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Per un Brasile sovrano e socialmente giusto
In occasione della festa nazionale dell’indipendenza del
Brasile, il 7 settembre, l’ex presidente Luiz Inácio Lula da
Silva ha pronunciato un discorso ad ampio raggio che traccia il
profilo del progetto per un Brasile sovrano e socialmente giusto da
ricostruire. Un esempio di riflessione politica che molto
bene si applica anche ad altre realtà e contesti. (T.I.
9/9/2020)
Mie amiche e miei amici,
negli ultimi mesi una tristezza infinita stringe il mio cuore. Il
Brasile vive uno dei peggiori periodi della sua storia.
Con 130.000 morti e quattro milioni di persone contaminate stiamo
precipitando in una crisi sanitaria, sociale, economica e
ambientale mai vista.
Oltre 200 milioni di brasiliane e brasiliani si svegliano ogni
giorno senza sapere se i loro parenti, amici o essi stessi saranno
in buona salute e vivi alla sera. La schiacciante maggioranza dei
morti per coronavirus è di poveri, neri, persone vulnerbili che lo
Stato ha abbandonato. Nella più grande e più ricca citta del paese,
le morti per Covid-19 sono del 60% più alte fra neri e meticci
della periferia, secondo i dati delle autorità sanitarie.
Ciascuno di questi morti, che il governo federale tratta con
disprezzo, aveva nome, cognome, indirizzo. Aveva padre, madre,
fratello, figlio, marito, sposa, amici. Ferisce sapere che decine
di migliaia di brasiliane e brasiliani non hanno potuto prendere
commiato dai loro cari. E io so cos'è questo dolore.
Sarebbe stato possibile, sì, evitare tante morti. Siamo nelle mani
di un governo che non dà valore alla vita e banalizza la morte. Un
governo insensibile, irresponsabile e incompetente, che non ha
rispettato le norme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e ha
trasformato il coronavirus in un’arma di distruzione di massa. I
governi emersi dal colpo di Stato (dell'agosto 2016) hanno
congelato le risorse e rottamato il Sistema Unico di Salute/SUS,
mondialmente rispettato come modello per altre nazioni in sviluppo.
E il collasso non è stato ancora maggiore grazie agli eroi anonimi,
ai lavoratori e alle lavoratrici del sistema sanitario. Le risorse
che avrebbero potuto essere usate per salvare vite sono state
destinate a pagare interessi al sistema finanziario.
Il Consiglio Monetario Nazionale ha appena annunciato che preleverà
oltre 300 miliardi di reais dai profitti delle riserve che
i nostri governi hanno lasciato. La cosa sarebbe comprensibile se
questa fortuna fosse destinata a soccorrere il lavoratore
disoccupato o a mantenere l’aiuto d’emergenza di 600 reais
fino a quando dura la pandemia. Ma questo non passa nella
testa degli economisti del governo. Loro hanno già annunciato che
questo denaro sarà usato per pagare gli interessi del debito
pubblico!
Nelle mani di questa gente la salute pubblica è maltrattata sotto
tutti i punti di vista. La sostituzione della direzione del
Ministero della Salute con militari senza esperienza medica o
sanitaria è solo la punta dell’iceberg. È una scalata autoritaria,
il governo ha trasferito centinaia di militari in servizio e della
riserva nell’amministrazione federale, inclusi in molti posti
chiave, facendo ricordare i tempi bui della dittatura.
La cosa più grave di tutto ciò è che Bolsonaro approfitta della
sofferenza collettiva per, furtivamente, commettere un crimine di
lesa patria.
Un crimine politicamente imprescrivibile, il crimine massimo che un
governante può commettere contro il proprio paese e il proprio
popolo: abbandonare la sovranità nazionale.
Non è stato per caso che ho scelto di parlare con voi in
questo 7 settembre, giorno dell’Indipendenza del Brasile (nel
1822), quando celebriamo la nascita del nostro paese come nazione
sovrana. Sovranità significa indipendenza, autonomia, libertà. Il
cui contrario è dipendenza, servitù, sottomissione.
Durante la mia vita ho sempre lottato per la libertà.
La garanzia della sovranità nazionale non si riassume
nell’importantissima missione di difendere le nostre frontiere
terrestri e marittime e il nostro spazio aereo. Presuppone
anche difendere il nostro popolo, le nostre ricchezze minerarie,
avere cura delle nostre foreste, dei nostri fiumi e dell'acqua. In
Amazzonia dobbiamo essere presenti con scienziati, antropologi e
ricercatori dediti a studiare la fauna e la flora e a utilizzare
questa conoscenza in farmacologia, nella nutrizione e in tutti i
campi della scienza, rispettando la cultura e l’organizzazione dei
popoli indigeni.
