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Brasile, aprile 2016-aprile 2021
Teresa Isenburg
In questo periodo sulla stampa internazionale il riferimento al
Brasile è frequente e riguarda in particolare la grave
situazione sanitaria in rapporto alla pandemia, che colpisce
duramente la popolazione e allo stesso tempo è una minaccia per
l’insieme del pianeta. Il Brasile. per il suo livello economico
e per le caratteristiche del sistema pubblico di salute, sarebbe
in grado di affrontare il contenimento dell’epidemia. Viceversa
i dati sono negativi in primo luogo per l’elevato numero di
contagiati e anche per l’alta percentuale di morti rispetto al
quadro internazionale: con una
popolazione di 212 milioni, pari a circa il 3% del totale mondiale,
la Federazione totalizza quasi un terzo dei morti, mentre
vi sono 13,9 milioni di contagiati, 371.000 decessi. Inoltre vi
sono campi di grave crisi in alcuni punti del SUS/Sistema unico
di salute e della sanità privata, posti sotto forte pressione
(SUS che peraltro è l’ancora di salvezza nella situazione
catastrofica).
Un momento drammatico si è avuto a gennaio 2021 nella città
di Manaus per mancanza di ossigeno sanitario e in questi giorni
di aprile in vari luoghi per carenza di medicinali per i casi di
intubazione nelle unità di terapia intensiva. E' ormai opinione
accettata che quanto è accaduto lungo i 14 mesi della pandemia,
e che continua ad accadere, è conseguenza e responsabilità dell
(https://science.sciencemag.org/content/early/2021/04/13/science.abh1558)
Questa collaborazione con il virus è avvenuta in
primo luogo attraverso la comunicazione promossa dalla massima
autorità del paese, che ha scelto un martellante messaggio
negazionista sia sulla gravità della patologia che
sull'efficacia delle misure preventive elementari; in secondo
luogo non approntando un coordinamento federale per l’intero
vasto territorio della nazione; in terzo luogo non predisponendo
il rifornimento adeguato di medicine e materiale sanitario e non
attivando nessun contratto di acquisto, importazione, produzione
di vaccini. I governatori degli Stati hanno compiuto e compiono
sforzi non piccoli per controbilanciare le pratiche dannose del
governo centrale e ottengono risultati importanti. Anche i
sindaci di singoli municipi agiscono con coraggio: il sindaco
della città di Araraquara (del PT/Partito dei Lavoratori) nello
Stato di San Paolo è citato come esempio (esempio peraltro poco
seguito). Egli ha scelto e ordinato di chiudere tutto per due
settimane azzerando la mortalità e riducendo di molto le
ospedalizzazioni nei 1000 kmq del suo municipio.
Così dopo molti mesi di pandemia il quadro complessivo del
paese è grave sia sotto l’aspetto sanitario che
economico-sociale. Avere un’ampia parte di popolazione in
situazione di impoverimento tale da portare alla fame diventa
fattore a sua volta di aumento del contagio sia per
vulnerabilità fisica di corpi indeboliti che per impossibilità
crescente di applicare misure di prevenzione per mancanza di
mezzi o necessità di recuperare in ogni modo qualche entrata.
Vorrei tuttavia ricollocare questa situazione sanitaria di
estrema gravità nel contesto politico degli accadimenti delle
ultime settimane. Perché il legame fra andamento della pandemia
e malgoverno è ormai ineludibile, così come il fatto che il
malgoverno è conseguenza del negazionismo fascistizzante
dell’esecutivo. La cosa è tanto vera che è anche stata
autorizzata una commissione parlamentare di inchiesta per
chiarire omissioni e responsabilità dell’esecutivo federale.
Il fatto più importante di questi ultimi giorni
è stata la sentenza del STF/Supremo tribunale federale in seduta
plenaria, che il 15 aprile ha confermato la decisione
monocratica del ministro Edson Fachin di inizio marzo che
accoglieva il ricorso degli avvocati difensori dell’ex
presidente Luiz Inácio Lula da Silva, Cristiano Zanin e Valeska
Martins, sull'incompetenza della giustizia
federale di Curitiba a giudicare Lula. Una posizione difesa fin
dal 2016 e che, risalendo lungo i diversi livelli della
magistratura, è approdata al STF. Di conseguenza le sentenze
emanate a Curitiba decadono
definitivamente e con esse le condanne
dell’ex presidente, che riacquisisce anche i propri diritti
politici. Una lunga strada lungo la quale parte del destino del
paese è stato stravolto.
Altro punto che verrà sottoposto a giudizio probabilmente a
partire dai prossimi giorni, sempre nel plenario del STF,
riguarda l’imparzialità del giudice Sérgio Moro. Già da giugno
2019 le registrazioni delle comunicazioni fra Moro e i
procuratori della Lava Jato, resi noto da The
Intercept Brasil, mostravano un quadro di
disinvoltura (per usare un eufemismo) procedurale grave. E molto
altro continua a emergere da quanto raccolto da Walter Delgatti
Neto. Indicativo è l’articolo molto ampio uscito su Le Monde
dell’11 aprile 2021, in cui si indicano i collegamenti
programmati fra l’Operazione Lava Jato e il
Dipartimento di Giustizia degli Usa. Molti
interessi internazionali si sono intrecciati a quelli di gruppi
brasiliani nel cammino eversivo che ha portato alla deposizione
anticostituzionale della presidente Dilma Rousseff,
all'esclusione di Lula dalla competizione elettorale
presidenziale del 2018 e infine all’ascesa alla presidenza
di forze neofasciste. Non sono notizie nuove, il saggio dei
difensori di Lula su Lawfare (ed. Contracorrente,
San Paolo 2019) documentava già molti fatti, ma il significato
dell’articolo di Le Monde è il riconoscimento di un
soggetto terzo, cioè esterno agli accadimenti, di quanto detto
da tempo dalle parti coinvolte.
Come verrà ristabilita la legalità e un percorso di
ricostruzione della nazione non è domanda alla quale sia facile
rispondere, dipende molto dalla capacità di lotta e di proposte
delle forze democratiche brasiliane. Ma una vigilanza da parte
di aggregazioni democratiche internazionali è componente
necessaria, utile e anche di prudenza perché è illusorio pensare
che un blocco fascistizzante come quello che si è formato in
Brasile non coltivi collegamenti internazionali con altri
settori similari, che non mancano anche in diversi paesi europei.
Penso che sarebbe infantile, e anche imprudente, fingere di non
vedere questa possibilità che è probabilmente una certezza, di
cui peraltro ci sono indizi.
Vorrei ancora soffermarmi su due date: il 31 marzo-1°aprile
1964 avveniva il colpo di Stato militare in
Brasile destinato a prolungare le sue tetre ombre per oltre
vent’anni e a contagiare con il suo veleno l’America del Sud. In
quelle brevi ore tutte le sedi di sindacati, partiti,
associazioni democratiche e popolari furono meticolosamente
attaccate e devastate, dirigenti arrestati in massa, carri
armati e pattuglie aggressive occupavano le strade mentre nelle
campagne squadracce al servizio degli agrari assassinavano con
odio contadini e dirigenti delle leghe. Il generale Braga Neto,
appena nominato ministro della Difesa, ha
ritenuto opportuno in questo 31 marzo 2021 rivendicare quel
momento e quanto ne è seguito, affermando che era qualche cosa
da commemorare. Infatti il governo al momento al potere e la
molto numerosa componente militare dello stesso continuano a
difendere la dittatura militare, inclusa la tortura utilizzata
come strumento di Stato. Questo crea anche tensioni all’interno
delle forze armate, tanto è
vero che proprio a fine marzo, di fronte alle manovre del
presidente per sostituire il ministro della Difesa,
i comandanti dei tre corpi si sono dimessi e altri sono stati
nominati.
Abitualmente in coincidenza con le date del 31
marzo-1°aprile si tengono diverse iniziative per chiedere di
salvaguardare i luoghi della memoria della resistenza alla
dittatura, di continuare a cercare i corpi degli scomparsi
politici e i responsabili degli stessi, di promuovere la
revisione della legge di amnistia molto favorevole a chi si è
macchiato di delitti imprescrittibili di tortura, di dare inizio
a una riorganizzazione in senso democratico della formazione dei
militari. Quest’anno a causa della pandemia non è stato
possibile realizzare iniziative in presenza. Voglio però
ricordare le parole dette dalla procuratrice regionale della
Repubblica Eugênia Gonzaga, già presidente della Commissione
Speciale su Morti e Scomparsi
Politici fra il 2014 e il 2019, in
un'intervista nel programma Cai Na Roda della TV GGN
sabato 3 aprile. Secondo Eugênia Gonzaga, il modo in cui venne
gestita la fine della dittatura militare è stato completamente “ingannevole”.
Il paese non ha mai riconosciuto la storia dei 21 anni di
repressione come effettivamente è avvenuta. La transizione alla
democrazia è stata “truccata” dai militari; fu “basata
sull’oblio, la menzogna, la negazione”, sulla privazione di
informazioni ai familiari dei morti e degli scomparsi politici.
Il lavoro di ricerca della verità, del ripristino della memoria
e della riparazione alle famiglie delle vittime ha fatto
progressi soprattutto fra il 2002 e il 2014, ma è stato di nuovo
smobilitato con l’ascesa al potere di Jair Bolsonaro, un
estimatore della dittatura e dei torturatori. Il grande passo
verso la Giustizia di transizione in Brasile è stato la
creazione della Commissione di amnistia nel 2002 presso il
Ministero della Giustizia. Essa ha riconosciuto
più di 30.000 persone come vittime della dittatura, ha approvato
indennizzi, presentato scuse formali nel nome dello Stato,
appoggiato e incentivato iniziative di recupero della memoria
come espropri e creazione di spazi pubblici di esposizioni che
raccontano la storia degli anni di piombo. Ma oggi, dice ancora
Eugênia, la Commissione speciale è “smobilitata”. “L’attuale
presidente ritiene che non sia obbligo della Commissione cercare
i corpi e che i familiari avrebbero dovuto fare richiesta prima.
Noi ritenevano che fosse obbligo dello Stato fare le ricerche.
Bolsonaro ha nominato persone notoriamente contrarie ai compiti
della commissione e questo frustra l’obiettivi della legge di
amnistia”.
Aggiungo ancora le parole della ex presidente Dilma
Rousseff in un’intervista nel programma Prerrô del gruppo
giuridico Prerrogativas nella TVT .“Io credevo che
esistesse una democrazia stabile in Brasile. Ma mi sbagliavo
del tutto. E non ero solo io. La maggioranza dei miei coetanei,
se ci sarà autocritica, vedrà che si era sbagliata”. Secondo
Dilma, il Brasile dovrà passare per un lungo processo di “ricostruzione”
delle istituzioni e delle politiche sociali, ma questo
richiederà organizzazione popolare, “gente in piazza”. “Mai
avevamo pensato che il grado di fragilità della democrazia
brasiliana fosse tale da permettere un leader della nazione del
tipo di Bolsonaro. Se non ci sarà mobilitazione, aumento di
coscienza e potenziale di organizzazione, non potrà
esserci cambiamento stabile”.
Oggi, 17 aprile 2021 in cui scrivo queste righe, si
completa il quinto anno da quando, il 17 aprile 2016, la Camera
dei Deputati votò, in base ad accuse non
documentate e non previste dalla Costituzione del 1988 e in
seguito all’azione eversiva del presidente della Camera Eduardo
Cunha e alla cospirazione fra gli altri del vicepresidente
Michel Temer, l’autorizzazione all’avvio della procedura di
impeachment della presidente Rousseff. E così si è arrivati
all’attuale situazione in cui un governo fascistizzante, dopo
avere distrutto lo stato sociale e l’economia,
ora distrugge i corpi dei cittadini collaborando con il virus.
San Paolo, 18/4/2021; informazioni tratte dai blog Brasil
247, Brasil de Fato, ConJur, Jornalistas Livres
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cura di Nicoletta Manuzzato |