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Il Brasile tornerà ad essere dei brasiliani

Il Brasile vive un tempo sospeso in attesa delle decisioni che riguardano soprattutto Luiz Inácio Lula da Silva, sempre incarcerato in modo illegale, sempre in cima ai sondaggi, sempre presente nei dibattiti dal fondo di un commissariato di polizia in mezzo a una piazza persa in una città di modesto rilievo. Intanto il governo golpista si affanna a portare a termine i compiti illegali che l'élite del retrocesso ha ordinato. Si traducono due articoli: uno di Lula sulla svendita del pré-sal, l'altro di Eugenio Aragão sul STF /Supremo tribunale federale di taglio giuridico, dal momento che parte del potere giudiziario si è attribuita il compido di promuovere l’illegalità. (T.I. - 3/7/2018)

Mentre il Brasile assisteva alla Coppa del Mondo, la Camera dei Deputati approvava, con procedura d’urgenza, una delle leggi più vergognose della sua storia. Con una maggioranza semplice di 217 voti hanno deciso di vendere agli stranieri il 70% degli immensi giacimenti del pré-sal che la Petrobras aveva ricevuto direttamente dal governo nel 2010. È stato un altro passo del governo golpista e dei suoi alleati per consegnare le nostre ricchezze e distruggere la maggiore impresa del popolo brasiliano.

Il progetto di legge approvato la settimana scorsa è un crimine contro la patria, che esige una reazione ferma della società per essere bloccato in Senato, prima che sia troppo tardi. Allora avevamo presentato un progetto di legge in cui l'Unione (alla quale appartengono le riserve di petrolio, non si dimentichi) vendette alla statale, in cambio di titoli, il diritto di sfruttare fino a 5 miliardi di barili di petrolio in giacimenti del pré-sal. Fu la cosiddetta Concessione Onerosa. Così l’impresa si valorizzò, fece la maggiore operazione di capitalizzazione della storia e fu in grado di investire. Il risultato è stato che, in tempo record, il pré-sal già produce 1,7 milioni di barili al giorno, oltre la metà della produzione nazionale.

Dal momento che era un'operazione speciale, per difendere gli interessi strategici del paese, nella legge 12.276/10 abbiamo stabilito che la Concessione Onerosa fosse “intrasferibile”. Al di fuori da quest’area, il pré-sal può essere sfruttato solo in regime di condivisone, attraverso una normativa che garantisce la sovranità del paese e indirizza questa ricchezza verso investimenti in educazione, salute, scienza e tecnologia, il nostro passaporto per il futuro.

Già circolano studi che il petrolio dei campi della Concessione Onerosa sarà venduto a prezzi fra 6 e 8 US$ al barile, che è il costo di estrazione, mentre il prezzo del barile oscilla fra 70 e 80 US$. Le probabilità di trovare petrolio in questi giacimenti sono praticamente totali, perché noi brasiliani abbiamo già mappato le aree. Per le compagnie petrolifere, è come comprare un biglietto vincente alla lotteria. Per il Brasile è come vendere la gallina della favola, che poneva uova d'oro. Con il possesso di quei giacimenti gli stranieri compreranno sonde e piattaforme all’estero, senza creare neanche un posto di lavoro nell’industria brasiliana. Contratteranno ingegneri e tecnici all’estero; controlleranno direttamente tutte le conoscenze di ricerca e sfruttamento del nostro pré-sal, ciò che è ancora un attacco alla nostra sovranità.

