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Invio la trascrizione di un colloquio con il vicepresidente del PCdB/Partito comunista del Brasile che presenta un'utile analisi della attuale situazione del Brasile e una lettera di Luiz Inácio Lula da Silva del 3 luglio di delucidazione del modo di procedere del STF/Supremo tribunale federale. La lettera, unita ai commenti su quanto accaduto del TRF-4/Tribunale regionale federale della quarta regione l’8 luglio (di cui i giornali internazionali hanno dato ampia notizia a cominciare da Le Monde), una volta di più documenta la persecuzione giudiziaria di Lula e ne conferma lo stato di prigioniero politico. (T.I.)

Brasile, colloquio con Walter Sorrentino

Mercoledì 11 luglio 2018 ho avuto il privilegio di registrare un colloquio con il vice presidente del PCdB/Partido Comunista da Brasil nella sede del partito a San Paolo. Di famiglia italiana, Sorrentino fa parte del comitato centrale del PCdB dal 1988, è anche presidente del Consiglio della Fondazione Maurício Grabois e al momento è segretario esecutivo del lavoro elettorale in vista delle elezioni presidenziali. Il PCdB è un partito con presenza in tutta la federazione, conta 10 deputati e una senatrice, il govenatore di Maranhão e una buona presenza nelle amministrazioni locali. Ha una organizzazione interna solida, un peso sindacale, un'attenzione alla formazione politica e culturale dei militanti e dei quadri. Si trascive la registrazione della riflessione di Sorrentino sull'attuale momento del Brasile, che mantiene anche nella versione scritta l'immediatezza del discorso orale. (Teresa Isenburg)

La rottura del patto democratico. La situazione del nostro paese è drammatica, il Brasile ha bisogno di una messa in salvo nazionale perché il colpo di Stato compiuto dal Parlamento con l’appoggio del potere giudiziario nel 2016 ha rappresentato una rottura del patto democratico nel paese. Esso ha sottratto il mandato della presidente Dilma Rousseff, eletta con 54 milioni di voti Non è la prima volta che questo accade, il nostro Brasile in 88* anni ha avuto solo cinque presidenti che hanno concluso il loro mandato. Il che mostra bene il carattere della democrazia brasiliana. Ma la rottura del patto ha avuto un altissimo prezzo, il Brasile vive in una profonda crisi politica e istituzionale ancora in fase di aggravamento e in una situazione di crisi economica che già risulta essere la maggiore della storia del paese. Sono più di tre anni di recessione, cosa mai accaduta in precedenza. Pesanti gli effetti sociali nella vita della popolazione: disoccupazione, aumento dei prezzi nonostante la bassa inflazione, di modo che la disarticolazione politico-istituzionale blocca la ripresa del cammino del paese.

Questa crisi è direttamente collegata con la rottura del patto democratico. Le forze dominanti hanno commesso un grave errore politico, un errore storico con questa rottura democratica perché il fallimento, rispetto alle intenzioni, è manifesto su tutta la linea. Oltre alla devastazione della democrazia, le forze dominanti avevano un unico programma che fondamentalmente prevedeva la consegna del patrimonio nazionale; ed esso si sta realizzando fino ad oggi con la Petrobras, il pré-sal, la Eletrobras, che è il sistema energetico. Il Brasile è venduto a prezzi irrisori nei settori di interesse nazionale. Addirittura la Embraer è stata venduta, un simbolo di alta tecnologia che il paese si era conquistato. E hanno compiuto un crimine orribile per quanto concerne i diritti sociali: cioè nella crisi capitalista, nel conflitto fra lavoro e capitale, hanno fatto prevalere su tutta la linea gli interessi del capitale con la riforma del lavoro che ha abbattuto le conquiste degli ultimi 75 anni del paese (la CLT/Testo unico sul lavoro è del 1943) e hanno distrutto il mercato del lavoro, per cui siamo già 13,5 milioni di disoccupati, soprattutto giovani e donne.

Come ho detto, la rottura del patto democratico è fallita su tutta la linea. A differenza degli anni Novanta quando venne eletto Fernando Henrique Cardoso non c’era un consenso internazionale più vasto, che sostenesse questo cammino. Allora vi era un appoggio praticamente mondiale intorno a una ricetta che era da un lato il Consenso di Washington, che prevedeva una politica macroeconomica di ingessamento degli interessi nazionali, e dall'altro l'approvazione per una globalizzazione neoliberale che si presentava come una globalizzazione cosiddetta progressista. Oggi non esiste nulla di tutto ciò, al contrario il mondo si trova in una situazione di tensioni, conflitti, ma in cui prevale la multipolarità, gli Stati Uniti stessi si trovano dentro questa profonda crisi causata principalmente proprio da loro nel 2007-2008; e c’è un presidente, che oggi è Donald Trump, che cerca solo guerre commerciali, protezionismo, aggressività imperialista, pressioni contro gli emigranti, con un potente; conservatorismo reazionario. E le classi dominanti brasiliane si sono imbarcate in questa avventura: portare il Brasile in un grande precipizio.

La situazione delle forze democratiche e di sinistra. Il secondo commento è che questo disastro paradossalmente ha utilizzato errori commessi dalla sinistra brasiliana in 13 anni di governo. Il golpe è stato contro le realizzazioni e le conquiste, ma non era inevitabile. Dal punto di vista strategico del paese ci sono stati molti limiti che ruotavano intorno all'assenza di un progetto e di una strategia maturi per lo sviluppo del paese e contenevano illusioni riguardo al carattere di classe dello Stato brasiliano profondamente conservatore. Insomma non vi è stato un autentico progetto di potere, che conquistasse la coscienza delle masse come proprio supporto. La forza dominante, il PT, ha Lula, il maggiore leader della storia popolare brasiliana, un uomo degno, un uomo che oggi è prigioniero politico, un uomo oggi bersaglio di un'arbitrarietà che si allarga contro l'intera sinistra brasiliana, e che necessita quindi dell’appoggio di tutte le forze democratiche e progressiste in una grande lotta che è la lotta per Lula Livre. In questo contesto si è dato il colpo di Stato. Tuttavia oggi paradossalmente la sinistra brasiliana e le forze progressiste e democratiche hanno, per quanto sembri incredibile, la reale possibilità di vincere le elezioni presidenziali di ottobre 2018. Può sembrare difficile capire ciò per qualcuno che si trova all’estero, ma di fatto questo si deve al fallimento della politica impiantata con il golpe e alla resilienza, alla resistenza della sinistra brasiliana e principalmente di Lula.

Noi, come PCdB, riteniamo che una situazione simile, una situazione straordinaria, una situazione eccezionale dal punto di vista politico, esigerebbe una strategia politica molto decisa. Cioè unire le forze politiche e sociali democratiche, progressiste, di sinistra in un grande fronte unico, democratico, per lo Stato di diritto, per i diritti sociali, per la sovranità del paese. Allo stesso tempo si deve lottare affinché questo fronte riesca a presentarsi nel modo più unitario possibile alle elezioni presidenziali. Noi parliamo quindi di un processo che abbia questo obiettivo: una convergenza programmatica di tutte le nostre forze intorno alla messa in salvo del paese, alla ripresa della crescita economica, al recupero dell’occupazione e per realizzare con l’appoggio della popolazione riforme strutturali democratiche dello Stato brasiliano per un progetto nazionale di sviluppo sovrano, democratico e popolare. Fra queste la riforma politica, la riforma tributaria, la riforma del sistema finanziario, la riforma dei mezzi di comunicazione di massa.

La questione del potere giudiziario. E soprattutto urge la riforma di un aspetto che oggi in Brasile è quello più importante. Si tratta dell’intervento politico aperto, partitico, fazioso di settori del giudiziario che cercano di occupare il vuoto della crisi del sistema politico. Essi teorizzano al riguardo di un supposto potere moderatore** che disconosce l’equilibrio dei poteri della Repubblica e che pretende di essere l’attore politico principale. A questo fine hanno scelto come strumenti una specie di operazione di pulizia, ma che ha come bersaglio essenzialmente la sinistra brasiliana e in primo luogo Lula. Un sistema giudiziario che non è eletto dal popolo, non è eletto dalla sovranità popolare, non ha questo ruolo di intervento politico. Così questo diventa il principale aspetto della crisi politico-istituzionale al momento in Brasile: il caos del giudiziario, in una lotta interna, intestina, che minaccia le fondamenta dello Stato di diritto brasiliano.

La necessità di una convergenza unitaria. Queste riforme e questo programma devono essere unitari per tutte le candidature delle forze politiche e sociali brasiliane progressiste, democratiche, di sinistra. Da parte nostra (del PCdB) diciamo che la cosa più conseguente sarebbe che ci presentassimo uniti con una candidatura da portare al secondo turno e per vincere le elezioni presidenziali. Diciamo con franchezza: uniti saremmo più forti. Ma la sinistra brasiliana ancora una volta mostra grandi difficoltà nel capire il carattere degli accadimenti, l’analisi concreta della realtà concreta, che è di una potente sconfitta che abbiamo subito con la deposizione di Dilma Rousseff e della necessità di unire le forze per mettere in salvo, ripeto, la democrazia, il Brasile, gli interessi nazionali e i diritti della popolazione.

Fino ad ora è stato difficile costruire un'unità di candidature presidenziali. Tuttavia questa è la nostra opinione, lotteremo fino in fondo per questo. Noi abbiamo una candidatura alla presidenza, Manuela d'Avila, che è una notevole novità sulla scena politica brasiliana e che sta raccogliendo molto prestigio, qualche punto nei sondaggi elettorali, ma che porta questo messaggio: sono qui come candidata del PCdB/Partito Comunista del Brasile per dire che noi abbiamo bisogno di presentarci con un programma unico e nei limiti del possibile con una candidatura unitaria per non dividere le nostre forze.

Le speranze esistono. Le speranze esistono, queste speranze possono avere solo una forza fondamentale di mobilitazione, che è la mobilitazione popolare. Con la sola pressione sul giudiziario, con la sola pressione democratica di fronte agli accadimenti, o con la sola pressione degli atti istituzionali, dei poteri della Repubblica, tutto questo sarà insufficiente per portare a termine tale compito. Fortunatamente si è realizzato un grande fronte ampio dei movimenti sociali, Frente Brasil Popular, Frente Povo sem Medo. Ma dobbiamo riconoscere con franchezza che neppure i gravi accadimenti, le gravi persecuzioni faziose contro Lula hanno ampliato le mobilitazioni popolari in Brasile. Questo fa parte dell’analisi concreta della realtà concreta.

Bisogna quindi avere molto discernimento per capire che la società vive una depressione, un letargo, è ancora disorientata nella sua maggioranza per quanto riguarda le elezioni presidenziali, tende a dare un voto di fiducia a chi presenta un programma come quello qui indicato, ma è molto attendista. Di conseguenza tutto questo processo sfocerà proprio nel confronto elettorale.

Il senso di queste mie parole è il seguente: la lotta di resistenza esiste, è forte, in alcuni casi ha conquistato qualche vittoria, ma questa resistenza a favore della sovranità nazionale, della democrazia, dei diritti del popolo solo potrà rafforzarsi con una prospettiva: non ci sarà mobilitazione popolare al di fuori di una nuova speranza, di un nuovo futuro per il paese che generi fiducia nella popolazione e che quindi possa mobilitarlo politicamente.

La lotta elettorale. In questo momento tale processo si dà fondamentalmente nella lotta elettorale ed è per questo che ripeto che la lotta elettorale ha bisogno di dimostrare alla popolazione che siamo uniti, che sappiamo come togliere il paese dalla crisi e sappiamo che è necessaria la nostra unità programmatica e di convergenza nelle candidature, perché divisi rischiamo di non passare neppure al secondo turno, nonostante tutta la forza di Lula. Perché Lula è in carcere. C’è una strategia politica molto rischiosa, se non ci si unisce, di far sì che Lula incarcerato trasferisca di fatto i suoi voti, il che è possibile, ma ancora non sicuro. Ma è una strategia che va dimostrata. Corriamo il rischio che le forze progressiste e democratiche rimangano fuori dal secondo turno elettorale.

Proprio mentre parlo in questo 11 luglio, è esattamente questa la questione nodale che impegna tutto il dibattito della sinistra. Perché ci presentiamo con quattro candidature presidenziali di sinistra. Perché? L’ideale sarebbe che ci unissimo. C’è la candidatura del PT, quella del PDT/Partido democratico trabalhista, che probabilmente avrà l’appoggio del PSB/Partito socialista brasiliano, c’è la candidatura del Psol/Partito socialismo e libertà e la candidatura del PCdB. Ma l’unica che dichiara di essere candidata per produrre una convergenza, l’unità, per intanto è solo quella del PCdB. Siamo in un ambiente grave, di crisi e di grandi conseguenze, in cui la strategia della sinistra brasiliana deve dare prova di età politicamente adulta, di sapienza politica, di pensiero rivolto al paese al di là e al di sopra degli interessi legittimi di tutti i nostri partiti, in particolare di Lula e del PT. Sono interessi legittimi. Il Brasile ha bisogno di un PT forte, di un PT che alzi la testa, così come il Brasile ha bisogno di un PCdB forte, di un PDT forte, ma soprattutto ciò di cui vi è la necessità è vincere le elezioni.

Una strategia ben pensata. Dico con franchezza e con precisione: l'unica condizione oggi perché Lula si veda libero è che affrontiamo insieme le elezioni presidenziali. Questo non richiede una strategia di alto rischio, necessita di una strategia ben pensata, libera, in cui la forza di Lula possa essere posta al servizio e a favore di una candidatura realmente competitiva, che sia del PT o che sia di altri partiti. È un dibattito molto difficile, ma ci aspettiamo che fino al 15 agosto, data finale di iscrizione delle candidature, si possa conquistare un certo terreno. Così il Brasile potrebbe di nuovo vedere il suo ruolo riacquisito nel contesto internazionale e conoscere una nuova generazione di governi di sinistra, in alleanza con le forze democratiche e progressiste, facendo tesoro degli errori del passato e cosiderando la situazione del presente. Il mondo di oggi è diverso dal mondo in cui Lula è stato eletto nel 2002, il mondo di oggi è molto più minaccioso, ma allo stesso tempo offre molte opportunità, perché una situazione di multipolarità come si sta creando dà maggior margine di manovra al Brasile, un paese continentale, per perseguire il nostro proprio interesse. Queste elezioni dunque mettono molte cose in gioco e noi pensiamo in questo modo in questo momento.

*Dal 1930, anno in cui finisce la cosiddetta Republica Velha dominata dall'oligarchia fondiaria del Sudest e inizia un periodo di modernizzazione. (T.I.)

**Il potere moderatore -cioè al di sopra dei tre poteri- era prerogativa isttuzionale dell'imperatore. Il Brasile infatti ha avuto la sventura di acquisire l'indipendenza nel 1822 non attraverso una guerra di indipendenza e liberazione, ma divenendo impero sotto la casa di Braganza e mantenendo la schiavitù fino alla formazione della Repubblica nel 1889. (T.I.)

Lettera di Luiz Inácio Lula da Silva

Miei amici e mie amiche,

è giunto il momento che tutti i democratici impegnati nella difesa dello Stato Democratico di Diritto rigettino le manovre di cui sono vittima, in modo che prevalga la Costituzione, non gli artifici di coloro che non la rispettano per paura del notiziario della televisione.

L’unica cosa che voglio è che il Gruppo di Lavoro dell'Operazione Lava Jato, integrato dalla Polizia Federale, dal Ministero Pubblico, da Moro e dal TRF-4/Tribunale regionale federale della quarta regione, mostri alla società un'unica prova materiale che io ho commesso un qualche crimine. Non è sufficiente parola di delatore né convinzione di power point. Se ci fosse imparzialità e serietà nel mio processo non sarebbero necessarie migliaia di pagine, perché bastava mostrare un documento che provasse che io sono proprietario di quel tale immobile di Guarujá. Basandosi su una menzogna pubblicata dal giornale O Globo, che mi attribuiva la proprietà di un appartamento a Guarujá, la Polizia Federale, ripetendo la menzogna, ha dato inizio a un'indagine; il Ministero Pubblico, accogliendo la stessa menzogna, ha fatto accuse e, infine, sempre fondandosi sulla menzogna mai provata, il giudice Moro mi ha condannato. Il TRF-4, seguendo lo stesso intrigo iniziato con la menzogna, ha confermato la condanna.

Tutto ciò mi conduce a credere che non ci sono ragioni per ritenere che avrò Giustizia, perché quello che ora vedo, nel comportamento pubblico di alcuni ministri della Suprema Corte, è la semplice riproduzione di ciò che è accaduto nella prima e nella seconda istanza. In primo luogo il Ministro Fachin ha tolto al Secondo Gruppo del Supremo Tribunale Federale il processo di habeas corpus che avrebbe potuto impedire la mia carcerazione e lo ha passato al Plenario. Questa manovra ha evitato che il Secondo Gruppo, la cui posizione prevalente contro l'incarcerazione prima del passato in giudicato era nota a tutti, concedesse habeas corpus. Questo è risultato dimostrato nel giudizio del Plenario, in cui quattro dei cinque ministri del Secondo Gruppo hanno votato per la concessione di habeas corpus.

In seguito, per la misura cautelare in cui la mia difesa sollecitava l’effetto sospensivo all’impugnazione straordinaria, per pormi in libertà, lo stesso Ministro ha deciso di portare il processo direttamente nel Secondo Gruppo, con il giudizio fissato in agenda per il 26 giugno. La questione posta in questa misura cautelare non è mai stata considerata dal Plenario o dal Gruppo, in quanto ciò che in essa si discute è se le ragioni del mio ricorso sono in grado di giustificare la sospensione degli effetti della sentenza di secondo grado del TRF-4, perché io possa rispondere al processo a piede libero.

Nel frattempo, nel crepuscolo di venerdì 22 giugno, pochi minuti dopo la pubblicazione della decisione del TRF-4 che negava l’accettazione del mio ricorso (ciò che avveniva alle ore 19.05), come se fosse stata organizzata una trappola, la misura cautelare è stata data come annullata e il processo estinto, artificio che una volta ancora ha evitato che il mio caso fosse giudicato dall’organo giudiziario competente (decisione divulgata alle ore 19.40).

La mia difesa ha ricorso contro la decisione del TRF-4 e anche contro la decisione che ha estinto il processo cautelare. Tuttavia, in modo sorprendente, una volta di più il relatore rimetteva il giudizio di questo ricorso direttamente al Plenario. Con questa ulteriore manovra, un’altra volta, è stata sottratta la competenza naturale dell’organo al quale spettava il giudizio sul mio caso. Come è risultato dimostrato nella sessione del 26 giugno, in cui la misura cautelare avrebbe dovuto essere giudicata, il Secondo Gruppo ha la ferma opinione che è possibile la concessione di effetto sospensivo a ricorso straordinario in situazione simile alla mia. Le manovre hanno raggiunto il proprio obiettivo: la mia richiesta di libertà non è stata giudicata.

Bisogna chiedersi: perché il relatore, in un primo momento, ha rimesso il processo cautelare direttamente al Secondo Gruppo e, subito dopo, ha inviato al Plenario il processo del ricorso procedurale che per legge deve essere valutato dallo stesso collegio competente a giudicare il ricorso?

Le decisioni monocratiche sono state usate per la scelta del collegio che al momento sembra essere più conveniente, come se ci fosse un qualche accordo per il risultato del giudizio. Sono concepite come strategia processuale e non come strumento della Giustizia. Questo comportamento, oltre a privarmi della garanzia del Giudice naturale, è concepibile per accusa e difesa, ma totalmente improprio per un magistrato, la cui funzione esige imparzialità e lontananza dalla arena politica.

Non chiedo favori, esigo rispetto.

Nel corso della mia vita, che già conta 72 anni, ho creduto e affermato che prima o poi sempre prevale la Giustizia per le persone vittime della irresponsabilità di accuse false. A maggior ragione nel mio caso, in cui le false accuse sono corroborate solo da delatori che hanno confessato di avere rubato, che sono condannati a decine di anni di prigione e che sono in disperata ricerca del beneplacito delle delazioni, grazie alle quali ottengono la libertà, il possesso e la conservazione di parte del denaro rubato. Persone che sarebbero capaci di accusare la madre per avere vantaggi.

È drammatico e crudele il dubbio fra continuare a credere che possa esservi Giustizia e il rifiuto di prendere parte a una farsa. Se non vogliono che io sia Presidente, la cosa più semplice per ottenere ciò è di avere il coraggio di praticare la democrazia e sconfiggermi nelle urne.

Non ho commesso nessun crimine. Ripeto: non ho commesso nessun crimine. Per questo, fino a quando non presentino almeno una prova materiale che macchi la mia innocenza, sono candidato a Presidente della Repubblica. Sfido i miei accusatori a presentare questa prova fino al 15 agosto di quest’anno, quando la mia candidatura sarà registrata nella Giustizia Elettorale.

Luiz Inácio Lula da Silva

Curitiba, 3 luglio 2018

Traduzione e introduzione di Teresa Isenburg

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato