Latinoamerica-online.it

Armi italiane al Brasile di Bolsonaro

Teresa Isenburg

La Società consortile Iveco-Oto Melara (CIO) collegata a Leonardo SpA si è aggiudicata la gara per fornire all’esercito brasiliano blindati su gomma Centauro II, battendo le concorrenti canadese e cinese. I giornali italiani del 28 novembre danno la notizia esaltando l’eccellenza tecnica italica e citano parole di plauso del ministro della Difesa e dell’ambasciatore di Brasilia. La fornitura prevede la consegna di 96 blindati per 900 milioni di euro, con potenziale fino a 220 veicoli. Mi permetto di condividere due considerazioni al riguardo.

L’Italia si conferma sempre di più come paese grande esportatore di armi, da quelle leggere a quelle pesanti, e il governo, nelle sue articolazioni dei Ministeri della Difesa e degli Esteri, diventa un mercante, un commesso viaggiatore di armi interessato in primo luogo ad allargare il proprio mercato che è, come ovvio, un mercato di morte. Questa ormai consolidata opzione comporta conseguenze sia nei paesi verso i quali le costose importazioni vengono inviate, sia nel tipo di interlocutori con cui il governo italiano via via tesse relazioni privilegiate.

Ovviamente si esporta quello che si produce e si producono beni di settori nei quali si investe, quindi si ritorna al nodo dei progetti economici e in particolare della politiche industriali e di ricerca tecnico-scientifica che si scelgono. L’eccellenza tecnica italiana nel mondo potrebbe essere applicata al settore medico-sanitario, alla raffinata messa a punto di energie rinnovabili, all’infinito campo dei beni culturali e rimarrebbe sempre eccellenza. Aggiungo che l’opzione armamentaria affiancandosi al mondo militare viene immediatamente avvolta in una nebbia di riservatezza, di segreto militare, di presenza decisionale di militari che obbediscono a una logica gerarchica: tutto molto lontano da una "Repubblica democratica fondata sul lavoro".

Il secondo punto che volevo evidenziare riguarda alcuni aspetti procedurali. Il contratto dovrà essere firmato entro il 5 dicembre. Non so cosa voglia dire questo "dovrà" che si legge sulla stampa. Ma certo sembra esserci molta fretta. Ora si dà il caso che il 5 dicembre è solo 25 giorni prima della fine del governo sconfitto nelle elezioni del 30 ottobre. E non può non suscitare qualche riflessione che un governo sconfitto e nella fase istituzionale di transizione (il che vuole dire che è tenuto a passare tutte, ripeto tutte, le informazioni all'équipe appunto di transizione prevista istituzionalmente) firmi un accordo di tale importanza economica e strategica. Tanto più che la figura apicale di tale governo, il capitano riformato Jair Bolsonaro, ad oggi non ha riconosciuto la vittoria del suo avversario. Viceversa egli stesso e i suoi più prossimi alleati, fra i quali i settori militari, dal 30 ottobre alimentano e sostengono manifestazioni organizzate e finanziate di blocco delle strade e di agglomerazioni davanti alle caserme che chiedono a gran voce e senza mezzi termini l’intervento delle forze armate e l’annullamento delle elezioni (anzi della sola elezione del presidente eletto Lula, non del Parlamento, in cui hanno fatto il pieno di deputati e senatori).

L’Italia vuole firmare un contratto di questa portata con politici che calpestano il sistema elettorale e dare loro di fatto legittimità? Non sarà una bella foto ricordo quella di politici e imprenditori italiani insieme a omologhi brasiliani eversori delle regole democratiche di base. Sarebbe più elegante dal punto di vista diplomatico aspettare il nuovo governo e anche più prudente dal punto di vista economico, dato che ci dovrà poi essere il vaglio del TCU/Tribunale dei Conti dell’Unione, immagino.

Concludo dicendo che questa vicenda della firma del contratto da parte di un esecutivo ormai senza potere, che blocca una cifra per il Brasile enorme di 5 miliardi di reais, suscita lo sdegno addirittura della TV Globo, sempre allineata con i grandi affari. Urta che questo avvenga in un momento in cui ci sono 33 milioni di cittadini e cittadine alla fame (fuor di metafora), in cui il numero di bambini piccoli sottonutriti ricoverati ha raggiunto il livello massimo in quindici anni, in cui si apprende che dal 2020 il governo brasiliano ha smesso di pagare i propri impegni negli organismi internazionali per 5 miliardi di reais (danneggiando quindi quella che con un eufemismo si chiama comunità internazionale).

San Paolo, 30/11/2022

 

Latinoamerica-online.it

a cura di Nicoletta Manuzzato