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Brasile, 8 gennaio-17 ottobre 2023: la sconfitta di un colpo di Stato

Teresa Isenburg

In questi mesi in cui nel mondo sempre più le fiamme avanzano da aree “periferiche” verso attori centrali, il Brasile ha vissuto e ancora vive una situazione di colpo di Stato, espressione forte ed esplicita di abbandono anche formale dei vincoli istituzionali da parte di una élite disposta a tutto (e oltre) per difendere i propri privilegi secolari e sempre più incompatibili con un contesto di sostituzione di gruppi e regioni egemoni. La crudezza dello scontro che, a seconda delle specifiche realtà, ricorre a confronti armati, manipolazioni istituzionali surrettizie o impudiche, uso strategico e consapevole della menzogna/omissione sistematica, agevolata da un impiego destabilizzante di tecnologie potenti e accentrate, ha trovato e trova un campo di applicazione assai vasto in Brasile.

L’esecutivo uscito dalle elezioni del 30 ottobre 2022 e in carica dal primo gennaio 2023 ha agito e agisce in modo fermo per dare una risposta e porre un argine alla vasta eversione culminata nelle aggressioni dell’8 gennaio 2023 a Brasilia. Vorrei riassumere in modo schematico l’azione di contrasto portata avanti in questi mesi. Due sono state le principali aree operative: la prima di tipo giudiziario, la seconda più politica attraverso una commissione parlamentare di inchiesta. I reati imputati a coloro che hanno in vario modo partecipato agli atti dell’8 gennaio e che ricadono in una indagine denominata Lesa Patria sono di diretta competenza del Supremo Tribunale Federale, in quanto feriscono lo Stato democratico di diritto pilastro della Costituzione del 1988. Con un impegno intenso e competente della polizia federale e del Ministero della Giustizia sotto nuovi responsabili, i processi avanzano rapidamente.

Dopo una prima fase di arresti che hanno interessato 1800 persone, per molti sono state seguite procedure semplificate con accordi di collaborazione e pene sostitutive del carcere come il braccialetto elettronico. Per gli indiziati di reati maggiori le sentenze ampiamente suffragate da prove sono pesanti, da 7 a 14 anni di carcere fino a ulteriori anni per i finanziatori più generosi o i cosiddetti responsabili intellettuali. La severità giudiziaria disorienta molto gli imputati, che sembrano non avere contezza del significato del loro agire, confermando la lontananza (reale od opportunistica) abissale da un minimo senso di responsabilità istituzionale. I processi continuano in modo metodico e ogni giorno si hanno nuovi arresti e sentenze. La celerità della risposta giudiziaria certamente mette in discussione la ben radicata cultura dell’impunità che permea il gruppo di potere oligarchico e i suoi protetti.

Il secondo campo di azione è stata la commissione parlamentare mista di inchiesta degli atti dell’8 gennaio 2023, insediata il 25 maggio e giunta alla relazione finale (di 1331 pagine) il 17 ottobre. Voluta fortemente dall'opposizione di destra del Parlamento, i lavori sono stati condotti con competenza dai componenti di maggioranza di area governativa del gruppo, riuscendo a raccogliere un materiale documentario molto ampio e interamente consultabile sul sito del Senato. L’obiettivo di coloro che avevano voluto la commissione era dimostrare che, da parte dell’esecutivo da poco insediato, vi era stata una volontaria disattenzione nel prevenire i disordini gravi di gennaio al fine di poter poi attaccare gli avversari. Tale assai ingenua impostazione si è rapidamente rivelata fallace alla luce della molta documentazione raccolta, completata da dichiarazioni dei convocati. È emersa la vastità della partecipazione al golpe sia a livello di base che di posizioni molto elevate.

La relazione finale è interessante per diversi motivi: da un lato essa analizza il modo di operare e le parole d’ordine di una rete ben strutturata di destra e di estrema destra, che presenta caratteristiche che si ripetono in diverse realtà internazionali anche in Europa, fornendo strumenti per capire i processi in atto. Dall’altro elabora un elenco di indiziati in base alle prove raccolte: si comincia con l’ex presidente Bolsonaro e si continua con diversi generali o alti ufficiali, che hanno ricoperto incarichi importanti, per giungere ad agenti pubblici e parlamentari. Adesso il materiale della commissione passa alla Procura Generale della Repubblica, cui spetta la responsabilità di una eventuale azione giudiziaria, e ad altri organi dello Stato. Ma è significativo che esponenti delle forze armate vengano identificati come rei di attentato allo Stato democratico di diritto. Importanti anche le raccomandazioni che riguardano la necessità della costruzione di una memoria democratica ed educativa, il miglioramento del controllo dei sistemi di intelligence da parte del potere legislativo, il rafforzamento della verifica di condotte di agenti pubblici militari ai quali siano delegate funzioni da organi civili. Temi tutti che intendono porre un argine alla comoda opzione dell’oblio di pratiche antidemocratiche o alla protezione dell’insieme di reti e interessi che ruotano attorno al sistema militare.

La domanda che viene da porsi è se, con questo non piccolo insieme di provvedimenti, si sia affrontato il nucleo principale dell’eversione istituzionale che ha così profondamente modificato in pochi anni la federazione. Certamente l’azione di contrasto si è fatta sentire, ma rimane l’impressione che ci sia un nucleo di interessi molto forti che continuano a operare. L’esempio più evidente forse riguarda la questione del limite temporale del riconoscimento delle terre indigene. Il Supremo Tribunale Federale il 21 settembre, per 9 voti contro 2, ha dichiarato non costituzionale stabilire il 1988, anno di entrata in vigore della Costituzione, come data di validazione dell’occupazione delle terre indigene. Ma pochissimi giorni dopo il Senato ha votato con larga maggioranza una legge che invece accoglie tale calendario, dimostrando un totale disprezzo istituzionale nei confronti della Corte. Questo apre un contenzioso complesso fra poteri non facile da risolvere, nonostante il rigetto di diversi passaggi della legge da parte del presidente della Repubblica.

Il paese è inoltre investito da attacchi violenti da parte delle polizie militari degli Stati, mentre la città di Rio subisce azioni punitive (distruzioni di autobus, danneggiamento di servizi pubblici, ecc.) da parte di organizzazioni criminali legate al traffico di droga ed è difficile non pensare che tali atti destabilizzanti non siano in qualche modo coordinati per indebolire presidente e governo. A conferma dell’ampiezza della alterazione nella conduzione della gestione dello Stato, nuove situazioni di cospirazione e di illeciti vengono portate alla luce dalla polizia federale, ad esempio nell’Abin/Agencia Brasileira de Inteligencia e in rami dell’area militare, che hanno organizzato un sistema non autorizzato di spionaggio di cittadini e cittadine, tra l’altro archiviando i dati su una piattaforma in paese straniero. In parallelo, a livello parlamentare la maggioranza di opposizione (o di equivoco appoggio) al governo rende molto difficile la vita dell’esecutivo e cerca di barattare l’appoggio a determinati provvedimenti con l’attribuzione a propri alleati di posizioni importanti in imprese pubbliche o in diversi gradi dell’esecutivo. Da parte sua il governo porta avanti misure economiche incisive nel campo fiscale e delle regole di bilancio e nella ridistribuzione sociale del reddito.

Sul versante ambientale, che ha molto peso per l’immagine del Brasile e per i rapporti commerciali, ad alcuni mesi nel corso dei quali la deforestazione amazzonica era diminuita in modo significativo, fa seguito un periodo di inondazioni nel Sud del paese e di siccità severa nel bacino amazzonico che vede le portate dei grandi fiumi molto ridotte, con conseguenze negative sulla mobilità e sul rifornimento idropotabile. Al disordine climatico si somma in questo anno El Niño, il fenomeno naturale periodico determinato dal riscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico equatoriale, che interferisce con la distribuzione delle precipitazioni nell’America del Sud.

San Paolo, 30/10/23

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato