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Brasile, 2022: un anno di movimento Teresa Isenburg Mi permetto di fare mente locale su alcuni aspetti dell’attuale momento in Brasile per quanto riguarda sia la situazione interna che quella globale. Infatti l’evidente tensione nelle relazioni internazionali (questione del confine orientale europeo, Ucraina, allargamento della Nato e il subito esplodere di fatti eversivi, come in Kazakistan, che rimettono in movimento la definizione dei rapporti regionali hanno ripercussioni anche in America Latina. Se da un lato al riguardo gli Usa tornano a parlare di "cortile di casa", altri grandi protagonisti della scena mondiale come Russia e Cina seguono con attiva attenzione ciò che accade in questa porzione del pianeta. Dopo l’onda nera ed eversiva che in anni recenti ha ferito le istituzioni legittime in alcuni paesi, fra cui Bolivia e Brasile, il ciclo elettorale in corso sembra riportare nelle sedi istituzionali forze rispettose delle Costituzioni. Prima la Bolivia, poi il Perù e infine il Cile hanno imboccato questa strada; in Venezuela il ricorso alle urne si sussegue con frequenza e riceve il riconoscimento di osservatori internazionali; a maggio ci saranno le consultazioni in Colombia, con la possibilità di un risultato che allontani dal potere i violenti esponenti di una destra che semina il terrore. In questo quadro ciò che accade in Brasile ha un peso continentale che va oltre i limiti della Federazione. Il 2 ottobre si terranno le elezioni politiche per la scelta diretta del presidente della Repubblica e dei governatori dei 26 Stati e del Distretto Federale; in caso di ballottaggio, la data prevista è il 30 ottobre. Sempre il 2 ottobre verranno anche eletti i deputati e un terzo dei senatori federali, nonché i componenti delle assemblee legislative dei singoli Stati. Fra il 3 marzo e il 1° aprile è possibile, per chi intenda presentarsi, cambiare partito; il 2 aprile i candidati che coprono posizioni nell’esecutivo dovranno rinunciare all’incarico (ma questo vale anche per il presidente della Repubblica?); il 2 aprile è anche l’ultimo giorno utile per definire eventuali collegamenti elettorali fra forze politiche; l’11 luglio il Superiore Tribunale Elettorale/STE comunicherà il numero esatto dei votanti e si bloccheranno le iscrizioni alle liste elettorali. Diversi saranno i cittadini e le cittadine che cercheranno di concorrere alla presidenza della Repubblica, ma sembra ormai evidente che vi sarà una contrapposizione polarizzata fra l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva e l’attuale inquilino del Palacio da Alvorada, Jair Bolsonaro. Il tentativo di costruire una terza opzione di centro credibile è di fatto naufragata. I sondaggi indicano un crescente consenso attorno a Lula e un costante allontanamento da Bolsonaro. Questo alimenta un clima di forte tensione e impone di essere vigili per i pericoli di un possibile interventismo lontano dalle regole democratiche. Il punto forse più importante delle prese di posizione di Lula è l'esplicita e ripetuta dichiarazione di voler rivedere non solo il tetto di spesa, che da anni blocca gli investimenti sociali (in particolare per sanità e scuola), ma anche, e direi soprattutto, di cancellare l’insieme di norme che hanno disarticolato le relazioni industriali, con la flessibilizzazione parossistica dei rapporti di lavoro e lo smantellamento dello stato sociale. In questo senso è stato simbolico e politico l’incontro con la ministra del Lavoro spagnola, che ha già varato nuove norme nel suo paese volte proprio a eliminare le riforme neoliberiste estreme in materia di lavoro e previdenza. Le principali centrali sindacali brasiliane, in un documento congiunto dei primi giorni di gennaio, hanno difeso l’apertura di un dibattito per revocare la riforma del lavoro approvata nel 2017 dal governo Temer ed esasperata negli anni successivi. Le organizzazioni dei lavoratori elogiano l’iniziativa concordata fra governo, imprenditori e sindacati in Spagna per revocare le disposizioni antisociali là introdotte nel 2012. "I cambiamenti in corso in Spagna ci danno la speranza che anche qui si possano rivedere punti di una riforma che è stata imposta senza un dibattito sociale e comune, deliberando decisioni favorevoli al capitale e antisindacali. A distanza di quattro anni è chiaro che gli obiettivi della riforma del lavoro di Michel Temer, ampliata e approfondita da Bolsonaro, si è rivelata un disastro per la classe lavoratrice e per il paese". Da parte di Bolsonaro e dei suoi alleati non giungono proposte programmatiche. Emergono invece preoccupanti notizie tenute fino ad ora riservate, come gli incontri a Brasilia di Bolsonaro con l’autoproclamata presidente della Bolivia nel 2019, la golpista Jeanine Añez. Un presidente che accompagna e sostiene i colpi di Stato in altri paesi non è certo rassicurante. E continua l’attivismo negazionista del presidente in queste settimane contro la vaccinazione per i bambini, accompagnato in questo dal suo fedele ministro della Salute, il medico Marcelo Queiroga che avanza dubbi e distribuisce incertezze. Tuttavia queste posizioni, che suscitano forte rigetto fra la popolazione, determinano anche fratture all’interno dell’esecutivo. Così l’Anvisa/Agenzia di vigilanza sanitaria, diretta dal contrammiraglio Antonio Barra Torres, ha autorizzato la vaccinazione dei bambini non solo con Pfizer, ma anche con Coronavac, prodotto dall’Istituto Sieroterapico Butantan di San Paolo, prendendo quindi le distanze dal governo e forse anche da parte delle migliaia di militari che occupano posizioni importanti nell’esecutivo deformandone il profilo. Peraltro al momento diverse forze importanti esprimono il loro allontanamento da Bolsonaro e dai suoi alleati, forze che pure lo avevano appoggiato con entusiasmo nel 2018. Ad esempio parte delle dirigenze neopentecostali hanno ipotizzato il loro sostegno a Lula: nel 2018 sono stati i voti neopentecostali che hanno consegnato il paese all'estrema destra, aprendo le porte alla devastazione sociale e morale, di cui poi i fedeli ignari delle megachiese hanno anche loro pagato caro prezzo. Sullo scacchiere economico internazionale si colgono prese di posizioni sorprendenti. Ad esempio Dominik Rohe, capo del potentissimo fondo di investimenti Black Rock per l’America Latina, ha dichiarato che non ci saranno più investimenti in Brasile fina alla fine del governo Bolsonaro. Riprenderanno solo dopo il cambio di governo nel paese. Come motivo della decisione Rohe ha citato il negazionismo e le promesse non mantenute del ministro dell’Economia Paulo Guedes, oltre agli interessi altissimi e all’inflazione a due cifre. E questo in un paese in cui il settore minerario, in cui Black Rock è molto impegnato, offre condizioni particolarmente favorevoli, ad esempio dal punto di vista del rispetto dell’ambiente e delle norme di sicurezza. Tanto per non dimenticare, il 25 gennaio 2019, nella periferia di Belo Horizonte, si rompeva la diga del bacino di deposito di residui di estrazione mineraria della Vale a Brumadinho, uccidendo 272 persone e lasciando 22 dispersi. La devastazione ambientale è enorme e vastissima, la manipolazione dei responsabili per sottrarsi ai propri obblighi infinita, agevolata da un'azione debole da parte dei poteri giudiziario e politico. Eppure dare una risposta ferma al crimine di Brumadinho sarebbe molto importante anche per tutte le numerose altre situazioni vandaliche in cui avanza l'estrazione mineraria in molte regioni del pianeta. Dunque i prossimi mesi in Brasile sono importanti per riportare il paese a un reale stato di diritto e di rispetto pieno della Costituzione del 1988, nonché alla sua adeguata applicazione. Penso che questo cammino sia interesse non solo dei cittadini e delle cittadine brasiliane, ma più in generale di quello che per abitudine chiamiamo Occidente. Speriamo che l’Unione Europea sia vigile e rispettosa: nel processo eversivo iniziato in Brasile ad agosto 2016 e perfezionato nell’ottobre 2018 con l’ascesa al potere della destra estrema, l’UE è stata rigorosamente silente. Nel frattempo si è rafforzata quella nebbiosa compagine che va sotto il nome di Alleanza dei Conservatori che, sotto una rispettabile denominazione, difende posizioni di discriminazione e razzismo; ad essa partecipano forze istituzionali dell’Unione stessa e politici con ruoli istituzionali e esecutivi.
Il Gruppo dei Conservatori e
Riformisti europei (ECR) ha presentato nel 2021 come candidata al
premio Sakarov per la libertà di pensiero del Parlamento Europeo
proprio Jeanine Añez. Con la seguente motivazione: "Già nominata
presidente ad interim nel novembre 2019, a seguito dei presunti
brogli elettorali dell'uscente Evo Morales. Nel novembre 2020, in
virtù di elezioni libere ed eque, è avvenuta una pacifica
transizione di potere. Tuttavia, il 13 marzo 2021, è stata
arrestata con l'accusa di ‘terrorismo, sedizione e cospirazione’.
Da allora vive in regime di detenzione con l’accusa di aver tramato
un colpo di Stato contro Morales". Va precisato che Añez non è
stata nominata, ma si è autoproclamata presidente ad interim della
Bolivia, brandendo come fonte di legittimazione la Bibbia e
calpestando la Constituzione del 1995 che definisce la Bolivia come
una repubblica unitaria, multietnica e pluriculturale.
Con l’eversione di novembre 2019 Morales e altri dirigenti
hanno dovuto esiliarsi dal paese perché gravemente minacciati e la
transizione di potere nel 2020 è avvenuta dopo un anno di lotte di
massa e molti massacri da parte delle forze dell’ordine sotto la
cosiddetta presidenza Añez. Non è bello che il Parlamento
Europeo accetti fra i candidati al premio Sakarov una golpista e mi
domando quali siano i requisiti per proporre una persona a tale
riconoscimento. Come evidente per le forze che si autodefiniscono
conservatrici e in particolare ECR, di cui è presidente Giorgia
Meloni, l’America Latina è importante e il Brasile lo è molto. Che
il Parlamento europeo cerchi almeno di non appoggiare coloro che
delle istituzioni democratiche fanno strame.
25/1/2022
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cura di Nicoletta Manuzzato |