Questo attacco avviene dall’inizio del governo golpista, quando hanno approvato la cosiddetta Legge Serra, che esclude la partecipazione obbligatoria della Petrobras in tutti i giacimenti del pré-sal. Fu un altro colpo all’industria navale brasiliana, che si aggiunse alla decisione di ridurre al 50% l’obbligo per la Petrobras di comprare macchine e attrezzature in Brasile, la cosiddetta componente nazionale. Alla presidenza della Petrobras Pedro Parente, rappresentante del PSDB/Partito della socialdemocrazia brasiliana, avviò la privatizzazione delle attività strategiche, come la produzione di biocombustibili, la distribuzione di gas da cucina, la produzione di fertilizzanti e la partecipazione al settore petrolchimico. Ha messo in vendita la Liquigas, la BR Distribuidora, la fabbrica di azotati Três Lagoas e il gasdotto del Sudest (NTS). In altra manovra criminale, ha ridotto fino al 30% la produzione di combustibile nelle raffinerie brasiliane. Abbiamo smesso di produrre qui, in reais, per importare in dollari. Ha fatto un adeguamento quasi quotidiano dei combustibili, al di sopra dei prezzi internazionali, ciò che ha aumentato i profitti degli stranieri. L’importazione di olio diesel dagli Stati Uniti è più che raddoppiato.

Non possiamo dimenticare che i primi a soffrire con la nuova politica di prezzi della Petrobras sono stati i più poveri, che hanno cominciato a usare legna e il pericolosissimo alcool per cucinare, a causa del brutale aumento della bombola del gas. Questa disastrosa politica ha provocato, in maggio, la paralisi dei trasporti terrestri che tanti pregiudizi hanno causato al paese. La Ipea ha appena informato che la produzione industriale in quel mese è caduta del 13,4%. Non vi è stata pari caduta nemmeno nel primo mese della crisi finanziaria globale del 2008, quando la recessione fu del 11,2% (ed è bene ricordare che abbiamo superato rapidamente quella crisi).

In due anni ci sono stati più di 200.000 licenziamenti della Petrobras e delle imprese da lei contrattate, oltre a più di 60.000 licenziamenti nell’industria navale. L’industria di macchine e attrezzature calcola una perdita di un milione di posti di lavoro nella filiera del petrolio e del gas in conseguenza di questa operazione suicida. La svalorizzazione del patrimonio della Petrobras, con la vendita di imprese controllate, la perdita del mercato in Brasile, l’opzione di diventare semplice esportatrice di olio grezzo, insieme ad altre azioni dannose della Petrobras, è decine di volte maggiore che i supposti sei miliardi di reais che sarebbero stati deviati nei casi indagati dalla Lava Jato.

La votazione della settimana scorsa nella Camera, con procedura di urgenza, senza nessun dibattito nella società, ha dimostrato che il governo golpista ha una fretta disperata di consegnare il patrimonio nazionale e di distruggere la nostra massima impresa. È vero che il loro tempo sta finendo. Corrono per consegnare quello che hanno promesso ai patrocinatori del golpe dell’impeachment nel 2016; il nostro petrolio, le nostre ricchezze, le imprese del popolo, la Petrobras, l’Eletrobras e le banche pubbliche. È stato per questo, e per ritirare i diritti dei lavoratori, che hanno deposto l'onesta presidente Dilma Rousseff.

Nel corso di due anni, i golpisti e i “donatori” del PSDB hanno sottomesso il Brasile agli interessi geopolitici degli Stati Uniti e non solo la Petrobras. La politica estera dei ministri tucani è tornata ad essere dettata dal Dipartimento di Stato degli USA, in un ritorno vergognoso al complesso del bastardino che avevamo superato nel nostro governo. Ma il loro tempo finisce a ottobre, quando il Brasile eleggerà un governo democratico, con la legittimità per capovolgere l’agenda della consegna, dell’ultraliberismo, che interessa solo al mercato e non al paese o al nostro popolo: quando il Brasile eleggerà un governo che finirà con festa delle privatizzazioni e la consegna del patrimonio nazionale. Potete essere certi: tornando al governo con la forza del popolo e la legittimazione del voto democratico, capovolgeremo tutto quello che si sta facendo contro la nostra gente, contro i lavoratori e contro il paese. E il Brasile tornerà ad essere dei brasiliani.

Luiz Inácio Lula da Silva

Lettera inviata da Luiz Inácio Lula da Silva al Jornal do Brasil e pubblicata il 2 luglio 2018 - Traduzione e introduzione di Teresa Isenburg

Contro i cavilli giudiziari

Eugenio Jose Guilherme de Aragão*

Giovedì 22 giugno il Brasile è stato sorpreso da una svolta processuale repentina nel calvario imposto al Presidente Lula a proposito della chimera dell’appartamento di Guaruja. Il TRF4/ Tribunale Federale Regionale della 4a regione per quaranta giorni non ha manifestato giudizio di ammissibilità dei ricorsi speciale e straordinario presentati dal STJ/Superiore tribunale di giustizia e dal STF/Supremo tribunale federale, in riferimento al rapidissimo giudizio di appello dello scorso gennaio. Dopo ripetuta insistenza della difesa il presidente del TRF4, dopo aver lasciato i documenti dormienti nel disco virtuale per quaranta giorni, li ha presentati al pubblico ministero per il suo ovvio parere, chiaramente rifiutando di accogliere i ricorsi. E ora, essendo già stato programmato il ricorso cautelare nel collegio del STF, per anticipare il giudizio di ammissibilità, la vice presidente del TRF4 decide di alzarsi dal suo lungo sonno di bella addormentata e prende sommariamente la decisione di non accettarlo come ricorso straordinario. Il ricorso speciale, è vero, è stato accettato, perché il STF, al quale sono destinate le stesse misure cautelari di anticipo del giudizio di ammissibilità, era già stata bloccato monocraticamente dal relatore.

È proprio qui che si capisce dov’è la furbizia, l’ardore sleale. Diversamente da quanto successo nel STJ, nel STF il relatore, dopo aver negato la decisione provvisoria di sospendere il ricorso straordinario, ha sottoposto la domanda al Collegio dei ministri. La domanda cautelare doveva essere giudicata martedì 26 giugno. Non possiamo non notare come la sveglia repentina del Tribunale del sud (TRF4), convenientemente dormiglione, abbia impedito l’ordine restrittivo. È evidente che questo ricorso non è stato ammesso per bloccare l’avanzamento del giudizio del ricorso straordinario. Ancora una volta alla difesa del Presidente Lula è stato impedito di continuare.

Il modus operandi del TRF4 è la cosa più impressionante. Il tribunale, lo scorso gennaio, ha deciso di presentare la decisione riguardo l’appello della sentenza di condanna per l’appartamento di Guaruja, redatta senza prove, durante le ferie. Il tribunale ha fatto avanzare questo processo prima di decine di altri, giustificando l’esigenza di un giudizio veloce ed efficace con la scusa dell’interesse pubblico del processo. Il voto del Collegio dei ministri è stato unanimemente a favore della condanna di Lula, ma per come si è svolta la votazione era evidente che non vi era stato dibattito e che la decisione era stata presa in anticipo. Hanno fatto orecchie da mercante. Nessuno ha voluto, o ha osato, impedire la prigione, che è stata decisa con una forzatura evidente della Costituzione, che prevede la presunzione d’innocenza fino all’esaurimento dei ricorsi. Com’era previsto, la decisione della prigione è arrivata molto velocemente, prima ancora della pubblicazione del rifiuto dei ricorsi.

Dopo tutto ciò è arrivato un periodo buio. Il Presidente Lula, in carcere da più di settanta giorni, è indicato come candidato alla Presidenza della Repubblica per il suo partito e si trova al primo posto di tutti i sondaggi elettorali, ma allo stesso tempo non può partecipare a interviste, dibattiti e campagne elettorali, trovandosi in una posizione di svantaggio obbligata a causa di giudici capricciosi. Si sentono voci giurisdizionali che minacciano che non possa candidarsi alle prossime elezioni. Adesso nessuno ha fretta e nessuno dà un’opinione in merito al processo prima delle elezioni, pur essendo consapevoli che la condanna riguardo all’appartamento di Guaruja non si sostiene sul piano probatorio e che è data da un giudice parziale che lo mantiene in carcere per allontanarlo dalle elezioni politiche.

Allo stesso tempo la presidente del STF non si è assunta la responsabilità e ha dichiarato che non si sarebbe potuto dare al Presidente Lula un trattamento privilegiato, e che per questo motivo non esiste alcuna considerazione urgente per il suo caso. È però vero che il suo trattamento è stato speciale dall’inizio, con la stampa alla gola e i tempi anticipati. L’intervallo tra la fretta opportunista e la lentezza programmata per impedire qualsiasi reazione efficiente da parte della difesa, le dichiarazioni pubbliche di giudici e procuratori, i giudizi previ lanciati dalla stampa, questi elementi denotano un trattamento fuori dal comune. Inoltre la presidente del STF ha fatto in modo di non presentare le azioni dichiaratorie di costituzionalità che avrebbero potuto ristabilire il principio di presunzione di innocenza, così che il Presidente Lula non beneficiasse di un riposizionamento giurisprudenziale.

Quando è stata annunciata la possibilità per il Collegio del STF di riesaminare l’incarcerazione del Presidente Lula, e di giudicare il provvedimento cautelare e l’anticipo dell’effetto sospensivo del ricorso straordinario interposto, la maggioranza di brasiliani con discernimento non ha dimostrato molta speranza, perché il quadro attuale è quello di un potere giudiziario che si presenta eccessivamente tortuoso. Poco più di quaranta minuti dopo la decisione della vice-presidente del TRF, che ha negato l’ammissione del ricorso straordinario, ha avuto luogo la decisione del relatore sul provvedimento cautelare, che l’ha ritenuto già giudicato, e dunque non l’ha inviato al collegio del TRF, che avrebbe dovuto giudicarlo martedì 26 giugno.

Il timing della decisione che estingue la domanda cautelare suggerisce che il gioco fosse truccato. I ministri del STF sono stati esclusi dalla decisione di concedere o meno la libertà al presidente Lula. È comunque importante osservare che l’estinzione del provvedimento cautelare non è un corollario necessario della decisione che ha permesso il ricorso straordinario. Lo stesso STF ha deciso che, proferito il giudizio di ammissibilità, positivo o negativo, si instaura l’istanza ad quem. Davanti all’evidente manovra del TRF, il STF avrebbe dovuto reagire e mantenere l’agenda, perché i magistrati dei supremi non meritano di essere omaggiati con il ritiro dell’istanza che gli ha messo i bastoni tra le ruote.

Per far sì che il STF mantenesse l’agenda sarebbe stato sufficiente appellarsi al principio della fungibilità dei mezzi di ricorso, che prevale nel processo penale brasiliano. In questo modo il STF avrebbe potuto ricevere il provvedimento cautelare come un "agravo de instrumento", per forzare la presentazione del ricorso straordinario. Il STF avrebbe potuto dare un tempo di 24 ore per la manifestazione della difesa, garantendo così il giudizio che si sarebbe dovuto tenere martedì 26. Questo è il minimo che ci si potrebbe aspettare da un tribunale supremo, che ha il dovere di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, così come il dovuto processo legale, il giudizio giusto e la durata ragionevole di un processo. Se al contrario non si rispetta l’agenda, infatti, qualsiasi nuova decisione rispetto all’ammissibilità verrebbe posticipata ad agosto per via del periodo di ferie. Questo prolungherebbe il calvario del Presidente Lula, causato da una violazione della costituzione.

C’è ancora tempo. La difesa può e deve sollecitare di riconsiderare di mantenere l’agenda, ma la domanda è: il STF si inchinerà al cavillo o metterà ordine nel processo per ristabilire la rispettabilità macchiata della giustizia brasiliana? Saranno le prossime ore a dirlo.

*ex ministro della Giustizia del governo della Presidente costituzionale Dilma Rousseff, già Procuratore della Repubblica

Fonte: diversi blog fra cui DCM. Traduzione a cura del Collettivo Garibaldi

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato