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Il Brasile nel contesto mondiale Alla vigilia di un’importante elezione internazionale, quella dell’Unione Europea, mi sembra non disutile allargare lo sguardo oltre i confini a noi più vicini, dato che si ripete spesso che le relazioni sono ormai continuativamente globali. La situazione di arretramento delle istituzioni democratiche in Brasile e in altri paesi dell’America del Sud non può non destare molta preoccupazione. Così come desta sconcerto la distante indifferenza dell’Unione Europea di fronte a deposizioni anticostatituzionali di capi di Stato, arresti arbitrari di cittadini condannati senza prove, persecuzioni giudiziarie in ambito politico note con la denominazione di lawfare: l’utilizzo di strumenti giudiziari come armi puntate contro un avversario trattato come nemico, non come un competitore politico nel normale confronto democratico. In questo momento sarebbe opportuno prestare attenzione alla persecuzione in atto contro Cristina Kirchner per escluderla dalla prossima competizione elettorale in Argentina. Si traducono quindi due articoli di analisi della situazione geopolitica brasiliana: dell’ex ministro della Difesa e degli Esteri, Celso Amorim, e del dirigente del PCdoB/Partito Comunista del Brasile, Renato Rabelo. (T.I. 27/4/2019) Adulazione e servilismo caratterizzano l'attuale diplomazia brasiliana Celso Amorim* È seducente vedere nelle manifestazioni di certi attori politici null’altro che un esotismo privo di senso, un insieme di bizzarrie di qualcuno che ha mal digerito teorie relative all’ascesa e caduta delle civiltà e che unisce a questa caratteristica una tendenza ostinata all’adulazione e al servilismo. Non si tratta solo di ignoranza storica, di bizzarria, esotismo o propensione al servilismo. Certo questi elementi sono presenti nella diplomazia dell’attuale governo brasiliano e nelle dichiarazioni discordanti e incoerenti di ministri, guru e familiari. A molte di esse seguono rapidamente smentite o reinterpretazioni che dovrebbero mitigare un po’ il loro più pernicioso significato. È stato questo il caso al riguardo dell’uso della forza per il “cambiamento di regime” in Venezuela. Quando si guardano le azioni e i fatti, subito tuttavia ci si rende conto che non è opportuna alcuna lettura innocente dell’infelice cammino che la nostra politica estera ha preso. Al di là dell’allineamento automatico, o come parti di esso, gli atteggiamenti che il Brasile viene assumendo, oltre che irrazionali e incompatibili con la nostra tradizione diplomatica, hanno cercato in modo sistematico di contribuire a un progetto in assonanza con lo “Stato profondo” di Washington rispetto all’ordine internazionale. Cambiamento di posizione sul conflitto Israele-Palestina, insulti alla Cina, minacce al Venezuela e distruzione dell’Unasur/Unione degli Stati Sudamericani, sostituita da un vago progetto di forum conservatore, il Prosur/ Foro per il Progresso dell’America del Sud, sono tessere di una strategia per rimodellare la struttura di potere che si andava formando a livello mondiale. Passata la Guerra Fredda, dopo un periodo relativamente breve in cui l’egemonia degli Stati Uniti non era messa in discussione, fra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo, si andava configurando un mondo multipolare, senza una potenza chiaramente dominante. L’Europa, soprattutto prima della Brexit, sembrava un concorrente economico di prima grandezza rispetto agli USA. La Russia si rialzava dopo il vacillante periodo di Boris Yeltsin. Paesi in via di sviluppo come India, Brasile, Sudafrica elaboravano nuove alleanze. Nella nostra regione si succedevano disegni di organizzazione politica senza tutela esterna come la Unasur e la Celac/Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi. A tutto ciò si sommava la spettacolare ascesa economica della Cina, che ha profondamente modificato lo scacchiere globale. Più recentemente Pechino ha cominciato a dare forma politica alla sua crescente influenza e lo ha fatto in modo prudente, cercando con metodo pragmatico di difendere i propri interessi senza confronti, evitando di imporre il proprio modello politico ed economico (e ancor meno la sua ideologia) ai paesi con i quali sviluppa condivisioni. Esempio di ciò è il grande avvicinamento da poco sottoscritto con la visita di Xi Jinping a Roma, fra Cina e Italia, paese membro del G-7 governato da una alleanza populista conservatrice. Il Brasile aveva capito che gli sarebbe stato vantaggioso un ordine mondiale che non si trovasse sotto il comando di un’unica potenza. In tale contesto ha contribuito con iniziative come Ibas, Aspa, Unasur e Brics/Brasile Russia India Cina Sud Africa per rafforzare la multipolarità. Questo ha permesso al nostro paese di muoversi con disinvoltura in fori come il G-8 ampliato e, in seguito, il G-20, e anche nei fori economici tradizionali. Alcuni presidenti nordamericani hanno capito l’importanza di queste trasformazioni e hanno addirittura visto vantaggi in una direzione condivisa. Il presidente Barack Obama ha cognato l’espressione “leading from behind”. E molti analisti nordamericani hanno difeso una struttura di potere diversificata, in cui gli Stati Uniti continuerebbero ad essere “socio di maggioranza”, ma non egemonico. Strateghi dei settori militari e dei servizi di sicurezza, come anche parte importante dei detentori del capitale finanziario, non hanno apprezzato questa perdita relativa di potere. È stata lanciata una controffensiva, cercando di restaurare l’egemonia di Washington; nello stesso tempo, con l’arrivo di Donald Trump, si è voluto svalorizzare il sistema normativo internazionale, visto come un intralcio alla ricerca aggressiva di interessi nazionali specifici e dubbi. Trump ha trovato nell’attuale presidente brasiliano un socio per questa avventura. Il Brasile, che la nostra élite voglia o non voglia ammetterlo, per le sue dimensioni e per le caratteristiche del suo popolo ha peso nella regione e nel mondo. La decostruzione dell’Unasur, l’indebolimento dell’integrazione dell’America del Sud, è un passo nel riattrezzare il dominio nordamericano. Il controllo delle risorse naturali (specialmente energetiche) del continente non ha mai smesso di essere un obiettivo delle superpotenza. Non per caso si torna a suonare la fanfara della vecchia dottrina di Monroe. Una America del Sud e una America Latina subordinate al controllo di Washington sono un aspetto essenziale della ricostruzione di un ordine mondiale più sottomesso ad “America First” . Quale sarà il prossimo bersaglio di questa destrutturazione che ci riguarda più da vicino? A mio parere è chiaro che i fori e le alleanze che accentuano la multipolarità non sono compatibili con una visione del mondo incentrata sull’impalcatura aggressiva e non cooperativa del proprio interesse. L’attacco ai Brics, il cui prossimo incontro è fissato per novembre in Brasile, in verità è cominciato. E anzi è in questo contesto che la concessione dello statuto speciale di alleato extra Nato al Brasile deve essere visto. Ma fino a novembre molta acqua deve passare sotto i ponti. Si vedrà. (30/4/2019) *Celso Amorim, diplomatico di carriera, ambasciatore, è stato ministro degli Esteri nel governo di Itamar Franco nel 1993-1994 e ministro degli Esteri e della Difesa nei governi Lula e Dilma. Fonte: CartaCapital I militari, la politica e la geopolitica Renato Rabelo* I MILITARI E IL GOVERNO BOLSONARO. La formazione del governo di Jair Bolsonaro, insediatosi il 1° gennaio, vede un’accentuata partecipazione di ufficiali militari. Oltre alla vicepresidenza della Repubblica, ne sono stati indicati otto di alto grado, che godono di grande autorità in ambito militare. Occupano posti di comando di ministeri centrali e strategici. La presenza di componenti delle Forze Armate si allarga al secondo e al terzo livello, in posti significativi, e già raggiunge un centinaio. Se comparato con i governi del periodo del regime militare imposto nel 1964, è un contingente addirittura superiore. Si tratta di un fatto inedito nella storia della Repubblica. Le Forze Armate, a partire dall’Alto Comando soprattutto dell’Esercito, da un certo momento hanno in vario modo patrocinato la candidatura di Jair Bolsonaro nella preparazione e nella campagna per la presidenza della Repubblica. Ci sono stati momenti in cui questo attivismo ha passato il Rubicone istituzionale, con prese di posizione che hanno fatto pressione sul STF/Supremo Tribunale Federale affinché negasse l’habeas corpus all’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, escluso dall’ultima competizione presidenziale. Terminata la composizione del governo, che è risultato un arcipelago di segmenti diversi, i militari siedono come soci di maggioranza e nel centro decisionale e sono i più organizzati e disciplinati. Per quanto concerne questa conformazione asimmetrica è necessario segnalare il ruolo della famiglia Bolsonaro e dei suoi adepti. Si avvicina a una dinastia politica che occupa un posto nella presidenza, ha un ideologo, utilizza la forma di relazione con la sua base sociale attraverso le reti sociali, intralcia l’interesse pubblico, si pone al di sopra dei partiti politici e delle relazioni pubbico-privato. Ci sono indici palesi del suo legame con milizie dello Stato di Rio de Janeiro. Questo governo nella sua immagine “verde oliva” conta con una forte partecipazione e opzione dei militari, che sembrano decisi a governare di nuovo. Tuttavia non è evidente che siano oggettivamente uniti intorno a un progetto comune per il paese. Questa situazione pone in gioco in vario modo il prestigio delle stesse Forze Armate in caso di insuccesso. Rischio che assume forme accentuate, anche se i militari in servizio, incluso l’Alto Comando, non si considerano parte del governo. Il contingente di militari della riserva nel governo conserva tuttavia grande autorità fra i comandi in servizio. Parte significativa della classe dominante che ha aderito alla candidatura di Bolsonaro nutriva, per proprio sollievo, speranza che i militari nel governo avrebbero potuto svolgere un ruolo di controllo; infatti Bolsonaro aveva già dimostrato squilibrio emotivo e grossolanità nella sua carriera militare e politica. Tuttavia fin dall’inizio il suo governo dà segni di difficoltà per il modo in cui il presidente agisce all’interno della sua famiglia e soprattutto per il comportamento fuori controllo che lo caratterizza nell’alto incarico di presidente della Repubblica, accrescendo l’apprensione delle élites dominanti e il desiderio di anticipare il ruolo guida che si attendono da parte dei militari. Da questa situazione discende una contraddizione sull’essenza della modalità del governo Bolsonaro, cioè: il presidente eletto dirige o sarà sotto tutela? Nel governo recentemente insediato è difficile mettere sotto tutela a breve scadenza il presidente. Ma Bolsonaro, incapsulato nei suoi limiti e nel costante squilibrio, può essere capace di esercitare pienamente la presidenza della Repubblica? O prevarrà una forma di tutela che garantisca la governance all’interno di un cammino decoroso per il paese? O il presidente scommetterà su un’avventura autoritaria? Da ciò discende una conseguenza di maggior peso, che può favorire una situazione di inabilità costante, portando a risultati di maggiore incertezza nel governo. Congiuntura che può aggravarsi in questo momento di grandi imperativi e difficili scelte strutturali per il destino della nazione. La crisi economico-sociale che vive il Brasile è molto grave. Insomma, in queste circostanze l’opzione dei militari per la presidenza di Jair Bolsonaro è una scommessa dal risultato imprevedibile, un progetto pieno di molteplici dilemmi, di scelte difficili. IL BRASILE DI FRONTE ALLA TRANSIZIONE IN CORSO NELL'ORDINE MONDIALE. È pesante la responsabilità dei militari per le conseguenze dell’opzione di sostenere il governo Bolsonaro. Essi si trovano a confrontarsi con una questione della massima importanza: quale è il cammino e l’indirizzo che questo governo deve seguire. È evidente che il presidente presenta un profilo programmatico di accentuato slancio autoritario, impegnato nella demolizione di conquiste sindacali e di civiltà, con un progetto ultraliberale di un dogmatismo fiscalista superato, di pesante austerità per la maggioranza della Nazione, con privatizzazione di tutto e con la denazionalizzazione dell’economia. E Bolsonaro è portato alla difesa di una politica estera e conseguente indirizzo geopolitico – questione di funzione e interesse della Forze Armate – volta a trasformate il Brasile in una base per contenere o rinviare il processo in corso di transizione mondiale di multipolarizzazione del sistema internazionale. Egli segue una logica antinazionale nell’offrire in modo intempestivo una base militare nazionale (quella di Alcantara in Maranhão) agli Stati Uniti, nell’optare per l’agganciamento al governo Trump, mettendo il Brasile nella rotta di possibili collisioni bellicose della strategia di quella potenza imperialista. Provoca azioni bellicistiche contro il Venezuela e incentiva una cultura xenofoba. La preferenza del presidente della Repubblica è quindi ovvia.
In
un’analisi più ampia, il mondo attuale passa attraverso cambiamenti
vasti, sia per quanto concerne la base produttiva e tecnologica,
sia nella forma di dominio capitalista e nelle relazioni di potere
fra Stati-nazioni. È in questo contesto globale che la
tendenza alla decomposizione strutturale dell’egemonia degli
Stati Uniti, l’ascesa di nuovi poli di potere e la
multipolarizzazione crescente definiscono il bilancio delle
forze in movimento. È all’interno dell’evoluzione di questa
situazione mondiale, in un quadro in cui si rafforza l’instabilità
sistemica – con una implicazione profonda per la geopolitica del
Brasile e la sua strategia nazionale – che il Brasile dovrebbe
giovarsi dello spazio disponibile per rafforzare il proprio
interesse nazionale, elevare il potere nazionale, aprire la strada
di un proprio progetto di sviluppo
Quindi il quadro globale risulta ancor più condizionante e la questione centrale è: in questo secondo decennio del XXI secolo avviene la riorganizzazione della grande strategia americana con l’obiettivo di rovesciare la tendenza del suo declino. Questa ridefinizione strategica inizia dal 2011 nel governo Obama. E nel 2017, nel primo anno del governo Trump, viene annunciata la nuova Strategia di Sicurezza Nazionale (SSN nella sigla inglese) che in termini geopolitici intende strutturare una politica di contenimento dell’ascesa cinese e di rilancio dell’egemonia degli Stati Uniti. È un tentativo di riprendere la politica, allora di successo, di accerchiamento dell’ex URSS dell’epoca della guerra fredda. Dall’altro lato, nel caso della nuova politica orientale, centro dell’“Era Asiatica”, la Repubblica Popolare Cinese sviluppa la sua strategia denominata Cina 2025, collegata a grandi iniziative geostrategiche come “una cintura, una rotta”, la nuova via della seta. È questo un ambizioso programma mirante a raggiungere la supremazia tecnologica grazie a un processo di innovazione esponenziale in aree decisive della base del potere mondiale: intelligenza artificiale, robotica industriale e computer quantistico. In questo decorso mondiale le grandi potenze entrano in un'era di competizione per il dominio delle tecnologie che organizzeranno la base materiale nazionale e del mondo. La cosiddetta guerra commerciale è la punta dell’iceberg. Ma il centro della nuova guerra globale è la supremazia e il dominio di queste tecnologie critiche. Oggi fondamento nodale della geopolitica mondiale sono i livelli tecnologici che raggiungono le forze produttive, che definiranno le modalità di accumulazione sistemica del secolo in corso e la capacità di sviluppo economico-sociale. Di fronte a tutto ciò non è chiaro fino ad ora come i militari che occupano posizioni chiave nel governo intendano posizionarsi, in ambito esecutivo, su tali questioni geostrategiche decisive, in quanto anche fra di loro vi sono controversie. È deplorevole che il Brasile - in un momento di riorganizzazione dell’ordine globale – adotti una posizione di arretramento sulle questioni più strategiche e sensibili. Ancora più dannoso per la nostra sovranità e difesa nazionale sarebbe se il governo pretendesse di piegarsi all’attuale strategia degli Stati Uniti. Tale strategia, come abbiamo visto, comprende la continuità della sua egemonia mondiale, attivando, al di sopra degli organismi multilateriali, tutto il suo esistente potere geopolitico, economico e militare a servizio della predominante azione belligerante. PUNTO SENSIBILE NELLA REGIONE, LA CRESCENTE TENSIONE IN VENEZUELA. Fin dal governo Temer (agosto 2016) si va sviluppando una accelerata cooperazione militare fra Brasile e USA. È significativo che apparentemente i militari mantengano gli indirizzi della Strategia Nazionale di Difesa (END) fissata nel 2008, rivista nel 2012 e di nuovo nel 2016, approvata dal Congresso Nazionale solo nel dicembre 2018, la quale stabilisce come priorità l’integrazione regionale, la preservazione della pace e la difesa della multipolarità. La preoccupazione immediata della cooperazione militare fra Brasile e USA, il punto sensibile, si riferisce ai risultati dell’accordo stabilito nel contesto della crescente tensione in Venezuela. La decisione degli USA di interrompere l’esperienza bolivariana data da oltre un decennio. Essa viene messa in pratica, dopo il fallimento del colpo di stato contro Hugo Chávez nel 2002, attraverso operazioni che intendono condurre alla guerra. È evidente che il governo Temer e ora Bolsonaro hanno aderito al progetto di isolamento e annichilamento del governo venezuelano, “regime change” (cambio di regime), con operazioni di intervento militare e occupazione da parte degli USA associando la NATO in questa fase di dominio imperialista di egemonia globale. I militari nel governo, il vice presidente della Repubblica Hamilton Mourão, mostrano posizioni diverse e sembrano ritenere che rischiare un intervento militare in Venezuela porterebbe conseguenze politiche regionali e interne potenzialmente destabilizzanti. In questo senso non appoggiano una opzione militare e negano l’accesso al nostro territorio per gli spostamenti di truppe statunitensi. D’altro lato, riflettendo il contesto della disputa per l’egemonia mondiale, la minaccia della guerra al Venezuela con il suo immenso potenziale energetico porta l’appoggio al governo Maduro di Cina, Russia, Iran e Turchia, superando, a causa della sua collocazione geopolitica, lo scontro nel paese sudamericano in direzione di un disegno di confronto di portata mondiale senza un itinerario prevedibile. L'ALLEANZA DEL BRASILE CON GLI STATI UNITI ESIGE FIEREZZA NAZIONALE. La controffensiva conservatrice condotta dagli USA nel continente latinoamericano, nel corso dell’intensificarsi della disputa per l’egemonia mondiale dopo l’insediamento del governo Trump, impone un chiarimento nell’alleanza del Brasile con gli USA. Il Brasile indebolisce le proprie posizioni sul tavolo in cui si gioca la transizione a un nuovo ordine mondiale, riduce il proprio potere nazionale e intralcia il proprio sviluppo nazionale se continua a rimanere subordinato all’egemonia coercitiva degli USA. La svolta politica progressista in gran parte dell’America Latina all’inizio del XXI secolo ha portato a rafforzare diversi meccanismi d’integrazione latino e sudamericana, in particolare grazie alla rottura della secolare tradizione di allineamento automatico con la politica estera e gli interessi strategici degli USA nella regione. A partire dal governo Temer la situazione inizia a rovesciarsi. Ora il governo Bolsonaro dà segnali di accelerare l’avvicinamento militare con gli USA. La principale conseguenza di ciò si riferisce all’indebolimento di direttrici che comprendono un’importante novità geopolitica, cioè l’integrazione dei paesi sudamericani, che offriva l’opportunità al Brasile di agire come attore globale. Nell’ambito della cooperazione militare si annulla l’istanza del Consiglio di Difesa sudamericano (CDS), che integra azioni nell’area della sicurezza e della difesa del subcontinente. Vi sono arretramenti concettuali nei documenti di orientamento strategico. Una posizione di dipendenza dagli USA, come pure dalla Cina o da qualunque altra potenza, non serve all’interesse nazionale. Il Brasile deve operare in modo da rafforzare la multipolarità, senza essere ostile ad alcun paese. E cercare una posizione di equilibrio nelle relazioni internazionali. Addirittura nel periodo del governo militare (1964-1984) la visione di “frontiere ideologiche” nel governo del generale Ernesto Geisel (1974-1979) fu abbandonata per il “pragmatismo responsabile”. La relazione del Brasile con la Cina deve essere valorizzata, il Brasile ha una condivisione strategica con il gigante asiatico che risale al governo di Itamar Franco (1992-1995) e ha nella Cina il suo principale partner commerciale anche nell’area scientifico-tecnologica, soprattutto spaziale, con risultati favorevoli per il nostro paese. Negli attuali investimenti la Cina accetta la creazione di fondi di cooperazione, con gestione paritaria, con rappresentanti con eguale peso dai due lati. È questo il caso del Fondo di Cooperazioe Brasile-Cina per l’espansione della capacità produttiva. Nell’ambito del BRICS, da parte dei paesi che compongono tale sodalizio predomina l’impegno per riforme della gestione sistemica globale e per creare nuove istituzioni multilaterali su scala mondiale. Non si tratta dunque di una politica di confronto diretto e globale con gli USA. In questo momento l’azione concreta che può riqualificare la relazione del Brasile con gli USA - uno spartiacque: allineamento automatico o sovranità e fierezza – riguarda gli accadimenti in Venezuela, di fronte all’assedio e alla preparazione di intervento armato dell’imperialismo statunitense nel paese a noi vicino. Quello che è in gioco in Venezuela è il principio di non intervento, il rispetto della sovranità, ciò che è scritto nella Costituzione del 1988: la soluzione di conflitti attraverso il dialogo e il negoziato pacifico. Il Brasile, grande paese dell’America del Sud, non può allinearsi all’orientamento egemonico e belligerante del “cambio di regime” della superpotenza statunitense. Non può disconoscere il precetto costituzionale e rinunciare ad essere, come in precedenza, un importante negoziatore per un’uscita pacifica dal conflitto. Inoltre la posizione degli USA è un ritorno superato alla “sicurezza dell’emisfero” o una riedizione nel continente della cosiddetta dottrina Monroe. In tale situazione così sensibile di estrema potenzialità destabilizzatrice nella regione e in Brasile, il paese non può seppellirsi insieme a un'avventura imperialista alienando tassativamente la propria sovranità. Questo è uno spartiacque, è una rotta che già può denotare i propositi geopolitici dei militari in questo governo di recente insediamento. (2/4/2019) *già presidente del PCdB/Partito Comunista del Brasile e presidente della Fondazione Mauricio Grabois Fonte: Portal Vermelho Organizzazione e traduzione di Teresa Isenburg
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cura di Nicoletta Manuzzato |