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Messico, cambio della guardia nel segno della continuità Dal primo ottobre il Messico è governato da una presidenta, la prima della sua storia. L'investitura è avvenuta davanti al Congresso, riunito in seduta plenaria nel palazzo legislativo di San Lázaro, con il passaggio della fascia tricolore dal capo dello Stato uscente, Andrés Manuel López Obrador, a Claudia Sheinbaum Pardo. Nel suo discorso la neopresidente ha ribadito l'intenzione di continuare sul sentiero della Cuarta Transformación. Ha poi citato tre elementi su cui intende porre l'accento: la rivendicazione dei diritti delle donne, l'attenzione ai problemi ambientali e al cambiamento climatico, l'impulso alla scienza e alla ricerca. Nello stesso giorno Sheinbaum ha ricevuto il bastón de mando, come riconoscimento della sua legittimità alla guida del paese, da parte di cinque donne, autorità delle comunità indigene, in rappresentanza delle settanta popolazioni native e di quella afromessicana. Nel corso di questa cerimonia sono state rivolte invocazioni alle quattro direzioni cardinali e al centro dell'universo. Tanti i capi di Stato e di governo presenti a questa storica giornata: l'honduregna Xiomara Castro, il guatemalteco Bernardo Arevalo, il colombiano Gustavo Petro, il cubano Díaz-Canel, il brasiliano Lula, il cileno Gabriel Boric. Mancava invece un rappresentante di Madrid: il capo del governo spagnolo, Pedro Sánchez, pur invitato ha rifiutato di recarsi a Città del Messico perché l'invito non era stato esteso a re Felipe VI. In realtà il monarca era stato volutamente tralasciato in segno di protesta per la mancata risposta a un messaggio di Amlo del 2019, che lo invitava a un atto di riparazione nei confronti dei popoli originari, invasi, saccheggiati e massacrati dai Conquistadores. Il giorno successivo all'insediamento Claudia Sheinbaum, nella sua prima mañanera (l'incontro quotidiano con i giornalisti, tradizione ereditata da Amlo), ha offerto una disculpa pública per il massacro di Tlatelolco, la sanguinosa repressione della protesta studentesca del 2 ottobre 1968, ordinata dall'allora presidente Díaz Ordaz. Dos de octubre no se olvida ha affermato Sheinbaum, aggiungendo di essere "figlia del '68" perchè sua madre, allora docente presso l'Instituto Politécnico Nacional, ne era stata espulsa per aver solidarizzato con il movimento. Un mese prima del cambio della guardia, López Obrador aveva tenuto il suo ultimo informe, affermando di andarsene "con la coscienza tranquilla" e rivendicando i risultati ottenuti nel corso del suo mandato, in particolare i nove milioni e mezzo di messicani usciti dalla povertà: del resto la parola d'ordine della sua gestione era stata Por el bien de todos, primero los pobres. I sei anni di Amlo hanno registrato anche un aumento significativo dei salari (del 110%) senza che questo abbia significato un incremento dell'inflazione, cresciuta solo dal 4,83% del dicembre 2018 al 4,99 del luglio 2024. Vanno poi considerati i tanti programmi sociali a favore degli anziani, degli handicappati, dell'infanzia e l'appoggio ai giovani perché possano continuare a studiare; l'avvio di gigantesche opere di infrastruttura come il Tren Maya e il recupero di risorse strategiche come il petrolio e il litio (in quest'ultimo caso con la creazione nel 2022 di LitioMx, organismo pubblico destinato all'esplorazione e allo sfruttamento di tale metallo). Se su un problema i sei anni di López Obrador non sono riusciti a incidere più di tanto è quello della violenza, dei tanti morti e desaparecidos a causa della lotta in atto tra i cartelli della droga, forniti di armi di tutti i tipi provenienti dagli Usa. La politica di Amlo al riguardo, sintetizzata nella frase Abrazos, no balazos, ha puntato non alla "guerra contro il narcotraffico", ma a una serie di politiche sociali per colpire il crimine alla radice. Una strategia che ha permesso di registrare una certa diminuzione degli atti delittuosi, anche se in alcuni Stati la delinquenza organizzata resta forte. E permangono ampie zone di impunità: non è stata fatta piena luce sulla sorte dei 43 giovani della Escuela Normal Rural de Ayotzinapa, scomparsi dieci anni fa. I genitori hanno accusato Amlo di aver coperto il ruolo delle forze armate nei fatti di Iguala. Certo la cosiddetta verdad histórica, fabbricata durante la presidenza di Peña Nieto per negare ogni responsabilità dei militari incolpando solo la polizia locale e membri del cartello Guerreros Unidos, è definitivamente crollata. Ma secondo alcuni commentatori la promessa di López Obrador ai familiari di andare fino in fondo si è scontrata con minacce concrete di un colpo di Stato. Le indagini comunque non sono terminate e potrebbero riservare ancora qualche sorpresa. Nella sua battaglia contro la vasta trama di corruzione e impunità López Obrador si è spesso trovato di fronte il potere giudiziario. La riforma di questo potere, promulgata il 15 settembre dopo la sua approvazione da parte del legislativo e l'avallo della maggioranza dei Congressi locali, può ben dirsi storica. Schierati all'opposizione non solo magistrati e funzionari dei tribunali, che hanno dato vita a numerose manifestazioni di protesta, ma anche il governo Usa. Dopo l'intervento - poco diplomatico - dell'ambasciatore Salazar, un gruppo di parlamentari statunitensi si è detto preoccupato per un possibile conflitto delle nuove norme costituzionali messicane con gli interessi nordamericani, che si sentivano salvaguardati dal vecchio sistema. Per non parlare del britannico Financial Times, che riprendendo tutte le critiche della destra alla riforma è arrivato a scrivere un chiaro invito al golpe: "Non è troppo tardi per salvare la giovane e fragile democrazia messicana e Washington pagherebbe a lungo termine un alto prezzo per la sua inazione". LA SCOMPARSA DI IFIGENIA MARTINEZ. Il primo ottobre, come presidente della Camera, aveva presieduto la seduta plenaria del Congresso per l'insediamento di Claudia Sheinbaum. È stata la sua ultima apparizione in pubblico: Ifigenia Martínez y Hernández, storica leader della sinistra messicana, si è spenta il 5 ottobre a 99 anni. Laureata in Economia, era stata docente e poi direttrice della Escuela Nacional de Economía dell'Unam e in questa veste nel 1968 si era opposta con forza all'occupazione della Ciudad Universitaria da parte dell'esercito. Da sempre impegnata in politica, Doña Ifi (così veniva confidenzialmente chiamata) aveva militato nella Corriente Democrática del Pri insieme a Cuauhtémoc Cárdenas e Porfirio Muñoz Ledo; aveva poi preso parte alla fondazione del Partido de la Revolución Democrática per passare infine nelle file di Morena. Come ambasciatrice aveva rappresentato il suo paese presso le Nazioni Unite ed era stata più volte eletta alla Camera e al Senato. (6/10/2024) Articolo precedente: Il Messico "congela" i canali diplomatici con Usa e Canada
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cura di Nicoletta Manuzzato |