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L’articolo che segue dà conto della situazione politica del Brasile dopo quattro mesi di governo Bolsonaro. Non bisogna mai dimenticare che la Federazione si trova a vivere dal 2016 in una situazione anticostituzionale: prima sotto il governo illegittimo di Michel Temer dal 2016 al 2018 e poi, nel 2019, sotto quello uscito dalle elezioni molto poco chiare del 2018. Inoltre la democrazia è gravemente offesa con il perdurare della detenzione del prigioniero politico Luiz Inácio Lula da Silva. Recentemente, dopo un anno nel corso del quale gli è stato impedito di avere contatti con la stampa, Lula ha potuto rilasciare alcune interviste. In particolare sulla BBC è possibile ascoltare in inglese quella concessa al giornalista Kennedy Alencar. Questa e altre si trovano in portoghese su diversi siti. (T.I. 15/5/2019)

Unire è la via d'uscita

Walter Sorrentino*

Il Brasile come lo conosciamo è su una rotta di demolizione nella sua traiettoria come Stato e nazione. Può diventare uno Stato e una Società senza coerenza interna, come mi diceva un amico, un patriota. Un luogo in cui il popolo è castigato socialmente e culturalmente, investito da una vera regressione dell’incivilimento, mentre grande parte della classe lavoratrice è semplicemente indesiderata e senza diritti.

La storia illustra casi con profusione, quindi semplifico. Nel primo anno del secolo scorso, nella Reale Società di Fisica, il presidente in una conferenza diceva che i segreti della materia erano stati risolti per le parti fondamentali dalla fisica (si riferiva all’opera di uno dei maggiori scienziati di tutti i tempi, Newton). E rilevava solo “due piccole nuvole all’orizzonte” per completare l’opera. Erano quelle della relatività e della meccanica quantistica, che fino ad oggi cercano di unificarsi, tratte alla luce da geni dell’umanità come Einstein, Max Planck e tanti altri. È stata una grande tempesta rivoluzionaria nella fisica.

Nel cielo del Brasile ci sono tre masse di nuvole che possono formare una tempesta perfetta o no, possono essere progressive o ancor più regressive. Che fare? Aspettare che maturino o scongiurarle? Le due cose; ma è bene, in politica, prevenire.

Pesante nuvola economica e sociale. Il disanimo si abbatte sulla popolazione e l’economia è in recessione da oltre cinque anni. La deindustrializzazione raggiunge un livello mai visto e avanza la denazionalizzazione dell’industria. La capacità produttiva inutilizzata è immensa, ma non vi è ripresa del ciclo. Siamo l’ottava economia del mondo, in declino, ma la nona come vincitrice del premio della disuguaglianza sociale.

Crescita, occupazione e reddito non hanno mai fatto parte del lessico del presidente (Bolsonaro). Il governo si limita al grossolano riduzionismo che la “riforma” della previdenza salverà tutto e tutti. Abbiamo già vissuto questa mistificazione con il maledetto trepiedi macroeconomico (rinnegato anche da liberali come André Lara Rezende), che ha lasciato un’eredità di “decennio perduto”. Anzi, avremo il terzo decennio perso. La politica economica è prociclica, alti tassi di interesse, tagli drastici all’investimento pubblico, come ricorda ancora una volta Bresser Pereira in un articolo recente. Neppure la legnata contro il reddito da lavoro a favore del capitale, come propone la cosiddetta “riforma” della previdenza con regime di capitalizzazione (alla quale non contribuiscono gli impresari) farà riprendere l’investimento privato senza la controparte pubblica con funzione propulsiva.

Tuttavia il mondo imprenditoriale – nell'analisi della società finanziaria BTG-Pactual del 6 maggio - continua a credere a Babbo Natale e a mostrarsi ottimista. Perché? Il pantano economico è brutale, ma l’imprenditoria non intravvede altra via d’uscita. E raddoppia le puntate sull’agenda presidenziale. La doppiezza (ipocrita?) si riflette in voci sussurranti del mondo economico e politico. In mezzo c’è Fernando Henrique Cardoso con le sue pose – non ha capito, pare, che il suo partito, PSDB, è stato il principale sconfitto delle elezioni presidenziali.

Pesante anche la nuvola della crisi politica e istituzionale che si trascina dal colpo di Stato del 2016. È un altro ginepraio, fra il clan Bolsonaro e l’establishment politico, fra questo e il partito della Lava Jato, e anche fra quest’ultimo e lo stesso Supremo Tribunale Federale/STF. Le Forze Armate sono state coinvolte in tutto ciò: loro, che dicevano che era importante non politicizzare i corpi, oggi partecipano al governo con oltre cento incarichi. Anche all’interno del governo si inaspriscono i conflitti e le contraddizioni. Lo stesso generale dell’ esercito Villas Boas, a tacere di Hamilton Mourão, vicepresidente, è in aperta contrapposizione con gli ideologi del clan presidenziale, in scontro anche con il Legislativo e il Giudiziario. Il leader del governo nella Camera dei deputati, scorato, immagina addirittura un impeachment del presidente se le relazioni politiche continuano a precipitare nel mezzo della crisi economica e sociale.

Lentamente qualche cosa si muove. Sondaggi mostrano un forte declino della popolarità di un presidente dopo quattro mesi di governo. Ma è illusorio immaginare che si sia sconfitta la “riforma” della previdenza (potrà essere snaturata, sì, per quanto concerne il regime di capitalizzazione), o che le forze conservatrici siano sulla difensiva.

Di fronte a tale crisi, l’avanzata dell’autoritarismo e dello Stato di polizia sono, nell’immediato, il pericolo maggiore, in quanto definiscono il terreno entro il quale si dovrebbe convivere e si combatterà. La legge contro l’abuso di autorità in questo momento è un’esigenza che sta nei fatti e il Congresso l’ha in agenda: dipende dal gioco di forze, da chi ammiccherà per primo.

Guardando in prospettiva, la nuvola più pesante è legata all’economia, ma altra la trascende in significato. È l’azione più decisa di questo governo, che non può essere attribuita a nessuna eredità, perché è la più specifica, originale e violenta. Si tratta del brusco cambiamento del posto del Brasile nel mondo, dilapidando il rispetto che il paese e il popolo brasiliano avevano coltivato e addirittura la stessa sovranità nazionale. Se si considera l’allineamento carnale con la strategia nordamericana volta a conservare la propria egemonia mondiale in declino, e ad allontanare il Brasile dal multilateralismo che assicura, come noto, la possibilità di percorrere cammini propri conformi agli interessi nazionali, la situazione è drammatica.

E ancora, per venire al pacchetto delle privatizzazioni selvagge. A parte il confronto politico e ideologico su quale sia il ruolo della Stato nazionale per un nuovo progetto di sviluppo, il fatto è che l’intenzione del governo si annuncia una volta ancora distruttivo e fiscalista, come vendere l’argenteria di casa per comprare una gavetta. Guardando bene, ciò va contro l’interesse nazionale di tutti i brasiliani.

Praticamente tutti i mass media rispettabili del mondo compiangono il Brasile, squalificano Bolsonaro, la sua grossolanità autoritaria ideologizzata; ciò che non accade nei media nazionali, fatte le debite eccezioni.

Si aggiunga l’attentato alla cultura e alle università, all’educazione vilipesa come fattore di emancipazione e di un futuro con uguaglianza di opportunità, alle idee progressiste e illuministe, il bloccato nuovo concetto di diritti umani, il razzismo politico dichiarato. Bisogna riconoscere: è un’opera, eccome, di smontaggio della nazione.

Che fare, dunque? Molti e compresenti sono i fronti di lotta, per la Democrazia, per la Sovranità, per i Diritti sociali, umani e civili, per riscattare la nazionalità. Ma in questa complessità la prima cosa che si pone davanti alla sinistra sembra essere che ciascuno dei partiti di sinistra e di centrosinistra superi le proprie piccole tattiche per dare spazio a una grande tattica in comune.

Cioè la cosa che deve essere al centro del raggio del radar è l'Unità: questa è la missione immediata. Unire ampie forze politiche, sociali, accademiche e intellettuali, di tutte le matrici, di quanti sono disposti a costruite un dialogo permanente, dalla sinistra progressista politica e sociale, fino al polo sconfitto del neoliberismo classico, il conservatorismo liberal, le forze centriste a destra e a sinistra. Unità di forze diverse, sul modello dei fronti antifascisti guidati nel secolo scorso dalla sinistra comunista, con un obiettivo comune per la Democrazia.

Tutte cose che cadono sotto la categoria di attentati contro lo Stato di polizia, in difesa del Legislativo e della stessa Alta Corte, per le garanzia fondamentali della Costituzione. All’interno di queste forze ci saranno anche quelle che contemporaneamente combattono per la difesa di un’altra agenda per il paese e per gli interessi dei lavoratori, sempre in modo ampio.

Come dice Renato Rabelo (presidente della Fondazione Maurício Grabois), la responsabilità dei partiti e delle dirigenze più conseguenti per dare inizio a questa grande impresa di unità e ampiezza, è enorme. È necessario che essi ed esse parlino le une con gli altri, ma soprattutto che sappiano ascoltare, convergendo verso pochi punti ampi e radicali in difesa della democrazia e della ripresa del patto democratico, per produrre un tavolo formale di unità democratica.

Si sa come le crisi cominciano, ma non si sa come andranno a svilupparsi e varie alternative sono sul tappeto, inclusa la possibilità che esse si trascinino. Ma a nessuno è consentito di illudersi che, giocando da fermi, la palla possa cadergli al piede per la legge di gravità. Urge prefigurare scenari, anticiparsi nell’essere protagonisti di azioni.

Ancor più che nel 2018, quando abbiamo affermato che uniti potevamo vincere le elezioni, l’unità si impone, è la bandiera giusta del momento. Era (ed è) il modo per dare nuove speranze al popolo. La sinistra ha di fronte la sfida di unirsi in un’azione immediata contro l’agenda governativa, per chiarire e mobilitare il popolo con nuove modalità di lavoro di base; di unirsi attorno ad un Programma per il Brasile e non per interessi elettorali anche legittimi; e infine, ma non meno importante, di guidare la formazione di un ampio fronte democratico senza il quale si rischia di rimanere impigliati nelle piccole tattiche di sopravvivenza o di illusioni attorno al proprio ombelico.

*Walter Sorentino è medico, vicepresidente e segretario di Relazioni e Politica internazionale del PCdoB/Partito Comunista del Brasile.

Fonte: Portal Vermelho, 6/5/2019

Organizzazione e traduzione di Teresa Isenburg

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato