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Lawfare, la legge come un'arma di guerra

Vorrei presentare un libro scritto da Cristiano Zanin, Valeska Martins & Rafael Valim, Lawfare: uma introdução, ed. Contracorrente, São Paulo, 2019, p. 147, ISBN 9 788569220626. Avvocati, i primi due della difesa tecnica dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, tutti fondatori e conduttori dell’Istituto Lawfare (http://lawfareinstitute.com/ creato a San Paolo nel 2017 e collegato al SOAS University of London, School of Oriental and African Studies), gli autori hanno messo a punto una sistemazione teorica e un'illustrazione di casi della pratica di lawfare. Al momento il testo è in portoghese, ma sarà presto disponibile una versione in inglese: val la pena di leggerlo con attenzione. Ma che cosa è il lawfare? Neologismo apparso in un articolo nel 1975 per la contrazione delle parole law (diritto) e warfare (guerra) è stato variamente interpretato nei decenni successivi fino ad essere sintetizzato, nel 2016, in uno studio di un docente statunitense di diritto internazionale, Orde F. Kittrie, nel titolo Lawfare: Law as a weapon of war (Lawfare: la legge come un’arma di guerra).

"Abbiamo avuto molti segni, almeno dal 2013, che qualche cosa di cattivo veniva inoculato nel nostro paese" (p. 9): con queste parole intense si apre il lavoro. È nel corso del loro mandato professionale come difensori di Lula che gli autori si sono trovati di fronte a un contesto imprevisto, che li ha portati a intraprendere uno studio a largo raggio per cercare di decodificare uno scenario nebbioso. "La persecuzione penale contro l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha rappresentato un profondo cambiamento di paradigma nel Diritto brasiliano e, in specifico, nel sistema di giustizia brasiliano. Non si era in presenza di semplici errori di procedura o di giudizio del potere giudiziario. C’era metodo e intenzioni chiare in tutto quell’insieme di atti processuali ed extraprocessuali dello Stato, che rivelavano un’inaudita strumentalizzazione del Diritto per distruggere una persona considerata nemica. Il Diritto smetteva di essere un’istanza di soluzione pacifica di controversie per trasformarsi in modo perverso in un’arma dello Stato per abbattere i nemici di turno. Un fenomeno inedito era in attesa di un nome e lawfare senza dubbio costituiva la designazione più eloquente per quella vera guerra giuridica (…) Da quel momento lawfare significa (per quello che ci sembra) l’uso strategico del Diritto al fine di delegittimare, pregiudicare o annichilire un nemico" (p.20).

"Abbiamo anche verificato nell’approfondimento degli studi, scrivono gli autori, che il lawfare fa parte delle forme non convenzionali di guerre e di dispute militari, geopolitiche, politiche e anche commerciali dell’attualità che usano il Diritto e le operazioni psicologiche di guerra per raggiungere risultati illegittimi. Il lawfare è una delle manifestazioni delle "guerre ibride", previste in manuali dell’esercito nordamericano dal 2018 (TC 18-0/Special Forces Unconventional Warfare/Forze speciali della guerra non convenzionale)" (p.12).

Perché ci interessa questo argomento? "Si tratta in realtà di un fenomeno complesso, multisfaccettato e che occupa un posto centrale nella riflessione sulle traballanti democrazie costituzionali contemporanee, nella misura in cui esso è in grado di minare in un sol colpo il principio maggioritario e lo Stato di Diritto" (p. 15). Infatti "nella definizione di lawfare appare (…) la finalità di uso strategico (tipico del linguaggio militare e bellico) del Diritto, cioè, pregiudicare, delegittimare o distruggere un nemico (…) Ma in una vera democrazia costituzionale non si ammette in alcun modo la figura del nemico. Tutte le persone sono titolari di uguali diritti e doveri e meritano uguale trattamento da parte di tutte le autorità pubbliche. Il lawfare, invece, nella luminosa espressione del giurista argentino Raúl E. Zaffaroni, trattando da nemico, 'introduce di contrabbando la dinamica della guerra nello Stato di Diritto' (…) Nella situazione di lawfare, sotto un’apparenza di giuridicità, si possono commettere tutte le atrocità senza alcun limite" (p.28).

L’uso strategico del Diritto opera su tre dimensioni: geografia, armamento, esternalità. "Il campo di battaglia è rappresentato dagli organi pubblici incaricati di applicare il Diritto (p.36) (…) l’armamento è rappresentato dall’atto normativo selezionato per ferire il nemico scelto… Fra i riferimenti legali più usati da coloro che praticano il lawfare si distinguono quelli di anticorruzione, antiterrorismo e quelli relativi alla sicurezza nazionale (...) che portano con sé concetti vaghi (p.38) (…) Le esternalità nell’ambito del lawfare consistono in tecniche di manipolazione di informazione" (p.51).

Chi può essere colpito da pratiche di lawfare? "Si noti che abbiamo usato nella definizione il termine 'Diritto' per indicare che ogni e qualunque norma giuridica – atti legislativi, giurisdizionali o amministrativi – e ogni e qualunque operatore - organi legislativi, giurisdizionali e amministrativi – possono deflagrare il fenomeno lawfare" (p.27). "Il lawfare, in particolare di natura politica, è permeato di attivismo giudiziale che cerca nella 'lotta alla corruzione' una delle sue giustificazioni predilette e da cui discendono profonde distorsioni nella dinamica democratica per la fraudolenta santificazione e demonizzazione di attori politici" (p.32). "Una specie più complessa di lawfare con finalità commerciale e geopolitica si sviluppa con l’utilizzo di meccanismi transnazionali di persecuzione (…) Imprese e impresari di tutto il mondo sono puniti e obbligati a pagare elevate somme alle casse nordamericane perché accusati, con l’aiuto di autorità locali, di violazione della FCPA/Foreign Corrupt Practices Act partendo da interpretazioni esotiche" (p.38).

I tre casi di studio che vengono illustrati sono quello commerciale e geopolitico della Siemens fra 2006 e 2008; quello del senatore repubblicano Ted Stevens nel 2006 e anni seguenti; infine quello non occultabile di Lula, che qui si traduce. Leggere le pagine al riguardo fa venire freddo nella schiena.

In apertura gli autori dichiarano che "l’intento di questo libro, dunque, è di inserire il lawfare nel dibattito nazionale e internazionale" (p.13); in conclusione ribadiscono che si tratta di "un argomento centrale per le democrazie costituzionali contemporanee (che) impone grandi difficoltà, a cominciare dalla pluralità di conoscenze necessarie per capirlo (…) Il lawfare è una questione grave che merita un trattamento serio e conseguente (…) In questo momento molte persone, in tutti i continenti, sono vittime di una guerra diffusa, non dichiarata, ma ugualmente mortale (…) Nel nome della 'lotta' alla corruzione, al terrorismo, e sotto altre 'lodevoli' bandiere, si distruggono il Diritto e i diritti" (p. 125). (T.I. 8/1/2020)

Il caso Lula (pp.116-124)

L’accerchiamento giudiziario imposto all’ex presidente Lula nell’ambito della cosiddetta Operazione Lava Jato è uno dei più chiari esempi attuali della pratica di lawfare per fini politici, geopolitici e commerciali. Diversi fattori ci portano a tale conclusione. In primo luogo è chiarissima la scelta di una giurisdizione favorevole partendo da criteri artificiali. Infatti non è stato per caso né seguendo i criteri legali che le principali indagini contro Lula e, in seguito, le principali azioni penali contro di lui – inclusa quello che ha portato alla detenzione - abbiano avuto origine nella 13a sezione federale criminale di Curitiba, dove era insediato l’allora giudice federale Sérgio Moro.

Lo Stato di Paraná ha 450 km di frontiera con il Paraguay e l’Argentina, oltre che con tre altri Stati della Federazione. Luoghi di triplice frontiera internazionale sono oggetto di speciale attenzione da parte degli Usa con la giustificazione della lotta al terrorismo e a organizzazioni criminali. Dagli anni '90 i nordamericani operano direttamente in questa regione, condividendo informazioni e notizie ottenute dai loro servizi di sicurezza e anche con formazione di agenti pubblici e privati. L’addestramento di agenti da parte dei nordamericani raggiunge anche giudici e procuratori. Wikileaks ha informato per esempio della realizzazione nel 2009 a Rio de Janeiro di un corso per giudici e procuratori del Brasile e dell’America Latina. Uno dei partecipanti era l’ex giudice federale Sérgio Fernando Moro. Egli ha anche avuto intenso contatto con autorità nordamericane nel periodo in cui ha partecipato alla ENCLA – Strategia nazionale di lotta alla corruzione e al riciclaggio di denaro, progetto che durante il governo Lula ha interessato diverse autorità nazionali e straniere (…)

È fatto indiscusso che la NSA/Agenzia nazionale di sicurezza degli Stati Uniti ha spiato la Petrobras e decine di autorità brasiliane del primo livello della Repubblica. Tale spionaggio è divenuto di pubblica conoscenza nel 2013 a partire dalle rivelazioni di Edward Snowden. È quindi possibile concludere che gli Stati Uniti abbiano raccolto dati sul Brasile a partire dallo spionaggio e dopo una selezione – con criteri non noti – abbiano consegnato il materiale a procuratori della Repubblica del Gruppo di lavoro della Lava Jato attraverso una "cooperazione informale". Video annessi ai processi giudiziari mostrano la soddisfazione dei procuratori nordamericani il giorno della prima condanna contro Lula; ciò permette di concludere che la persecuzione contro l’ex presidente sia stata una delle condizioni imposte dagli Stati Uniti in cambio di tale "cooperazione informale" e dell’aiuto nella "costruzione" del caso.

È in questo contesto che entra in scena l’ex giudice Sérgio Moro nelle indagini e nei processi contro Lula (…) La legislazione brasiliana prevede criteri per fissare o modificare la competenza. Di regola è competente il giudice o l’organo giudiziario in cui è avvenuto il supposto crimine (art. 69 del Codice di procedura penale). Tuttavia nelle accuse formulate dalla Lava Jato di Paraná contro Lula nessun fatto è avvenuto a Curitiba. È vero che il Supremo Tribunale Federale (si veda oltre la scheda sul STF), con un’interpretazione elastica della legge, nel settembre 2015 ha stabilito che indagini e azioni relative alla Petrobras avrebbero dovuto essere condotte dalla 13a sezione federale criminale di Curitiba. Tuttavia mai vi è stata dimostrazione che qualsivoglia valore proveniente dalla Petrobras fosse stato destinato a Lula (…) In disprezzo di ogni norma Moro ha accettato di essere scelto per presiedere le azioni penali e le misure cautelari richieste dalla Lava Jato di Curitiba contro Lula. Anzi, ha agito intensamente per conservare questa indebita competenza (…) Si configura quindi la prima dimensione di lawfare nel caso concreto, cioè la scelta della giurisdizione più favorevole che, nel caso di Lula, era una giurisdizione già impegnata alla condanna.

Dal punto di vista della seconda dimensione di lawfare, cioè la scelta delle norme giudiziarie da utilizzare come armi, la Lava Jato ha deciso di indagare e processare Lula in base alla Legge di organizzazione criminale (Legge n. 12.850 del Codice penale) e a disposizioni legali che trattano di corruzione (art. 317 del Codice penale) e riciclaggio di denaro (Legge 9.613/99). Questo per ottenere i seguenti vantaggi nella guerra giuridica contro Lula: i) uso di delazioni premiate; ii) impiego di concetti giuridici elastici; iii) tentativi di stigmatizzare Lula includendo condotte di alta riprovazione sociale. In parallelo vi è stata un’intensa campagna mediatica promossa dalla stessa Lava Jato, completando la terza dimensione del lawfare, le esternalità.

Infatti dal 2015 la stampa, alimentata da componenti della Lava Jato, ha cominciato a pubblicare diverse ipotesi accusatorie soprattutto (suppostamente) legate a Petrobras. Il 4 marzo 2016 Lula è stato sottoposto a conduzione coercitiva ampiamente fotografata e seguita dai media (…) In seguito è accaduto uno dei più scabrosi atti di tutta la persecuzione contro Lula: la convocazione e la realizzazione di una conferenza stampa collettiva dei procuratori del Gruppo di lavoro della Lava Jato, con il supporto di power point, il giorno in cui veniva protocollata la prima denuncia contro l’ex presidente nelle giustizia federale di Curitiba. Tale power point conteneva diverse frecce che puntavano verso Lula, al centro, come "comandante massimo" di un'organizzazione criminale (…) Tale pubblica esibizione è incompatibile con la garanzia costituzionale di presunta innocenza. Inoltre i procuratori di Curitiba non avevano neppure l’autorità di attribuire a Lula tali imputazioni, dal momento che il tema era oggetto di indagini specifiche in corso presso il Supremo Tribunale Federale (…) Quello spettacolo mediatico (…) non avrebbe mai dovuto aver luogo. Nel corso dei processi nessuna prova di colpa contro Lula è mai stata prodotta dall’accusa (…)

Il risultato concreto è che a Lula è stato impedito di concorrere alle elezioni presidenziali del 2018 partendo da una condanna previamente stabilita (…) La condanna e la detenzione di Lula sono da un lato legate a fattori politici interni. Esse resero possibile l’ascesa e l’elezione di un progetto politico che difficilmente si sarebbe potuto concretizzare in uno scenario diverso. E il principale responsabile per la condanna e la detenzione di Lula, l’ex giudice Sérgio Moro, è diventato un attore rilevante di questo stravagante scenario politico. Dall’alto lato la condanna e la detenzione di Lula, così come tutto il logoramento dell’universo politico rappresentato dall’ex presidente, hanno permesso che la Petrobras e, di conseguenza, tutti i beni da essa detenuti, in particolare in rapporto al cosiddetto pré-sal, potessero essere offerti al mercato internazionale. Sono state svuotate di significato le regole per l’attività petrolifera stabilite durante il governo Lula (…) L’uso perverso contro Lula di tali processi e delle leggi hanno reso possibili risultati politici e geopolitici che non sarebbero stati raggiungibili per le strade tradizionali. Per questo e per la rilevanza del caso, riteniamo che la vicenda dell’ex presidente Lula sia uno dei maggiori esempi di lawfare nella situazione attuale.

La cupola del giudiziario

Fábio Konder Comparato*

Per dire la verità, il nostro Supremo Tribunale Federale/STF è nato già zoppo e continua a zoppicare da oltre un secolo. Solo che adesso il claudicare comincia a mettere in pericolo l’intero funzionamento della macchina statale. La sindrome del profondo aggravarsi di tale patologia si è manifestata da poco, quando il "guardiano della Costituzione", per un solo voto di spareggio e in due sedute di giudizio che hanno consumato ore di discussione, ha deciso che la norma fondamentale (della Costituzione del 1988) all’articolo 5°, paragrafo LVII, che non può essere revocato nemmeno attraverso emendamento costituzionale, continua ad essere in vigore…

È più che tempo, dunque, di fare la diagnosi patologica e iniziare immediatamente il trattamento terapeutico. La diagnosi dell’infermità, a mio modo di vedere, indica due cause principali della malattia che colpisce la nostra più alta Corte di Giustizia. La prima causa è apparsa nella stessa genesi del Tribunale, all’albeggiare del governo detto repubblicano nel nostro paese. Così come il federalismo, l’istituzione del Supremo Tribunale Federale altro non è stato se non una parodia della Costituzione nordemericana. Due sono state le gravi conseguenze di questo scimmiottare politico. La prima è di non avere tenuto nel minimo conto la differenza fondamentale del processo colonizzatore nell’America del Nord e in Brasile. Là tale processo è stato spezzettato; da cui l’idea di giustapporre o riunire (è il significato di foederatio in latino) le differenti colonie in un unico Stato. Al contrario il Brasile dalla Scoperta, fino all'estinzione della monarchia, al terminare del XIX secolo è sempre stato geopolicamente unitario. L’ovvia conseguenza di questo simulacro di imitazione è stata che fino ad oggi la colossale diseguaglianza fra gli Stati della Federazione Brasiliana (per non parlare dei municipi) ricade sulle spalle della cosiddetta Unione o governo centrale.

La seconda grave conseguenza di questa grossolana imitazione riguarda l’organizzazione del Potere Giudiziario. Credo che nessun giurista, con una minima conoscenza di diritto comparato, possa ignorare la storica differenza fondamentale fra common law e civil law. Nel primo sistema gli organi del Giudiziario possono creare norme giuridiche, mentre nel secondo essi si limitano a interpretare il diritto scritto, a cominciare dalla Costituzione. Da quel che sembra, il nostro Supremo Tribunale appare oggi incline a cambiare di sistema.

Accade che fra di noi l’eredità culturale lusitana ci ha portato a creare un diritto processuale pieno di ricorsi. Nella tradizione giuridica europea continentale, sia nel processo civile che in quello penale, i litiganti dispongono di due istanze di ricorso; recentemente alcuni paesi hanno creato una Corte di Giustizia superiore, con competenza per giudicare unicamente la costituzionalità della decisione finale, nella seconda istanza. Fra noi, in conseguenza della tradizione processuale lusitana, abbiamo finito per creare niente meno che quattro istanze processuali: la prima, del giudice di diritto singolo; la seconda, del tribunale di appello, statale o federale; la terza, del Superiore Tribunale di Giustizia /STJ e infine l’ultima, il Supremo Tribunale Federale.

Quest’ultimo, in base alla Costituzione Federale, processa e giudica originariamente niente di meno che 16 (sedici) tipi di azione; giudica con ricorso ordinario l’habeas corpus, il mandato di arresto, l’habeas data e il mandato di comparizione, decisi in unica istanza da Tribunali Superiori, se respinta la decisione, oltre al crimine politico e infine, con ricorso straordinario, tre tipi di giudizi considerati incostituzionali, oltre a decisioni che giudicano la legge locale contestata rispetto alla legge federale.

Nel 2013 la deputata Luiza Erundina aveva presentato alla Camera la Proposta di Emendamento Costituzionale n. 275, da me redatta, con l’obiettivo di riorganizzare il Supremo Tribunale Federale e il Superiore Tribunale di Giustizia, con una drastica riduzione di competenza in materia di ricorsi al Supremo Tribunale. Oggi penso che questa PEC potrebbe essere modificata con la soppressione di tutta la competenza del Supremo Tribunale in materia di ricorso. Inoltre la sopraricordata Proposta riorganizza completamente la composizione del STF. Pur mantenendo per gli attuali ministri la permanenza nella funzione fino al pensionamento, i componenti del Tribunale verranno scelti dal Congresso Nazionale e non dal Presidente della Repubblica. Partendo da una lista triplice di candidati indicati dal Consiglio Nazionale di Giustizia, dal Consiglio Nazionale del Ministero Pubblico e dall’Ordine degli Avvocati del Brasile.

*Professore emerito della Facoltà di diritto dell’Università di San Paolo/USP, dottore honoris causa dell’Università di Coimbra

Fonte: La terra è rotonda, 19/12/2019

Organizzazione e traduzioni di Teresa Isenburg

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a cura di Nicoletta Manuzzato