrosinistra Frente para la Victoria). A destra è schierato contro il governo il potente Grupo Clarín, che comprende giornali, emittenti radio e tv e che appoggia l'Unión-Pro dell'imprenditore di origine italiana Mauricio Macri e del miliardario Francisco de Narváez (a suo tempo sostenitore di Menem). L'altro settore dell'opposizione è rappresentato dall'Acuerdo Cívico y Social guidato dalla cattolico-liberale Elisa Carrió, cui hanno aderito i socialisti e l'Unión Cívica Radical (Ucr). 18/6/2009 |
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Cuba, per i Cinque solo una soluzione politica Solo una soluzione politica può chiudere il caso dei cinque cubani incarcerati da oltre dieci anni negli Usa per aver cercato di fermare le azioni terroristiche in preparazione contro l'isola. La Corte Suprema statunitense ha respinto la richiesta d'appello presentata dalla difesa, considerando dunque valido un processo che pure aveva presentato innumerevoli vizi di forma e che si era svolto nell'ambiente ostile degli anticastristi di Miami. Dopo il no della giustizia nordamericana, il presidente del Parlamento cubano, Ricardo Alarcón, ha mandato a Washington un chiaro segnale: Obama può "mettere in libertà cinque persone che non avrebbero mai dovuto essere in prigione e farlo subito, se veramente dobbiamo credere che ci sia qualcosa dietro a tutta questa retorica del cambiamento, del rinnovamento, che tanto piace all'attuale inquilino della Casa Bianca". Tra le ipotesi di soluzione, quella del perdono presidenziale, di una commutazione della sentenza o di uno scambio tra la libertà dei cinque e quella di 55 dissidenti detenuti a Cuba. PERMESSO DI VIAGGIO PER HILDA MOLINA. È stato risolto il caso della neurochirurga Hilda Molina, che da tempo chiedeva alle autorità cubane il permesso di recarsi in Argentina. Il governo di Raúl Castro ha autorizzato il viaggio: la scienziata potrà così visitare il figlio Roberto Quiñones, che vive a Buenos Aires con la moglie argentina e i due figli, e poi tornare in patria. Fondatrice e direttrice del Ciren (Centro Internacional de Restauración Neurológica), per il suo lavoro Hilda Molina aveva ricevuto numerosi riconoscimenti, ma nel 1994 aveva rotto i rapporti con il governo rinunciando all'incarico. Negli anni scorsi l'appoggio esplicito alla sua richiesta di viaggio da parte del presidente argentino Néstor Kirchner aveva suscitato una certa tensione tra l'Avana e Buenos Aires. 15/6/2009 |
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Cile, sinistra unita alle legislative di dicembre Per la prima volta dal ritorno della democrazia, la Concertación, la coalizione di centrosinistra al governo, e Juntos Podemos Más, raggruppamento di cui fa parte tra gli altri il Partido Comunista, si presenteranno uniti al voto di dicembre. Anche se l'accordo si limita alle legislative (per le elezioni presidenziali non sono previste candidature unificate), è importante perché potrebbe consentire il rientro in Congresso della cosiddetta sinistra extraparlamentare e dare finalmente rappresentanza politica a una consistente fetta di elettorato, escluso dall'attuale sistema di voto. Qualche mese fa il presidente del partito, Guillermo Teillier, aveva dichiarato che il ritorno dei comunisti in Parlamento avrebbe segnato l'inizio della vera transizione dopo la fine della dittatura. Un altro segnale di cambiamento era venuto il 7 giugno, durante l'inaugurazione nella capitale, alla presenza della presidente Michelle Bachelet, del Campo Militar San Bernardo. Il Campo è stato intitolato al generale Carlos Prats, ex ministro di Salvador Allende, assassinato a Buenos Aires nel 1974 insieme alla moglie Sofía Cuthbert. Nel corso della cerimonia il comandante in capo dell'esercito, Oscar Izurieta Ferrer, riferendosi all'uccisione di Prats l'ha definita "un atto terroristico" e ha affermato che l'istituzione militare "condanna pubblicamente la viltà di quell'azione". Lo scorso anno Manuel Contreras, l'ex capo della Dina (la polizia segreta di Pinochet), era stato condannato a due ergastoli come mandante dell'omicidio di Prats e della moglie. 15/6/2009 |
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Perù, cresce la protesta per il massacro in Amazzonia Sei leader indigeni sono stati denunciati per sommossa e apologia di reato. Fanno tutti parte di Aidesep, l'Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana, che però non appare intimorita dalle minacce di azioni giudiziarie. "Dietro di noi ci sono altri dirigenti": così Daysi Zapata, che ha assunto la guida del movimento, ha commentato la notizia. Tra i denunciati figura Alberto Pizango, che per sfuggire alla vera e propria caccia all'uomo scatenata contro di lui si è rifugiato nell'ambasciata del Nicaragua e ha ottenuto asilo politico.Le autorità hanno anche revocato la licenza all'emittente locale La Voz, accusata di istigazione alla rivolta. A distanza di una settimana, non si conosce ancora di preciso il numero dei caduti negli scontri di Bagua: il governo parla di 25 agenti uccisi e di una decina di vittime civili. Gli abitanti della zona, dove dal 6 giugno vige il coprifuoco, denunciano la scomparsa di un centinaio di persone, affermano che alcuni cadaveri sono stati bruciati o gettati nel fiume per nascondere la strage e chiedono la formazione di una commissione d'inchiesta internazionale. E davanti ai drammatici avvenimenti di Bagua, la ministra della Donna e dello Sviluppo Sociale, Carmen Vildoso, si è dimessa dall'incarico, criticando il modo in cui l'esecutivo ha gestito "questa situazione che ha fatto tanti morti". A disinnescare la tensione non è servito neppure il timido passo indietro fatto dal Congresso, che ha sospeso (ma non abrogato) due dei nove decreti contestati dagli indigeni. L'11 giugno l'ondata di sdegno contro il massacro in Amazzonia si è espressa con cortei in tutto il paese. È stata la protesta antigovernativa più forte dal periodo che precedette la caduta di Fujimori: tra i dimostranti (almeno 30.000) che hanno sfilato per le strade di Lima, alcuni recavano cartelli con la scritta: "Alan asesino, igual que el chino". Alle manifestazioni interne si è aggiunta la condanna internazionale: presidi davanti alle ambasciate peruviane si sono tenuti a Quito, Madrid, Parigi, Bruxelles, Roma. E in solidarietà con la lotta dell'Amazzonia, comunità indigene stanno attuando blocchi stradali in diverse zone del Perù (è stato occupato anche un aeroporto nel dipartimento di Apurímac). Il governo di Alan García risponde indurendo i toni e presentando i fatti di Bagua come un "genocidio di poliziotti" promosso da "elementi estremisti" e dal "comunismo internazionale". 13/6/2009 |
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Messico, nessuno finirà in carcere per il rogo? Probabilmente nessuno finirà in carcere per il tremendo rogo scoppiato il 5 giugno nel nido d'infanzia di Hermosillo (Stato di Sonora), che ha provocato la morte di 44 bambini e il ferimento di altre decine. Secondo le indagini della Procura Generale si è trattato di un fatto "non intenzionale", causato dal surriscaldamento di un condizionatore in un vicino edificio statale. Da qui le fiamme si sono propagate all'asilo, che in quel momento ospitava 176 piccoli. Al massimo, affermano gli inquirenti, potrebbero configurarsi i reati di lesioni e omicidio colposo. Eppure in questi giorni sono emerse gravissime carenze nella sicurezza: il nido non aveva estintori né uscite d'emergenza e solo l'eroismo di un giovane, che con il suo camioncino si è gettato contro le pareti per aprire un varco ai soccorsi, ha fatto sì che il bilancio della tragedia non fosse ancora più pesante. La gestione dell'asilo era stata affidata dall'Imss, l'Instituto Mexicano del Seguro Social, a una società privata tra i cui membri figurano la cugina di Margarita Zavala, moglie del presidente Calderón, e due ex funzionari del governo statale. Proprio la presenza tra i gestori di esponenti politici fa temere che il caso venga insabbiato. Per questo oltre 10.000 abitanti di Hermosillo sono scesi in piazza a manifestare la loro indignazione, chiedendo la punizione dei responsabili e la rinuncia del governatore dello Stato, il priista Eduardo Bours. L'UNAM PREMIATA IN SPAGNA. L'Unam (Universidad Nacional Autónoma de México), il prestigioso ateneo della capitale fondato nel 1910, ma le cui origini si rifanno alla Real y Pontificia Universidad de México del 1551, ha vinto il Premio Príncipe de Asturias de Comunicación y Humanidades, per aver promosso "correnti di pensiero umanistico, liberale e democratico in America". L'Unam "ha rappresentato il modello accademico e formativo per molte generazioni di studenti e ha nutrito l'ambito iberoamericano di validissimi intellettuali e scienziati", afferma la motivazione del premio, che riconosce inoltre all'istituzione messicana il merito di aver accolto "con generosità illustri personalità dell'esilio spagnolo del dopoguerra". 10/6/2009 |
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Due arresti negli Usa per spionaggio a favore di Cuba Proprio quando sembrava concretizzarsi il processo di riavvicinamento tra Washington e l'Avana, l'arresto negli Stati Uniti di un ex funzionario del Dipartimento di Stato e della moglie, accusati di spionaggio a favore di Cuba, potrebbe provocare una battuta d'arresto. I due, Walter Kendall Myers (72 anni) e Gwendolyn Steingraber Myers (71) sono finiti in carcere il 4 giugno perché sospettati di aver fornito informazioni ai cubani per quasi trent'anni. Alla vicenda Fidel Castro ha dedicato un editoriale su CubaDebate, intitolato: Respuesta ridícula a una derrota. "Il lato curioso è che questa notizia viene alla luce 24 ore dopo la sconfitta subita dalla diplomazia degli Stati Uniti nell'Oea", scrive Fidel facendo riferimento alla riunione che il 3 giugno ha cancellato l'esclusione di Cuba dall'Organización de los Estados Americanos. Nell'articolo si fa notare che, secondo quanto rivelato dagli inquirenti, i due coniugi erano tenuti sotto controllo già da tempo. "Perché non sono stati arrestati prima e lo fanno in questo momento?" si chiede Fidel, che aggiunge: "Comincerà ora il gioco della cosiddetta giustizia contro due persone moralmente fatte a pezzi in anticipo con accuse che predispongono la condotta della giuria". E a proposito dell'Oea, un comunicato ufficiale pubblicato l'8 giugno sul Granma ribadisce il rifiuto dell'Avana di tornare a farvi parte: "Si tratta di un'organizzazione con un ruolo e una traiettoria che Cuba ripudia". 8/6/2009 |
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L'Ecuador aderisce all'Alba L'Ecuador ha deciso di aderire all'Alba, l'Alternativa Bolivariana para las Américas di cui fanno già parte Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua, Dominica e Honduras. L'ingresso nell'Alba, afferma un comunicato ufficiale, permetterà di "adottare una posizione comune davanti agli organismi internazionali che hanno pregiudicato moltissimo l'America Latina, come ad esempio il Ciadi e la Banca Mondiale". Proprio davanti al Ciadi sono stati presentati in questi anni i ricorsi delle compagnie petrolifere straniere contro le revisioni dei contratti imposte dal governo di Quito. L'8 giugno, in occasione dell'insediamento del nuovo ministro delle Miniere e del Petrolio, Germánico Pinto, il presidente Correa ha sottolineato che la radicalizzazione della Revolución Ciudadana "significa esigere rispetto per il paese". Correa ha poi ribadito la necessità di "un atteggiamento molto più fermo nei confronti di tutte queste imprese che non vogliono pagare imposte e in più ci citano in tribunale chiedendo indennizzi miliardari". Un chiaro rimprovero al predecessore di Pinto, Derlis Palacios, accusato di essersi mostrato troppo morbido nei negoziati con le transnazionali. 8/6/2009 |
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Perù, il governo reprime la protesta indigena È stato un massacro. Dopo quasi due mesi di lotta delle popolazioni amazzoniche, alla mattina del 5 giugno le forze di sicurezza hanno attaccato con gas lacrimogeni e colpi d'arma da fuoco, da terra e dagli elicotteri, un blocco stradale nella zona della Curva del Diablo, dove si erano concentrate cinquemila persone. I primi dati parlano di 36 morti negli scontri (25 manifestanti e 11 agenti) e di un centinaio di feriti, in gran parte colpiti da proiettili. Gli indigeni hanno denunciato di non aver potuto neppure raccogliere i caduti. Altri incidenti nella vicina città di Bagua, dove gli abitanti sono scesi in piazza incendiando alcuni edifici pubblici e la sede del Partido Aprista. L'esecutivo ha decretato il coprifuoco a Bagua e il primo ministro Yehude Simon ha accusato la dirigenza indigena di "complottare contro la democrazia". Anche la ministra dell'Interno, Mercedes Cabanillas, ha difeso l'azione delle forze di sicurezza, definita "serena e prudente". Quanto al presidente García, ha affermato che le comunità indigene sono state "manipolate" dai nemici politici dell'esecutivo e da "interessi stranieri". In una conferenza stampa con i giornalisti esteri Alberto Pizango, uno dei leader della protesta, ha respinto la versione ufficiale, secondo la quale sarebbero stati gli indigeni a sparare per primi: "Il governo mente. Noi non abbiamo ucciso gli agenti. Non abbiamo armi da fuoco, abbiamo soltanto archi e frecce. Ci sparano contro come se fossimo delinquenti o animali. Responsabilizziamo Alan García di questo genocidio". Pizango ha poi chiesto l'intervento degli organismi internazionali per fermare la strage: "Noi stiamo lottando per difendere le nostre terre, la nostra vita, i nostri diritti. Vogliono chiuderci la bocca ammazzandoci. I nostri fratelli stanno morendo per difendere l'Amazzonia, che è il polmone del mondo". La decisione di sgomberare a qualunque costo i blocchi stradali era venuta all'indomani della seduta parlamentare in cui la maggioranza si era rifiutata di discutere l'abrogazione di uno dei nove decreti contestati dalle popolazioni native (decreto già definito incostituzionale dalla Comisión de Constitución del Congresso). Il governo dunque si era apertamente schierato contro ogni tentativo di dialogo, visto che gli indigeni avevano annunciato che avrebbero sospeso la protesta se almeno questo decreto fosse stato annullato. 5/6/2009 |
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Storica decisione, Cuba può rientrare nell'Oea "È una grande vittoria". Così il presidente del Parlamento cubano, Ricardo Alarcón, ha salutato la risoluzione dell'Organización de los Estados Americanos, che il 3 giugno ha riaperto le porte al governo dell'Avana. Alarcón ha però aggiunto che questo "non modifica per nulla ciò che Cuba pensava ieri, l'altro ieri e oggi", ribadendo dunque che il suo paese non ha nessuna intenzione di rientrare nell'Oea. Rimane comunque intatta la portata storica dell'evento: 47 anni dopo l'esclusione dell'isola, votata da un'America Latina prona al volere degli Stati Uniti, il panorama politico è totalmente cambiato. Sono stati i paesi latinoamericani a premere su Washington perché accettasse la caduta del veto, cancellando "un anacronismo e un'ingiustizia", come ha commentato il ministro degli Esteri di Buenos Aires, Jorge Taiana. La riunione dell'Oea si era tenuta nella località honduregna di San Pedro Sula ed era stato proprio il presidente del paese ospitante, Manuel Zelaya, a proclamare trionfante la decisione. "La Guerra Fredda è terminata - aveva annunciato Zelaya - Dico al comandante Fidel Castro: Oggi la storia lo ha assolto" (un riferimento al discorso tenuto da Fidel nel processo per l'assalto al Moncada: La historia me absolverá). L'accordo tra i partecipanti era giunto dopo ore e ore di discussioni tra due fronti contrapposti: da una parte gli Stati Uniti e i suoi stretti alleati, che pretendevano di imporre condizioni al ritorno di Cuba nell'Oea; dall'altra Bolivia, Ecuador, Nicaragua e Venezuela, che avrebbero voluto invece una ritrattazione esplicita della decisione del 1962. Alla fine veniva approvata una formula di compromesso: dichiarata "senza effetto" la vecchia risoluzione, un eventuale rientro dell'isola in seno all'Organizzazione "sarà il risultato di un processo di dialogo iniziato su richiesta del governo di Cuba e sulla base delle pratiche, dei propositi e dei principi dell'Oea". Come si vede, una frase abbastanza generica da lasciare tutti soddisfatti. 4/6/2009 |
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Venezuela, Chávez denuncia un piano per ucciderlo Hugo Chávez è riapparso in pubblico martedì 2, dopo una prolungata assenza che aveva provocato una serie di congetture sulla sua salute. Il primo giugno Chávez non si era recato in Salvador, dove era atteso per l'insediamento del nuovo presidente Mauricio Funes; nei due giorni precedenti era stata sospesa, "per problemi tecnici", l'edizione speciale del suo programma radiotelevisivo Aló Presidente, che avrebbe dovuto celebrare il decimo anniversario della trasmissione. Dopo aver smentito tutte le voci su suoi presunti malori, Chávez ha affermato di aver dovuto annullare il viaggio in Salvador dopo la scoperta di un piano della destra venezuelana e internazionale per ucciderlo, con la complicità dei servizi segreti Usa: "Non sto accusando Obama. Credo che il presidente statunitense abbia buone intenzioni. Ma al di là di Obama c'è un impero, la Cia e tutti i suoi tentacoli. Non ho dubbi che dietro a ciò vi siano gli organi di spionaggio degli Stati Uniti". Chávez ha poi aggiunto che l'attentato era stato progettato dalla "gente di Luis Posada Carriles" e ha chiesto a Obama di rispettare la legge ed estradare il terrorista cubano in Venezuela. 2/6/2009 |
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El Salvador, davanti a Funes un compito immane Alla presenza di 4.000 invitati e 17 capi di Stato, il primo giugno si è insediato a San Salvador il primo presidente progressista del paese. "Vogliamo la ricostruzione sociale, economica e istituzionale del Salvador. Questo significa creare un modello di sviluppo nazionale che recuperi le cose migliori che possediamo, diminuisca le disuguaglianze interne e promuova il recupero del grande debito sociale e allo stesso tempo acceleri il nostro sviluppo economico": così Mauricio Funes ha sintetizzato il suo programma. Il neopresidente ha poi annunciato un piano globale anticrisi, con l'obiettivo di creare nuovi posti di lavoro e promuovere un sistema di previdenza sociale esteso a tutti. Sotto lo sguardo attento della segretaria di Stato Usa, Hillary Clinton, Funes ha affrontato anche il tema della politica estera, annunciando l'apertura immediata delle relazioni diplomatiche, commerciali e culturali con Cuba (El Salvador era l'unico Stato latinoamericano che ancora non aveva riallacciato i rapporti con l'isola). Infine ha voluto citare i presidenti Lula e Obama, riferendosi a loro come a esempi da seguire. Quello che Mauricio Funes ha davanti a sé è un compito immane. L'eredità di vent'anni di governo Arena è rappresentata da una maggiore concentrazione della ricchezza, come spiega il ministro dell'Economia designato, Héctor Dada Hirezi: "Prima della guerra si diceva che 14 possidenti erano proprietari del paese. Oggi i padroni sono sei o sette, in qualità di concessionari delle transnazionali". Chiamato a governare una delle nazioni più povere e più diseguali della regione, il neopresidente dovrà fare i conti con una situazione delle finanze pubbliche a dir poco disastrosa. Neppure le previsioni più pessimistiche avrebbero potuto immaginare la dimensione del deficit lasciato dalle precedenti amministrazioni: non 200 o 300 milioni di dollari, come si era detto in un primo tempo, ma una cifra che supera i mille milioni. E le rimesse degli emigrati all'estero, tanto importanti per l'economia nazionale, hanno subito i contraccolpi della congiuntura internazionale, con una caduta di oltre il 15% nell'ultimo trimestre, mentre il tasso di disoccupazione ufficiale, che si aggira intorno all'8%, viene considerato da tutti troppo ottimistico (c'è chi pensa che tale dato vada raddoppiato). Accanto al moderato Dada Hirezi (del raggruppamento Cambio Democrático), il governo Funes vede la presenza di cinque esponenti legati al Fmln: Hugo Martínez agli Esteri, Humberto Centeno agli Interni, Gerson Martínez alle Opere Pubbliche e ai Trasporti, il vicepresidente Salvador Sánchez Cerén all'Istruzione e Manuel Melgar alla Giustizia e alla Sicurezza. Quest'ultima nomina testimonia l'autonomia che San Salvador ha ormai assunto nei confronti di Washington: il Dipartimento di Stato non aveva nascosto infatti il suo malumore per la scelta (quando era comandante guerrigliero, Melgar aveva partecipato all'attentato in cui erano morti cinque consiglieri Usa). Alla Difesa Funes ha designato (nonostante le rimostranze di alcuni militari) il colonnello a riposo David Munguía Payés, che aveva lavorato al suo fianco durante la campagna elettorale. Tra gli altri ministri figurano María Isabel Rodríguez, ex rettrice dell'Universidad de El Salvador, alla Sanità; Victoria Marina Velásquez de Avilés, ex magistrata della Corte Suprema, al Lavoro e alla Previdenza Sociale; l'economista Carlos Cáceres al Tesoro. 2/6/2009 |
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Messico, retata di sindaci e funzionari nel Michoacán Lo hanno già definito michoacanazo: nello Stato del Michoacán dieci sindaci e una ventina di funzionari, compresi un magistrato e una ex ministra della Sicurezza Pubblica statale, sono stati arrestati il 26 maggio in un'operazione congiunta dell'esercito e delle forze federali. L'accusa: far parte di una rete di protezione del cartello dei narcotrafficanti La Familia. Per altre quattro persone, tra cui il procuratore Miguel García Hurtado e il viceprocuratore Ignacio Mendoza, è stato spiccato ordine di comparizione. I dieci sindaci finiti in carcere provengono dai tre maggiori partiti: sei dal Pri, due dal Prd e due dal Pan. Il governatore del Michoacán Leonel Godoy (Prd), che non era stato avvertito dell'operazione, ha denunciato l'ingresso con la violenza degli agenti federali nel palazzo di governo: "Sono arrivati incappucciati, senza esibire ordine di cattura e hanno bloccato la guardia armata della sede del potere esecutivo statale". Numerose le prese di posizione contro la retata, che colpisce uno Stato governato dal 2002 dal Prd e avviene nel pieno della campagna elettorale per il rinnovo del Congresso. Nella capitale Morelia e in altre città del Michoacán studenti e dipendenti pubblici sono scesi in piazza per protestare contro gli arresti. "Se il michoacanazo è stato un colpo di teatro alla vigilia delle elezioni, come lo ha definito Andrés Manuel López Obrador, ha raggiunto il suo obiettivo: ha tappato la bocca al Prd oficialista e ha terrorizzato il Pri. È stato, in altre parole, l'inizio di un amichevole accordo per garantire che le elezioni di luglio non portino con sé proteste o sombrerazos", scrive Jaime Avilés su La Jornada del 30 maggio. 30/5/2009 |
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Colombia, sinistra divisa alle presidenziali del 2010 Sinistra in ordine sparso alla prossima scadenza elettorale. Per le presidenziali del maggio 2010 sono state annunciate tre candidature: Carlos Gaviria per il Polo Democrático Alternativo, l'ex sindaco della capitale Luis Eduardo Garzón e il senatore Gustavo Petro come indipendenti. Una situazione ben diversa da quella di tre anni fa, quando il Polo riuscì a unificare tutta l'opposizione di sinistra e, pur non potendo evitare la rielezione di Uribe, si impose come seconda forza del paese con il 22% dei consensi. L'attuale rottura si è consumata sulla politica delle alleanze: Garzón e Petro sostenevano la necessità di accordi elettorali con altre formazioni antiuribiste, in particolare il Partido Liberal, ma la loro posizione è risultata minoritaria all'interno della coalizione. Nel frattempo il presidente Uribe marcia a grandi passi verso la rielezione, forte della popolarità che - a detta dei sondaggi - mantiene tra la popolazione. Il 19 maggio il Senato ha approvato la convocazione di un referendum sulla possibilità di concorrere a un terzo mandato consecutivo (oggi vietato dalla Costituzione). Alla votazione non hanno assistito i senatori del Polo e del Partido Liberal, che avevano abbandonato l'aula in segno di protesta. L'emendamento costituzionale che aveva permesso la prima rielezione di Uribe nel 2006 era stato approvato in Congresso grazie alla compravendita di voti, come era emerso in seguito dalle dichiarazioni di una ex parlamentare. 28/5/2009 |
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Cile, forse identificati gli assassini di Víctor Jara Sarebbero stati identificati due dei responsabili della morte di Víctor Jara, il cantautore brutalmente assassinato il 15 settembre 1973, dopo il golpe di Pinochet. Secondo il quotidiano La Nación furono i diciottenni José Adolfo Paredes Márquez e Francisco Quiroz Quiroz, che facevano parte della scorta dell'allora colonnello Pedro Espinoza Bravo, incaricato di occuparsi dei prigionieri politici. I due sono stati arrestati il 22 maggio e, dopo un lungo interrogatorio, trasferiti in carcere: uno di loro avrebbe confessato la sua partecipazione al crimine. Altre sei persone risultano ricercate. Jara, rinchiuso nello stadio di Santiago che ora porta il suo nome, fu riconosciuto dai militari che lo torturarono, gli fratturarono le dita, lo colpirono in viso con i calci dei fucili e poi lo finirono con proiettili di grosso calibro insieme ad altri detenuti, tutti legati alla coalizione di governo di Unidad Popular. A quanto si è appreso, nei primi giorni della dittatura Paredes e Quiroz parteciparono anche all'assalto e alla cattura di studenti e insegnanti dell'Universidad Técnica del Estado. 27/5/2009 |
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Brasile, ucciso leader dei pescatori Ha destato grande commozione nel paese l'assassinio di Paulo Santos Souza, tesoriere dell'Associação dos Homens do Mar (Ahomar), il sindacato dei pescatori. Ahomar si batte da tempo, insieme alle associazioni ecologiste, contro la realizzazione di un gasdotto della Petrobras (la compagnia statale) nella baia di Guanabara, a una sessantina di chilometri da Rio de Janeiro. La costruzione dell'opera, affidata al Consorcio GLP Submarino, rischia di provocare seri danni all'ambiente e di rovinare definitivamente la pesca, già ridotta del 70% dall'attività del cantiere. Le proteste avevano dato un primo risultato: il 22 maggio le autorità locali avevano disposto la sospensione dei lavori per mancanza della documentazione necessaria. Quella stessa sera tre uomini hanno fatto irruzione nella casa di Santos Souza, lo hanno picchiato davanti alla famiglia e poi lo hanno trascinato in strada, dove lo hanno ucciso con cinque proiettili alla testa. Ci sono pochi dubbi che il delitto sia collegato alla lotta ambientalista della vittima, che come altri membri dell'associazione aveva già ricevuto minacce di morte. Il 16 maggio una manifestazione contro il gasdotto era stata brutalmente repressa dalla polizia. LA CINA PRINCIPALE PARTNER COMMERCIALE. La Cina è diventata quest'anno il principale partner commerciale del Brasile, un ruolo riservato per quasi tutto il secolo scorso agli Stati Uniti. "In un contesto di crisi economica, i nostri governi devono interagire in forma costruttiva nella ricerca di una nuova architettura finanziaria internazionale", ha affermato il presidente Lula il 19 maggio, nel corso della sua visita nel paese asiatico. Il Brasile vende alla Cina soprattutto soia, petrolio e ferro e punta ad ampliare le esportazioni a carne e biocombustibili. Le due nazioni collaborano nella tecnologia spaziale e nel settore energetico (dove esiste una cooperazione tra la Petrobras e due compagnie cinesi). 27/5/2009 |
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Nicaragua, sull'aborto violati i diritti umani La Commissione contro la Tortura delle Nazioni Unite ha espresso "profonda preoccupazione per la proibizione generale dell'aborto" in vigore in Nicaragua, dove l'interruzione volontaria della gravidanza è punita anche in caso di violenza o incesto o quando sia a rischio la vita della madre. Secondo la Commissione dell'Onu, tale situazione viola i diritti umani fondamentali, impedendo alla donna interventi sanitari che potrebbero salvarle la vita e mettendo a repentaglio la sua salute fisica e psicologica. La penalizzazione dell'aborto terapeutico è stata introdotta nel 2006 con i voti delle destre e del Frente Sandinista de Liberación Nacional. Da parte di Daniel Ortega fu un puro calcolo elettorale: gli serviva l'appoggio della Chiesa per garantirsi la rielezione a presidente. E così il cardinale Obando y Bravo, arcivescovo di Managua fino al 2005, presiede ora una commissione umanitaria governativa. Davanti alla Corte Suprema giacciono da tempo decine di ricorsi contro la penalizzazione dell'aborto, presentati da organizzazioni mediche e associazioni per i diritti delle donne. In aprile il vicepresidente della Corte, Rafael Solís, aveva parlato di un progetto di sentenza favorevole alle richieste della società civile (e in linea con il mutato atteggiamento di Ortega verso la Chiesa cattolica, con cui è attualmente in conflitto aperto). Molti temono però che questo progetto sia solo una mossa di Ortega, una minaccia nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche che lo accusano di brogli nelle elezioni municipali del novembre 2008. 27/5/2009 |
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Cuba, segnali preoccupanti per l'economia Le prospettive di crescita per il 2009 si sono drasticamente ridotte: il pil di quest'anno supererà il 2%, ma non raggiungerà il 6% come inizialmente previsto, afferma il ministro dell'Economia e della Pianificazione Marino Alberto Murillo. Le ripercussioni della crisi globale si fanno sentire su settori chiave come il turismo, sull'andamento delle esportazioni e sulle rimesse dei cubani all'estero. A questo quadro vanno aggiunte le conseguenze dei tre uragani del 2008, che secondo stime ufficiali hanno provocato perdite per 10.000 milioni di dollari. Nei giorni scorsi la stampa ha riportato appelli alla riduzione degli sprechi e delle inefficienze sul lavoro. Il direttore del Granma, Lázaro Barredo, ha segnalato il grave squilibrio nel commercio estero registrato nei primi tre mesi di quest'anno, periodo in cui le importazioni hanno rappresentato il 78% del totale. E il viceministro Julio Vázquez ha annunciato, a partire da giugno, un piano per il controllo del consumo elettrico, avvertendo che il mancato rispetto dei parametri stabiliti potrebbe portare a un ritorno degli apagones che caratterizzarono gli anni Novanta. L'isola, che produce quotidianamente 75.000 barili di greggio e ne importa dal Venezuela quasi 100.000, tra gennaio e aprile ha consumato in elettricità circa 2.400 barili al giorno più di quanto programmato. Infine il corrispondente Gerardo Arreola scrive su La Jornada del 25 maggio, citando fonti del mondo degli affari e della diplomazia: "Da almeno sei mesi Cuba mantiene congelati i conti bancari di centinaia di imprese straniere che operano qui, in una decisione che non era stata presa neppure nel peggior momento della crisi del decennio scorso". Una paralisi dei conti "che sta colpendo grandi e piccoli fornitori, senza distinzione di nazionalità". I MOTIVI DELLE DESTITUZIONI. Sono emersi nuovi dettagli sulle destituzioni, avvenute in marzo, del vicepresidente Carlos Lage e del ministro degli Esteri Felipe Pérez Roque. Della vicenda aveva parlato Fidel Castro, alludendo in modo enigmatico al "miele del potere", che aveva suscitato "ambizioni che li condussero a un ruolo indegno". Ora il caso sembra aver trovato una spiegazione: secondo fonti citate il 24 maggio dal quotidiano spagnolo El País, Lage e Pérez Roque sarebbero stati filmati in segreto, in una casa di campagna, mentre denigravano la gestione dei fratelli Castro e delineavano i cambiamenti da apportare al governo dell'isola. L'uomo chiave della vicenda sarebbe Conrado Hernández, un personaggio legato all'ambasciata spagnola all'Avana, che avrebbe registrato le dichiarazioni dei due per conto della delegazione diplomatica, interessata alle opinioni dei quadri più giovani sul tema della transizione. I servizi segreti cubani, che ben conoscevano questo interesse della Spagna, l'avrebbero sfruttato per far venire allo scoperto i due funzionari. Quanto a Hernández, è stato arrestato a metà febbraio mentre con la moglie si accingeva a riparare in Spagna. 24/5/2009 |
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Venezuela, proseguono le nazionalizzazioni Il presidente Chávez ha annunciato il passaggio sotto gestione statale di altre sei compagnie industriali. Il provvedimento risponde alla richiesta dei dipendenti di queste imprese, che avevano sollecitato un intervento ufficiale perché senza salario da mesi. Ma alla base della decisione c'è anche un obiettivo economico: quello di sviluppare un grande complesso industriale pubblico. Le imprese interessate sono: Orinoco Iron, Venprecar, Cerámicas Carabobo, Tavsa (Tubos de Acero de Venezuela), Matesi (Materiales Siderúrgicos), Comsigua (Complejo Siderúrgico de Guayana). Le ultime tre sono legate al gruppo italo-argentino Techint. All'inizio di maggio, dopo lunghe trattative, il gruppo aveva raggiunto un accordo con Caracas per la Sidor, la siderurgica nazionalizzata lo scorso anno: Techint aveva accettato di vendere allo Stato del Venezuela, per 1.970 milioni di dollari, il pacchetto azionario in suo possesso. La politica di nazionalizzazioni del governo Chávez abbraccia settori strategici come il petrolio, le telecomunicazioni, l'elettricità, il cemento, la siderurgica e anche il sistema bancario. Il 22 maggio rappresentanti dell'esecutivo e del Grupo Santander hanno sottoscritto un documento che impegna il gruppo spagnolo a cedere allo Stato, per 1.050 milioni di dollari, il controllo del Banco de Venezuela: l'atto finale sarà firmato il 3 luglio. 22/5/2009 |
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Uruguay, in decine di migliaia alla Marcha del Silencio Decine di migliaia di persone hanno partecipato, il 20 maggio, alla tradizionale Marcha del Silencio in memoria delle vittime della dittatura. Come di consueto niente bandiere né simboli di partito, ma solo le foto degli scomparsi. Quest'anno il corteo ha ricordato anche Mario Benedetti: il poeta, conosciuto e amato in tutta l'America Latina per la sua opera e per il suo impegno politico, era morto tre giorni prima nella capitale uruguayana. La Marcha del 2009 è caduta in un momento significativo. In aprile si è conclusa la raccolta delle firme per il referendum abrogativo della Ley de Caducidad: il voto popolare potrebbe cancellare presto la vergognosa legge di amnistia. E agli inizi di maggio il governo Vázquez ha inviato al Parlamento un progetto di legge che prevede un indennizzo per le vittime della repressione e soprattutto riconosce la rottura dello Stato di diritto che portò alla violazione dei diritti umani fondamentali. Su questi temi si è creata una nuova sensibilità, sottolineata anche dalla commossa cerimonia con cui, il 21 maggio, l'intendente di Montevideo Ricardo Ehrlich ha dichiarato "cittadini e visitatori illustri" undici giovani - sei uruguayani e cinque argentini - figli di desaparecidos. 21/5/2009 |
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La presidente Bachelet ha presentato il 21 maggio a Valparaíso la tradizionale relazione al Congresso (l'ultima della sua gestione), annunciando nuove misure sociali in materia di pensioni, alloggi, lotta alla povertà, aiuti ai nuovi nati. In agosto un contributo di 40.000 pesos (circa 70 dollari) sarà distribuito a circa quattro milioni di persone, un quarto della popolazione, per far fronte alle spese di riscaldamento e di vestiario invernale. Anche il Cile risente della crisi globale, ma il prezzo record registrato fino a settembre dal rame, principale prodotto d'esportazione, ha fatto affluire nelle casse statali eccedenti per oltre 22.000 milioni di dollari. Queste risorse ingenti hanno consentito al governo il varo di programmi economici per contenere la disoccupazione (che a marzo ha superato il 9%) e stimolare la produzione. E sembra che proprio la positiva gestione della crisi spieghi il 70% di consensi di cui gode attualmente Michelle Bachelet. Questo non ha impedito che, durante il discorso della presidente, fuori del Parlamento si registrassero scontri tra agenti e gruppi di manifestanti. In prima fila nelle proteste figuravano i docenti, che da giorni sono in agitazione per rivendicare il pagamento di un bonus speciale da parte dei municipi. Nella loro lotta i professori sono affiancati dai liceali che il 19 maggio, in segno di solidarietà, sono scesi in piazza a Santiago (prontamente attaccati dalla polizia con idranti e lacrimogeni). IN CORTEO GLI EX PRIGIONIERI POLITICI. Nunca Más, mai più desaparecidos, mai più oppositori politici torturati e assassinati. Questa la parola d'ordine dell'Agrupación Nacional de Ex Presos Políticos che il 14 maggio ha portato nelle strade di Santiago e di altre città la testimonianza di chi visse sulla propria pelle il terrorismo di Stato. Piccoli cortei di quindici persone, ognuna con gli occhi bendati e il braccio appoggiato sulla spalla del compagno davanti, come avveniva in carcere: un forte impatto per i passanti, un modo per risvegliare le coscienze e impedire l'oblio. L'immagine più toccante resta quella dell'ex prigioniero reso cieco e costretto su una sedia a rotelle dalle torture della dittatura. 21/5/2009 |
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Guatemala, la crisi istituzionale divide il paese "Una lotta tra settori dominanti, ciascuno dei quali tenta di mobilitare a suo favore le cittadine e i cittadini, senza informare con senso di responsabilità e trasparenza". Siamo di fronte a "diversi interessi e manipolazioni dei gruppi di potere, sia fuori che dentro il governo, che vogliono capitalizzare la situazione a loro beneficio, presentandola come una richiesta di ampi settori della popolazione e generando instabilità politica". È questa la posizione espressa in un documento, sottoscritto da numerose comunità indigene e organizzazioni sociali, sulla crisi istituzionale in atto. Una crisi che sta dividendo il paese: domenica 17 maggio, a una settimana esatta dall'uccisione dell'avvocato Rosenberg, che nel suo video aveva lanciato accuse pesantissime contro il capo dello Stato, nella capitale decine di migliaia di persone hanno dato vita a due manifestazioni contrapposte. In Plaza Constitución i dimostranti convocati dal partito di governo, l'Unidad Nacional de la Esperanza, hanno espresso il loro appoggio al presidente Colom contro quello che è stato definito un tentativo di destabilizzazione. A qualche centinaia di metri di distanza si erano raccolti gli oppositori, non tutti con le stesse parole d'ordine: a chi chiedeva semplicemente giustizia si affiancavano gruppi che reclamavano le immediate dimissioni di Colom. Quest'ultimo ha intanto ottenuto il sostegno del Gruppo di Rio, del governo di Washington e dei paesi membri del Sica (Sistema de la Integración Centroamericana). 20/5/2009 |
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Messico, i desaparecidos della presidenza Calderón Il sequestro degli oppositori politici non è una pratica che appartiene al passato, ma una realtà attuale. Lo denuncia la dirigente del Comité Eureka Rosario Ibarra in un'intervista al quotidiano La Jornada, ricordando i 38 lavoratori del settore del petrolio desaparecidos a Cadereyta (Stato di Nuevo León) due anni fa. "Dovrebbe essere uno scandalo nazionale - afferma la senatrice Ibarra - È questo che mi spaventa: che simili casi vengano visti come qualcosa che può succedere a chiunque". Rosario Ibarra nega che dietro tali delitti si nasconda la criminalità organizzata, come si vorrebbe far credere: "Quelli della criminalità organizzata hanno un modus operandi particolare. Le scomparse dei lavoratori del petrolio hanno a che vedere con poliziotti e soldati, con ordini dall'alto.È necessario che il governo federale chiarisca questa situazione. Felipe Calderón deve occuparsene, anche se ha ereditato la presidenza con i brogli". I 38 lavoratori di Cadereyta, alcuni in attività, altri già in pensione, facevano parte a vari livelli del Sindicato de Trabajadores Petroleros retto dal priista Carlos Romero Deschamps. La loro "colpa": essersi opposti alla privatizzazione di Pemex. Dopo di loro, la lista degli scomparsi si allunga con altri casi, tra cui un giornalista e un operatore di TelevisiónAzteca. "Sono convinta che siamo di fronte a una mafia governativa che ha solo cambiato fisionomia - conclude Rosario Ibarra (che da anni lotta per conoscere la sorte del figlio Jesús, sequestrato nel 1975 da agenti della polizia giudiziaria) - Ho parlato 39 volte con Luis Echeverría, e in ogni incontro gli dicevo: Signor presidente, se mio figlio è colpevole di qualcosa, per favore processatelo. Lo stesso dico ora dei lavoratori del petrolio e di tutti gli altri: se hanno commesso un delitto, che li processino, ma non se ne lavino le mani dicendo che li hanno portati via i narcos". E intanto il 16 maggio il dirigente contadino Pedro Lugo Rivera è stato assassinato da sconosciuti a Ocoroni, nello Stato di Sinaloa. Lugo Rivera aveva difeso gli ejidatarios della zona, battendosi perché il governo tenesse fede alle promesse fatte decenni prima. "IL GOVERNO HA NASCOSTO LO SCOPPIO DELL'EPIDEMIA". Passato il periodo di emergenza sanitaria per il diffondersi del virus H1N1, lunedì 11 maggio gli studenti sono tornati in classe, anche se non sono mancate le polemiche sulla mancanza di un'autentica disinfezione di molti edifici scolastici. E sempre l'11 maggio Fidel Castro ha accusato il governo Calderón di aver tenuto nascosto lo scoppio dell'epidemia per non ostacolare la prevista visita di Obama in Messico. Così Cuba "e decine di altri paesi hanno pagato i piatti rotti", ha affermato Fidel. Anche sull'isola si è registrato un caso di influenza suina: un messicano che studiava medicina a Cuba e che era rientrato dal Messico alla fine di aprile. 17/5/2009 |
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Perù, insorge l'Amazzonia indigena Gli indigeni dell'Amazzonia hanno proclamato l'insurrezione contro il governo di Alan García. Lo hanno reso noto il 15 maggio, in una conferenza stampa, i leader dell'Aidesep, l'Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana, constatando la chiusura dell'esecutivo a ogni sorta di dialogo. "Considereremo un'aggressione esterna qualsiasi forza che pretenda di fare irruzione" nei nostri territori, afferma l'Aidesep in un comunicato. La decisione di radicalizzare la lotta arriva dopo 35 giorni di proteste, con blocchi delle vie di comunicazione e occupazioni di installazioni petrolifere. Le popolazioni native chiedono l'abrogazione di nove decreti legislativi, che consentono tra l'altro la firma di contratti con le transnazionali per lo sfruttamento dell'area amazzonica senza consultare le comunità (come invece prescrive l'Organizzazione Internazionale del Lavoro). Per tutta risposta il governo, che già dal 9 maggio aveva dichiarato lo stato d'emergenza in alcuni distretti, ha ora autorizzato l'intervento delle forze armate. MORALES CONTRO L'ASILO AGLI EX MINISTRI. "Aggressione aperta". Così Evo Morales ha definito la decisione di Lima di concedere asilo politico a tre ex ministri del governo Sánchez de Lozada. I tre, Javier Torres Goitia (Sanità), Mirtha Quevedo (Partecipazione Popolare) e Jorge Torres Obela (Finanze), sono accusati di aver partecipato alla sanguinosa repressione delle proteste popolari nell'ottobre 2003. Recentemente il presidente Alan García aveva concesso protezione a un altro discusso personaggio: il venezuelano Manuel Rosales, ricercato per corruzione e arricchimento illecito. 16/5/2009 |
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Repubblica Dominicana, ancora violenze contro gli immigrati Tre braccianti haitiani sono stati feriti a coltellate e mutilati di un orecchio da un gruppo di dominicani nei pressi del confine tra i due paesi. I tre stavano rientrando a casa dopo aver lavorato tutto il giorno in un'azienda agricola della Repubblica Dominicana. La vicenda ha fatto salire nuovamente la tensione tra le due comunità dopo il barbaro linciaggio, agli inizi di maggio, del giovane immigrato haitiano Carlos Nérilus, decapitato dalla folla a Santo Domingo perché accusato a torto di omicidio. Ad Haiti l'uccisione di Nérilus aveva suscitato la reazione indignata del governo e manifestazioni di protesta davanti all'ambasciata dominicana. Sono circa un milione gli haitiani, spesso privi di documenti, che hanno attraversato la frontiera per cercare impiego nell'agricoltura, nell'edilizia, nei lavori domestici. La loro presenza incontra la crescente diffidenza della popolazione locale: negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli incidenti e gli episodi di razzismo. 15/5/2009 |
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Guatemala, il caso Rosenberg fa tremare il governo "Se in questo momento state ascoltando o vedendo questo messaggio è perché io sono stato assassinato dal signor presidente Alvaro Colom, con l'aiuto di Gustavo Alejos e del signor Gregorio Valdez". Così inizia il video in cui l'avvocato Rodrigo Rosenberg responsabilizza della sua morte il capo dello Stato, il segretario privato della Presidenza e un importante finanziatore della campagna elettorale di Colom. Il movente sarebbe da rintracciare in un'attività di riciclaggio di denaro, narcotraffico e appropriazione di fondi pubblici attraverso il Banco de Desarrollo Rural, attività che vedrebbe coinvolte le più alte cariche dello Stato. A scoprire i loschi traffici sarebbe stato un imprenditore tessile di cui Rosenberg era il legale, Khalil Musa, assassinato in aprile insieme alla figlia Marjorie. Domenica 10 maggio, tre giorni dopo aver pronunciato il suo pesante atto d'accusa, Rosenberg è stato raggiunto dalle pallottole di ignoti killer mentre passeggiava in bicicletta per le vie della capitale. Il video, reso pubblico il giorno successivo, ha gettato il paese nel caos. In un clima di forte tensione, si susseguono le manifestazioni di piazza pro o contro Colom. Questi ha respinto con forza tutte le accuse definendo "totalmente falso" il filmato, ha rifiutato di dimettersi come chiesto dall'opposizione e ha affermato che "politici opportunisti e cospiratori di tradizione legati al crimine organizzato" stanno strumentalizzando l'accaduto per destabilizzare il governo. Sul piano interno Colom ha ricevuto l'appoggio della maggior parte dei sindaci e dei governatori, sul piano internazionale si sono pronunciati a suo favore i governi di Caracas e di Quito. Preoccupato il commento del Premio Nobel per la Pace, Rigoberta Menchú: "Siamo in una crisi senza precedenti, che manifesta la vulnerabilità del sistema istituzionale". I pericoli per la stabilità del paese sono presenti anche nella risoluzione del Consiglio Permanente dell'Oea, in cui si afferma il sostegno "al governo costituzionale del Guatemala nel suo dovere di preservare le istituzioni democratiche e lo Stato di diritto". La vicenda presenta più di un lato oscuro e qualcuno comincia a domandarsi quale sia il ruolo di Mario David García, il giornalista radiofonico che ha riconosciuto di aver girato il video e che è noto per aver spesso attaccato l'esecutivo con gli argomenti della destra più retriva. È significativo che tra le persone chiamate in causa da Rosenberg nel corso del filmato vi sia anche la first lady, Sandra Torres, che in questi mesi ha incarnato l'immagine pubblica delle iniziative assistenziali a favore degli strati meno abbienti (iniziative che alcuni definiscono semplici "elemosine"). In una situazione così ingarbugliata, il governo ha chiesto alla Comisión Internacional contra la Impunidad en Guatemala, la rispettata istituzione dell'Onu, di condurre le indagini sul caso e la decisione è stata vista con favore dalla maggior parte degli osservatori. 13/5/2009 |
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Venezuela, nazionalizzate sessanta imprese Il presidente Chávez ha annunciato la nazionalizzazione di sessanta imprese che forniscono beni e servizi all'industria petrolifera. In tal modo "si ridurranno i costi e risparmieremo 700 milioni di dollari all'anno", ha affermato il capo dello Stato. Si tratta di una prospettiva non da poco, considerato l'attuale basso prezzo del petrolio. Gli 8.000 dipendenti delle compagnie espropriate entreranno a far parte dell'organico di Pdvsa, la petrolifera statale. Sotto il controllo di Pdvsa passeranno non solo la gestione dei porti e la proprietà di imbarcazioni e rimorchiatori, ma anche le società che garantiscono attività di sussidio all'estrazione del greggio. Prosegue così la politica del governo di Caracas volta al recupero della sovranità sulle risorse petrolifere nazionali, iniziata con la nazionalizzazione della prospezione e dello sfruttamento dei giacimenti. GELO DIPLOMATICO CON LIMA. "Una beffa al diritto internazionale, un duro colpo alla lotta contro la corruzione e un'offesa al popolo del Venezuela". Così le autorità di Caracas hanno definito la decisione peruviana di concedere asilo politico a Manuel Rosales, il leader dell'opposizione ricercato dall'Interpol per corruzione e arricchimento illecito. Il presidente García ha giustificato la concessione dell'asilo affermando che Rosales si sentiva minacciato e ha espresso la speranza che la decisione non alteri i rapporti con Caracas. Speranza vana: il governo venezuelano ha già richiamato l'ambasciatore e ha avviato "una fase di valutazione integrale delle sue relazioni" con Lima. Del resto Rosales è il terzo transfuga della giustizia venezuelana che trova rifugio in Perù: due anni fa era stata la volta di Carlos Ortega, il dirigente della Ctv (Confederación de Trabajadores de Venezuela) coinvolto nel golpe del 2002 e nel lungo paro petrolifero del 2002-2003, e poi di Eduardo Lapi, ex governatore di Yaracuy, anch'egli accusato di corruzione. Nel frattempo in Venezuela le forze antichaviste hanno dato vita a un raggruppamento denominato Frente Unitario Nacional por la Defensa de la Democracia, nel quale sono confluiti una ventina di partiti politici, tra cui Un Nuevo Tiempo, Acción Democrática, Copei, Primero Justicia e Podemos. 9/5/2009 |
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Repubblica Dominicana, "Un passo indietro di cent'anni" Con una lettera al presidente Leonel Fernández, singoli cittadini e associazioni sociali e culturali della comunità dominicana negli Stati Uniti hanno espresso la loro protesta per l'approvazione, in aprile, di un emendamento costituzionale che proibisce l'aborto terapeutico. L'articolo 30, si afferma nella lettera, che definisce inviolabile il diritto alla vita "dal concepimento alla morte", viola le convenzioni internazionali firmate dalla Repubblica Dominicana sui diritti umani e per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. "È un passo indietro non di cinquanta, ma di cent'anni", ha commentato la militante femminista Miriam Mejía. E Beatriz Mieses, del Centro de Desarrollo de la Mujer Dominicana, ha ammonito che questo provvedimento aumenterà il numero degli aborti clandestini, mettendo ancor più a rischio la vita delle donne. La modifica dell'articolo 30, proposta dall'esecutivo e fortemente spalleggiata dalla Chiesa cattolica, è passata in Congresso con 167 sì e 32 no. Hanno votato a favore il Prd (Partido Revolucionario Dominicano), il Prsc (Partido Reformista Social Cristiano) e una parte del Pld (Partido de la Liberación Dominicana), la formazione di governo. Secondo l'ex vicepresidente Milagros Ortiz Bosch, del Prd, il vertice del suo partito ha così voluto "ingraziarsi" le gerarchie ecclesiastiche, che erano giunte a definire "macellai" i medici abortisti. 6/5/2009 |
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Cuba, "Poco coraggiosa" la politica di Obama L'ex presidente Usa Jimmy Carter è favorevole a un'abolizione immediata dell'embargo e, in un'intervista concessa al quotidiano brasiliano Folha de S. Paulo, ha affermato che la politica di Obama verso l'Avana è stata finora meno coraggiosa di quella del Congresso: "Il prossimo passo dovrebbe essere la rimozione immediata di tutte le limitazioni ai viaggi sull'isola, non solo per i cittadini cubano-statunitensi". Di Obama ha parlato anche Fidel Castro nel suo recente editoriale: Cuba ¿un país terrorista? "Un uomo il cui talento nessuno nega deve sentirsi vergognoso di questo culto alle menzogne dell'impero", scrive Fidel riferendosi al fatto che, nel suo rapporto annuale, il Dipartimento di Stato ha nuovamente inserito Cuba (insieme a Siria, Iran e Sudan) nell'elenco dei paesi che appoggiano il terrorismo. Se gli Stati Uniti mantengono una politica schizofrenica nei confronti di Cuba, in America Latina la situazione è ben diversa. In marzo il presidente del Costa Rica, Oscar Arias, ha dichiarato di voler riallacciare le relazioni con l'isola, rotte nel 1961 su iniziativa di San José (e dietro pressione di Washington). Anche il presidente eletto del Salvador, Mauricio Funes, ha annunciato l'intenzione di ristabilire i rapporti con l'Avana, sospesi dal 1959. Funes, che prenderà possesso delle sue funzioni il primo giugno, ha spiegato che - dopo la decisione di Arias - il Salvador rimarrebbe "l'unico paese latinoamericano a non mantenere relazioni diplomatiche con Cuba". 6/5/2009 |
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Bolivia, il fallito attentato: le complicità a Santa Cruz Esponenti del mondo politico e imprenditoriale di Santa Cruz, tra cui Il prefetto Rubén Costas, il leader autonomista Branko Marinkovic, l'ex dirigente degli allevatori (nonché ex ministro del governo Banzer) Guido Nayar, il presidente della Cámara Agropecuaria del Oriente Mauricio Roca sono indagati per complicità con il gruppo che intendeva assassinare Evo Morales. Sono stati chiamati in causa da un testimone chiave, che li ha indicati come fiancheggiatori del commando. In aprile era stata diffusa dalla televisione ungherese un'intervista rilasciata nel settembre 2008 dal capo della banda, Eduardo Rózsa: l'intervista doveva essere resa pubblica solo in caso di un suo ritorno a Budapest o della sua morte. "Sono stato chiamato a organizzare la difesa di Santa Cruz - afferma Rózsa nel video - Dichiareremo l'indipendenza e creeremo un nuovo paese". E aggiunge: "Il Consiglio Dipartimentale di Santa Cruz ha votato la creazione del corpo di sicurezza regionale. Passerò dal Brasile in Bolivia e comincerò a organizzare una milizia. Se il governo non consente l'autonomia, Santa Cruz è disposta a separarsi dalla Bolivia. Gli organizzatori provvederanno al finanziamento e alle armi, che si otterranno al margine della legge. Dal Brasile probabilmente". Attualmente sono quattro le persone detenute per complicità con gli attentatori. Oltre ai due uomini arrestati dopo lo scontro a fuoco in cui è morto lo stesso Rózsa, a fine aprile sono finiti in carcere Juan Carlos Gueder Bruno e Alcides Mendoza Malaví, entrambi legati all'Unión Juvenil Cruceñista (squadracce di estrema destra). Altri due sospettati sono riusciti a fuggire: Hugo Achá, presidente della sezione boliviana di Human Rights Foundation, che avrebbe trovato rifugio negli Usa, e Alejandro Melgar Pereira, un legale della locale Camera dell'Industria e del Commercio, che si sarebbe recato in Argentina e da lì in Uruguay. ALLO STATO IL COMBUSTIBILE PER GLI AEREI. Come ormai consuetudine, il presidente Morales ha approfittato della celebrazione del Primo Maggio per annunciare una nuova nazionalizzazione. Il governo ha disposto che la distribuzione del combustibile per aerei civili e commerciali sia affidata interamente alla compagnia petrolifera statale Ypfb. Otto anni fa l'allora presidente (ed ex dittatore) Hugo Banzer aveva concesso alla British Petroleum il monopolio del settore. 5/5/2009 |
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Brasile, gli indigeni si accampano a Brasilia Vestiti con gli abiti tradizionali, circa mille indigeni si sono accampati il 4 maggio nel centro di Brasilia per rivendicare i diritti costituzionali dei popoli nativi. "Tutto è importante per noi: sanità, istruzione con scuole bilingui che riconoscano la nostra cultura, sostenibilità; viviamo seduti su ricchezze e stiamo morendo di fame", ha affermato Paulino Montejo, rappresentante dell'Apib (Articulação dos Povos Indígenas do Brasil). Con il governo gli indigeni intendono discutere temi scottanti, come lo sfruttamento delle risorse idriche: "Esistono 450 grandi progetti di infrastrutture che colpiscono territori indigeni, con decine di autostrade e bacini idroelettrici che inonderanno le nostre terre", ha dichiarato il leader amazzonico Marcos Apuriná. L'altra grande questione è la mancata regolarizzazione del 40% dei territori indigeni. Il caso più clamoroso è quello dei Guaraní Kaiowá, nello Stato di Mato Grosso do Sul, un'etnia - denuncia il Conselho Indigenista Missionário - che vive un processo di autodistruzione: i suoi membri sono "vittime del razzismo, della denutrizione, della mancanza di assistenza sanitaria e del lavoro schiavo". ABOLITA LEGGE DELLA DITTATURA. La legge sulla stampa del 1967, emanata dal regime militare, è stata finalmente abolita il 30 aprile con una decisione della Corte Suprema Federale. La legge, che consentiva la censura su determinati temi e prevedeva la chiusura delle pubblicazioni che non si adeguassero, era criticata da tutto lo schieramento politico, di destra e di sinistra, nonché dalle associazioni dei giornalisti e dai principali media. Nelle grandi città, in realtà, le sue norme erano da tempo cadute in disuso, ma venivano ancora utilizzate dai boss dei piccoli centri per controllare i giornali locali. Sul paese continua però a pesare l'eredità della dittatura. E dopo una serie di raccomandazioni perché fosse fatta giustizia, raccomandazioni che il governo (per le pressioni delle forze armate) ha sistematicamente ignorato, la Commissione Interamericana per i Diritti Umani ha deciso di denunciare formalmente il Brasile per crimini di lesa umanità. Il caso che sarà portato davanti alla Corte Interamericana riguarda settanta militanti del Partido Comunista scomparsi tra il 1974 e il 1975: erano membri di un piccolo gruppo guerrigliero decimato dall'esercito. Tra i pochi sopravvissuti figura l'ex presidente del Partido dos Trabalhadores José Genoino. 4/5/2009 |
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Panama, svolta a destra con il miliardario Martinelli Lo scrutinio non è ancora completato, ma il risultato è già chiaro: il Panama svolta a destra. Il nuovo presidente, eletto domenica 3 maggio, è il miliardario di origine italiana Ricardo Martinelli Berrocal, proprietario della maggior catena di supermercati del paese e leader del Partido Cambio Democrático. Martinelli ha distaccato di una ventina di punti percentuali la sua principale avversaria, Balbina Herrera del Partido Revolucionario Democrático (la formazione politica del presidente uscente, Martín Torrijos). La campagna elettorale, secondo gli osservatori, è stata vuota di contenuti e di proposte e ricca di scandali: anche la missione dell'Organización de los Estados Americanos, che ha seguito il processo di voto, ha denunciato la "mancanza di trasparenza" nel finanziamento ai partiti. Alla sconfitta di Balbina Herrera sembra abbia contribuito il suo vecchio legame con l'ex capo di Stato Manuel Noriega, deposto dopo l'invasione Usa del dicembre 1989 e che adesso - scontata una condanna per narcotraffico nelle carceri statunitensi - si batte per evitare l'estradizione in Francia. Ma soprattutto contro la Herrera ha giocato il calo di popolarità del governo, incapace di dare adeguata risposta agli effetti della crisi internazionale: crescita della disoccupazione, aumento del costo della vita, brusco calo del prodotto interno lordo (da una media del 9,7% negli ultimi tre anni a una previsione del 3% per il 2009). Per affrontare i problemi economici Martinelli, che si insedierà il primo luglio, ha già pronte le sue ricette neoliberiste: riforma fiscale a vantaggio degli strati più abbienti, privatizzazione della sanità, decentralizzazione dell'istruzione. 4/5/2009 |
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Proteste per la presenza di Uribe in Europa "Uribe assassino", "Spagna complice". Questo si leggeva sui cartelli dei manifestanti che a Madrid hanno voluto esprimere la loro indignazione per l'assegnazione del premio Córtes de Cádiz a la Libertad al presidente colombiano. Uribe ha ricevuto il riconoscimento dalle mani della sindaca di Cadice, Teófila Martínez, del Partido Popular, ma le mobilitazioni di protesta hanno fatto sì che il luogo della cerimonia venisse ripetutamente spostato. "Siamo riusciti a confinare Uribe nel suo stesso territorio, così che non gli è rimasta altra scelta che ricevere questo premio nell'ambasciata della Colombia, cioè in territorio colombiano, quando sicuramente per lui sarebbe stato un successo riceverlo nella sede ufficiale del Ministero degli Esteri", ha detto Fran Pérez Esteban, segretario per i diritti umani e la solidarietà internazionale di Izquierda Unida spagnola. Come in Spagna, anche in Italia (dove è giunto il 30 aprile in visita ufficiale) Uribe non è certo gradito a quanti difendono i diritti umani: una lettera aperta di denuncia della situazione in Colombia è stata sottoscritta da gruppi di solidarietà e partiti della sinistra e a Roma si è tenuto un presidio di protesta. Dopo essere stato ricevuto in Vaticano da Benedetto XVI, Uribe ha risposto alle domande dei giornalisti ribadendo il suo rifiuto alla mediazione di Piedad Córdoba per la liberazione del sottufficiale Pablo Emilio Moncayo, da undici anni nelle mani delle Farc. L'intervento della senatrice Córdoba era stato richiesto dagli stessi guerriglieri e la decisione di Uribe pone seriamente a rischio la vita dell'ostaggio. Il padre di Pablo Emilio è il professor Gustavo Moncayo, protagonista di lunghe marce a favore di un accordo umanitario, una posizione che i falchi del governo di Bogotá hanno sempre respinto. 30/4/2009 |
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Ecuador, un mandato per approfondire le riforme A scrutinio non ancora ultimato, Rafael Correa viene confermato presidente sfiorando il 52% dei consensi. Largamente distaccato l'ex presidente Lucio Gutiérrez (27,8%), seguito dal miliardario Alvaro Noboa (11,6%) e dalla ex parlamentare Martha Roldós (4,5%). Correa ha registrato un trionfo in tutto il paese ad eccezione della costa. Secondo il politologo ecuadoriano Jorge León, intervistato dal quotidiano argentino Página/12, questo successo elettorale - unito all'incapacità dell'opposizione di articolare un proprio progetto politico - permetterà al capo dello Stato di approfondire le riforme avviate. Se la vittoria di Correa era scontata, sorprendente invece è stato il risultato positivo di Gutiérrez, che ne ha subito approfittato per autoproclamarsi leader dell'opposizione. Rispondendogli in modo indiretto all'indomani del voto, Correa si è dichiarato disposto ad accettare un dialogo con gli avversari, "ma senza venir meno ai principi per i quali ci hanno votato". E ha poi ricordato la questione morale, chiedendosi: "Come posso avvicinarmi ai responsabili della tragedia nazionale?" Si riferiva naturalmente allo stesso Gutiérrez (denunciato per vari casi di corruzione) e a Noboa (accusato di evasione fiscale e di mancato pagamento del salario minimo ai dipendenti). 30/4/2009 |
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Bolivia e Paraguay firmano la pace La pace ha dovuto aspettare 74 anni. Il boliviano Evo Morales e il paraguayano Fernando Lugo hanno firmato il 27 aprile il documento che fissa il confine tra i due paesi, ponendo formalmente fine alla Guerra del Chaco (1932-1935). La cerimonia si è svolta a Buenos Aires, nella Casa Rosada, alla presenza della presidente argentina Cristina Fernández. Nei loro discorsi i tre capi di Stato hanno concordato nel condannare quel sanguinoso conflitto, combattuto per interessi estranei alla regione (dietro i governi dell'epoca vi erano la Standard Oil Company e la Shell, che si disputavano un territorio ritenuto ricco di petrolio). "È la chiusura definitiva di quella fase di scontri senza senso che hanno portato acqua ai mulini di altri che non stavano in Sud America", ha affermato la presidente argentina, sottolineando poi l'importanza dell'attuale momento politico regionale, non solo per la costituzione dell'Unasur, ma per il fatto che "la maggioranza dei capi di Stato che oggi rappresentano i nostri popoli si inserisce nel campo dei movimenti sociali, nazionali e popolari che hanno abbandonato la dottrina degli anni Novanta e il Consenso di Washington". 28/4/2009 |
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Paraguay, Lugo chiede perdono Ha chiesto perdono ai suoi concittadini, ha promesso di farsi carico delle sue responsabilità, ma ha chiarito che non intende dimettersi come pretenderebbe l'opposizione. Il presidente Fernando Lugo ha affrontato in una conferenza stampa lo scandalo scoppiato dopo l'ammissione della sua paternità e la scoperta dell'esistenza di altri due probabili figli. "Non permetterò in alcun modo che queste circostanze tocchino minimamente opere di interesse nazionale, l'esecuzione dei grandi progetti che segnano il cammino di un Paraguay sognato da tutti e da tutte", ha dichiarato l'ex vescovo. Sembra intanto allentarsi la tensione tra il presidente e il suo vice, il conservatore Federico Franco. Lugo ha adottato un tono più conciliante nei confronti di Franco, che a sua volta ha chiarito di non voler appoggiare una richiesta di giudizio politico contro il capo dello Stato (un'iniziativa del genere richiederebbe i voti di due terzi dei parlamentari). Infine il 28 aprile è stato annunciato un avvicendamento alla guida del Ministero degli Esteri: Alejandro Hamed Franco sarà sostituito dal deputato del Mercosur Héctor Lacognata, che qualche settimana fa aveva lasciato il Partido Patria Querida per avvicinarsi alla coalizione di governo. 28/4/2009 |
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Città del Messico "chiusa" per epidemia Lo scoppio dell'epidemia di influenza suina ha colto di sorpresa le autorità sanitarie, che hanno tardato giorni a riconoscere quanto stava accadendo. Addirittura, secondo alcune denunce, i primi casi risalirebbero a febbraio, ma solo in aprile il nuovo virus è stato individuato. Il numero di malati è destinato ad aumentare, ha pronosticato il ministro della Sanità, José Angel Córdova; quanto ai morti, il 27 aprile erano già 149, anche se non si sa con certezza se tutti debbano essere attribuiti a questo virus. Città del Messico è ormai una città fantasma: chiusi musei, cinema, teatri, ristoranti, siti archeologici, scuole di ogni ordine e grado, proibiti assembramenti ed eventi culturali e sportivi (le partite si giocano senza la presenza del pubblico). L'esercito distribuisce mascherine per evitare il contagio, ma nelle zone più povere spesso questa barriera protettiva manca ed è proprio qui che la malattia miete il maggior numero di vittime. Le informazioni contraddittorie rilasciate dal governo non aiutano a fare chiarezza, alimentano anzi dubbi e sospetti: da una parte c'è chi pensa che la portata reale dell'epidemia sia superiore a quella ammessa dalle autorità, dall'altra chi è convinto che il rischio sia gonfiato ad arte per bloccare lo scontento sociale montante nel paese. È un fatto che la campagna elettorale per il voto di luglio è stata sospesa e, se la situazione non migliora, le stesse consultazioni potrebbero slittare. Quello che più preoccupa i messicani è un eventuale blocco dell'attività produttiva, di fronte a una crisi finanziaria che qui ha colpito pesantemente. Già adesso si calcola, solo per la zona del Distrito Federal, una perdita di 54 milioni di dollari al giorno. E come se non bastasse, un terremoto di 5,7 gradi della scala Richter ha colpito lunedì 27 la costa dello Stato del Guerrero, dove ha fatto due morti, e ha provocato molta paura anche nella capitale. 27/4/2009 |
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Ecuador, "La Revolución Ciudadana è in marcia" "La Revolución Ciudadana è in marcia e niente e nessuno la fermerà", ha detto il presidente Rafael Correa chiudendo la sua campagna elettorale. Domenica 26 aprile gli ecuadoriani saranno chiamati alle urne per scegliere il capo dello Stato e i membri dell'Assemblea Nazionale, dopo l'approvazione nel settembre scorso della nuova Costituzione. Correa, ampiamente favorito nei sondaggi, ha promesso che continuerà ad affrontare la crisi senza rinunciare al suo modello economico di ispirazione socialista e mettendo sempre al primo posto le necessità dei settori più poveri rispetto al pagamento del debito. I suoi principali avversari sono l'ex presidente Lucio Gutiérrez, costretto a lasciare il potere nel 2005 in seguito a una rivolta popolare, e Alvaro Noboa, l'uomo più ricco del paese. Nessuno dei due sembra però in grado di intaccare la popolarità di Correa. E a poco sono servite le loro denunce di un rischio di brogli: l'ipotesi è stata scartata dal capo della missione di osservatori dell'Unione Europea, il portoghese José Ribeiro de Castro. Correa ha ottenuto anche la neutralità del movimento indigeno, che ha deciso di non fare campagna contro di lui pur avendo criticato, nei mesi scorsi, la Ley Minera del governo. 23/4/2009 |
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Argentina, ex militari legati alla destra boliviana Si estendono all'Argentina le indagini sul commando che progettava di assassinare il presidente Morales: il vicepresidente boliviano García Linera ha chiesto la collaborazione del governo di Buenos Aires nella caccia a due (o forse più) ex militari argentini legati agli attentatori. I ricercati farebbero parte di una rete di "amici" dell'estrema destra separatista di Santa Cruz e allo stesso tempo avrebbero collaborato con gli agrari che lo scorso anno tentarono, con i loro blocchi, di destabilizzare l'esecutivo di Cristina Fernández. Si fa soprattutto il nome di Jorge Mones Ruiz, che manteneva i contatti con il leader del gruppo terroristico, Eduardo Rózsa, e che era giunto in Bolivia come inviato di UnoAmérica, l'Unión de Organizaciones Democráticas de América fondata in Colombia nel dicembre 2008 per unificare le forze conservatrici del continente contro la "minaccia" della sinistra. ABBATTUTO IL MURO DELL'ESCLUSIONE. Doveva separare due zone di Buenos Aires, le ricche abitazioni di La Horqueta (San Isidro) dalle povere case di Villa Jardín (San Fernando). Un muro per nascondere la miseria agli occhi dei benestanti e per rassicurarli che nessuno sarebbe venuto ad attentare alle loro proprietà. Ma la decisione del municipio di San Isidro ha subito scatenato polemiche e critiche, non ultima quella della presidente Cristina Fernández. E alla fine ci hanno pensato gli abitanti di Villa Jardín ad abbattere la costruzione, ancora non ultimata, mentre una decisione della magistratura ordinava di interrompere i lavori. Resta comunque il fossato ideale che separa le due comunità, i benestanti su cui sta facendo sempre più presa la campagna mediatica della paura, e i poveri su cui stanno ricadendo pesantemente gli effetti della crisi. Del resto il muro di San Isidro è solo un simbolo del clima che si sta vivendo nella capitale, dove la deputata locale Liliana Parada, esponente di Igualdad Social, ha denunciato l'attività dell'Ucep (Unidad de Control del Espacio Público), un organismo creato dall'amministrazione di destra. Gli hombres de negro (così chiamati perché vestiti di nero) dell'Ucep si incaricano di sgomberare con la forza le case occupate dalle famiglie di senzatetto e di notte vanno a caccia di clochard. 22/4/2009 |
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Cile, nuova condanna per Manuel Contreras Nuova condanna per l'ex capo della Dina (la polizia segreta di Pinochet) Manuel Contreras: dovrà scontare altri sette anni di prigione per il sequestro, nel 1974, del militante comunista David Silberman. In tal modo gli anni di reclusione comminati a Contreras per vari casi di violazione dei diritti umani superano già i trecento. Sono stati intanto arrestati tre alti ufficiali a riposo dell'esercito: il generale Gonzalo Santelices, il maggiore Patricio Ferrer e il tenente Pablo Martínez. Secondo il giudice Víctor Montiglio, i tre erano membri della cosiddetta Caravana de la Muerte e presero parte all'operazione militare del 18 ottobre 1973 ad Antofagasta, che costò la vita a 14 oppositori politici. LA POPOLARITA' DI MICHELLE. La presidente Bachelet è, insieme al brasiliano Lula, il capo di Stato latinoamericano che gode attualmente di maggiore popolarità: secondo i sondaggi, tra il 62,2 e il 67,4% della popolazione approva il suo operato. Di questo capitale di consensi cercherà di avvalersi il candidato alla successione, il senatore democristiano Eduardo Frei, che infatti ha promesso di continuare "con tutte le politiche sociali della presidente". Il nome di Frei (che aveva già ricoperto la massima carica dello Stato dal 1994 al 2000) era emerso dalle primarie del 5 aprile, quando gli elettori dei quattro partiti della Concertación lo avevano preferito al radicale José Antonio Gómez. In dicembre Frei dovrà affrontare il rappresentante della destra, il multimiliardario Sebastián Piñera, in questi giorni coinvolto in uno scandalo che sta danneggiando seriamente la sua immagine. Piñera ha dovuto ammettere di essere azionista di Fasa, il gruppo farmaceutico inviso a tutto il paese per essersi accordato con altre imprese del settore allo scopo di aumentare i prezzi dei medicinali. 22/4/2009 |
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Haiti, l'astensionismo vince le elezioni Non rispecchiano certo la volontà popolare le consultazioni svoltesi il 19 aprile per il rinnovo di un terzo del Senato. Nel Plateau Central violenti incidenti hanno portato all'annullamento del voto e nel resto del paese il bassissimo livello di affluenza ha messo in evidenza l'indifferenza e la sfiducia degli elettori. Alla base del forte astensionismo, sostengono molti osservatori, vi è l'esclusione di Fl (Fanmi Lavalas), il partito di Jean-Bertrand Aristide, che ha un grosso seguito negli strati più poveri. In febbraio le due liste presentate da Fl non erano state riconosciute dal Conseil Electoral Provisoire, perché prive della firma di Aristide. I due settori di Fanmi Lavalas si erano allora accordati su una lista unica, sottoscritta dall'esponente del partito Emmanuel Cantave, ma anche in questo caso il Conseil Electoral aveva respinto la richiesta, pretendendo una firma autografa del deposto presidente (esule in Sudafrica). In marzo il giudice Jean-Claude Doyoun aveva stabilito che "i diritti politici di Fanmi Lavalas erano stati violati", ma la sentenza era rimasta lettera morta e Doyoun dopo pochi giorni era stato rimosso dall'incarico. E le manifestazioni di migliaia di persone contro l'esclusione del loro partito dalla competizione elettorale non avevano prodotto alcun risultato. "La comunità internazionale, con la complicità di Préval, ha deciso di sbarazzarsi di Fanmi Lavalas perché tutti sanno che è il partito maggioritario", ha dichiarato la militante femminista Ronique ai giornalisti di Ips, ricordando il caso di Pierre-Antoine Lovinsky, uno dei più noti esponenti di Fanmi Lavalas, che aveva annunciato la sua intenzione di candidarsi a senatore. Lovinsky, che aveva denunciato con fermezza l'attività degli squadroni della morte negli anni Novanta, venne sequestrato nell'agosto del 2007 e da allora risulta desaparecido. Intanto la situazione economica appare più drammatica che mai: alla povertà endemica si sono aggiunte, lo scorso anno, le conseguenze di quattro uragani. Sono in costante aumento le persone che si rivolgono ai centri di assistenza, gestiti dalle organizzazioni umanitarie, per avere un pasto quotidiano. E i medici dei quartieri poveri di Port-au-Prince hanno constatato un incremento nel numero dei bambini colpiti da denutrizione grave. Il 14 aprile, nonostante le grida d'allarme della premier Michèle Pierre-Louis, una conferenza riunita a Washington per stanziare nuovi aiuti ha raccolto impegni per 324 milioni di dollari: secondo stime indipendenti, ne servirebbero almeno 3.000. 22/4/2009 |
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Paraguay, i figli dell'ex vescovo "A causa di un'agenda molto fitta di impegni, non potrà recarsi a Washington". Così il portavoce presidenziale ha spiegato la decisione di Lugo di sospendere il previsto viaggio nella capitale statunitense, dove avrebbe dovuto assistere a un convegno della Banca Mondiale. Ma la vera ragione che obbliga l'ex vescovo a rimanere in patria va ricercata nello scandalo che minaccia il suo governo, proprio nei giorni in cui si festeggia il primo anniversario della vittoria. La settimana precedente Lugo aveva dovuto ammettere di essere il padre di un bimbo di due anni, frutto di una relazione risalente al periodo in cui era sacerdote. E non si era ancora sopito il clamore della notizia che un'altra donna saliva alla ribalta per attribuire al capo dello Stato una seconda paternità, questa volta di un bambino di sei anni. In questa difficile situazione, Lugo ha annunciato un rimpasto di governo che sembra volto a indebolire la posizione del vicepresidente Federico Franco (da alcuni settori della coalizione già acclamato come virtuale presidente). I nuovi ministri sono Francisco Rivas (Industria e Commercio), Enzo Cardozo (Agricoltura e Allevamento), Humberto Blasco (Giustizia). Tutti e tre, come i loro predecessori e come lo stesso Franco, appartengono al Partido Liberal Radical Auténtico, ma appaiono legati a correnti ostili al vicepresidente. All'Istruzione, infine, Lugo ha designato un suo uomo di fiducia, Luis Alberto Riart. 21/4/2009 |
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Usa-America Latina: il vertice della svolta? Contrastanti i commenti sul quinto Vertice delle Americhe, conclusosi il 19 aprile a Trinidad and Tobago. C'è chi pone l'accento sulle novità, dal clima cordiale instauratosi tra paesi ideologicamente assai lontani, come gli Stati Uniti da una parte, Venezuela e Bolivia dall'altra, alle parole di Barack Obama: "Dimostriamo che non ci sono grandi o piccoli alleati in America, siamo solo compagni, impegnati a procedere in un'agenda comune con sfide comuni". E c'è chi ricorda che diversi Stati hanno avanzato riserve sulla dichiarazione finale, che è stata alla fine sottoscritta unicamente dal primo ministro di Trinidad, Patrick Manning, su mandato e in rappresentanza degli altri leader. Le obiezioni al testo erano già chiare nel documento emerso, qualche ora prima dell'inizio del vertice, dall'incontro dei paesi aderenti all'Alternativa Bolivariana para las Américas a Cumaná (Venezuela): il progetto di dichiarazione veniva definito "inaccettabile" perché non superava la questione di Cuba e perché non dava risposte alla crisi finanziaria internazionale, sulla quale si vorrebbero imporre "al resto della comunità internazionale, soluzioni adottate nel seno di gruppi escludenti come il G20". Alla fine, però, del summit di Trinidad rimarranno soprattutto le immagini: la storica stretta di mano tra Obama e Chávez; quest'ultimo che regala al collega statunitense il libro di Galeano Las venas abiertas de América Latina; le foto di gruppo che ritraggono volti distesi e sorridenti. Nella speranza che il prossimo vertice accolga finalmente la grande esclusa: Cuba. Sarebbe l'inizio di una nuova era non solo per il continente, ma per tutto il pianeta. 20/4/2009 |
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Bolivia, volevano uccidere Morales Esponenti dei dipartimenti autonomisti avevano legami con i tre attentatori uccisi il 16 aprile in un hotel di Santa Cruz, in uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza. Lo ha denunciato il vicepresidente García Linera durante un programma televisivo, confermando che i terroristi avevano partecipato a una decina di riunioni con politici e imprenditori locali. Del commando, oltre ai tre morti (un rumeno, un irlandese e il capo della banda, l'ungaro-boliviano Eduardo Rózsa Flores), facevano parte altri due uomini (un ungherese e un boliviano), che sono stati arrestati. A quanto pare, il gruppo aveva intenzione di assassinare il presidente Morales, il vicepresidente García Linera, il ministro della Presidenza Juan Ramón Quintana e il prefetto di Santa Cruz Rubén Costas, un oppositore considerato forse troppo moderato. Rimane un mistero la personalità di Rózsa Flores, cineasta, attore, poeta, giornalista, ex membro dell'Opus Dei poi convertitosi all'Islam. Amico del leader autonomista di origine croata Branko Marinkovic, nel conflitto scoppiato con lo smembramento della Jugoslavia Rózsa aveva preso le armi in difesa della Croazia. Sempre il 16 aprile la polizia aveva perquisito uno stand fieristico della Cooperativa Telefónica de Santa Cruz (Cotas), legata alla prefettura, scoprendo un vero e proprio arsenale. C'è chi mette in relazione questi episodi con l'attentato, avvenuto giorni prima, contro l'abitazione del cardinal Julio Terrazas (filoautonomista). Come si vede, la situazione è tutt'altro che chiara e di questo ha approfittato l'opposizione per accusare il governo di La Paz di aver montato uno show mediatico. Dimenticando che, in tutti questi mesi, dall'estrema destra non sono mai mancati gli incitamenti a rovesciare con la violenza il presidente Morales. 19/4/2009 |
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Messico, un incontro con scarsi risultati Il tono è ben diverso da quello del suo predecessore, nelle parole e nei gesti non c'è traccia dell'atteggiamento imperialista di George W. Bush. Nella sua visita a Città del Messico, Barack Obama ha persino riconosciuto il valore del lavoro che gli emigrati messicani svolgono negli Stati Uniti. Ma per i tanti indocumentados non ci sono molte speranze di miglioramento, la loro drammatica situazione non è stata certo al centro del colloquio del 16 aprile tra il presidente Usa e Felipe Calderón. Altri i temi che preoccupano Washington: il potere dei narcos che si va estendendo in territorio statunitense e gli imponenti flussi di droga (da sud a nord) e di armi e denaro (da nord a sud) tra i due paesi. Anche su questo terreno comunque non si prevedono grossi passi avanti: Obama ha promesso di porre un freno al traffico illegale proveniente dagli Stati Uniti che arma le bande dei narcotrafficanti, ma ben difficilmente potrà opporsi alla potentissima lobby della National Rifle Association, che rifiuta ogni limitazione alla vendita indiscriminata di strumenti di morte. Due giorni prima il Senato messicano aveva discusso la partecipazione, tra aprile e maggio, di un contingente della marina alle manovre navali Unitas coordinate dagli Stati Uniti. Nonostante le proteste di Prd e Pt, la partecipazione è stata autorizzata con 66 voti a favore e 13 contrari. UCCISI DUE ESPONENTI DELL'OPPOSIZIONE. Due esponenti politici dell'opposizione sono stati uccisi in 24 ore. Il 6 aprile Beatriz López Leyva, ex dirigente del Prd e ora sostenitrice di López Obrador, è stata assassinata nella sua casa di San Pedro Jicayán (Stato di Oaxaca) da uno sconosciuto che le ha sparato alla testa. Beatriz López, che aveva già subito un attentato nel 2005, si stava battendo contro la decisione del sindaco priista Leonardo Silva di autorizzare la costruzione di un distributore di benzina su terreni della comunità. Il giorno seguente è caduto sotto i colpi dei killer a Nueva Italia (Michoacán) il candidato supplente a deputato federale per il Prd, Gustavo Bucio Rodríguez. 16/4/2009 |
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Bolivia, lo sciopero della fame del presidente Nella storica Plaza Murillo, davanti a migliaia di sostenitori, il presidente Morales ha promulgato il 14 aprile la Ley Electoral Transitoria, che regolamenterà le presidenziali del 6 dicembre. L'approvazione della legge è avvenuta dopo una dura battaglia in Senato dove i partiti d'opposizione, che detengono la maggioranza, hanno bloccato a lungo i lavori riuscendo alla fine a strappare al governo importanti concessioni. Per sbloccare la situazione il capo dello Stato era arrivato al punto di iniziare il 9 aprile, all'interno del Palacio Quemado (il palazzo presidenziale), uno sciopero della fame insieme ad alcuni dirigenti di movimenti sociali. Il suo esempio era stato seguito da quasi tremila persone in tutto il paese. Morales, che durante il digiuno si era sostenuto solo bevendo acqua e tè di coca, ha smesso non appena dal Senato è giunta la notizia del sofferto sì alla Ley Electoral. Non sono mancate però forti critiche da parte dei popoli indigeni, che si sono sentiti traditi per la drastica riduzione dei seggi loro destinati nella futura Asamblea Legislativa Plurinacional. "Lottavano per avere 34 rappresentanti. Ma il sistema elettorale li ha ridotti a 18 e poi a 14. Ora il patto per la ripartizione dei poteri nel Congresso ha portato la cifra a sette. Sette su 130 deputati esistenti, in un paese che riconosce 36 popolazioni indigene, non è assolutamente nulla. Ma non è qui il problema principale. Con questa legge si è tracciato lo schema di quello che sarà il sistema politico di gestione dipartimentale e nazionale. E in questo schema i popoli indigeni non contano", ha dichiarato a Página/12 Hugo Salvatierra, ex ministro dello Sviluppo Rurale. Il governo ha dovuto inoltre introdurre restrizioni sul voto dei boliviani all'estero e cedere sulla richiesta della destra di nuovi registri elettorali (che costeranno 35 milioni di dollari), nonostante quelli attuali fossero stati sottoposti all'esame dell'Organización de los Estados Americanos. 14/4/2009 |
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Gesto distensivo di Obama verso Cuba A pochi giorni dal Vertice delle Americhe che si terrà a Trinidad and Tobago, il presidente Usa Obama ha lanciato un primo gesto di distensione verso Cuba, eliminando tutte le limitazioni ai viaggi e all'invio di denaro dai cubani residenti negli Stati Uniti alle loro famiglie (escluse quelle dei funzionari governativi). Già in marzo il Congresso aveva inferto un duro colpo alle restrizioni imposte da George W. Bush nel 2004, che consentivano ai familiari un solo viaggio ogni tre anni per una durata massima di quindici giorni e l'invio di non più di 300 dollari ogni tre mesi. "La decisione di Obama va nella giusta direzione, ma costituisce solo un primo passo molto modesto, molto piccolo - ha commentato il presidente dell'Inter-American Dialogue Peter Hakim - Il governo vuole mettere alla prova la reazione della comunità cubanoamericana e degli statunitensi in generale, ma soprattutto la risposta dell'Avana". La portata limitata dei cambiamenti introdotti da Obama è stata sottolineata anche da Lorena Barberia, del David Rockefeller Center for Latin American Studies dell'Università di Harvard, che ha ricordato i ben più significativi provvedimenti emanati a suo tempo da Jimmy Carter (che aveva riconosciuto la piena libertà di viaggio a Cuba di tutti i cittadini statunitensi) e da Bill Clinton (che aveva liberalizzato l'invio di rimesse, con l'unica eccezione di quelle destinate a membri del governo o del Pcc). "Il provvedimento di allentare le restrizioni ai viaggi è in sé positivo, anche se minimo", ha dichiarato dal canto suo Fidel Castro, che ha però aggiunto: "Dell'embargo, che è la più crudele delle misure, non è stata detta una parola". Lo stesso Fidel aveva ricevuto a sorpresa, qualche giorno prima, alcuni membri della delegazione di parlamentari afroamericani in visita sull'isola. "Ci è sembrato pieno d'energia, ci siamo riuniti nella sua casa, una casa molto modesta", aveva raccontato Barbara Lee, leader della comitiva, dopo il colloquio. E un'altra parlamentare, Laura Richardson, aveva affermato al termine della visita di aver trovato nei funzionari cubani "una chiarissima volontà di dialogare, sempre in un quadro di sovranità e indipendenza". Un altro gesto di distensione verso l'Avana è venuto dalla giustizia statunitense. In agosto il terrorista anticastrista Luis Posada Carriles sarà di nuovo sottoposto a giudizio per gli attentati del 1997 nella capitale cubana, che costarono la vita al giovane italiano Fabio Di Celmo. Da notare che lo stesso Posada, in interviste ai media nordamericani, si era attribuito la responsabilità di quegli attentati, eppure verrà chiamato a rispondere solo di ostruzione alle indagini. Resta per ora escluso dal procedimento l'altro atto terroristico, la bomba posta nel 1976 a bordo di un aereo della Cubana de Aviación (73 morti). Sia l'Avana che Caracas chiedono da tempo l'estradizione dell'anticastrista, che finora è stato protetto in tutti i modi dalle autorità di Washington. 14/4/2009 |
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Venezuela, l'economia guarda all'Asia Con la firma di 98 progetti di cooperazione si è concluso il viaggio ufficiale del presidente Chávez in Cina. Nei colloqui con i massimi dirigenti di Pechino, Chávez ha promesso di affrettare i tempi per il previsto ampliamento delle esportazioni di petrolio da 380.000 a un milione di barili al giorno. L'espansione energetica sarà finanziata da un fondo di 6.000 milioni di dollari, due terzi dei quali sono già stati depositati dalla Cina. In precedenza la delegazione venezuelana aveva visitato il Giappone (dove aveva sottoscritto dodici accordi di cooperazione bilaterale) e l'Iran. A Teheran Chávez e Ahmadinejad avevano inaugurato la prima banca binazionale, con un capitale iniziale di 200 milioni di dollari versati in parti uguali dai due governi. CONDANNATI TRE CAPI DELLA POLIZIA DI CARACAS. "In Venezuela è finita l'impunità": questo il commento del presidente Chávez dopo la sentenza del 3 aprile, che ha condannato a trent'anni di prigione i commissari della polizia di Caracas Henry Vivas, Lázaro Forero e Iván Simonovis, e a pene varianti dai tre ai trent'anni altri sette agenti di rango inferiore. Gli imputati dovevano rispondere della morte di tre sostenitori del governo durante la manifestazione che precedette il colpo di Stato dell'11 aprile 2002: secondo l'accusa, furono i commissari a far aprire il fuoco contro i dimostranti e l'azione rientrava nell'ambito del piano golpista. Chávez ha però definito la risoluzione del tribunale "tarda e incompleta", perché "i commissari non agirono da soli, ma ricevettero ordini". La difesa ha criticato la condanna sostenendo che si è trattato di un "processo politico". E "politiche" sono state definite dall'opposizione le accuse di sottrazione di fondi che hanno portato all'arresto, il 2 aprile, del generale a riposo Raúl Isaías Baduel. Ex capo dell'esercito ed ex ministro della Difesa, Baduel si era allontanato dal progetto bolivariano alla fine del 2007, criticando apertamente la proposta di riforma costituzionale. La sua detenzione segue di quindici giorni il mandato di cattura per corruzione spiccato contro un altro esponente antichavista, l'ex candidato presidenziale Manuel Rosales, attuale sindaco di Maracaibo. 9/4/2009 |
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Perù, 25 anni di carcere per Fujimori 25 anni di carcere. Questa la pena che dovrà scontare Alberto Fujimori, l'ex presidente-dittatore riconosciuto colpevole di crimini di lesa umanità. La sentenza, pronunciata il 7 aprile, segna un precedente storico: è la prima volta in America Latina che un capo di Stato eletto viene condannato da un tribunale del suo paese per violazione dei diritti umani. Gli episodi contestati sono i massacri di Barrios Altos e della Cantuta (25 morti) e i sequestri del giornalista Gustavo Gorriti e dell'imprenditore Samuel Dyer. Secondo quanto accertato dal tribunale, Fujimori era a capo di un'organizzazione criminale che mise in atto una strategia di guerra sucia contro l'insurrezione armata. Lo aveva rivendicato lui stesso nel corso del processo: "La mia strategia di pacificazione è stata quella giusta e non mi pento di averla attuata. Mi sento orgoglioso". La condanna del Chino è stata accolta con soddisfazione dalla parte sana del paese. "Per la prima volta la giustizia peruviana è all'altezza della storia nella lotta contro l'impunità. È una riparazione nei confronti dei nostri familiari assassinati, perché la sentenza dice che non erano terroristi", ha dichiarato emozionata Gisela Ortiz, sorella di una delle vittime. "Noi fujimoristi non resteremo con le braccia conserte, scenderemo in piazza", ha minacciato dal canto suo la figlia ed erede politica di Alberto Fujimori, Keiko. Già durante la lettura della sentenza, all'esterno del carcere i sostenitori dell'ex presidente si erano scontrati con gruppi di dimostranti che chiedevano giustizia; giovedì 9 si sono dati convegno in 4.000 nell'anfiteatro del Parque de la Exposición: un'iniziativa di cui Keiko ha approfittato per lanciare la sua candidatura presidenziale per il 2011. Quanto alle reazioni del governo, il primo ministro Yehude Simon, ha deciso di mantenersi neutro: "Tutti devono rispettare la sentenza. Il potere giudiziario ha agito come doveva agire". E Alan García? Molti si chiedono se il capo dello Stato intenda ora schierarsi a fianco del fujimorismo, cui è legato da un patto di alleanza (senza contare che anche García è accusato di violazione dei diritti umani durante il suo primo mandato), o se addirittura non stia pensando alla concessione di un indulto. Alberto Adrianzén, commentatore de La República, ritiene che l'attuale presidente non abbia possibilità di manovra contro la decisione dei giudici, forse "il primo gesto indipendente del potere giudiziario dall'epoca di Fujimori". Un gesto che ha trovato il plauso quasi unanime della stampa. Da El Comercio a La República, da La Primera a Perú 21, le prime pagine dei quotidiani hanno celebrato la storica sentenza. Unica eccezione La Razón, che titola: "Hanno trionfato l'odio e la vendetta"; ma non c'è da stupirsi, visto che i proprietari del giornale finirono dietro le sbarre per essersi fatti corrompere da Vladimiro Montesinos, l'ex braccio destro di Fujimori. 9/4/2009 |
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L'America Latina si oppone ai negoziati con l'Europa Gli accordi commerciali in discussione con l'Unione Europea continuano a incontrare forte opposizione in Centro America e nella regione andina. In un incontro svoltosi a Lima il 25 e 26 marzo, sindacati e organizzazioni sociali di Colombia, Ecuador e Perù hanno sottoscritto un documento in cui respingono i negoziati per il Tlc. Il Tratado de Libre Comercio viene presentato, dai governi di Bogotá e di Lima, "come una grande opportunità e come l'illusoria possibilità di aumentare il commercio con l'Unione Europea, senza considerare il tipo di rapporto che si ha con questo blocco di paesi, che non ha mai portato beneficio allo sviluppo e al progresso della regione". L'Europa, spinta dalla "necessità di assicurarsi il controllo nel flusso di materie prime e di risorse naturali per uscire dalla crisi", mostra ambizioni "persino più aggressive" di quelle statunitensi. Il documento osserva inoltre che l'atteggiamento deferente di Colombia e Perù nei confronti del libero commercio è incompatibile con il processo di integrazione regionale. "Proprio per questo il Venezuela si è ritirato quando venne negoziato il Tlc con gli Stati Uniti, la Bolivia si è allontanata dalle trattative dell'iniziale Acuerdo de Asociación e continuamente si sentono le lamentele dei negoziatori peruviani e colombiani perché l'Ecuador non li lascia avanzare nella cessione delle economie nazionali". Il testo conclude facendo appello alle forze democratiche perché lottino unite contro ogni trattato sottoscritto nell'ambito del modello neoliberista. Il 2 aprile, a Tegucigalpa, Vía Campesina e Alianza Social Continental del Centro America hanno riaffermato la loro opposizione ai negoziati per l'Acuerdo de Asociación con l'Unione Europea. "La crisi globale ha un impatto diretto che continua ad approfondire le condizioni di povertà, esclusione, discriminazione ed emarginazione dei nostri popoli, che si sono aggravate con l'entrata in vigore del Tlc con gli Stati Uniti". E l'Acuerdo de Asociación con l'Europa "è semplicemente un nuovo trattato di libero commercio". L'Unione Europea non vuole promuovere un vero negoziato, "che prenda in considerazione le asimmetrie tra le due regioni, la protezione dell'ambiente e delle risorse naturali come l'acqua, il rispetto della sovranità". In pratica l'accordo, come attualmente si configura, "beneficia unicamente le transnazionali e il grande capitale". 3/4/2009 |
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Bolivia, crisi politica dopo il voto in Senato L'opposizione di destra in Senato ha approvato il progetto di Ley Electoral Transitoria, apportando modifiche sostanziali alla proposta del governo, che prendeva come base la nuova Costituzione in vigore da febbraio e che aveva già ricevuto il sì della Camera. La Ley Electoral Transitoria deve garantire lo svolgimento delle elezioni presidenziali e legislative del 6 dicembre e di quelle amministrative dell'aprile 2010. Gli oppositori "non vogliono che si costruisca uno Stato plurinazionale", ha denunciato il capogruppo al Senato del Movimiento al Socialismo, Ricardo Díaz. La crisi politica si aggiunge al conflitto istituzionale in corso tra la Camera (dove il Mas è in maggioranza) e il presidente della Corte Suprema, Eddy Fernández. La Comisión de Constitución della Camera ha avviato un'indagine a carico di Fernández, che avrebbe volutamente ritardato importanti procedimenti giudiziari. Grazie a tali ritardi, l'ex capo di Stato Gonzalo Sánchez de Lozada, gli altri responsabili dei massacri della Guerra del Gas e due funzionari accusati di corruzione (l'ex ministro della Sanità, Tonchi Marinkovic, e l'ex prefetto di La Paz, Luis Alberto Valle) hanno potuto finora sfuggire alla giustizia. Del resto le simpatie di Eddy Fernández per la destra erano apparse chiare il 26 marzo, quando l'alto magistrato aveva partecipato al corteo promosso a Sucre dai prefetti dei dipartimenti autonomisti contro il governo Morales. 2/4/2009 |
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Argentina, il saluto popolare ad Alfonsín Erano in tantissimi alle esequie di Raúl Alfonsín, morto il 31 marzo a Buenos Aires all'età di 82 anni. Il feretro è stato costretto a procedere con estrema lentezza tra due ali di folla, mentre dai piani alti delle case venivano gettati fiori al suo passaggio. Gli argentini, e tra loro numerosi giovani, hanno voluto dimostrare così il dolore per la scomparsa dell'ex presidente. Non appena si era diffusa la notizia del decesso, decine di persone si erano radunate davanti all'abitazione con candele accese, dando vita a una manifestazione spontanea di cordoglio. Più tardi, davanti alla salma vegliata nell'edificio del Congresso, erano sfilati in 70.000. Il governo ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale e Cristina Fernández (a Londra per la riunione del G20) ha reso omaggio allo scomparso affermando che la sua figura "è indissolubilmente legata alla democrazia". Raúl Alfonsín, leader dell'Unión Cívica Radical, rappresentava il simbolo della transizione, dopo la terribile notte della dittatura. Una transizione sofferta e contraddittoria: era stato proprio lui a disporre la prima indagine sui crimini del regime e a promuovere gli storici processi contro i vertici delle forze armate. In seguito, cedendo alle pressioni dei militari e di fronte a ripetuti tentativi di destabilizzazione, aveva accettato il compromesso, inviando in Parlamento le leggi sull'impunità. Nel 1995, parlando di quegli anni, cercò di spiegare: "Solo trovandosi nella posizione in cui mi trovai, e disponendo di tutti i rapporti e le informazioni su ciò che è capace di fare un certo tipo di guerra sucia e sui pericoli che corrono i popoli, a volte senza neppure saperlo, forse si riesce a capire che cosa può fare in simili circostanze un presidente, se è responsabile". L'ultima apparizione di Alfonsín in pubblico fu nell'ottobre 2008, a 25 anni dall'insediamento, quando alla Casa Rosada venne scoperto un busto in suo onore. In quell'occasione l'ex presidente tornò ancora una volta ad ammonire i suoi compatrioti sulla necessità di rafforzare la nazione attraverso il dialogo: "Nei momenti difficili nessuno deve mostrarsi meschino e vanno cercate tutte le strade del consenso, perché il paese è la cosa più importante". 2/4/2009 |
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Uruguay, prima condanna per crimini di lesa umanità Forse l'impunità sta per finire anche in Uruguay. I promotori del referendum sulla Ley de Caducidad hanno annunciato di aver raggiunto e superato le 250.000 firme necessarie, anche se la raccolta continuerà fino alla scadenza dei termini. Gli elettori saranno dunque chiamati a decidere se i responsabili di violazione dei diritti umani durante la dittatura debbano essere sottoposti a processo. Per ora l'unica possibilità di giustizia è quella contemplata dalla stessa Ley de Caducidad, che esclude dall'amnistia i casi di persone arrestate nel corso di operazioni militari o di polizia e in seguito desaparecidas. Ma è solo con l'arrivo al potere del Frente Amplio che questo varco nella legge è stato sfruttato e sono state avviate le prime indagini. E il 27 marzo ha segnato una svolta storica, con la prima condanna per crimini di lesa umanità: a otto ex repressori sono state comminate pene tra i 20 e i 25 anni di carcere per l'uccisione di 28 militanti di sinistra. Le vittime erano state sequestrate nel settembre 1976 a Buenos Aires nell'ambito del Plan Cóndor, torturate nel centro di detenzione clandestino Automotores Orletti e un mese dopo trasferite in Uruguay, in quello che è noto come "il secondo volo della morte". Rinchiuse nella caserma del Batallón 13 dell'esercito, da allora risultano desaparecidas. APPROVATO IL TESTAMENTO BIOLOGICO. È stata approvata dal Congresso la legge sulla voluntad anticipada, che consente di disporre in anticipo il rifiuto di ogni terapia mirante a prolungare artificialmente la vita. Nel documento dovrà essere indicato anche il nominativo della persona incaricata di far rispettare la volontà del paziente, se questi si trovasse in stato di incoscienza. In mancanza di una volontà espressa, la decisione sulla sospensione del trattamento terapeutico spetterà ai familiari di primo grado, con l'avallo del medico curante. 31/3/2009 |
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Brasile, lavoratori in corteo contro la crisi "O si fermano i licenziamenti o fermiamo il Brasile": questo lo slogan più gridato dai manifestanti che il 30 marzo hanno partecipato, in tutto il paese, alla mobilitazione internazionale contro la crisi. Il corteo principale ha avuto luogo a San Paolo, dove migliaia di persone hanno sfilato per le vie del centro rivendicando maggiori investimenti pubblici, la difesa dei diritti dei lavoratori e un'effettiva riforma agraria. "I colpevoli di questa crisi sono i banchieri, le transnazionali e questa politica neoliberista dello Stato minimo. Non accettiamo che si responsabilizzino i lavoratori e non accettiamo che i lavoratori paghino per la crisi. Non accettiamo che le risorse pubbliche vengano dirottate per salvare le banche e le imprese", ha affermato Luiz Bassegio, della segreteria continentale del Grito dos Excluídos. E José Maria de Almeida, dell'esecutivo nazionale di Conlutas (Coordenação Nacional de Lutas), ha sottolineato l'importanza dell'unità raggiunta da centrali sindacali, organizzazioni sociali e movimenti studenteschi. Tra l'ottobre del 2008 e il febbraio di quest'anno, secondo dati ufficiali, sono stati persi 730.000 posti di lavoro: in totale i disoccupati sono già oltre due milioni e mezzo. 31/3/2009 |
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La società civile critica il Bid Si è tenuta nella città colombiana di Medellín l'assemblea del Banco Interamericano de Desarrollo, che quest'anno ha compiuto il mezzo secolo di vita. La riunione si è conclusa con un chiaro successo per i dirigenti dell'istituzione finanziaria, che sono riusciti a strappare ai paesi membri l'impegno alla ricapitalizzazione. Nel frattempo in città si teneva anche l'Asamblea de los Pueblos, l'incontro di 42 organizzazioni del continente venute a denunciare il "disastro" provocato dai progetti del Banco Interamericano. Come ha spiegato Jana Silverman, della ong uruguayana Social Watch, "il Bid lavora in base a un modello di sviluppo che favorisce le grandi imprese esportatrici, il mercato dell'estrazione delle risorse naturali, la privatizzazione dei servizi pubblici come l'acqua e la luce, e non aiuta le popolazioni più vulnerabili". Tra i casi citati quello della diga di Yacyretá, tra Argentina e Paraguay, nota come "il monumento alla corruzione": costata al Bid e alla Banca Mondiale 1.800 milioni di dollari, ha provocato nella zona un forte impatto sociale e ambientale. Altri esempi: il progetto idroelettrico Cana Brava, in Brasile, che sei anni fa ha lasciato senza casa e senza risarcimento 800 famiglie; il gasdotto Camisea, in Perù, che ha isolato le popolazioni indigene dalle foreste dell'Amazzonia. La preoccupazione maggiore dell'Asamblea de los Pueblos si appunta ora sulle perdite del Banco, 1.900 milioni di dollari dei cosiddetti "crediti spazzatura", e sulla necessità di compensare tali perdite con un'ulteriore iniezione di denaro. "Se bisogna ricapitalizzare, questo va fatto in condizioni che permettano a noi, società civile, di valutare che cosa succede con gli investimenti che faranno i nostri paesi", ha detto a Página/12 Margarita Florez, dell'Ilsa (Instituto Latinoamericano de Servicios Legales Alternativos) di Bogotá. 31/3/2009 |
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Messico, "rischio mortale" l'offensiva dei narcos Nel corso della sua visita a Città del Messico, preludio al prossimo viaggio di Barack Obama, la segretaria di Stato Hillary Clinton ha dato pieno appoggio alla battaglia anti narcos del presidente Calderón: "La strategia che stanno impiegando qui è eccellente e il Messico sta vincendo", ha detto. La cronaca in realtà sembra affermare il contrario: un attacco all'auto del governatore e del suo seguito, due consiglieri comunali assassinati, un comandante di polizia costretto a dimettersi, cedendo al ricatto dei trafficanti pronti ad assassinare un agente ogni 48 ore... Sono alcuni degli episodi avvenuti recentemente nello Stato di Chihuahua, dove l'esecutivo non ha trovato altra soluzione che militarizzare un'intera città, Ciudad Juárez, per cercare di frenare l'ondata di delitti. E a smentire le rassicurazioni dI Hillary Clinton, quasi nelle stesse ore a Washington la segretaria per la Sicurezza Interna, Janet Napolitano, intervenendo al Senato parlava di "rischio mortale" per il governo messicano (anche se più tardi avrebbe tentato di sfumare la sua dichiarazione). Significativa anche la designazione del nuovo ambasciatore statunitense: Carlos Pascual, cubano d'origine, è un esperto in programmi di stabilizzazione e ricostruzione di società vittime di conflitti o di guerre civili. Del resto,il giorno prima della visita di Hillary, la Casa Bianca aveva deciso di aumentare le forze alla frontiera meridionale per contenere l'offensiva dei cartelli della droga. Lo stesso Obama ha avvertito che se le risorse destinate al Plan Mérida (adattamento al Messico del Plan Colombia) non daranno risultati, "faremo di più". Secondo Porfirio Muñoz Ledo, coordinatore del raggruppamento che fa capo a López Obrador, queste parole potrebbero costituire non tanto l'annuncio di una maggiore cooperazione, quanto la minaccia di un più massiccio intervento in territorio messicano. Quanto a Calderón, ha preferito porre la richiesta di aiuti in termini monetari. Intervistato dal quotidiano britannico Financial Times, ha affermato che nella lotta ai narcotrafficanti gli Usa dovrebbero fornire una somma "equivalente al denaro che i consumatori statunitensi danno a questi criminali". ECHEVERRIA ASSOLTO PER TLATELOLCO. Il 2 ottobre 1968 il movimento studentesco fu vittima di un genocidio, ma l'allora ministro di Gobernación (Interni) Luis Echeverría (che due anni dopo diventerà presidente) non ebbe alcuna responsabilità in quei fatti. Lo ha stabilito la magistratura assolvendo definitivamente l'ex capo dello Stato per il massacro di Tlatelolco, quando una pacifica manifestazione di giovani venne attaccata dall'esercito a colpi d'arma da fuoco (la cifra reale delle vittime non fu mai resa nota). "La sentenza è un insulto all'intelligenza e al sentimento di migliaia di messicani, per questo non abbiamo più fiducia nella giustizia", ha commentato la senatrice Rosario Ibarra, leader del Comité Eureka che si batte a difesa dei prigionieri politici e dei desaparecidos. 28/3/2009 |
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Nicaragua, la cultura rende omaggio a Cardenal Ernesto Cardenal ha ricevuto l'omaggio del secondo Encuentro de Escritores por la Tierra, che si è svolto nella città messicana di Jalapa dal 19 al 27 marzo. Intellettuali di tutta l'America Latina, dallo scrittore uruguayano Eduardo Galeano al cantautore cubano Silvio Rodríguez, hanno manifestato il loro appoggio al poeta nicaraguense, respingendo le persecuzioni scatenate contro di lui dal governo di Daniel Ortega (sull'argomento è stato presentato il libro El triunfo de la palabra, coordinato dal giornalista spagnolo Juan Carlos Ruiz). Una denuncia del regime Ortega proviene anche dal missionario laico di origine italiana Alberto Boschi, obbligato a fuggire dal paese perché colpito da false accuse. In una lettera aperta alla stampa, Boschi spiega di essere stato condannato a un anno di reclusione per porto illegale di un'arma che non ha mai posseduto e perché ritenuto responsabile dell'aggressione a un giornalista di Canal 4 durante una manifestazione di protesta nel luglio 2008 a Managua (in realtà erano stati i simpatizzanti di Ortega ad attaccare con pietre e spranghe il pulmino della missione cattolica). La vera ragione della condanna - afferma Alberto Boschi, che dal 2006 è cittadino nicaraguense - è "la mia opposizione a questo governo". Il missionario milita nel Movimiento Renovador Sandinista (Mrs), per il quale l'anno scorso era stato candidato a sindaco di Ciudad Sandino. Ora è in Italia, in attesa di una revisione del processo e dell'esito della richiesta di amnistia avanzata dal Mrs in Parlamento. 28/3/2009 |
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Argentina, tentativi di destabilizzazione La presidente Fernández ha presentato un nuovo programma per la sicurezza, volto a rispondere alla campagna di paure della destra che continua a chiedere il ripristino della pena capitale. I massimi livelli di insicurezza coincidono con i massimi livelli di disoccupazione, ha affermato Cristina Fernández ricordando la crisi del periodo 2001-2002, e soprattutto è dimostrato che ad accrescere la violenza è l'aumento della forbice sociale, "la convivenza dell'estrema povertà con l'estrema ricchezza". Nel frattempo le associazioni degli agrari hanno concluso l'ennesimo paro, che ha registrato una scarsa risonanza nel paese, e hanno deciso di proseguire la protesta con altri mezzi. L'offensiva antigovernativa in atto è estremamente pericolosa, scrive su Página/12 Rubén Dri, docente presso la facoltà di Scienze Sociali dell'Università di Buenos Aires: la destra golpista fa leva sul tema dell'insicurezza e sugli interessi dei grandi proprietari terrieri mirando a destabilizzare il governo e a provocarne la caduta. Una risposta a questa offensiva è stata data da migliaia e migliaia di persone il 24 marzo, nelle manifestazioni in ricordo del 33° anniversario del sanguinario colpo di Stato militare. Nei documenti letti dai familiari delle vittime e dalle organizzazioni per i diritti umani è stata chiesta con forza la fine dell'impunità e l'apertura di tutti gli archivi delle forze armate, per conoscere la verità e recuperare l'identità dei figli dei desaparecidos. Allo stesso tempo è stata respinta l'ipotesi della pena di morte come antidoto all'aumento della criminalità. A Buenos Aires si sono tenuti due grandi cortei e in serata un presidio davanti al Palazzo di Giustizia, per sollecitare una maggiore celerità nei processi. Infine nella vecchia Esma, l'Escuela de Mecánica de la Armada ora diventata Espacio Memoria, si è tenuto il Primer Festival de la Canción Social. E proprio il 24 marzo è stata resa nota la sentenza della Corte Suprema che conferma la condanna all'ergastolo per genocidio di Miguel Osvaldo Etchecolatz e stabilisce che i responsabili di crimini di lesa umanità debbano espiare la pena in un carcere comune e non in una prigione militare (dove generalmente sono trattati con tutti i riguardi). 27/3/2009 |
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Bolivia, "Un golpe scatenerebbe la guerra civile" Il 24 maggio 2008, a Sucre, squadracce di oppositori al presidente Morales lanciarono una vera e propria "caccia all'indigeno". Nei giorni seguenti alcuni video diffusi in rete mostrarono gli indigeni aggrediti, denudati, picchiati, costretti a bruciare le proprie bandiere, a inginocchiarsi e a urlare gli slogan dei loro oppressori. Quelle immagini erano state girate dall'argentino César Brie, regista e autore teatrale, che in Bolivia vive da quasi vent'anni. Testimone diretto di quell'episodio di violenza razzista, Brie era riuscito a riprendere con una piccola cinepresa le scene disgustose che avvenivano sotto i suoi occhi e vi aveva aggiunto in seguito altri filmati, tra cui il racconto delle stesse vittime. La documentazione chiariva come l'azione fosse stata organizzata e pianificata con cura e ne indicava i responsabili, primo tra tutti il rettore della locale Università (nonché presidente del Comité Interinstitucional che si batte per Sucre capitale). "Questa mia azione di controinformazione ha innescato una specie di furore xenofobo, mi ha trasformato in 24 ore dall'artista amato e apprezzato da tutti allo straniero da cacciare via - spiega ora lo stesso Brie - Sono stato insultato, diffamato dai mezzi di comunicazione, mi hanno minacciato, hanno attaccato la mia casa". César Brie è attualmente in Italia per presentare la sua ultima opera, Odissea, con cui prosegue la sua personale rilettura di Omero. Conta però di tornare presto in Bolivia, dove la situazione è in continuo movimento. "È già cominciata la campagna per le elezioni di dicembre, che potrebbero cambiare radicalmente il quadro politico. La destra non ha un candidato unico, perché al suo interno ha diversi progetti contrastanti; Evo Morales è invece appoggiato da uno schieramento molto compatto di movimenti sociali. Quindi si spera che dopo il voto riesca a controllare entrambi i rami del Parlamento. Se non conta su una maggioranza in Senato non può governare, come succede oggi anche a causa delle assurde divisioni di circoscrizione, per cui un dipartimento come Pando (schierato a destra) elegge lo stesso numero di senatori di La Paz, pur essendo molto meno popolato". L'opposizione continua ad agitare lo spauracchio di uno spaccatura del paese. È reale questo rischio? "Tutto dipende da cosa faranno i militari, ma un fatto è certo: un golpe scatenerebbe la guerra civile. Se attentassero alla vita di Morales, oppure facessero un colpo di Stato, la Bolivia non se la caverebbe con meno di 50-100.000 morti. L'oppressione e la miseria sono andate troppo in là e la popolazione indigena ha saggiato la possibilità di un'identità, come potrebbe accettare che tutto questo crolli senza lottare? A mio parere, i militari non intendono intervenire perché sono consapevoli che interi battaglioni di soldati potrebbero disubbidire agli ordini e sparare contro i loro ufficiali". 25/3/2009 |
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Paraguay, i contadini manifestano nella capitale Centinaia di persone si sono concentrate nella capitale il 24 marzo: un appuntamento che si rinnova da sedici anni per sollecitare la riforma agraria, la fine del latifondo e maggiori sussidi alle campagne. La manifestazione è promossa dalla Fnc (Federación Nacional Campesina), che raggruppa almeno 270.000 famiglie contadine, in gran parte impegnate nella coltivazione del cotone. Quest'anno ai problemi di sempre si è aggiunta la siccità, che ha colpito il paese nel periodo della semina e che ha impedito ai piccoli agricoltori di far fronte ai debiti contratti per l'acquisto delle sementi. Prendendo la parola di fronte all'edificio del Congresso, il segretario generale della Fnc Odilón Espínola, ha affermato che il presidente Lugo non sta tenendo fede alle sue promesse elettorali di promuovere politiche in favore dei contadini poveri. Continuano intanto le segnalazioni di violenze e abusi contro la popolazione civile da parte delle truppe inviate nei due dipartimenti di San Pedro e Concepción, teatro di dure battaglie del movimento contadino contro l'espansione della soia e la presenza di narcotrafficanti. Il governo aveva deciso la militarizzazione dei due dipartimenti dopo l'attacco a una postazione militare sferrato a fine anno da un presunto gruppo guerrigliero, l'Ejército del Pueblo Paraguayo. E proprio nel dipartimento di Concepción è stato assassinato in gennaio Martín Ocampos Páez, direttore della radio comunitaria Hugua Ñandu FM. L'emittente denunciava da tempo le attività illegali dei grandi allevatori, dei narcos e delle forze di sicurezza. RAPPORTI DIFFICILI TRA LUGO E IL SUO VICE. Si allarga sempre più il fossato tra il presidente Lugo e il vicepresidente Federico Franco, del Partido Liberal Radical Auténtico. Quest'ultimo, parlando con i giornalisti, ha più volte rimproverato al capo dello Stato di non consultarlo sulle decisioni più importanti. Una dimostrazione della distanza tra i due si è avuta l'11 marzo: mentre l'ex vescovo Lugo presenziava ad Asunción all'inaugurazione del Primer Diálogo Interreligioso del Mercosur e abbracciava Leonardo Boff e Frei Betto, personaggi visti con un certo sospetto dalle gerarchie ecclesiastiche, il suo vice era ricevuto in Vaticano da Benedetto XVI (nel corso del colloquio il nome di Lugo non veniva mai pronunciato). Il vicepresidente Franco si è incontrato anche con esponenti politici italiani, tra cui il ministro degli Esteri Frattini e il presidente della Regione Lombardia Formigoni. 24/3/2009 |
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Guatemala, bambini orfani venduti per adozione Durante la guerra civile che ha sconvolto per più di 35 anni il paese, un numero imprecisato di bambini sono stati venduti a coppie che li hanno adottati illegalmente. Lo ha detto Marco Tulio Alvarez, direttore degli Archivos de la Paz. Dai documenti della Secretaría de Bienestar Social - ha precisato Alvarez - risulta che minori rimasti orfani dopo operazioni militari in zone di conflitto furono inviati a case famiglia gestite dal governo: in seguito, di loro si sono perse le tracce. Lo scorso 25 febbraio, Día Nacional de Dignificación de las Víctimas, il presidente Alvaro Colom aveva chiesto pubblicamente perdono per quello che aveva definito "un genocidio" e "un etnocidio". Dieci anni fa, il 25 febbraio, veniva reso pubblico il rapporto della Comisión para el Esclarecimiento Histórico, che attribuiva il 93% delle violenze e dei massacri all'esercito, il 3% ai guerriglieri e il 4% a responsabili non identificati. 24/3/2009 |
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El Salvador commemora la morte di Romero Migliaia di persone hanno partecipato il 24 marzo a un corteo che ha attraversato la capitale nel 29° anniversario dell'uccisione di monsignor Romero. La commemorazione era iniziata con una messa nella cappella dell'ospedale La Divina Providencia, dove l'arcivescovo di San Salvador venne raggiunto, nel 1980, dai colpi di un killer su mandato del maggiore Roberto D'Aubuisson (fondatore degli squadroni della morte nonché del partito di estrema destra Arena). Poi i fedeli, che vestivano camicie nere o bianche con l'immagine del religioso assassinato e la scritta "Pastore e martire nostro", si sono recati a rendere omaggio alla statua di Romero, in Plaza El Salvador del Mundo, e alla sua tomba, nella cripta della cattedrale. Non si è trattato solo di una processione religiosa: passando davanti all'ambasciata di Israele alcuni partecipanti al corteo hanno gettato vecchie scarpe contro la sede diplomatica, in segno di protesta per il massacro di Gaza. 24/3/2009 |
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Venezuela, il governo centralizza i trasporti Infrastrutture viarie, aeroporti e porti di tutto il paese sono tornati sotto il controllo del governo centrale. Dopo l'approvazione da parte del Parlamento della riforma alla Ley de Descentralización, riforma che sottrae la gestione dei trasporti alle amministrazioni locali, il presidente Chávez ha disposto l'occupazione militare delle installazioni, in particolare negli Stati di Zulia, Carabobo e Nueva Esparta, retti dall'opposizione. In queste ultime settimane inoltre l'esecutivo ha proseguito la politica di trasferimento dalla proprietà privata a quella pubblica, a volte in cogestione con le associazioni dei lavoratori, di un ventaglio di attività economiche: dall'industria alimentare all'elettricità, dall'acciaio alle miniere, dai cementifici alla catena del freddo, dalla telefonia alla televisione. Tra i più recenti provvedimenti figurano la proibizione della pesca a strascico, finora nelle mani di multinazionali europee, e l'espropriazione della fabbrica di riso della statunitense Cargill, accusata di non aver osservato le quote minime di produzione a prezzo regolato. E non mancano gli interventi nelle campagne: secondo cifre ufficiali, sono oltre due milioni gli ettari di cui il governo si è già fatto carico, nel processo di lotta al latifondo e di recupero dei terreni incolti. 21/3/2009 |
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Argentina, la destra all'attacco del governo Con l'approssimarsi della scadenza elettorale che rinnoverà parte del Congresso, l'opposizione di destra è partita all'attacco su più fronti. Il primo è quello delle campagne: i grandi produttori agricoli hanno iniziato un ennesimo paro di sette giorni, bloccando le vendite di cereali e bestiame. I tanti incontri con l'esecutivo effettuati nelle settimane precedenti non avevano portato ad alcun accordo: gli agrari continuano a premere per ottenere una riduzione delle imposte. Il pretesto allo sciopero in corso è la decisione, annunciata il 10 marzo dalla presidente Cristina Fernández, di distribuire alle province e ai municipi il 30% del ricavato fiscale sull'esportazione di soia. Il provvedimento viene incontro a una richiesta portata avanti da tempo dalle amministrazioni locali. Un altro tema al centro del dibattito è quello della violenza. Alcune migliaia di persone sono scese in piazza il 18 marzo, spinte da una crescente sensazione di insicurezza alimentata e ampliata dai media. A servire da detonatore l'intervento di una popolare conduttrice televisiva, Susana Giménez, che dopo l'uccisione di un suo collaboratore si era espressa a favore della pena di morte. La dichiarazione della Giménez è stata fatta propria dai settori più conservatori, che reclamano "mano dura" e repressione indiscriminata, sostenendo che i diritti umani "servono solo per proteggere i delinquenti". CAMBIA LA GIUSTIZIA MILITARE. La presidente Cristina Fernández ha promulgato a fine febbraio il nuovo Sistema di Giustizia Militare, approvato dal Parlamento nell'agosto 2008, che sostituisce il vecchio Codice in vigore dal 1951. Molte le novità introdotte: viene abolita la pena di morte; i membri delle forze armate colpevoli di reati saranno deferiti a tribunali civili; è cancellata la punizione per omosessualità mentre sono condannati gli atti di discriminazione e gli abusi sessuali commessi dai superiori. "Si tratta di un grande contributo alla costituzione di un legame positivo dei militari con la società", ha affermato la ministra della Difesa Nilda Garré. 21/3/2009 |
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Una telefonata dalla Casa Bianca Solo qualche tempo fa sarebbe stato impensabile. Mauricio Funes, il futuro presidente del Salvador eletto nelle file del Fmln, ha ricevuto una telefonata da Barack Obama, che si è felicitato per la sua vittoria e ha espresso il desiderio di incontrarlo al prossimo Vertice delle Americhe, il 17 aprile, per discutere "l'importante agenda bilaterale". "Questo rimuove tutti i dubbi, i preconcetti, i fantasmi esistenti su ciò che avrebbe potuto comportare un mio trionfo nelle elezioni, specialmente per quanto riguarda le relazioni con gli Stati Uniti", ha commentato il neopresidente. Nell'attesa di incontrare personalmente Obama, Funes ha avuto un colloquio con il sottosegretario di Stato Usa per l'Emisfero Occidentale, Thomas Shannon. Questi gli ha assicurato che, nel caso il nuovo governo di San Salvador decidesse di riallacciare rapporti diplomatici con Cuba (come preannunciato dal rappresentante del Frente all'Avana, Alfredo Elías), Washington rispetterebbe tale decisione. Gli Stati Uniti sembrano dunque pronti a una nuova politica verso l'America Latina, dopo gli screzi di febbraio. Lo si è intravisto anche il 14 marzo, quando Obama ha ricevuto alla Casa Bianca il presidente brasiliano Lula. Un'ora di colloquio in un clima disteso e cordiale, nel corso del quale Lula si è fatto portavoce del resto del continente, sollecitando in particolare un riavvicinamento Usa a Venezuela, Bolivia e Cuba. "Il presidente Barack Obama ha l'opportunità storica di migliorare i rapporti con l'America Latina", ha poi detto Lula ai giornalisti convocati per la conferenza stampa. Era stato lo stesso Chávez, qualche settimana prima, ad autorizzare pubblicamente Lula a mediare con Washington. Quanto ai governi di La Paz e dell'Avana, pur non avendo affidato alcuna missione al presidente brasiliano, avevano applaudito ai suoi sforzi per avviare nuovi rapporti nel continente. 18/3/2009 |
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El Salvador, Funes: il mio modello è Lula Il Salvador volta pagina. Al termine di una contesa serrata il candidato del Fmln, Mauricio Funes, si è imposto sul suo avversario di Arena, Rodrigo Avila, con il 51,3% dei voti. Giornalista televisivo assai noto nel paese, Funes è un esponente politico indipendente, non proviene cioè dalle file della guerriglia. Ex combattente è invece il suo compagno di formula, il futuro vicepresidente Salvador Sánchez Cerén, che fu comandante del Farabundo Martí con il nome di Leonel González e figura tra i firmatari degli accordi di pace del 1992. L'esponente di Arena è un ex dirigente della Policía Nacional Civil, formatosi negli Stati Uniti. Proprio dagli Usa era venuto, due giorni prima del voto, un segnale importante: il responsabile per l'America Latina del Dipartimento di Stato, Tom Shannon, aveva assicurato che Washington avrebbe rispettato il risultato delle urne e avrebbe collaborato con il vincitore, indipendentemente dal suo credo politico. Veniva meno, in tal modo, la speranza della destra di avere una volta di più l'appoggio incondizionato del colosso del Nord. "Il popolo ha dimostrato oggi che è preparato per l'alternanza": questo il commento di Funes dopo la vittoria. Intanto le strade cominciavano a riempirsi di militanti e simpatizzanti del Frente con le caratteristiche camicie rosse. "Abbiamo firmato un nuovo accordo di pace, di riconciliazione - ha detto ancora Funes - Ha trionfato la cittadinanza che ha creduto nella speranza e ha vinto la paura". Sulla paura del caos e del disordine Arena aveva basato la sua campagna elettorale, per impedire ogni cambiamento in questo paese considerato il più diseguale del continente. Nonostante i timori della vigilia, durante la giornata di voto sono stati registrati solo incidenti isolati, anche grazie alla presenza di migliaia di osservatori internazionali. Al presidente eletto sono giunte le felicitazioni da parte dell'Unione Europea, dell'esecutivo spagnolo, dell'Oea, di numerosi capi di Stato latinoamericani e del governo statunitense. Nel suo primo discorso come presidente eletto, Mauricio Funes ha sottolineato il messaggio "profetico" di monsignor Romero e ha indicato che il suo governo seguirà "l'opzione preferenziale per i poveri" dell'arcivescovo assassinato: "Lavorerò per il benessere generale, cercando di favorire nell'esercizio pubblico in particolare i settori popolari impoveriti ed esclusi". Non sarà comunque un governo rivoluzionario: in diverse interviste concesse all'indomani del voto, Funes ha ribadito pieno rispetto per la proprietà privata e ha annunciato la speranza di rapporti più stretti con l'amministrazione Obama, "per garantire i diritti dei quasi due milioni e mezzo di salvadoregni che vivono e lavorano negli Stati Uniti". Il modello politico non sarà il Venezuela di Chávez: "Il mio governo deve rispondere alla propria identità. Non ha ragione di allinearsi alla Rivoluzione Bolivariana. Si allineerà alle necessità del Salvador". C'è però un punto di riferimento latinoamericano ed è il brasiliano Lula, "un leader che ho ammirato e soprattutto di cui ho visto con speciale attenzione i programmi per mantenere la stabilità macroeconomica". Da notare che la moglie di Funes, la brasiliana Vanda Pignato, era fino a poco tempo fa la rappresentante in Salvador del Partido dos Trabalhadores. Dal primo giugno il nuovo presidente dovrà affrontare i drammatici problemi del paese (povertà, disoccupazione, violenza) senza poter contare su una maggioranza in Parlamento. 16/3/2009 |
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Perù, il fantasma della guerra sucia In una fossa comune nel cimitero di Huanta sono stati recuperati i resti di 49 contadini, torturati e assassinati da membri della marina durante la guerra sucia del periodo 1980-2000. Le persone uccise erano state accusate di essere simpatizzanti di Sendero Luminoso. Nello stesso luogo sono stati rinvenuti altri undici corpi. Secondo la Comisión de la Verdad y Reconciliación, nel paese esistono oltre 4.000 fosse clandestine, dove sono state sepolte le vittime della violenza politica di quegli anni. Una realtà che il governo di Alan García si sforza di rimuovere: recentemente ha suscitato forti critiche la decisione di Lima di rifiutare una donazione di due milioni di dollari, offerti dall'esecutivo tedesco di Angela Merkel per la costruzione di un Museo de la Memoria. IL FILOCILENO ALAN GARCIA. Il Tratado de Libre Comercio con il Cile, entrato in vigore il primo marzo, ha scatenato le critiche dell'opposizione. I rapporti con i vicini cileni costituiscono da sempre in Perù un argomento delicato: Lima ha fatto ricorso alla Corte Internazionale dell'Aia reclamando il possesso di 37.900 chilometri quadrati di mare (ricco di risorse ittiche), che Santiago considera suoi in base ad accordi sottoscritti negli anni Cinquanta. Contro il Tlc è sceso in campo il leader del Partido Nacionalista Ollanta Humala, che ha accusato il presidente García di "tradimento", bollandolo con l'epiteto di "filocileno". Humala ha lanciato una vera e propria crociata contro il trattato e ha iniziato la sua battaglia da Tacna, la località dell'estremo sud che, dopo la Guerra del Pacifico, rimase sotto occupazione cilena per cinquant'anni. La battaglia è poi proseguita a Moquegua e ad Arequipa. Il governo difende il Tlc sostenendo che favorirà lo sviluppo nazionale ed è appoggiato, in questa posizione, da Unidad Nacional (destra) e dal gruppo fujimorista. Ma le critiche non vengono solo dai nazionalisti: un manifesto che accusa il Tlc di essere svantaggioso per il paese è stato firmato da intellettuali, economisti, ex ministri. Come spiega l'economista Alan Fairlie al quotidiano argentino Página/12, "questo accordo consolida le asimmetrie esistenti a favore del Cile, perché rafforza un modello commerciale nel quale il Perù esporta in Cile materie prime e il Cile ci vende prodotti elaborati, il che favorisce il Cile e pregiudica lo sviluppo del Perù". 16/3/2009 |
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Cile, ex sottosegretario di Pinochet presiederà il Senato Era un fervente ammiratore del dittatore Pinochet, del cui governo fu sottosegretario. Ora Jovino Novoa, esponente dell'Unión Demócrata Independiente (Udi), è stato eletto presidente del Senato. Una vittoria che l'ala più conservatrice dell'Alianza (la formazione di destra) ha ottenuto grazie alla "diserzione" del precedente presidente, l'ex democristiano Adolfo Zaldívar. L'abbandono della Concertación da parte di Zaldívar aveva infatti determinato lo scorso anno la perdita della maggioranza in Senato da parte della coalizione di governo. Anche le dimissioni del ministro degli Esteri Alejandro Foxley sono state salutate dalla destra come un successo, il risultato delle sue critiche al viaggio di Michelle Bachelet a Cuba. In particolare l'articolo di Fidel Castro che citava, tra i temi discussi con la presidente Bachelet, lo sbocco boliviano al mare era stato letto come un'indebita intromissione cubana negli affari interni cileni. La rinuncia di Foxley ha determinato una serie di avvicendamenti nell'esecutivo. Nuovo titolare degli Esteri sarà il democristiano Mariano Fernández, attuale ambasciatore negli Stati Uniti. Il posto di Fernández a Washington sarà occupato dal ministro della Difesa José Goñi, che verrà a sua volta rimpiazzato da Francisco Vidal, segretario generale di Governo. Quest'ultimo incarico è stato affidato alla deputata del Ppd Carolina Tohá. 12/3/2009 |
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Bolivia, in difesa della coca Il presidente Morales ha espulso il 9 marzo Francisco Martínez, secondo segretario dell'ambasciata statunitense a La Paz. "Martínez è stato il contatto permanente con gruppi oppositori per tutta la fase di cospirazione contro il nostro governo", ha affermato il capo dello Stato. Morales aveva già accusato la rappresentanza Usa di aver appoggiato il tentato golpe cívico prefectural del settembre scorso e più recentemente aveva denunciato l'infiltrazione della Cia nella compagnia petrolifera statale Ypfb, mirante a far fallire il progetto governativo di nazionalizzazione delle risorse energetiche. Riferendosi alla vicenda Martínez, l'incaricato d'affari statunitense Kris Urs (rimasto la massima autorità nella sede diplomatica, visto che l'ambasciatore Goldberg aveva dovuto lasciare il paese in settembre) ha dichiarato che le accuse mosse da La Paz "sono completamente ingiustificate e arbitrarie" e che "questo tipo di azioni non aiuta a migliorare le relazioni" tra i due paesi. Urs ha poi fatto riferimento all'intervento di Morales al vertice delle Nazioni Unite sugli stupefacenti, a Vienna, affermando che gli Stati Uniti continueranno ad appoggiare la convenzione internazionale del 1961, che proibisce l'uso della coca. Nella capitale austriaca il presidente boliviano aveva sostenuto che la coca, simbolo dell'identità e della cultura dei popoli andini, non è una droga, non provoca danni fisici né assuefazione, anzi è una medicina e aveva chiesto di ritirarla dalla lista delle sostanze proibite. E per dare più forza alle sue parole, aveva mostrato e masticato una foglia di coca. Se i rapporti di La Paz con Washington si fanno sempre più difficili, si rafforzano invece quelli con Mosca. A metà febbraio Morales aveva compiuto la prima visita ufficiale di un presidente boliviano in Russia, incontrando il suo omologo Medvedev e il primo ministro Putin. Tra i due paesi erano stati sottoscritti accordi di cooperazione nell'ambito tecnico-militare e in quello della lotta al narcotraffico. La visita era stata suggellata da una Dichiarazione Congiunta sottoscritta da Morales e da Medvedev, che riassumeva i punti di coincidenza, "dalla sicurezza globale al cambiamento climatico". In settembre il consorzio russo Gazprom aveva firmato con Ypfb un memorandum d'intesa per la prospezione e lo sfruttamento di nuovi giacimenti di gas in Bolivia. LE CELLE SEGRETE DELLA DITTATURA. Nei sotterranei del Ministerio de Gobierno, a La Paz, sono state recentemente scoperte decine di celle segrete, all'interno delle quali sono stati trovati resti di ossa (probabilmente umane). Le celle furono usate durante le dittature militari come camere di tortura degli oppositori politici. Evo Morales ha chiesto la collaborazione delle forze armate perché forniscano informazioni su quanto avvenne in quegli anni e aiutino a trovare i corpi dei desaparecidos, in particolare quello del dirigente socialista Marcelo Quiroga Santa Cruz. Uno dei periodi più neri della storia boliviana fu il regime dittatoriale di Hugo Banzer, che una volta tornata la democrazia riuscì a vincere le elezioni e a diventare presidente. Tra i suoi alleati di allora c'era l'esponente di destra Jorge Tuto Quiroga, che con il suo partito Podemos detiene attualmente la maggioranza in Senato. Secondo Morales, proprio a questo e ad altri personaggi del suo stampo si dovrebbero chiedere notizie sui sotterranei del Ministerio: "Sapevano della loro esistenza. Sono stati anche complici, hanno perfino partecipato ai golpe. Quasi tutti i partiti della destra hanno partecipato ai golpe". Il governo ha deciso che, una volta concluse le indagini, quel luogo diventerà un memoriale dedicato alle vittime del terrorismo di Stato. 12/3/2009 |
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Nasce il Consejo de Defensa dell'Unasur I ministri della Difesa dei dodici paesi dell'Unasur, riuniti a Santiago del Cile, hanno costituito formalmente il Consejo de Defensa, con l'obiettivo di promuovere la cooperazione tra i diversi eserciti, di realizzare operazioni di pace congiunte e di dare trasparenza alle spese militari. Il ministro della Difesa brasiliano, Nelson Jobim, ha sottolineato che il Consejo non costituirà una forza militare classica sul modello della Nato. E il suo omologo cileno, José Goñi, ha affermato che scopo dell'alleanza sarà il rafforzamento della fiducia reciproca attraverso l'integrazione e il dialogo. L'importanza del dialogo è emersa nel corso stesso della discussione, dove non sono mancati momenti di frizione, in particolare tra Cile e Perù sul tema delle spese militari. Nella regione le risorse destinate agli armamenti sono aumentate nel 2008 del 25%, secondo uno studio divulgato a Buenos Aires, che segnala Brasile, Cile, Colombia e Venezuela come le nazioni che hanno maggiormente contribuito a questa tendenza. Nel corso dell'incontro è stato deciso anche un coordinamento della lotta al narcotraffico: il tema, che non rientra nelle competenze dei ministri partecipanti, è stato inserito in un allegato all'atto di costituzione del Consejo. Quanto alla questione di fondo, il rapporto con gli Stati Uniti, la dichiarazione finale evita ogni confronto diretto. La settimana precedente il capo di stato maggiore delle forze armate Usa, Mike Mullen, aveva visitato Brasile, Cile e Colombia, dimostrando così l'intenzione di Washington di seguire da vicino l'attività del Consejo de Defensa. Dalla maggioranza dei membri (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Ecuador, Uruguay e Venezuela) è stato però sottolineato che condizione di un riavvicinamento statunitense al Sud America è l'eliminazione dell'embargo contro Cuba. SI ESTENDE L'EPIDEMIA DI DENGUE. Si estende in Sud America l'epidemia di dengue, che in gennaio aveva costretto il governo paraguayano a dichiarare l'allarme sanitario. Ora la malattia si è diffusa in Bolivia, dove gli ammalati sono oltre 400.000. Nel dipartimento di Santa Cruz, il più colpito, gli ospedali sono ormai al collasso. Non si tratta solo di dengue classica, ma della sua variante più pericolosa, quella emorragica, che ha già ucciso 22 boliviani. Aiuti finanziari e materiale sanitario sono giunti da Venezuela, Colombia, Spagna e Francia, mentre il Brasile ha annunciato che appoggerà le campagne di fumigazione contro l'Aedes aegypti, la zanzara responsabile della trasmissione del virus. Si attende intanto la realizzazione del vaccino, che potrebbe essere una realtà nei prossimi anni. Lo ha detto la ricercatrice argentina Andrea Gamarnik, cui si deve la scoperta della forma in cui il virus si riproduce all'interno delle cellule. Gamarnik, che dirige il Laboratorio di Virologia Molecolare dell'Instituto Leloir, ammette però che lo sviluppo del preparato incontra difficoltà non solo scientifiche, ma economiche: la malattia colpisce in prevalenza i paesi poveri e questo spiega lo scarso interesse delle industrie farmaceutiche. 10/3/2009 |
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Brasile, la bambina e l'arcivescovo Una decisione fondamentalista, che dimostra ancora una volta l'insensibilità di certe gerarchie ecclesiastiche, la loro distanza dai drammi umani. La vicenda è quella, amarissima, della bambina di nove anni rimasta incinta dopo essere stata ripetutamente violentata dal patrigno. La piccola, che aspettava due gemelli, è stata sottoposta a un intervento di aborto: la prosecuzione della gravidanza avrebbe tra l'altro messo a rischio la sua vita, sia per la giovane età, sia per le condizioni fisiche (è minuta e denutrita). Senza una parola di pietà per la vittima o di condanna per il violentatore, l'arcivescovo di Recife e Olinda, José Cardoso Sobrinho (il prelato conservatore chiamato negli anni Ottanta a sostituire dom Hélder Câmara e a "normalizzare" la diocesi), ha scomunicato la madre che ha autorizzato l'aborto e i medici che l'hanno eseguito. Non tutti, per fortuna, condividono questo atteggiamento: dure critiche sono venute dal ministro della Sanità José Gomes Temporão e dallo stesso presidente Lula, cattolico praticante. Anche tra le comunità ecclesiali è prevalsa l'indignazione. "Noi non siamo abituati a pastori così. Come quello che è entrato, alla stregua di un carro armato, in una storia, già di per sé fin troppo dolorosa, triste e drammatica", scrivono i membri della comunità Evangelho è Vida, del Bairro Rio Vermelho di Goiás. Quel pastore, "che da Gesù avrebbe dovuto imparare il primato della misericordia, l’invito a non giudicare, la generosità fino al dono della vita. Ma, sfortunatamente, non tutti ne sono capaci. E così lui sale in cattedra, non sia mai per denunciare i potenti, ma per umiliare e schiacciare i poveri e chi si è fatto toccare dall’enormità della loro sofferenza. E scomunica quanti, peraltro, hanno agito nel rispetto della legge: la direzione dell’ospedale dove si è svolto l’intervento, l’équipe medica che lo ha realizzato, la madre che lo ha autorizzato. La bambina non ha potuto formalmente scomunicarla, ma solo perché è minorenne. Fosse stato per lui, chissà". ANCORA VIOLENZE NELLE CAMPAGNE. In dicembre il ministro della Giustizia, Tarso Genro, aveva chiesto scusa a nome dello Stato per le accuse di "sovversione" e "incitamento al delitto" lanciate negli anni della dittatura militare contro Chico Mendes, il leader ecologista assassinato nel 1988 nella località amazzonica di Xapuri (Stato di Acre). E recentemente il governo Lula ha formalizzato la concessione di un indennizzo e di una pensione alla vedova di Mendes. Nonostante da Brasilia giungano segni di una politica diversa, nel paese il conflitto sociale continua a fare vittime. Agli inizi di febbraio José Campos Braga è stato trovato morto a Casa Nova, nello Stato di Bahia. Campos aveva guidato la comunità di Areia Grande nella resistenza ai tentativi di sgombero messi in atto dai possidenti del luogo con la connivenza delle autorità. Nel marzo dello scorso anno la sua casa era stata distrutta, ma lui non si era arreso e alla fine del 2008 un giudice aveva dato ragione alla comunità. Poi il delitto, forse una ritorsione per quella sentenza. Una decina di giorni prima era stato ucciso l'avvocato Manoel Mattos, attivista dei diritti umani e vicepresidente del Partido dos Trabalhadores dello Stato di Pernambuco. Mattos aveva ricevuto ripetute minacce di morte per aver denunciato l'attività degli squadroni della morte, ma poco prima dell'omicidio la polizia gli aveva ritirato la protezione, con il pretesto che non era più necessaria. 7/3/2009 |
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Cuba, la destituzione di Lage e Pérez Roque Fidel Castro sembra aver ripreso a buon ritmo la sua attività: recentemente è stato visto passeggiare, in abito sportivo, in una zona alberata dell'Avana. Il vecchio leader ha anche ricominciato a scrivere frequenti articoli, raccontando tra l'altro i suoi incontri con i presidenti della Repubblica Dominicana, Leonel Fernández, e dell'Honduras, José Manuel Zelaya, in visita a Cuba. Ma l'intervento più discusso di Fidel è stato quello sul rimpasto di governo realizzato dal fratello Raúl. Questi aveva disposto il 2 marzo una serie di cambi della guardia, allontanando dai rispettivi incarichi due figure molto conosciute anche all'estero: il vicepresidente Carlos Lage e il ministro degli Esteri Felipe Pérez Roque. Nonostante i due funzionari fossero considerati fidelistas, Fidel nel suo articolo afferma di essere stato consultato sulle destituzioni e di approvarle in pieno, usando verso i due "reprobi" toni assai duri: "Non si trattava assolutamente di mancanza di valore personale. Il motivo era un altro. Il miele del potere, per il quale non avevano conosciuto alcun sacrificio, suscitò in loro ambizioni che li condussero a un ruolo indegno. Il nemico esterno con loro si riempì di illusioni". La vicenda ha sorpreso fortemente i cubani: Lage e Pérez Roque, dirigenti relativamente "giovani" (il primo è nato nel 1951, il secondo nel 1965), erano accreditati come possibili successori dei fratelli Castro. Entrambi, con due lettere dal contenuto molto simile pubblicate sul Granma del 5 marzo, hanno annunciato le dimissioni da tutti gli altri incarichi ricoperti e hanno fatto autocritica, ammettendo i loro errori. Nessuno ha spiegato però ai cubani il tenore o la portata di questi errori. Gli avvicendamenti del 2 marzo confermano nei posti chiave la generazione della Rivoluzione e gli alti ufficiali delle forze armate. Con la designazione di Marino Alberto Murillo, Raúl Castro ha rivoluzionato quasi totalmente il corpo dei vicepresidenti del Consiglio dei Ministri: Ricardo Cabrisas era stato nominato in ottobre; Valdés, Rosales e Sierra in febbraio. Del gruppo precedente rimane solo José Ramón Fernández, che l'anno scorso aveva ricevuto pieni poteri nel settore dell'istruzione. L'area economica è stata ampiamente ristrutturata, con il cambiamento di numerosi ministri e l'accorpamento di alcuni dicasteri. Per quanto riguarda gli Esteri, a sostituire Pérez Roque è stato chiamato Bruno Eduardo Rodríguez Parrilla, un diplomatico di carriera di 51 anni. Sarà lui a guidare le relazioni internazionali in un momento di grande apertura all'esterno: l'Avana sta ampliando i suoi rapporti con gli altri paesi latinoamericani, sta riavviando il dialogo con l'Unione Europea e sta riallacciando i legami con vecchi alleati come la Russia. 7/3/2009 |
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Colombia, in marcia contro i "falsi positivi" Centinaia di persone hanno manifestato il 6 marzo a Bogotá contro le esecuzioni extragiudiziarie e contro la pratica dei cosiddetti "falsi positivi", i civili assassinati dai militari e poi presentati come guerriglieri caduti in combattimento. Il leader del Movimiento Nacional de Víctimas de Crímenes de Estado, Iván Cepeda, ha ricordato che le denunce riportate dal 2002 sono più di 1.400: "Chiediamo che siano fatte indagini efficienti, che si formi un gruppo speciale dedicato a queste inchieste e che siano messi sotto indagine i generali, soprattutto Mario Montoya, ex comandante dell'esercito, che oggi riveste un incarico diplomatico" (Montoya è attualmente ambasciatore nella Repubblica Dominicana). Durante il corteo i familiari di alcune vittime - che portavano sul petto le foto dei loro cari - hanno piantato croci bianche nei giardini che si trovavano lungo il percorso. Intanto il governo Uribe ha ordinato di porre in libertà condizionata i due membri delle Farc Elda Neyis Mosquera García e Raúl Agudelo Medina, che dovrebbero fungere da mediatori nel processo di pace. Secondo gli osservatori, in realtà, la liberazione dei due guerriglieri rientra nella strategia dell'esecutivo di stimolare le diserzioni tra gli insorti. RISCHIO DI ROTTURA PER IL POLO. Si è concluso, con la ratifica di Carlos Gaviria come presidente e la decisione di presentare un proprio candidato per le presidenziali del 2010, il secondo congresso nazionale della coalizione progressista Polo Democrático Alternativo. Un congresso difficile, contrassegnato dalle divisioni interne. La minoranza, guidata dal senatore Gustavo Petro, dall'ex sindaco della capitale Luis Garzón e dall'ex ministra degli Esteri María Emma Mejía (questi ultimi due non erano presenti al congresso), promuove la creazione di un ampio fronte nazionale antiuribista con la partecipazione del Partido Liberal. La maggioranza rifiuta l'ipotesi di un'alleanza con forze centriste: come ha sottolineato Gaviria, "il Polo non può abbandonare il proprio progetto politico soltanto per guadagnare un governo o qualche incarico". Ora Carlos Gaviria dovrà fare appello a tutte le sue capacità di mediazione tra i centristi e il settore più radicale (il Partido Comunista e il Moir, Movimiento Obrero Independiente y Revolucionario) per mantenere unita la coalizione. Nel dibattito congressuale erano intervenute a sorpresa anche le Farc, con una lettera in cui chiedevano uno sforzo di unità per sconfiggere Uribe: "Porre fine al conflitto e superare l'orrore dell'attuale scontro fratricida in Colombia passa, inevitabilmente, attraverso accordi politici che aprano le porte a un nuovo regime in grado di edificare la pace democratica - si legge nel messaggio - Un cammino simile può essere costruito solo con lo sforzo convergente di tutti gli amici della vera democrazia, delle trasformazioni progressiste e della giustizia sociale". 6/3/2009 |
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El Salvador, i media fanno campagna per la destra Il 15 marzo 4.200.000 elettori saranno chiamati a scegliere il nuovo presidente della Repubblica e Mauricio Funes, candidato del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln), continua ad essere indicato da quasi tutti i sondaggi come il favorito. Ma la missione degli osservatori dell'Unione Europea ha segnalato che la copertura della campagna elettorale da parte dei media è squilibrata a favore di Arena, il raggruppamento di destra al potere. Il mancato obbligo per i partiti di rivelare l'origine dei propri fondi elettorali non contribuisce certo alla trasparenza del processo. Godendo dell'appoggio di tutti i principali mezzi di comunicazione, il candidato di Arena Rodrigo Avila sta attuando una campagna denigratoria nei confronti del suo avversario, con il quale rifiuta ogni confronto pubblico. La propaganda di Arena punta tutto sulla "paura": il Fmln viene presentato come una forza terrorista, legata a gruppi armati illegali, che una volta al governo attuerebbe misure antidemocratiche. Questi mesi di campagna elettorale sono stati contrassegnati anche da numerosi episodi di violenza e da uccisioni di militanti dell'opposizione: alla fine di gennaio è stato assassinato un ex ufficiale dell'esercito, Edgar Tobar, sostenitore di Funes. Per domenica 15 non si escludono tentativi di brogli, soprattutto attraverso il reclutamento di stranieri: già nelle amministrative del 18 gennaio era stata denunciata la presenza alle urne di honduregni e nicaraguensi, con falsi documenti di identità rilasciati dalle autorità elettorali. Non stupisce dunque che la credibilità degli organismi di controllo sia minima: secondo una recente inchiesta, solo l'11% delle persone consultate ha detto di nutrire piena fiducia nel Tribunale Supremo Elettorale, il 34% ha affermato di avere poca fiducia e il 39,3% nessuna. 5/3/2009 |
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Nicaragua, scontri tra oppositori e sostenitori di Ortega La capitale e le città di León y Chinandega sono state teatro il 28 febbraio di violenti scontri, con lanci di pietre e ordigni artigianali, tra oppositori che protestavano per i presunti brogli elettorali dello scorso novembre e sostenitori del governo che tentavano di impedire i cortei. Numerosi i feriti, tra cui il deputato Luis Callejas, del Movimiento Renovador Sandinista. Le iniziative antigovernative non hanno però registrato una grossa affluenza di manifestanti, dimostrando così la debolezza e le divisioni dell'opposizione. Per contro, Daniel Ortega ha ulteriormente rafforzato il suo potere con l'elezione il 16 gennaio, grazie ai voti determinanti del Plc di Arnoldo Alemán, del sandinista René Núñez alla carica di presidente dell'Assemblea Nazionale. Una nuova prova, secondo molti osservatori, del patto segreto tra Ortega e Alemán: guarda caso quest'ultimo, nello stesso giorno dell'elezione di Núñez, nonostante le pesanti prove a suo carico otteneva dalla Corte Suprema l'assoluzione definitiva da tutti i reati per cui era stato condannato. 28/2/2009 |
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Primi screzi con Obama Partono con il piede sbagliato i rapporti dell'amministrazione Obama con i paesi latinoamericani. In una conferenza stampa il nuovo direttore della Cia, Leon Panetta, ha annunciato che informerà quotidianamente il presidente degli effetti della crisi economica sulla stabilità di diverse regioni del mondo (America Latina compresa). Ai giornalisti che gli chiedevano maggiori dettagli, Panetta ha spiegato che a sud degli Stati Uniti la preoccupazione maggiore proviene da Argentina, Ecuador e Venezuela. L'affermazione non è piaciuta ai diretti interessati. Il ministro degli Esteri di Buenos Aires, Jorge Taiana, ha definito le dichiarazioni di Panetta "irresponsabili e infondate", prive "del rispetto e della maturità che devono avere le relazioni tra paesi", e ha convocato l'ambasciatore Usa per un chiarimento. La decisa reazione di Buenos Aires ha convinto Washington a una rapida retromarcia: l'ambasciatore Earl Anthony Wayne ha precisato che "i commenti dei direttore della Cia non rappresentavano l'opinione del governo degli Stati Uniti sull'Argentina" e lo stesso Panetta ha voluto chiedere scusa alla presidente Cristina Fernández. Accese polemiche anche per un'altra iniziativa statunitense: il rapporto annuale del Dipartimento di Stato sui diritti umani nel mondo. Tra i paesi criticati da Washington per il 2008 vengono citati Bolivia, Cuba e Venezuela. "Non c'è da farsi grandi speranze con questo nuovo governo Usa, continuerà ad essere un impero e l'impero aggredisce i popoli", ha commentato a Caracas Hugo Chávez, intervistato per telefono da Venezolana de Televisión. Poi Chávez ha invitato Obama a estradare in Venezuela il terrorista anticastrista Luis Posada Carriles e l'ex presidente Carlos Andrés Pérez, "che se ne stanno negli Stati Uniti protetti e senza essere giudicati per i crimini commessi in Venezuela". A La Paz Il viceministro Sacha Llorenti ha detto che il documento del Dipartimento di Stato costituisce una rozza semplificazione della realtà boliviana. Anche in Cile non sono mancate le reazioni agli appunti Usa sul conflitto mapuche e sulla situazione penitenziaria. "Abbiamo problemi nelle carceri, senza dubbio, ci sono prigioni per 33.000 persone con 50.000 prigionieri, è ovvio che ci sia un deterioramento, ma in Cile non abbiamo Guantanamo", ha replicato il portavoce di Michelle Bachelet, Francisco Vidal. Da segnalare infine che una recente analisi delle prospettive mondiali nei prossimi 25 anni, realizzata dallo U.S. Joint Forces Command (Usjfcom), individua in due paesi, il Pakistan e (in misura minore) il Messico, il pericolo di un "rapido collasso", tale da rendere necessario un intervento militare statunitense. Per quanto riguarda il Messico, il documento denuncia gli assalti e le pressioni della criminalità organizzata e dei cartelli della droga sul governo, la classe politica, la polizia e la magistratura. "Il risultato di questi conflitti interni nei prossimi anni avrà un grande impatto sulla stabilità dello Stato messicano", afferma il rapporto, che così conclude: "Qualsiasi spostamento del Messico verso il caos esigerà una risposta statunitense". 28/2/2009 |
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Uruguay, "La legge dell'impunità è incostituzionale" La Ley de Caducidad, che garantisce l'impunità ai repressori della dittatura, è incostituzionale. Lo ha dichiarato il Congresso il 25 febbraio, dibattendo il caso della militante comunista Nibia Sabalsagaray, una giovane docente di letteratura arrestata nel 1974 e assassinata nella sede di un battaglione dell'esercito. "È la prima volta che il Congresso si pronuncia. Siamo sempre più vicini all'annullamento dell'amnistia una volta per tutte", ha commentato il senatore del Frente Amplio Rafael Michelini. Suo padre Zelmar, anch'egli senatore, venne sequestrato e ucciso a Buenos Aires nell'ambito del Plan Cóndor. Il voto parlamentare non è vincolante: sul tema dovrà ora pronunciarsi la Corte Suprema. Ma l'ottimismo di Michelini appare giustificato: la cancellazione dell'impunità per i colpevoli di violazioni dei diritti umani trova sempre maggiori consensi nel paese. La settimana scorsa la Ley de Caducidad è stata definita "incostituzionale" dal presidente Tabaré Vázquez, che pure durante il suo mandato aveva più volte ripetuto di volerla mantenere in vigore. Lo stesso giorno della discussione in Parlamento, la principale centrale sindacale ha annunciato che è stato quasi raggiunto il numero di firme necessarie per convocare un referendum: potrebbe così venir rovesciato l'esito della consultazione del 1989. Quell'anno gli elettori, con un ristretto margine (52%), ratificarono l'amnistia negoziata dal governo di Julio María Sanguinetti con i vertici delle forze armate e approvata in Parlamento nel 1986. Proprio Sanguinetti, ora senatore, ha cercato di difendere quelle scelte: "La legge fu concepita come una soluzione generosa per tutti", ha detto. Ma i tempi sono cambiati e il Congresso, stavolta, ha votato diversamente. 25/2/2009 |
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Cuba, il primo anno di Raúl È passato un anno da quando Raúl Castro ha assunto formalmente la guida del paese. Più che di cambiamenti sostanziali si può parlare di un mutamento di stile: i messaggi al paese si sono fatti più scarni, gli atti ufficiali più brevi ed essenziali. Sono state promosse piccole aperture economiche e sociali ed è stata avviata un'offensiva diplomatica in politica estera. E recentemente il governo è stato ristrutturato con la designazione, in qualità di nuovi vicepresidenti, di tre dirigenti della vecchia guardia, tutti membri dell'Ufficio Politico del Partido Comunista: Ramiro Valdés (ministro delle Comunicazioni), Ulises Rosales (titolare dell'Agricoltura) e Jorge Luis Sierra (Trasporti). Le nomine, annunciate il 20 febbraio dal quotidiano Granma, hanno l'obiettivo dichiarato di rendere più efficienti il controllo e il coordinamento degli organismi dell'amministrazione statale. Le trasformazioni di fondo sono rinviate a fine anno, quando si terrà il Sesto Congresso del Pcc. Intanto qualcosa si muove a Washington: i deputati hanno approvato una modifica alle restrizioni sui viaggi, concedendo ai cubano-statunitensi di recarsi a Cuba una volta all'anno e non più una volta ogni tre anni, e hanno annullato le limitazioni alla vendita di alimenti e medicinali (il governo dell'Avana potrà ad esempio pagare tali prodotti all'arrivo, e non in anticipo come avviene adesso). Tutte aperture che attendono però di passare al vaglio del Senato per diventare legge. 25/2/2009 |
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Messico, assassinati due leader indigeni Sui media di tutto il mondo si parla spesso della guerra tra i cartelli della droga, che continua a mietere vittime di fronte a forze di sicurezza impotenti, quando non complici: a metà febbraio i morti erano già più di 750 (compreso un generale di brigata, torturato e assassinato a Cancún). Altre vittime vengono però ignorate o quasi dalla stampa internazionale. È il caso dei due dirigenti indigeni Raúl Lucas Lucía e Manuel Ponce Rosas, sequestrati il 13 febbraio da presunti agenti di polizia ad Ayutla, nello Stato del Guerrero. I loro corpi, con tracce di tortura e colpo di grazia, sono stati ritrovati una settimana dopo seguendo le indicazioni di una telefonata anonima. "È stata una doppia esecuzione extragiudiziaria. Si è trattato di un crimine di Stato": questo il commento del Centro de Derechos Humanos de la Montaña Tlachinollan. Raúl Lucas e Manuel Ponce erano rispettivamente presidente e segretario dell'Organización para el Futuro del Pueblo Mixteco e avevano denunciato a più riprese gli abusi e le violenze dell'esercito nei confronti delle comunità indigene. Una situazione comune a tutto il paese: il 12 febbraio una sentenza della Corte Suprema ha riconosciuto le gravi violazioni dei diritti umani commesse nel 2006 dalle forze dell'ordine a San Salvador Atenco e a Texcoco (nell'Estado de México): centinaia di feriti e di arrestati e decine di donne violentate in prigione. E intanto il presidente Calderón ha concesso una decorazione al merito al colonnello Moctezuma Ilhuicamina Zepeda per la sua lotta al narcotraffico. Insieme ad altri militari, il colonnello Zepeda era stato accusato nel 1997 dell'uccisione a Città del Messico di sei giovani, trovati "giustiziati" con un colpo in bocca. Tutti gli imputati erano stati in seguito assolti. 23/2/2009 |
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Colombia, una controriforma agraria in atto Negli ultimi tre anni sono stati assassinati una ventina di dirigenti delle associazioni che difendono le vittime dei paramilitari. L'allarme è stato lanciato da Eduardo Pizarro, presidente della Comisión Nacional de Reparación y Reconciliación, l'organismo creato per garantire il compimento della legge sulla smobilitazione delle organizzazioni armate. La regione più colpita è quella di Urabá, nel dipartimento di Antioquia: i paras che hanno deposto le armi e confessato i loro crimini in cambio di un forte sconto di pena (rischiano al massimo otto anni di reclusione) dovrebbero restituire anche tutte le proprietà illecitamente sottratte. Pizarro denuncia però che molti paramilitari hanno intestato a prestanomi le terre strappate alle famiglie contadine, con l'idea di goderne dopo la scarcerazione: per ottenere questo devono far tacere con ogni mezzo chiunque possa reclamare il legittimo possesso di tali beni. Una sorta di controriforma agraria è insomma in atto nelle campagne colombiane, con la tacita acquiescenza delle autorità. Nel frattempo un articolo comparso il 21 febbraio sulla rivista Semana ha suscitato un nuovo scandalo: quello delle intercettazioni illegali effettuate dal Departamento Administrativo de Seguridad (i servizi segreti) ai danni di magistrati, giornalisti, esponenti dell'opposizione. Secondo testimonianze raccolte da Semana, le informazioni ottenute sarebbero state vendute al miglior offerente: narcotrafficanti, paramilitari o gruppi guerriglieri. Infine forti polemiche ha scatenato la notizia dell'uccisione, nel dipartimento di Nariño, di otto indigeni awá da parte delle Farc. In un comunicato dell'11 febbraio la colonna guerrigliera Antonio José de Sucre afferma di aver "giustiziato" gli otto, che avevano riconosciuto di essere informatori dell'esercito. Non si è trattato - sostiene il comunicato - di un'azione contro le comunità indigene, ma contro persone che, indipendentemente dalla loro razza, religione, etnia o condizione sociale, avevano accettato denaro ponendosi al servizio dei militari. 23/2/2009 |
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Bolivia, il capo della Cia persona non grata Mark Sullivan, il primo segretario dell'ambasciata statunitense a Quito, dichiarato il 19 febbraio persona non grata per "intromissione negli affari interni dell'Ecuador", era il responsabile locale della Cia. Lo ha confermato il presidente Correa spiegando le ragioni del provvedimento di espulsione. Sullivan aveva ricevuto informazioni riservate da alcuni comandanti della polizia e aveva tentato di intervenire pesantemente sulla gestione dell'Unidad de Investigaciones Especiales (Uies), condizionando la cooperazione logistica ed economica del suo paese alla designazione di dirigenti graditi a Washington. Non solo: aveva ordinato il ritiro di tutti i computer che l'ambasciata aveva prestato all'Uies, sottraendo in tal modo alla polizia ecuadoriana i dati d'archivio sulla sicurezza nazionale. Dopo una dura protesta del presidente Correa, gli hard disk erano stati restituiti e su di essi il capo dello Stato aveva ordinato una perizia per scoprire eventuali manomissioni. Sullivan è il secondo funzionario della rappresentanza diplomatica statunitense espulso in meno di quindici giorni. 22/2/2009 |
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Protestano i Dipartimenti francesi d'Oltremare Centinaia di persone hanno seguito in corteo, in Guadalupa, la bara del sindacalista Jacques Bino, morto la notte del 17 febbraio durante gli incidenti che da giorni si susseguono sull'isola. Bino era stato raggiunto da un colpo d'arma da fuoco mentre si trovava nei pressi di una barricata: secondo la Procura, al momento dello sparo non c'erano agenti nelle vicinanze. La Guadalupa, che fa parte dei Dipartimenti francesi d'Oltremare, è paralizzata da un mese da uno sciopero generale contro il carovita organizzato dal collettivo Lkp (Lyiannaj kont pwofitasyon, in creolo "Unione contro lo sfruttamento"): la repressione della polizia ha portato a ripetuti scontri, degenerati in incendi e saccheggi. La popolazione è esasperata non solo per l'aumento dei prezzi, la disoccupazione e i bassi salari, ma anche per l'enorme disparità esistente tra gli strati più ricchi, composti generalmente da bianchi, e quelli più poveri, in maggioranza neri o mulatti. Di fronte al dilagare della violenza, il governo di Parigi ha deciso di inviare rinforzi. Una decisione che non è destinata certo a riportare la calma: "Mandano voli pieni di poliziotti per picchiare i negri", ha dichiarato al quotidiano Le Figaro il leader del collettivo Lkp, Elie Domota, che ha denunciato i pestaggi e gli insulti razzisti degli agenti nei confronti dei manifestanti. Nel frattempo anche nella vicina Martinica è in atto da oltre due settimane uno sciopero generale e la scintilla minaccia di estendersi alla Guyana Francese. 22/2/2009 |
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Argentina, espulso il negazionista Williamson La presidente Cristina Fernández ha ordinato l'espulsione del vescovo lefebvriano Richard Williamson, dandogli dieci giorni di tempo per lasciare il paese. Il provvedimento è motivato dal fatto che Williamson era entrato in Argentina nel 2004 senza dichiarare la sua condizione sacerdotale (aveva poi rinnovato il visto ogni anno fino a ottenere, nel 2008, la residenza permanente). La risoluzione governativa cita inoltre le aberranti dichiarazioni negazioniste del vescovo, che fino a pochi giorni fa dirigeva il seminario lefebvriano Fraternidad San Pio X a La Reja (una cinquantina di chilometri da Buenos Aires). Tra le forze armate argentine le posizioni di Lefebvre hanno sempre avuto ampia diffusione, soprattutto attraverso l'opera di proselitismo del cardinale Antonio Caggiano. Organizzazioni legate al lefebvrismo come Ciudad Católica hanno formato ufficiali delle tre armi nella guerra controrivoluzionaria, giustificando in nome della religione i sequestri, le torture, gli omicidi degli oppositori politici. Lefebvre stesso ammirava la giunta argentina e incontrò più volte il dittatore Videla. RIPROVAZIONE UNANIME PER LA BATTUTA DI BERLUSCONI. La vergognosa battuta di Silvio Berlusconi sui desaparecidos ha incontrato unanime riprovazione in Argentina. Dopo la pubblicazione della frase del premier su l'Unità del 14 febbraio, il Ministero degli Esteri di Buenos Aires ha convocato l'ambasciatore italiano Stefano Ronca per esprimergli la sua "profonda preoccupazione" in merito. Negli stessi giorni in cui Berlusconi ironizzava sul dramma della dittatura, la presidente Cristina Fernández sottolineava l'importanza "di onorare la memoria e la verità" inaugurando il primo Centro Internacional para la Promoción de Derechos Humanos, creato - grazie a un accordo tra il governo di Buenos Aires e l'Unesco - presso l'ex Escuela de Mecánica de la Armada, il luogo che durante il regime militare funzionò come centro di detenzione, di tortura e di morte. 19/2/2009 |
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Guatemala, Colom chiede scusa a Cuba È stato un gesto senza precedenti: parlando nell'Aula Magna dell'Università dell'Avana il 17 febbraio, il presidente Alvaro Colom ha voluto chiedere ufficialmente scusa a Cuba perché il Guatemala, nel 1961, prestò il suo territorio per la preparazione dell'invasione anticastrista della Baia dei Porci. La dichiarazione, accolta con una vera e propria ovazione, ha segnato il momento culminante della visita di Colom a Cuba. Come gli altri presidenti latinoamericani che hanno visitato l'isola in queste ultime settimane (il panamense Martín Torrijos, l'ecuadoriano Rafael Correa, l'argentina Cristina Fernández, la cilena Michelle Bachelet), anche Colom ha condannato l'embargo Usa, definendolo "ingiusto" e "anacronistico". Ha poi insignito Fidel Castro dell'Ordine del Quetzal, la massima distinzione del suo paese (non potendo incontrare personalmente Fidel, ha consegnato la decorazione nelle mani di Raúl Castro): un riconoscimento dell'opera svolta dai medici cubani, che hanno visitato e operato gratuitamente migliaia di guatemaltechi poveri. L'annunciata intenzione di Colom di decorare Fidel aveva suscitato le proteste di un gruppo di imprenditori, che all'ultimo momento avevano deciso di non accompagnare il presidente nella sua visita a Cuba. UCCISI DUE DIRIGENTI INDIGENI. Nonostante la svolta politica rappresentata dalla presidenza Colom (che il 14 gennaio ha compiuto il suo primo anno di mandato), non cessano gli attacchi e le violenze contro la popolazione indigena. Il 23 gennaio la Coordinadora Nacional de Viudas de Guatemala e il Movimiento de Jóvenes Mayas hanno denunciato l'assassinio di Santiago Pérez Domingo e María de las Mercedes Ordoñez Méndez, del comune di San Ildefonso Ixtahuacán (dipartimento di Huehuetenango). I due leader stavano coordinando la presentazione di un rapporto sull'illegale sfruttamento minerario nella zona. Sono stati intanto resi noti i risultati di una ricerca realizzata dalla Secretaría Alimentaria y Nutricional sui bambini tra i sette e i nove anni. In questa fascia d'età, quattro bambini su dieci presentano sintomi di denutrizione a vari livelli. Lo studio sottolinea come i problemi maggiori si riscontrino tra i bambini delle comunità indigene. 18/2/2009 |
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Venezuela, vince il sì alla rielezione illimitata Hugo Chávez non ha perso tempo. Non appena conosciuti i risultati del referendum di domenica 15 (il sì alla rielezione illimitata di tutte le cariche pubbliche si è imposto con il 54,8%), ha annunciato la sua intenzione di presentarsi alle elezioni del 2012: "A meno che Dio non disponga altrimenti, a meno che il popolo non disponga altrimenti, questo soldato è già precandidato alla presidenza della Repubblica". Nel frattempo ha promesso di rafforzare i programmi nei settori della sanità, dell'istruzione, dell'alloggio e di lottare contro i problemi su cui l'opposizione aveva basato la sua campagna: insicurezza, corruzione, spreco, inefficienza. Impegni che non sarà facile mantenere, vista la difficile situazione economica: il crollo del prezzo del petrolio e l'alto tasso d'inflazione (nel 2008 ha superato il 30%) pongono una seria ipoteca sulla sostenibilità delle politiche sociali portate avanti fin qui dal governo. Per ora, comunque, il risultato elettorale costituisce un indubbio successo per il capo dello Stato, cancellando il ricordo della sconfitta del 2007. Resta intatta la questione di fondo, che molti osservatori hanno fatto notare: all'orizzonte non appaiono altri leader e il processo bolivariano rischia di dipendere sempre più dalla figura di Chávez. Quanto all'opposizione, nonostante i timori della vigilia ha accettato con tranquillità il responso delle urne e alcuni suoi dirigenti si sono addirittura mostrati ottimisti, mettendo l'accento sul superamento dei cinque milioni di consensi da parte del no (contro gli oltre sei milioni di sì). Restano altri tre milioni di elettori che hanno preferito disertare i seggi e proprio questa massa, che oggi ha preferito non scegliere, potrebbe essere determinante alla prossima consultazione. 17/2/2009 |
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Cile, sulle orme di Salvador Allende È stato un viaggio ricco di una forte carica simbolica quello della presidente Bachelet a Cuba. Era dalla storica visita di Salvador Allende nel 1972 che un capo di Stato cileno non veniva ricevuto all'Avana. Il golpe di Pinochet aveva portato alla rottura diplomatica tra i due governi e anche la fine della dittatura non aveva segnato un'immediata ripresa delle relazioni. E se in seguito l'intercambio culturale è cresciuto, specie durante il mandato di Michelle Bachelet, il commercio bilaterale è rimasto limitato (nel 2007 non arrivava a 80 milioni di dollari). Il mondo economico si attende ora un'intensificazione dei rapporti: Bachelet e Raúl Castro hanno sottoscritto accordi di cooperazione nei settori dell'agricoltura e dell'allevamento, delle foreste, della pesca, della sanità e hanno formalizzato un memorandum d'intesa per una collaborazione sulle biotecnologie. Della delegazione cilena facevano parte non solo funzionari, parlamentari e imprenditori, ma anche artisti: quest'anno il Cile è l'invitato d'onore alla Feria Internacional del Libro. Giovedì 12 Michelle Bachelet ha avuto un incontro di un'ora e mezza con Fidel Castro: al termine ha affermato di averlo trovato "molto attivo" e "in condizioni molto buone" e ha definito "assai positivo" il colloquio. È stato il momento culminante di una visita che in patria aveva suscitato parecchie polemiche. La Democracia Cristiana, che fa parte della coalizione di governo, aveva fatto pressioni sulla presidente perché accettasse di riunirsi con gli anticastristi: di fronte al suo rifiuto, gli esponenti dc (con l'unica eccezione del parlamentare José Miguel Ortiz) avevano deciso di non far parte della comitiva, accusando Bachelet di scarsa sensibilità verso il tema dei diritti umani a Cuba. La stessa Bachelet aveva risposto indirettamente dall'Honduras (dove aveva fatto tappa prima di raggiungere Cuba, per firmare accordi di cooperazione con il governo di Tegucigalpa): "Quello che conta oggi nella nostra regione - aveva detto - è il dialogo politico, è l'unità intorno a mete comuni, rispettando la diversità dei distinti modelli e dei distinti processi". Le polemiche si sono riaccese in seguito a un articolo di Fidel diffuso poco dopo l'incontro con Michelle Bachelet: tra i temi trattati nel colloquio l'ex presidente citava la questione dello sbocco al mare "strappato alla Bolivia", nel secolo XIX, da un'oligarchia cilena "vendicativa e fascista". Democristiani e opposizione sono insorti parlando di ingerenza cubana negli affari interni del paese e la stessa Michelle Bachelet, al suo ritorno a Santiago, ha rivelato di aver espresso a Raúl Castro il suo disappunto per i contenuti dell'articolo. PROTESTA CONTRO PODLECH IN PIAZZA SAN PIETRO. María InésBussi, nipote di Salvador Allende, e Fresia Cea, vedova di Omar Venturelli (l'ex sacerdote italiano ucciso durante la dittatura di Pinochet), sono state fermate dalla polizia domenica 8 febbraio, in piazza San Pietro, e trattenute per tre ore. La loro colpa: avevano attaccato sul petto dei volantini con cui ricordavano al papa i crimini del regime cileno e chiedevano che fosse la magistratura del nostro paese a giudicare il repressore Alfonso Podlech, responsabile delle torture e della scomparsa di Venturelli e di altri cittadini italiani. 14/2/2009 |
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Argentina, Massera ancora una volta elude il giudizio? Poche settimane fa il responso del neurologo Piero Rocchini, inviato dalla magistratura italiana, era stato chiaro: l'ex comandante in capo della marina Emilio Eduardo Massera può essere sottoposto a giudizio, i sintomi che presenta sono fittizi. Sulla base di tale risultato il giudice Sergio Torres, che conduce la causa per i crimini di lesa umanità commessi nel centro clandestino di detenzione della Esma, ha ordinato nuovi esami medici. E in Italia potrebbe essere disposta la riapertura del processo per la scomparsa di Angela Aietta, di Giovanni Pegoraro e della figlia Susana e per l'appropriazione della bambina di quest'ultima, nata in prigionia. Ma il 12 febbraio, all'improvviso, l'ex dittatore è stato colpito da malore e ricoverato nell'unità coronarica dell'Hospital Naval. La circostanza ha subito sollevato dubbi e interrogativi. "Gli italiani si erano resi conto dell'inganno e per questo vuole farsi credere malato un'altra volta; è un grande simulatore", ha commentato Liliana Mazea, della Liga Argentina por los Derechos del Hombre. I procedimenti contro Massera in Argentina erano stati interrotti nel 2005 in base a perizie psichiatriche che sostenevano la sua incapacità di difendersi in un pubblico processo. Ora che le conclusioni di Rocchini possono rimettere in moto la giustizia, con la sua malattia - vera o fittizia - Massera si prende gioco una volta di più delle vittime e dei loro familiari. I VIAGGI DI CRISTINA FERNANDEZ. "Il viaggio ha dimostrato l'eccellente stato delle relazioni tra i due paesi". Così il ministro degli Esteri Jorge Taiana ha commentato i risultati della visita ufficiale della presidente Fernández in Spagna. Non erano risultati scontati: di fronte al governo di Madrid Cristina Fernández ha dovuto difendere la decisione di nazionalizzare le Aerolíneas Argentinas, provvedimento che ha toccato gli interessi dell'impresa spagnola Viajes Marsans. È questo un periodo di intensi contatti internazionali per la presidente argentina, che in gennaio aveva visitato l'Avana e Caracas. Con Chávez aveva firmato 21 accordi di cooperazione e concordato riunioni periodiche ogni tre mesi. Di fronte alle critiche dell'opposizione Cristina Fernández aveva spiegato le ragioni della visita, ricordando l'importanza del Venezuela come principale acquirente di prodotti e tecnologia argentina e il ruolo svolto da Caracas nel risollevare le finanze del paese, nei momenti più duri della crisi economica. 12/2/2009 |
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Venezuela, scoperta cospirazione eversiva Il governo di Caracas ha annunciato la scoperta di una cospirazione eversiva in cui sarebbero coinvolti militari in servizio, in complicità con un altro militare fuggito negli Usa. Grazie a una serie di perquisizioni sono stati rinvenuti lanciarazzi, granate ed esplosivi. La notizia si inserisce in un clima già teso: nel paese si susseguono le manifestazioni di sostenitori e oppositori del presidente Chávez, in vista del referendum del 15 febbraio sulla rielezione illimitata delle cariche pubbliche. Sono stati intanto individuati i colpevoli della profanazione, avvenuta a fine gennaio, della principale sinagoga di Caracas. Degli undici arrestati, otto appartengono a diversi corpi di polizia, due sono membri di bande criminali e uno faceva parte, fino a dicembre, della scorta personale del rabbino: come tale, conosceva alla perfezione i dispositivi di sicurezza della sinagoga. Subito dopo l'incursione il direttore della Confederación de Asociaciones Israelitas de Venezuela, Abraham Levy, aveva attribuito la responsabilità morale dell'accaduto ai sentimenti "antiebraici" suscitati dal governo dopo i bombardamenti di Gaza (quando Caracas aveva rotto i rapporti diplomatici con Israele). 11/2/2009 |
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Cuba, l'Avana supera l'esame sui diritti umani Cuba ha superato l'esame. A Ginevra il rapporto del Consiglio per i Diritti Umani dell'Onu, che raccoglie le opinioni emerse durante il cosiddetto Esame Periodico Universale, riflette l'appoggio al governo dell'Avana da parte della grande maggioranza dei partecipanti alla discussione. La ratifica finale del documento da parte del Consiglio avverrà in giugno. 51 delle 60 delegazioni presenti hanno riconosciuto le conquiste della Rivoluzione nei campi della salute, dell'istruzione, del lavoro e della sicurezza sociale e i progressi in materia di libertà individuali e hanno censurato l'embargo Usa. Solo nove paesi, tra cui Israele e sette Stati europei, hanno espresso valutazioni critiche. Delle 89 raccomandazioni formulate nel rapporto, Cuba ne ha accettate 60, presentate nella quasi totalità da nazioni del Sud del mondo. Durante la riunione la delegazione cubana, guidata dalla ministra della Giustizia María Esther Reus, aveva risposto alle principali obiezioni negando l'esistenza di prigionieri d'opinione, torture ed esecuzioni extragiudiziarie e affermando che la pena di morte sarà abolita "quando esisteranno condizioni propizie". Va ricordato che il 2 febbraio, nel corso di una breve cerimonia nel Palazzo delle Nazioni Unite a New York, Cuba aveva ratificato la Convenzione Internazionale per la Protezione contro le Sparizioni Forzate. LA VISITA DI RAUL CASTRO IN RUSSIA. Russia e Cuba riallacciano i legami esistenti prima della caduta del Muro. Il 30 gennaio a Mosca Medvedev e Raúl Castro hanno firmato una serie di accordi, che prevedono tra l'altro cooperazione militare e sfruttamento dei giacimenti petroliferi cubani. Il governo russo ha inoltre concesso all'Avana un credito di 20 milioni di dollari per l'acquisto di materiale da costruzione e apparecchiature per l'agricoltura e ha promesso assistenza alimentare gratuita. Quella di Raúl è la prima visita a Mosca di un presidente cubano dal 1987, quando Fidel aveva assistito alle cerimonie per il 70° anniversario della Rivoluzione Russa. Dopo il crollo dell'Urss i rapporti tra i due paesi si erano raffreddati e solo recentemente è avvenuto il riavvicinamento, grazie alla decisione di Mosca di congelare il debito, superiore ai 20.000 milioni di dollari, contratto dai cubani all'epoca dell'Unione Sovietica. Dal canto suo l'Avana ha appoggiato la Russia nella sua opposizione al progetto statunitense di scudo antimissile nell'Europa dell'Est. Attualmente i rapporti economici bilaterali riguardano diversi settori: idrocarburi, nichel, industria farmaceutica, biotecnologie, telecomunicazioni, informatica e turismo, con un intercambio commerciale che si aggira sui 400 milioni di dollari annui. 9/2/2009 |
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"Oggi nasce una nuova Bolivia" Con una suggestiva cerimonia nella città di El Alto, a quasi 4.000 metri sul livello del mare, il presidente Morales ha promulgato la Costituzione approvata dal referendum del 25 gennaio. "Dopo 500 anni di ribellione contro l'invasione, contro il saccheggio permanente, dopo oltre 180 anni di resistenza contro uno Stato coloniale, dopo vent'anni di lotta permanente contro un modello neoliberista, oggi, 7 febbraio 2009, nasce una nuova Bolivia", ha affermato il capo dello Stato davanti a migliaia di sostenitori. Dei 411 articoli della Carta Magna ne entreranno subito in vigore un centinaio: per altri cento si dovrà attendere la regolamentazione votata dal Congresso (dove l'opposizione, che controlla il Senato, cercherà di porre ogni tipo di ostacolo). Domenica 8 il presidente Morales ha iniziato a dare attuazione alla nuova Costituzione firmando il decreto che istituisce il Poder Ejecutivo Plurinacional. Ai 17 Ministeri tradizionali ne vengono aggiunti altri tre: Trasparenza Istituzionale e Lotta contro la Corruzione, Culture e Autonomie. Quest'ultimo dicastero dovrà negoziare l'applicazione della Carta Magna nei dipartimenti autonomisti, dove i prefetti di Santa Cruz, Beni, Pando, Tarija e Chuquisaca hanno già preannunciato battaglia. Anche il Ministero della Trasparenza Istituzionale, di cui sarà titolare la legale Nardi Suxo, ha davanti a sé un arduo compito, dopo lo scandalo che a fine gennaio ha portato alla destituzione del presidente di Ypfb (Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos), Santos Ramírez, accusato di corruzione. Un brutto colpo per il Movimiento al Socialismo: Santos Ramírez era indicato come possibile candidato alla vicepresidenza, insieme a Morales, per le elezioni del dicembre di quest'anno. Ministro delle Culture è stato nominato il politologo Pablo Groux; titolare delle Autonomie Carlos Romero, proveniente dal dicastero dello Sviluppo Rurale (dove sarà sostituito dalla deputata quechua Julia Ramos, della Confederación de Mujeres Campesinas Bartolina Sisa). Un altro avvicendamento riguarda il Ministero del Lavoro, assegnato all'indigeno Calixto Chipana al posto di Oscar Coca, passato al dicastero degli Idrocarburi. "Questo è lo Stato plurinazionale. Abbiamo ex cattedratici, ex consulenti sindacali, ex dirigenti contadini, intellettuali, rappresentanti di quechua e aymara, classe media e i cosiddetti meticci criollos come consulenti del movimento indigeno", ha riassunto Morales. 8/2/2009 |
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Ecuador, espulso funzionario dell'ambasciata Usa Il presidente Correa ha ordinato l'espulsione del funzionario dell'ambasciata Usa Armando Astorga, che aveva preteso di condizionare i finanziamenti per la lotta contro il contrabbando e il traffico di persone alla scelta dei comandanti dei corpi di sicurezza ecuadoriani. "Che raccolga la sua valigia e si allontani dal paese. Qui non accetteremo che nessuno ci tratti come una colonia", ha affermato il capo dello Stato, proponendo poi - come contropartita agli aiuti statunitensi - una donazione a Washington "per evitare la tortura negli Stati Uniti". Un altro tema sta occupando in questi giorni l'attenzione politica: il caso dell'ex sottosegretario José Ignacio Chauvín, accusato di legami con una rete di narcotrafficanti che avrebbe contato sull'appoggio della guerriglia colombiana. Lo scandalo ha coinvolto anche l'ex ministro della Sicurezza Gustavo Larrea, che ha dovuto rinunciare a candidarsi a un seggio parlamentare. Chauvín, che in un primo momento era fuggito, si è poi consegnato agli inquirenti e finora contro di lui è emersa solo l'amicizia con il defunto dirigente delle Farc Raúl Reyes. Sulla questione è intervenuto lo stesso presidente, sottolineando che simpatizzare o avere amici guerriglieri non è un reato. "Altra cosa è associarsi in modo illegale con le Farc per destabilizzare un governo vicino come la Colombia o lo stesso governo ecuadoriano", ha detto Correa, aggiungendo di sperare in un processo giusto per Chauvín. La vicenda rischia di gettare un'ombra sulla prossima apertura della campagna elettorale per le consultazioni generali del 26 aprile. 7/2/2009 |
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Colombia, le Farc liberano sei sequestrati Con la liberazione, il 5 febbraio, dell'ex parlamentare regionale Sigifredo López si è completato il rilascio di sei ostaggi deciso dalle Farc come gesto unilaterale, in risposta alle sollecitazioni della senatrice Piedad Córdoba e dell'organizzazione Colombianos por la Paz. Il primo febbraio era stata la volta di tre poliziotti e un soldato, seguiti due giorni dopo dall'ex governatore del dipartimento del Meta, Alan Jara. I rilasci sono stati però ritardati e messi a rischio dall'atteggiamento del governo e da manovre militari nella zona, come denunciato dal giornalista Jorge Enrique Botero, membro della missione umanitaria. Per tutta risposta il presidente Uribe ha accusato Botero e il corrispondente in Colombia di Radio Francia Internacional, Hollman Morris, di complicità con il terrorismo. Subito dopo la liberazione di Jara, Uribe ha inoltre chiarito di non aver abbandonato l'idea di riscattare gli altri sequestrati con la forza: una posizione in netta antitesi con quella degli ex ostaggi, che si sono espressi con forza per un accordo umanitario. La liberazione di López ha permesso di conoscere le circostanze della morte, nel giugno 2007, degli altri undici parlamentari con cui era stato sequestrato: secondo il suo racconto, furono uccisi dai guardiani delle Farc che scambiarono l'arrivo inaspettato di un contingente guerrigliero per un attacco dell'esercito e, obbedendo agli ordini, assassinarono i prigionieri. Il solo López si salvò perché in quel momento non si trovava con il gruppo. Intanto nel paese non si fermano gli attentati: il 27 gennaio una bomba è scoppiata in un quartiere commerciale di Bogotá, uccidendo due persone. Il governo ha subito attribuito la colpa alle Farc. Pochi giorni prima, sei militari erano stati arrestati sotto l'accusa di omicidio. Quattro di loro avrebbero ucciso due persone nell'agosto del 2007, mettendo poi accanto ai loro corpi alcune armi per accreditare la versione di uno scontro a fuoco con i narcos (si è accertato in seguito che le armi erano difettose e non potevano sparare). Gli altri due avrebbero assassinato un contadino per presentarlo come membro della guerriglia caduto in combattimento. 6/2/2009 |
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Perù, due porti per la Quarta Flotta Se la decisione di Washington di resuscitare la Quarta Flotta per pattugliare le acque latinoamericane ha suscitato critiche e riserve in molti paesi del continente, il Perù ha varato invece una legge che consente alle navi da guerra Usa di utilizzare, per tutto il 2009, i porti di El Callao (Lima) e Salaverry (550 chilometri a nord della capitale). La legge è stata approvata dal Congresso, quasi senza discussione, con i voti del Partido Aprista, del gruppo fujimorista e di Unidad Nacional (destra). Il governo di Alan García ha inoltre stabilito che anche nell'anno in corso i militari nordamericani potranno entrare nel territorio nazionale per missioni di addestramento e di informazione. Già nel 2008 era stato autorizzato l'ingresso di oltre mille soldati statunitensi. Washington ha un'importante presenza in sei basi peruviane dislocate nelle zone "calde" (dove sono segnalate bande di narcotrafficati e sparute colonne di Sendero Luminoso) e nei pressi della frontiera con la Colombia. Con le truppe di quest'ultimo paese le forze armate peruviane terranno in luglio esercitazioni militari congiunte. "Per gli Stati Uniti era fondamentale avere una base nel Pacifico Sud e adesso l'hanno ottenuta", ha spiegato al quotidiano Página/12 l'esperto in questioni militari Ricardo Soberón. La costante presenza della Quarta Flotta, secondo Soberón, rimpiazzerà la base ecuadoriana di Manta che Washington dovrà abbandonare quest'anno: con raffinati strumenti di comunicazione, dalle navi si potrà tenere sotto controllo tutta la regione. "L'intenzione degli Usa è di avere una forza operativa in America Latina che reagisca di fronte a qualsiasi eventualità. Questo non cambierà con il governo di Obama", è la conclusione di Soberón. Nel corso della seduta parlamentare che ha aperto agli Stati Uniti i porti peruviani, sono stati approvati altri due provvedimenti voluti da Washington per l'attuazione del Tratado de Libre Comercio tra i due paesi. Il Tlc è entrato in vigore il primo febbraio, dopo la firma che George W. Bush aveva voluto apporre come uno degli ultimi atti della sua presidenza. L'accordo commerciale con gli Usa "fa bene alle esportazioni e attira maggiori investimenti", è l'opinione di Luis Carranza, ministro dell'Economia del governo García. Carranza è tornato a occupare il dicastero il 19 gennaio, in seguito alle dimissioni a sorpresa, "per ragioni strettamente personali", di Luis Valdivieso. Sei mesi prima era stato lo stesso Carranza a rinunciare all'incarico, anche lui per motivi personali. Questi avvicendamenti non cambieranno comunque la politica economica neoliberista di Lima. 2/2/2009 |
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Ambiente e crisi economica i temi del Forum Il Forum Sociale Mondiale è tornato in America Latina. Un'America Latina molto diversa da quella che ne vide la nascita: sulle macerie lasciate dal neoliberismo, governi più o meno di sinistra cercano strade alternative. E proprio il rapporto tra questi governi e i movimenti sociali è stato discusso in due affollate assemblee con i presidenti progressisti del continente. Nel primo incontro il paraguayano Lugo, l'ecuadoriano Correa, il boliviano Morales e il venezuelano Chávez hanno affermato, ognuno a suo modo, che "un altro mondo è possibile", anzi è già nato, e si sono proclamati eredi del bagaglio ideale del Forum. Sono rimaste sullo sfondo le difficoltà e le contraddizioni di questi processi, come lo scontro tra Rafael Correa e le comunità indigene del suo paese sulla nuova Ley Minera. O la tensione tra i Sem Terra e il brasiliano Lula, che ha partecipato solo alla seconda iniziativa perché alla prima - organizzata proprio dal Movimento Sem Terra - non era stato invitato. Nel suo intervento Lula ha rivendicato il ruolo dello Stato per fronteggiare la crisi, quasi a ribadire che i movimenti sociali sono fondamentali nel momento della protesta, ma non bastano da soli a gestire la trasformazione. Una trasformazione che però non può venire, come molti partecipanti hanno sottolineato, da qualche semplice provvedimento a favore degli strati più poveri. Accanto alla crisi economica, l'altra questione al centro del Fsm 2009 è stata la salvaguardia dell'ambiente, ormai uscita dal dibattito degli specialisti per assumere rilevanza politica. A indicare la via per la salvezza della Madre Terra sono state in questi anni soprattutto le popolazioni native, che oggi chiedono non solo la fine delle discriminazioni, ma la possibilità di influire, con la propria cultura e la propria visione del mondo, sui meccanismi del potere (si veda il recente, straordinario risultato del referendum in Bolivia). Da questo punto di vista la scelta, come sede del Forum, di Belém do Pará non è stata casuale: qui è la porta d'accesso all'Amazzonia, il polmone verde del pianeta che le comunità indigene cercano di preservare dalla distruzione. 2/2/2009 |
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Brasile, il caso Battisti divide Roma e Brasilia Per il presidente Lula è ormai un "caso chiuso", ma la mancata estradizione di Cesare Battisti, l'ex militante dei Proletari armati per il comunismo condannato all'ergastolo per quattro omicidi avvenuti negli anni Settanta, ha creato un vero e proprio incidente diplomatico tra Italia e Brasile. Roma ha richiamato per consultazioni il suo ambasciatore e dal governo Berlusconi vengono continui attacchi a Brasilia: il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha addirittura proposto l'annullamento della partita amichevole prevista per il 10 febbraio tra le squadre dei due paesi. Qualche giorno fa Lula, rispondendo alle domande dei giornalisti, aveva affermato: "Si tratta di decisioni sovrane di ciascun paese. Può piacere o no alle autorità italiane, ma devono rispettarle". Il presidente brasiliano si era poi soffermato sulla vicenda: "L'accusatore di Battisti ha fatto un accordo con la giustizia, poi ha cambiato identità e oggi è un cittadino che non esiste neppure per provare quello che ha detto". 28/1/2009 |
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Honduras, scontro sul salario minimo Il presidente Manuel Zelaya ha iniziato il suo quarto e ultimo anno di mandato nel mezzo di un duro scontro con il Consejo Hondureño de la Empresa Privada, che critica le nuove norme sul salario minimo. Per consentire alle retribuzioni di recuperare il potere d'acquisto perso nell'ultimo anno, il governo ha fissato un aumento del 60% - a partire dal primo gennaio - del salario minimo mensile, che è passato così a 5.500 lempiras (equivalenti a circa 289 dollari) per il settore urbano e a 4.055 lempiras (213 dollari) per il settore rurale. Gli imprenditori sono subito insorti contro il provvedimento, agitando lo spauracchio dell'inflazione e della disoccupazione, e hanno dato il via a un'ondata di licenziamenti e a decine di ricorsi in tribunale. I lavoratori hanno risposto scendendo in piazza a migliaia per difendere l'aumento. Altri attacchi a Zelaya sono venuti dal Partido Nacional, principale forza d'opposizione, che ha accusato il capo dello Stato di aver cercato di imporre i suoi candidati alla Corte Suprema di Giustizia, recentemente nominata dal Parlamento. A questo proposito Zelaya ha assicurato il suo appoggio ai nuovi magistrati, aggiungendo però di sperare che la Corte respinga i ricorsi degli imprenditori sul salario minimo. Proprio mentre i parlamentari si apprestavano a scegliere i giudici della Corte Suprema, veniva assassinato Rodrigo Valladares, figlio di uno dei candidati, l'ex commissario governativo per i diritti umani Leo Valladares Lanza. Il cadavere del giovane è stato trovato alla periferia di Tegucigalpa insieme ai corpi di altre due persone. 27/1/2009 |
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Bolivia, vince il sì alla nuova Costituzione Il risultato del referendum di domenica 25 gennaio non dà adito a dubbi: il sì alla nuova Costituzione ottiene oltre il 61% dei suffragi. L'opposizione ha cercato di sottrarre legittimità al voto parlando di brogli e irregolarità, ma è stata smentita dai numerosi osservatori internazionali (dell'Oea, del Mercosur, dell'Unione Europea, di organizzazioni sociali latinoamericane). Dalle urne esce dunque una chiara vittoria per il presidente Morales, anche se offuscata dalla maggioranza di no registrata nei dipartimenti autonomisti (Santa Cruz, Chuquisaca, Beni, Pando e Tarija). Il prefetto di Santa Cruz, Rubén Costas, e quello di Tarija, Mario Cossío, hanno dichiarato subito che il governo centrale dovrà "scendere a patti" con i dipartimenti in cui si è imposto il no. Netta la risposta di Morales: "Ho sentito che vogliono fare un nuovo patto. Il patto è la Costituzione, il patto è per la sua applicazione". La nuova Carta Magna rafforza il ruolo dello Stato nell'economia e il controllo sulle risorse naturali; autorizza le autonomie dipartimentali, ma anche quelle delle comunità indigene; limita a 5.000 ettari l'estensione della proprietà agraria (tale limite, approvato a grande maggioranza con un quesito referendario a parte, è valido solo per il futuro, non si applica ai possedimenti già costituiti); elimina il paragrafo della vecchia Costituzione che garantiva un riconoscimento speciale alla religione cattolica. Contro quest'ultimo punto si è schierato il clero più conservatore: "Vogliono scacciare Dio dalla Bolivia", lo spot che ha contrassegnato la campagna per il no. Altro bersaglio polemico, la cosiddetta "giustizia comunitaria", che a detta degli oppositori si contrapporrebbe alla giustizia ordinaria e arriverebbe a legittimare i linciaggi. Uno sguardo al testo costituzionale chiarisce subito la pretestuosità di questi attacchi: l'articolo 190 afferma che "le nazioni e i popoli indigeni originari contadini eserciteranno le loro funzioni giudiziarie e di competenza attraverso le loro autorità e applicheranno i loro principi, valori culturali, norme e procedimenti. La giurisdizione indigena originaria contadina rispetta il diritto alla vita, il diritto alla difesa e gli altri diritti e garanzie stabiliti nella presente Costituzione". NAZIONALIZZATA LA PETROLIFERA CHACO. Il presidente Morales ha firmato il 23 gennaio il decreto che nazionalizza il 98,7% delle azioni della compagnia petrolifera Chaco, filiale di Pan American Energy (proprietà della British Petroleum e del Grupo Bridas argentino). La Chaco è una delle principali produttrici di gpl e un'importante fornitrice di benzina e diesel. La decisione di Morales fa seguito a un lungo negoziato con la proprietà: lo Stato boliviano aveva invano tentato di assumere il controllo dell'impresa acquistando la maggioranza delle azioni. In merito a un'altra nazionalizzazione, quella di Entel (controllata da Telecom), il Ciadi - l'organismo internazionale sulle controversie relative agli investimenti - ha deciso di sospendere fino al 2010 il procedimento arbitrale. Dovranno infatti essere prese in esame le obiezioni del governo di La Paz, che nega al Ciadi la competenza sul caso. 27/1/2009 |
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Ecuador, gli indigeni contro la Ley Minera Il presidente Rafael Correa ha celebrato i suoi primi due anni di mandato con un livello di popolarità che, secondo i sondaggi, supera il 70%. Il consenso rischia però di essere incrinato dalla protesta della Conaie (Confederacion de Nacionalidades Indigenas del Ecuador), che in questi giorni è scesa in lotta contro la nuova Ley Minera promossa dal governo. Le comunità indigene temono che l'attività mineraria a cielo aperto, consentita dal provvedimento con esclusione delle aree protette, contamini i loro territori, inquinando le falde acquifere. Solidarietà con la Conaie è stata espressa dalla Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas, che raggruppa popolazioni native di Bolivia, Ecuador, Perù, Colombia, Cile e Argentina. Dopo un duro discorso di Correa, che ha attaccato i "piccoli gruppi" indigeni e i "fondamentalisti ecologici" contrari alla legge, il 20 gennaio si sono registrati scontri tra manifestanti e polizia, con il bilancio di quattro agenti feriti e una decina di arresti. In un successivo comunicato la Conaie ha responsabilizzato il governo per gli incidenti e ha ribadito il rifiuto della Ley Minera, chiedendo la convocazione di un dibattito nazionale sull'argomento. "FORZA CUBA, NON UN PASSO INDIETRO". L'obiettivo non era solo quello di firmare accordi di cooperazione con il governo di Raúl Castro. La recente visita a Cuba del presidente Correa è servita soprattutto a rafforzare i rapporti di amicizia tra i due paesi. Prendendo la parola l'8 gennaio, durante la cerimonia per il 50° anniversario dell'entrata trionfale di Fidel all'Avana, il presidente ecuadoriano ha affermato con enfasi: "Forza Cuba, non un passo indietro, congratulazioni e auguri di altri cinquant'anni". È stata intanto risolta, almeno per ora, la crisi con il Brasile per il rimborso del prestito ottenuto dal Bndes (Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social): l'Ecuador, pur contestando la legittimità del credito, ha pagato a fine dicembre la quota prevista, in attesa che la CorteInternazionale di Arbitrato si pronunci in proposito. 22/1/2009 |
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Argentina, l'incontro con Fidel Il giorno dell'insediamento di Barack Obama, Cristina Fernández si trovava in visita a Cuba e questo ha suscitato in patria i commenti negativi di alcuni esponenti dell'opposizione. Eppure il viaggio di Cristina potrebbe essere l'avvio di nuovi rapporti tra l'Avana e Washington. La presidente argentina è stata ricevuta mercoledì 21 da Fidel Castro, che per lei ha rotto un silenzio che durava dalle celebrazioni per il 50° anniversario della Rivoluzione (quando aveva mandato un breve messaggio ai cubani). Oltre a dimostrare di essere ancora in vita e in discreta salute (mentre i fuoriusciti di Miami stavano già festeggiandone la scomparsa), Fidel ha affidato alla sua ospite una prima risposta al discorso di Obama del giorno precedente. In pratica il vecchio comandante ha fatto sapere che considera Obama onesto e sincero e che l'Avana è disposta a dialogare con la nuova amministrazione Usa. Lo farà però in un contesto regionale profondamente mutato: Cuba non è più isolata di fronte alla superpotenza, ma è un paese che gode dell'appoggio delle principali nazioni del continente (la stessa presidente argentina, parlando all'Università dell'Avana, aveva condannato l'embargo Usa). La visita di Cristina Fernández è stata anche l'occasione per un rafforzamento dei rapporti bilaterali, con la firma di undici accordi di cooperazione in diversi campi, dalla sanità alla scienza, dall'attività mineraria all'energia. Si è così completato il riavvicinamento tra i due paesi, dopo il gelo provocato dal caso di Hilda Molina, la dottoressa cubana che aveva chiesto di recarsi in Argentina a conoscere i suoi nipoti. La questione, non ancora completamente risolta, aveva visto anche un intervento dell'ex presidente Néstor Kirchner, che aveva scritto personalmente a Fidel prima che questi si ammalasse. ASSASSINATO MILITANTE KIRCHNERISTA. Juan Giglio, militante del Frente para la Victoria e presidente dell'organizzazione Avellaneda Solidaria, è stato assassinato nel suo ufficio di Avellaneda (provincia di Buenos Aires) con due colpi di pistola alla testa. Accanto al corpo, un messaggio scritto con lettere ritagliate dai giornali: "Quelli che non hanno principi finiscono così". Le circostanze fanno pensare a un delitto politico: negli anni scorsi altri due militanti kirchneristi, Luis Gerez e Juan Evaristo Puthood, erano stati sequestrati e picchiati, dopo aver testimoniato contro i responsabili di crimini di lesa umanità durante la dittatura. 21/1/2009 |
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El Salvador, vittoria parziale del Fmln Risultato sostanzialmente favorevole al Fmln (Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional) nelle elezioni legislative e municipali di domenica 18 gennaio: ottiene la maggioranza nel Congresso unicamerale e conquista l'amministrazione di importanti comuni, anche se perde la capitale, che governava da dodici anni. A San Salvador infatti, contro tutte le previsioni della vigilia, la sindaca Violeta Menjivar è stata sconfitta dall'esponente di Arena, Norman Quijano. Per quanto riguarda la composizione del Parlamento, il Frente si aggiudica 35 seggi (su un totale di 84), contro i 32 di Arena. Un dato importante in vista delle consultazioni presidenziali del 15 marzo. Secondo gli osservatori dell'Unione Europea, si sono recati alle urne circa la metà degli aventi diritto. La delegazione della Conferencia Permanente de Partidos Políticos de América Latina, invitata dal Frente a seguire le consultazioni, ha però denunciato diverse irregolarità, in particolare la partecipazione al voto di cittadini stranieri (honduregni e nicaraguensi), forniti di documenti rilasciati dalle autorità salvadoregne. La campagna elettorale era stata contrassegnata da numerosi episodi di violenza: il 12 gennaio, a San Salvador, i sostenitori di Violeta Menjivar erano stati attaccati da squadracce della destra con lanci di pietre e mattoni e un giovane dimostrante era rimasto ferito. Tre giorni prima, due militanti del Fmln erano stati assassinati nei pressi di Yamabal (dipartimento di Morazán) da un gruppo armato. Negli ultimi tre anni, secondo la Fundación de Estudios para la Aplicación del Derecho, sono stati uccisi ben 27 attivisti di movimenti sociali o di partiti d'opposizione. 20/1/2009 |
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"Obama dia un segnale a Cuba" Quasi tutti i capi di Stato latinoamericani guardano positivamente al cambio della guardia a Washington: il 44° presidente Usa potrebbe inaugurare rapporti più equilibrati tra i paesi del continente. Il boliviano Morales ha sottolineato che con Barack Obama "si riaccende il fuoco di uguaglianza, libertà e giustizia di Martin Luther King" e la cilena Bachelet ha affermato che il nuovo presidente "ha suscitato grandi speranze nel popolo statunitense e in milioni di persone nel mondo, in un momento molto difficile della storia degli Stati Uniti". Il ministro di Governo dell'Ecuador, Fernando Bustamante, ha parlato di "avvenimento rivoluzionario" e il capo di gabinetto di Buenos Aires, Sergio Massa, ha detto che l'arrivo di Obama alla Casa Bianca rappresenta "una grande speranza" per l'Argentina e per il resto dell'America Latina. Controcorrente il venezuelano Chávez, che ha invitato a "non farsi illusioni" perché si tratta sempre "dell'impero statunitense". Il brasiliano Lula ha affrontato il tema più delicato nei rapporti tra Washington e l'America Latina: "È importante che Obama dia un segnale a Cuba - ha detto parlando con la stampa locale - È importante che il blocco venga tolto perché Cuba possa avere una vita normale come tutti i paesi"; non esiste "alcuna spiegazione scientifica" a un embargo imposto da oltre quarant'anni. Anche il segretario generale dell'Oea, José Miguel Insulza, ha dichiarato di sperare che la nuova presidenza Usa segni la fine del blocco. Va detto però che, in una recente intervista alla rete televisiva Univisión (la stessa in cui ha attaccato senza mezzi termini il governo Chávez), Obama ha chiarito di non aver intenzione di revocare l'embargo a Cuba, anche se si è detto disposto a "mitigare le restrizioni ai viaggi e all'invio di rimesse". Le stesse posizioni già illustrate da Hillary Clinton alla Commissione Esteri del Senato Usa. 20/1/2009 |
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Venezuela, il 15 febbraio referendum sulla rielezione L'Assemblea Nazionale ha approvato all'alba del 15 gennaio, dopo un secondo e definitivo dibattito, il progetto di revisione costituzionale che cancella ogni limite alla rielezione del capo dello Stato e di tutti gli altri incarichi di nomina popolare. Sul provvedimento dovranno ora pronunciarsi gli elettori, nel referendum fissato per il 15 febbraio. "Sono forse indispensabile? No. Ma cambiare cavaliere o capitano quando non sono ancora consolidate le fasi di maturazione iniziali di un processo è estremamente pericoloso": così il presidente Chávez ha spiegato la sua proposta, in un lungo discorso (più di sette ore) in Parlamento. Nel paese la tensione è alta: sabato 17, a Caracas, gli incidenti scoppiati nel corso di una manifestazione studentesca contro la rielezione hanno provocato numerosi feriti. Due giorni dopo, sempre nella capitale, si sono registrati alcuni attacchi con bombe lacrimogene. Bersagli: la sede della nunziatura apostolica, l'abitazione del direttore di Rctv Marcel Garnier e un gruppo di studenti dell'opposizione. Quest'ultima attribuisce gli attentati ai filochavisti, mentre dal governo si risponde che atti simili favoriscono solo l'opposizione. Un appoggio a Chávez è venuto dal brasiliano Lula, che il 16 gennaio ha incontrato il presidente venezuelano a Machiques (nello Stato di Zulia). "Dobbiamo imparare a rispettare le culture di ciascun paese, a rispettare la volontà di ciascun popolo", ha affermato Lula. Nel corso della riunione i due capi di Stato hanno firmato dodici nuovi accordi di cooperazione nei settori dell'agricoltura e dell'energia. Prima di concludere la visita, Lula ha voluto inviare un messaggio al futuro presidente Usa, Barack Obama: "Guardi all'America Latina con uno sguardo democratico e con simpatia. Non veda qui la regione degli anni Sessanta, ma una regione che ha imparato a vivere in democrazia, a svilupparsi, a occuparsi dei poveri. Vogliamo che abbia uno sguardo da capo di Stato, senza pregiudizi". Un appello che per ora appare caduto nel vuoto. Domenica 18 è stata divulgata un'intervista di Obama alla rete televisiva Univisión. "La nostra missione come statunitensi non è dettare politiche o dire quello che conviene ad altri paesi, ma cooperare per il mutuo interesse", ha esordito il futuro presidente Usa, che però ha poi aggiunto: "Chávez ha rappresentato una forza che ha impedito il progresso della regione". E non si è fermato qui: "Dobbiamo essere molto fermi quando vediamo queste notizie, che dicono che il Venezuela sta esportando attività terroristiche o sta appoggiando organizzazioni criminali come le Farc. Questo crea problemi inaccettabili". Immediata la replica del presidente venezuelano: "Se un paese ha rappresentato una forza perversa che ha impedito il progresso, la libertà e la vita in questo continente, è quello che tu ti appresti a governare". 19/1/2009 |
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Cile, Frei precandidato socialista L'ex presidente democristiano Eduardo Frei Ruiz Tagle è stato proclamato precandidato del Partido Socialista per le presidenziali di dicembre. Nelle primarie della Concertación, che si terranno ad aprile, dovrà affrontare l'esponente del Partido Radical Social Demócrata José Antonio Gómez e il socialista Marco Enríquez Ominami: quest'ultimo ha deciso di concorrere per protestare contro le scelte imposte dalle segreterie dei partiti. All'inizio di gennaio il segretario generale dell'Oea, José Miguel Insulza, indicato come il più probabile candidato del Ps, aveva respinto la designazione; prima di lui si era ritirato anche l'ex presidente Ricardo Lagos. L'EMILIA-ROMAGNA PARTE CIVILE CONTRO PODLECH. La Regione Emilia-Romagna si è costituita parte civile nel processo contro l'ex procuratore militare di Temuco Alfonso Podlech Michaud, indagato dalla Procura di Roma per la scomparsa di 25 oppositori di origine italiana. Implicato nell'inchiesta sul Plan Cóndor, Podlech ha sempre goduto in Cile della massima impunità. Arrestato in luglio a Madrid, dove aveva fatto scalo nel suo volo verso Praga, è stato subito consegnato alle autorità italiane ed è ora rinchiuso nel carcere di Rebibbia. Tra le sue vittime vi è Omar Venturelli, originario della provincia di Modena, scomparso pochi giorni dopo il golpe di Pinochet. 18/1/2009 |
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Argentina, il nunzio complice della dittatura Si sono svolti il 14 gennaio nel Duomo di Faenza i funerali solenni di Pio Laghi, l'ex nunzio apostolico a Buenos Aires negli anni del regime militare. In quel periodo Pio Laghi scelse un silenzio complice: pur ricevendo dai familiari le denunce di migliaia di scomparsi, non fece nulla per aiutarli, nulla che potesse turbare la sua amicizia con i dittatori (era noto per le sue partite a tennis con il l'ammiraglio Massera, genocida e piduista). Nel giorno delle esequie di Laghi, due scarpe femminili sono state trovate attaccate alla scalinata del Duomo e nella vetrina della vicina libreria Moby Dick un cartello rendeva omaggio ai 30.000 desaparecidos, ricordando in particolare Estanislao Kowal, figlio di Elda Casadio, una donna nata a Faenza ed emigrata in Argentina. Alla scomparsa del figlio, Elda aveva avvicinato il nunzio, sperando che la aiutasse ad avere notizie, ma questi per tutta risposta le aveva chiesto: "Suo figlio non sarà mica comunista?" 16/1/2009 |
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L'America Latina contro il massacro di Gaza In America Latina forte si è levata la protesta contro il massacro di Gaza. Contro l'offensiva israeliana si sono tenute manifestazioni e cortei in quasi tutti i paesi del continente: dal Messico al Salvador, dal Nicaragua all'Argentina, dalla Bolivia al Cile. Sul piano diplomatico, il 14 gennaio i governi di La Paz e di Caracas hanno deciso di rompere le relazioni con Israele. Il presidente boliviano Morales ha inoltre annunciato l'intenzione di portare Tel Aviv davanti alla Corte Penale Internazionale per "crimini di lesa umanità" e ha proposto di riformare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha mostrato "un atteggiamento tiepido di fronte alla politica di aggressione di Israele". Qualche ora dopo anche il governo Chávez ha rotto i rapporti con Israele (la settimana scorsa aveva espulso dal paese l'ambasciatore di Tel Aviv) e ha preannunciato la denuncia dei leader israeliani davanti al massimo tribunale internazionale. Dure critiche all'intervento israeliano sono venute anche da Argentina ed Ecuador. 16/1/2009 |
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Colombia, la Chiquita e i paramilitari La Procura colombiana ha chiesto al Dipartimento di Giustizia statunitense informazioni su venti dirigenti della Chiquita Brands, tra cui l'attuale presidente Fernando Aguirre, indagati per il pagamento di 1.700.000 dollari a gruppi armati di estrema destra. Nel marzo 2007 la multinazionale aveva ammesso di aver finanziato per sette anni i paramilitari delle Autodefensas Unidas de Colombia. Il procedimento colombiano è indipendente da quello celebrato negli Stati Uniti, dove la multinazionale aveva pagato una multa di 25 milioni di dollari per far sì che "nessun dirigente attuale o passato" venisse messo sotto accusa. E mentre emerge lentamente la verità sugli appoggi di cui per anni i paras hanno goduto, vengono a galla nuovi scandali tra le forze armate. Il mese scorso due ufficiali dell'esercito sono stati trovati colpevoli di aver montato tre falsi attentati a Bogotá, tra il luglio e l'agosto del 2006, per poi fingere di sventarli e ottenere la ricompensa statale. Altri cinque militari, un sergente e quattro soldati, sono stati arrestati sotto l'accusa di aver assassinato nel luglio del 2001 due civili, presentandoli poi come guerriglieri delle Farc morti in combattimento. 13/1/2009 |
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Messico, Teotihuacán come Las Vegas Il Consiglio Internazionale per i Monumenti e i Siti dell'Unesco si è espresso per la sospensione dei lavori di installazione di Resplandor Teotihuacano, perché lo spettacolo di luci e suoni sulle piramidi di Teotihuacán compromette "i valori di autenticità e la visione del sito". L'organismo dell'Unesco ha anche accusato l'Inah (Instituto Nacional de Antropología e Historia), l'ente che dovrebbe garantire la salvaguardia dei beni archeologici precolombiani, di aver analizzato in maniera superficiale l'impatto dell'iniziativa, già in avanzata fase di realizzazione. Critiche all'operato dell'Inah sono venute dagli stessi lavoratori dell'Istituto, che stanno intensificando le proteste. Il progetto, che rischia di trasformare le vestigia di questa grandissima civiltà in una sorta di Las Vegas, è promosso dal Ministero del Turismo e dal governo dell'Estado de México. Danni ai monumenti sono stati constatati da una delegazione della Commissione Cultura della Camera, che dopo un sopralluogo ha promesso un'indagine in merito. 13/1/2009 |
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La nuova politica di Obama verso l'America Latina Il primo incontro di Barack Obama con un capo di Stato estero è avvenuto il 12 gennaio a Washington. Il neopresidente Usa ha voluto iniziare i suoi contatti con l'esterno ricevendo un presidente latinoamericano: il messicano Felipe Calderón. "I nostri legami sono forti e credo che potremo rafforzarli ancora di più", ha detto Obama parlando dei rapporti bilaterali. Anche Calderón si è mostrato ottimista: "Sono sicuro - ha dichiarato - che questo incontro sarà l'inizio di una straordinaria epoca di collaborazione". E senza parlare del tema caldo, l'immigrazione clandestina, ha centrato il suo discorso sulla lotta comune alla criminalità organizzata, al terrorismo, al narcotraffico. Barack Obama ha approfittato dell'occasione per annunciare l'avvio di una nuova fase nelle relazioni con i paesi latinoamericani. "Nonostante negli ultimi anni si siano prodotte delle tensioni tra Stati Uniti e America Latina, siamo pronti a voltar pagina e ad aprire un buon capitolo di questa storia". Ma a chiarire la portata limitata di queste novità si è incaricata il giorno seguente Hillary Clinton. Parlando davanti alla Commissione Esteri del Senato, la nuova segretaria di Stato ha affermato che Washington si riavvicinerà ai paesi latinoamericani, "i nostri alleati più vicini" e che utilizzerà la "diplomazia diretta" per promuovere la cooperazione su una serie di temi di mutuo interesse. Rispondendo per iscritto a una domanda, Hillary ha spiegato le ragioni pratiche di questo maggiore coinvolgimento nel continente: "Molto spesso la politica statunitense verso le Americhe negli anni recenti è stata negligente con i nostri amici, inefficace con i nostri avversari e con scarso interesse nei confronti delle sfide importanti per la vita dei popoli della regione. Questo vuoto creato dalla mancanza di una partecipazione sostenuta degli Stati Uniti nella regione è stato riempito in parte da altri, compreso Hugo Chávez, che ha tentato di utilizzare tale opportunità per promuovere ideologie antiquate e antiamericane". Hillary Clinton ha infine ribadito l'intenzione della nuova amministrazione di revocare alcune sanzioni contro Cuba, precisando però che il prossimo presidente non crede sia questo "il momento" di sospendere l'embargo. Nel frattempo George W. Bush si prepara a lasciare la Casa Bianca decorando i suoi migliori alleati: l'ex primo ministro britannico Tony Blair, l'australiano John Howard e naturalmente il presidente colombiano Alvaro Uribe. Che, oltre ad essere insignito della Medaglia Presidenziale della Libertà, può vantare l'alto "onore" di essere stato l'ultimo capo di Stato ad essere ricevuto pubblicamente da George W. 13/1/2009 |
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Messico, continua il feminicidio Il Centro de Derechos Humanos para la Mujer e l'organizzazione Justicia para Nuestras Hijas hanno sollecitato al Congresso dello Stato di Chihuahua la dichiarazione di un "allarme nazionale contro la violenza di genere". Solo nel periodo tra il 25 novembre e il 7 gennaio sono state assassinate 21 donne: dieci a Ciudad Juárez, sei nella capitale dello Stato e altre cinque in diverse località. La coordinatrice del Centro de Derechos Humanos para la Mujer, Luz Estela Castro, ha precisato che l'allarme implica "un complesso di azioni governative d'emergenza per affrontare e sradicare la violenza contro le donne in un territorio determinato e per eliminare le disuguaglianze prodotte da leggi che offendono i diritti umani". Secondo Norma Ledezma, dirigente di Justicia para Nuestras Hijas, la recrudescenza di questi attacchi "è in alcuni casi l'atto culminante di una storia di terrore, di violenza familiare nota alle autorità, che hanno sottovalutato le richieste di aiuto delle vittime: per questo parliamo di complicità e negligenza". Il governo federale e quelli locali devono garantire la sicurezza delle donne, ha affermato il deputato Víctor Quintana Silveyra, del Prd. Per tutta risposta il capogruppo del Pri, Fernando Rodríguez Moreno, ha accusato le organizzazioni che denunciano il fenomeno del feminicidio di voler "danneggiare l'immagine" di Chihuahua. 8/1/2009 |
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Paraguay, attacco a postazione militare Il 2008 si è chiuso con un oscuro episodio: l'assalto a una postazione militare a Tacuatí, nel dipartimento di San Pedro, il più povero del paese. Gli attaccanti, una ventina, hanno sorpreso e ammanettato l'unico soldato presente, hanno rubato armi, munizioni e uniformi e hanno poi dato fuoco alla casermetta. Sul posto hanno lasciato un volantino con cui l'Ejército del Pueblo Paraguayo (Epp) rivendica l'azione. Volantini simili erano stati trovati dopo analoghi attacchi (bersagli: una fattoria, un commissariato) nello stesso dipartimento. Il presidente Lugo si è detto molto preoccupato per l'accaduto e ha definito il gruppo armato "un'eredità del passato". Pochi giorni dopo, esattamente il 5 gennaio, in una località a 70 chilometri dalla capitale la polizia ha sequestrato armi ed esplosivi destinati al mercato nero. Due sottufficiali sono stati arrestati, un terzo è riuscito a fuggire. La merce proveniva, probabilmente, dai depositi delle forze armate. Il ministro dell'Interno, Rafael Filizzola, ha comunque scartato ogni collegamento tra questi trafficanti d'armi e l'attività dell'Epp. 7/1/2009 |
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Messico, una sinistra divisa Si chiamerà Coalición por el bien de todos, primero los pobres l'alleanza di Convergencia e del Partido del Trabajo. L'Istituto Federale Elettorale aveva infatti imposto ai due partiti di non usare la denominazione Frente Amplio Progresista (Fap) perché quest'ultima è rivendicata anche dal Partido de la Revolución Democrática. L'esponente della nuova alleanza Porfirio Muñoz Ledo ha criticato la "chiarissima ipocrisia" dell'attuale dirigenza del Prd: "Non hanno collaborato per nulla a questa organizzazione e improvvisamente si sono trasformati nei più gelosi guardiani del Fap". Nel frattempo un durissimo attacco a López Obrador veniva sferrato dal subcomandante Marcos, intervenuto al Festival Mundial de la Digna Rabia con cui l'Ejército Zapatista de Liberación Nacional ha voluto celebrare il 15° anniversario della rivolta. "Ci si accusa di essere settari e intolleranti, ma - diciamo la verità - nessun movimento in Messico ha mostrato un tale grado di settarismo, intolleranza e isteria come quello che oggi, capeggiato da Andrés Manuel López Obrador, minaccia di salvare il Messico", ha detto Marcos. Il Festival Mundial de la Digna Rabia, che ha visto la partecipazione di persone giunte da una ventina di paesi, è terminato il 5 gennaio dopo undici giorni di attività culturali e politiche a Città del Messico (dove era stata installata una grande mostra sulle esperienze di lotta zapatista), San Cristóbal de las Casas e Oventic. Qui, il primo gennaio, i comandanti David e Javier hanno letto in spagnolo e tzotzil il messaggio del Comité Clandestino Revolucionario Indígena-Comandancia General del Ezln. "Il malgoverno per quindici anni ha fondato, finanziato e addestrato i gruppi paramilitari in tutti i villaggi con il compito di provocare, minacciare e dividere i nostri popoli - dice il documento - Per indebolire e distruggere le nostre basi sociali, ha distribuito elemosine attraverso i suoi programmi assistenziali alle famiglie legate ai partiti politici, con il proposito di accontentare, zittire e calmare la fame della gente povera". Ma anche se alcuni fratelli indigeni sono caduti in questa trappola, "noi zapatisti non ci siamo sollevati in armi per chiedere briciole o per essere trattati da mendicanti. Lottiamo per una vera democrazia, per libertà e giustizia per tutti, per il bene dell'umanità e contro il neoliberismo, per un altro mondo più giusto e umano". Dopo aver invitato compagni e compagne di tutto il pianeta a organizzarsi "contro il nemico comune", il messaggio sottolinea la necessità di "cercare la forma e i meccanismi per unire e globalizzare" la ribellione e conclude affermando: "Proseguiremo la nostra lotta perché non tradiremo il sangue dei nostri caduti". 7/1/2009 |
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Cuba, la Rivoluzione compie cinquant'anni La Rivoluzione ha compiuto 50 anni, mezzo secolo di resistenza di fronte all'ostilità di dieci diversi presidenti statunitensi, all'invasione della Baia dei Porci, alla crisi dei missili, a un isolamento internazionale quasi totale, al crollo del socialismo reale, alla penuria del "periodo speciale". E ottenendo statistiche sociali da Primo Mondo nel campo dell'alfabetizzazione, della mortalità infantile, della speranza di vita. Certo, i problemi non sono tutti risolti e lo ammette lo stesso governo di Raúl Castro: inefficienza produttiva, salari insufficienti, riemergere della stratificazione sociale, burocrazia e sacche di corruzione. Ma in tutti questi anni Cuba è riuscita a garantire ai suoi abitanti alimentazione adeguata, possibilità di istruzione, cure sanitarie, quei diritti che rimangono ancora un miraggio per molti paesi del Sud del mondo. La celebrazione dell'anniversario si è tenuta, in forma molto semplice, a Santiago de Cuba. Non era presente Fidel Castro, che ha inviato - attraverso il Granma - un messaggio di felicitazioni al "nostro popolo eroico". Al suo posto ha parlato il fratello Raúl, che non si è limitato a celebrare la Rivoluzione, grazie alla quale si è concretizzato "quello che avevamo sognato". Il presidente cubano ha anche annunciato che i prossimi cinquant'anni "saranno di permanente lotta". Non si tornerà indietro, ha avvertito, forse con l'obiettivo di smentire le voci di possibili svolte ideologiche: "Oggi la rivoluzione è più forte che mai". E senza mai citare gli Stati Uniti, e tanto meno Barack Obama, ha esortato a non lasciarsi ingannare "dai canti di sirena del nemico, che non smetterà mai di essere aggressivo per propria essenza. Impariamo dalla storia". 2/1/2009 |
Latinoamerica-online.it a cura di Nicoletta Manuzzato |