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Referendum in Ecuador: sì alla mano dura, no alla politica neoliberista All'annuncio dei risultati del referendum del 21 aprile il presidente Noboa ha scritto sul suo account X: "Grazie Ecuador per l'ampio appoggio a una politica di sicurezza e lotta contro la corruzione". Un tono trionfalistico che volutamente ignora i punti su cui la proposta del governo ha subito una solenne bocciatura. È vero infatti che gli elettori hanno approvato la politica di mano dura di fronte all'aumento della criminalità, come il ruolo delle forze armate in appoggio alla polizia nelle operazioni contro la delinquenza organizzata; la concessione dell'estradizione di cittadini ecuadoriani su richiesta della giustizia di altri paesi; l'aumento delle pene e l'eliminazione dei benefici penitenziari per determinati reati. È la logica conseguenza della situazione di insicurezza che si vive nel paese, attualmente uno dei più violenti della regione. Tra i bersagli soprattutto i sindaci: dopo l'uccisione, in marzo, della giovanissima Brigitte García, nella settimana precedente il voto sono stati assassinati José Sánchez, primo cittadino di Camilo Ponce Enríquez (provincia di Azuay), e Jorge Maldonado, di Portovelo (El Oro). E lo stesso giorno della consultazione è morto per mano dei killer Damián Parrales, direttore del carcere El Rodeo di Portoviejo. Se l'elettorato appoggia l'azione del governo nel "conflitto armato interno" dichiarato contro le bande criminali, non altrettanto si può dire per il modello economico neoliberista propugnato da Noboa. Un modello contro il quale Revolución Ciudadana ha condotto una strenua opposizione, cercando di contrastare lo smantellamento dello Stato sociale costruito durante la presidenza Correa. Alla domanda se si approva il riconoscimento "dell'arbitrato internazionale come metodo per risolvere controversie in materia di investimenti, contrattuali o commerciali", il 65% dei votanti ha risposto No, scegliendo di porre un argine agli interessi delle transnazionali nei confronti dello Stato. E alla proposta di "emendare la Costituzione della Repubblica e riformare il Codice del Lavoro per il contratto di lavoro a posto fisso e per ore, quando venga celebrato per la prima volta tra lo stesso datore di lavoro e lavoratore, senza ledere i diritti acquisiri dai lavoratori", il No si è attestato sul 69%, dimostrando il desiderio degli ecuadoriani di frenare la precarizzazione. Sicuramente il capo dello Stato sperava in un risultato più favorevole in vista delle elezioni del prossimo anno. In questo momento il suo governo deve fronteggiare tre problemi non indifferenti. Primo tra tutti l'isolamento internazionale come conseguenza dell'irruzione della polizia nell'ambasciata messicana: un'azione che - secondo molti analisti - ha goduto del tacito consenso di Washington, con cui Quito ha stretto in febbraio due accordi di cooperazione militare (senza contare che gli Usa hanno ottenuto, fin dal 2019, la concessione delle Isole Galápagos come "portaerei naturale"). Vi è poi la grave situazione economica, accentuata dalla decisione del governo di innalzare l'Iva dal 12 al 15% e dall'aumento del prezzo dei combustibili. Infine gli apagones, le interruzioni di energia elettrica in varie zone, tra cui la capitale e Guayaquil, dovute a una profonda crisi energetica provocata dalla siccità. In pratica Noboa può porre le sue speranze di rielezione solo su una drastica diminuzione della criminalità e della violenza. (24/4/2024) Articolo precedente sull'Ecuador: Assassinata la più giovane sindaca dell'Ecuador
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Latinoamerica-online.it a cura di Nicoletta Manuzzato |