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La politica estera di Lula Teresa Isenburg Periodo intenso per il Brasile. Domina la politica estera con l’importante viaggio, fra il 12 e il 15 aprile, del presidente Luiz Inácio Lula da Silva nella Repubblica Popolare Cinese. Lo spostamento di alcuni giorni dell’incontro a causa della polmonite di Lula ha imposto di concentrare in tempo ridotto un programma molto intenso, che era previsto per una permanenza maggiore. Una visita di Stato in primo luogo politica, volta a richiamare l’attenzione mondiale sull’urgenza e l’azione per un nuovo ordine incentrato sul multilateralismo, guidato anche da attori fino ad ora tenuti ai margini. Un cammino necessario per spegnere l’incendio che divampa da decenni incenerendo via via intere regioni secondo una geografia politica della devastazione pensata strategicamente. Questo è stato espresso certamente nei discorsi e nel comunicati congiunti, ma anche, e molto, in una raffinata comunicazione simbolica che, come si sa, costituisce elemento portante della millenaria cultura cinese non facile da decodificare. Mi limito a un paio di esempi, la scelta delle musiche brasiliane suonate nella imponente parata a Pechino il 14 aprile: due canzoni di compositori di qualità, ma non di “mercato” come Ivan Lins e Tom Jobim, una ninna nanna che ogni bambino brasiliano ha ascoltato. Peraltro la presenza di bambini in tutti gli incontri è stata evidente. Certamente attentamente ponderato è stato l’arrivo il 12 aprile di Lula a Shanghai, dove lo attendeva la neopresidente del Nuovo Banco di Sviluppo/NDB del Brics, Dilma Rousseff. L’immagine apparsa ovunque di Lula e Dilma uno di fronte all’altra, entrambi in posizioni di grande potere e riconoscimento dopo le aggressioni golpiste che avevano colpito entrambi dall’agosto 2016 forse hanno fatto riflettere coloro che avevano promosso la destabilizzazione del Brasile sulla loro sconfitta. E sono stati molti in Brasile e altrove a contribuire al golpe e moltissimi (questi soprattutto nella formale e ben educata Europa) a fare finta di non vedere l’eversione della democrazia praticata. Il discorso di Lula pronunciato a Shanghai il 13 aprile, alla cerimonia di insediamento di Dilma, è interessante anche perché quasi libero da vincoli diplomatici. Le critiche al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale non sorprendono: “Non compete alla banca di asfissiare le economie dei paesi, come ora sta facendo il FMI con l’Argentina”. Meno ovvia è la domanda apparentemente ingenua: “Chi ha deciso che era il dollaro la moneta dopo che era scomparso l’oro come riferimento? Perché oggi un paese deve correre dietro al dollaro per poter esportare, mentre potrebbe esportare nella sua moneta e certamente le banche centrali potrebbero occuparsi di ciò?” Già da alcune settimane il fantasma degli scambi in monete nazionali annunciato da Cina e Brasile agitava mass media e agenzie finanziarie; queste frasi esposte senza perifrasi e in parallelo alla riattivazione di un soggetto bancario non piccolo come il NDB (a cui recentemente hanno aderito Emirati Arabi Uniti, Egitto, Bangladesh) destano ansia nelle agenzie di rating e nelle cosiddette banche strategiche. Sempre a Shanghai Lula ha avuto una serie di incontri con grandi imprese come Huawei, BYD (auto elettriche), aziende di telecomunicazioni e infrastrutture, oltre che con il segretario del Partito Comunista di Shanghai. A Pechino si è svolta venerdì 14 aprile la parte più politica: incontro con il primo ministro Li Qiang e con il presidente dell’Assemblea Popolare della Cina Zhao Leji e soprattutto un colloquio riservato con Xi. Vale la pena di guardare su YouTube qualche immagine della cerimonia nella Piazza della Pace Celeste. Molti accordi sono stati sottoscritti, alcuni applicabili a breve come disposizioni varie tecniche, sanitarie e di controllo relative all’importazione in Cina di carne o il proseguimento e aggiornamento del sistema satellitare Cbers, che dai primi anni ’80 consente il rilevamento dell’Amazzonia. Altri prevedono la costruzione congiunta di progetti da portare avanti nel tempo in molte direzioni, dall’area scientifica e culturale all’impegno per il contenimento del cambiamento climatico, alla lotta per la sicurezza alimentare, al rafforzamento delle infrastrutture in Brasile. Significativo è il riferimento alla ripresa industriale come momento qualificante della politica economica. Soprattutto nella Dichiarazione Congiunta sull’approfondimento della collaborazione strategica globale spiccano due punti politici: al § 5 si dichiara: “La parte brasiliana ha riaffermato che aderisce con fermezza al principio di una sola Cina” e al § 9: “Le parti affermano che dialogo e trattativa sono l’unica uscita praticabile per la crisi in Ucraina”. Infine al § 27 le parti confermano soddisfazione per il memorandum di accordo fra Ministero da Fazenda brasiliano e il Ministero delle Finanze cinese. Sulla strada del ritorno Lula si è fermato sabato 15 aprile ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, per un incontro con lo sceicco Mohammer bin Zayed al-Nahyan, dove è stato accolto in una cornice sfarzosa; ovvi gli interessi finanziari anche perché EAU aderisce, come già detto, a NDB, ma è anche stata decisa la costruzione con fondi degli emirati di una fabbrica di diesel verde in Brasile, azioni congiunte per arginare la deriva del clima e accordi fra accademie diplomatiche dei due paesi. Infine, dopo il rientro di Lula, il 17 aprile il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov si è fermato in Brasile nel corso di un viaggio in diversi paesi dell’America Latina con anche una visita di cortesia a Lula. La reazione della Casa Bianca è stata molto irritata e minacciosa, anche perché Lula ha affermato, e non è stata la prima volta, che bisogna sospendere l’invio di armi e che Stati Uniti e Unione Europea non operano per contenere la guerra. Cosa peraltro che sembra confermata dalla fortissima pressione sul Brasile da parte di questi ultimi per ottenere che la Federazione invii soprattutto proiettili in Ucraina, cioè entri nella guerra, cosa peraltro da escludere dal momento che Lula è fermamente intenzionato a promuovere il coordinamento di diversi paesi neutrali per lavorare sul versante delle trattative. Atto ingenuo, come affermano con saccenteria i detrattori, ma forse è necessario che almeno qualcuno prenda questa strada, invece che rimanere spettatore. Forse è la non mai abbastanza lodata utopia. E peraltro la rapidità con cui cambiano, forse, le cose in Yemen dopo gli accordi diplomatici Iran-Arabia Saudita dicono che non bisogna mai desistere dal tentare. Comunque la grande stampa di mercato brasiliana ha colto l’occasione per scatenare un attacco scomposto al presidente Lula. Sempre volontariamente subalterna agli indirizzi nordamericani, teme di perderne appoggio e protezione. Viceversa ponderato e puntuale è stato il comunicato dell’Itamaraty non solo rivendicando la legittimità delle scelte brasiliane, ma ricordando che le sanzioni unilaterali contro la Russia danneggiano, e molto, paesi terzi che con la guerra non hanno a che fare. Questa dunque la pagina di politica internazionale che sarà bene seguire nei prossimi mesi dal momento che, da quello che al momento si capisce, sembra indicare alcuni cambiamenti di non poco conto. Sul piano interno al momento alcune questioni richiamano l’attenzione. In primo luogo è in fase di definizione e vaglio parlamentare il nuovo schema fiscale destinato a sostituire il devastante dispositivo sul tetto di spesa introdotto dalMichel Temer nel 2016 e il cui principale risultato è stato di riportare la fame in Brasile. Un confronto non facile in cui gli interessi in gioco sono molteplici. Crea una enorme preoccupazione l’attacco alle scuole. Il 5 aprile in un asilo nido di Blumenau (Santa Catarina) un giovane ha invaso l’edificio e ha ucciso 4 bambini ferendone altri 5 in un atto criminale che ripete situazioni simili negli Usa e in Europa. La preoccupazione delle autorità è accresciuta dal fatto che nelle reti sociali circolano e si moltiplicano messaggi che istigano a questo tipo di delitti. Il Brasile è ripetutamente oggetto di campagne nei social di istigazione all’odio, alla violenza, all’eversione: campagne che servono anche come strumento organizzativo di azioni reali. Come ha affermato il direttore generale della polizia federale, Andrei Passos Rodrigues, il 3 marzo li atti golpisti che hanno devastato le sedi dei tre poteri a Brasilia l’8 gennaio sono nati e sono stati alimentati nelle reti sociali. E si sa che le piattaforme che supportano i messaggi delle reti sociali sono non solo molto potenti, ma anche completamente fuori controllo in quanto tra l’altro sfuggono dalla vigilanza dei singoli Stati, avendo basi in diversi luoghi. Il Brasile è particolarmente vulnerabile agli attacchi informatici per vari motivi che vanno dalla grande adesione ai social, alla scarsa preparazione culturale e forse ( o soprattutto) al fatto che qui si sperimenta una tecnica di destabilizzazione socio-politica attraverso invasioni di fakenews e informazioni devianti. Una ramo della guerra ibrida in corso già da tempo nel contesto di confronto internazionale, in un momento di debolezza delle forze egemoni. Questo è avvenuto ed è stato documentato nel 2018 con l’ascesa di Jair Bolsonaro, è stato ritentato nel 2022 ed è avvenuto anche in altri casi internazionali. E si può sperare che la lettera di Lula del 22 febbraio all’Unesco per la difesa delle reti sociali dalla disinformazione trovi nuovi e numerosi aderenti e abbia presto gambe per camminare di buon passo. Nella enorme preoccupazione per le scuole, misure di allerta vengono moltiplicate pur sapendo quanto è difficile. Intanto continuano le miserie correnti: il potere giudiziario, lento ma inarrestabile, lavora. Iniziano i processi dell’operazione “Lesa Patria” di coloro che hanno preso parte all’eversione dell’8 gennaio, senza dimenticare i partecipanti agli atti criminali contro i risultati elettorali dei mesi di novembre e dicembre 2022. L’ex presidente deve rispondere in varie sedi di reati diversi, dalla nebulosa vicenda dei gioielli sauditi alla manifesta illegalità della convocazione degli ambasciatori stranieri il 18 luglio 2022 per denunciare (ovviamente senza prove) l’insicurezza del funzionamento delle urne elettroniche, oltre ad altri provvedimenti relativi a spese anomale con la carta di credito di servizio, ecc. ecc. Anche la ex prima dama ha le sue grane, ad esempio riguardo ai mobili del palazzo dell’Alvorada, patrimonio pubblico, che non si trovano (e non solo piccoli). Peraltro molti protagonisti di deviazioni giudiziarie degli anni passati hanno i loro problemi, anche se forse al momento protetti dall’immunità parlamentare sotto la quale si sono rifugiati, dopo avere per anni calpestato la Costituzione della quale adesso fanno uso opportunista. Si va dall’ex giudice, ex ministro della Giustizia, insomma ex, Sérgio Moro che è in guai seri per oltraggio a componente del Supremo Tribunale Federale, e, insieme al compare Dalton Dallagnol ex procuratore della Operazione Lava Jato, per le probabili deposizioni dell’ex avvocato della multinazionale Odebrecht Rodrigo Tacla Duran su estorsioni dal parte di coadiutori del duetto. E la lista è ancora lunga. San Paolo, 19/4/2023. Fonti: Brasil 247, Brasil de fato, DCM, servizi televisivi della Globo. Può essere utile leggere l’articolo di elegante analisi geopolitica di José Luís Fiori Lula na Cina, “A terra è redonda”, 18/4/2023
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cura di Nicoletta Manuzzato |