L’attuale governo subordina il Brasile agli Stati Uniti in modo
umiliante e sottomette i nostri soldati e diplomatici a situazioni
offensive. E inoltre minaccia di coinvolgere il paese in avventure
militari contro i nostri vicini, calpestando la stessa
Costituzione, per accogliere gli interessi economici e
strategico-militari nordamericani. La subordinazione del Brasile
agli interessi militari di Washington è stata squadernata dallo
stesso presidente nel nominare un ufficiale generale delle Forze
Armate Brasiliane per prestare servizio nel Comando Militare Sud
degli Stati Uniti, agli ordini di un ufficiale americano.
Chi vuole sapere i veri obiettivi del governo non ha bisogno di
consultare manuali segreti della Abin o del servizio di
informazione dell’Esercito. La risposta si trova tutti i giorni
nella Gazzetta Ufficiale, in ogni atto, in ogni decisione, in ogni
iniziativa del presidente e dei suoi assessori, banchieri e
speculatori che egli ha chiamato per dirigere la nostra economia.
Istituzioni centenarie come il Banco do Brasil, la Caixa Economica
Federal o il BNDES, che si confondono con la storia dello sviluppo
del paese, sono squartati e tagliuzzati, o semplicemente venduti a
prezzo vile. Le banche pubbliche non sono state create per
arricchire famiglie. Esse sono strumenti del progresso. Hanno
finanziato la casa del povero, l’agricoltura familiare, le opere
fognarie, l’infrastruttura essenziale per lo sviluppo.
Se guardiamo il settore energetico, vedremo una politica di terra
bruciata parimenti predatoria.
Dopo avere messo in vendita a
valori ridicoli le riserve del pré-sal, il governo smantella la
Petrobrás. Hanno venduto la rete di distribuzione e i gasdotti sono
stati alienati. Le raffinerie stanno per essere fatte a
pezzi. Quando solo rimarrà il guscio, arriveranno le grandi
multinazionali per sequestrare quello che sarà rimasto di un'impresa strategica per la sovranità del Brasile. Una mezza dozzina di
multinazionali minaccia la rendita di centinaia di miliardi di
reais del petrolio del pré-sal, risorse che costituivano un fondo
sovrano per finanziare una rivoluzione educativa e scientifica. La Embraer, uno dei maggiori
successi del nostro sviluppo tecnologico, è sfuggita dal salasso
della consegna in funzione delle difficoltà dell’impresa che
avrebbe dovuto comprarla, la Boeing, strettamente legata al
complesso industriale militare degli Usa.
L’opera di smontaggio non finisce
qui. Il furore per le privatizzazioni
del governo pretende di vendere, a prezzi stracciati, la principale
impresa di produzione di energia dell’America Latina, la
Eletrobrás, un gigante con 164 centrali, due delle quali
termonucleari, responsabili per circa il 40% dell’energia consumata in
Brasile.
La demolizione delle università,
dell’educazione, insieme alla disarticolazione delle istituzioni di
appoggio a scienza e tecnologia, promossa dal governo, è una minaccia
reale e concreta per la nostra sovranità. Un paese che non produce
conoscenza, che perseguita i suoi professori e ricercatori, che
taglia borse di ricerca e nega educazione superiore alla
maggioranza della propria popolazione è condannato alla povertà e a
eterna sottomissione. L’ossessione distruttiva di
questo governo ha lasciato la cultura nazionale nella mani di una
teoria di avventurieri. Artisti e intellettuali chiedono con forza
di salvare la Casa di Ruy Barbosa, la Funarte, la Ancine. La
Cinemateca brasiliana, dove è depositato un secolo di memoria del
cinema nazionale, corre il rischio di avere lo stesso destino
tragico del Museo Nazionale.
Mie amiche e miei amici,
nell’isolamento della quarantena
ho riflettuto molto sul Brasile e su me stesso, sui miei errori e
successi e sul ruolo che ancora può competermi nella lotta del
nostro popolo per migliori condizioni di vita.
Ho deciso di concentrarmi, al
vostro fianco, sulla ricostruzione del Brasile come Nazione
indipendente, con istituzioni democratiche, senza privilegi
oligarchici e autoritari. Un vero Stato democratico e di diritto,
fondato sulla sovranità popolare. Una Nazione indirizzata verso
l’uguaglianza e il pluralismo. Una Nazione inserita in un nuovo
ordine internazionale basato sul multilateralismo, sulla
cooperazione e la democrazia, integrata nell’America del Sud e
solidale con altre nazioni in sviluppo.
Il Brasile che voglio ricostruire
insieme a voi è una Nazione che assuma responsabilità per la
liberazione del nostro popolo, dei lavoratori e degli esclusi.
Fra un mese compirò 75 anni.
Guardando indietro, posso solo
ringraziare Dio per essere stato molto generoso con me. Devo
ringraziare mia madre, dona Lindu, per avere fatto di un migrante
senza diploma un lavoratore orgoglioso, che un giorno sarebbe
diventato presidente della Repubblica. Per avere fatto di me un
uomo senza rancore, senza odii.
Io sono il bambino che ha negato
la logica, che è uscito dallo scantinato sociale ed è arrivato
ai piani alti senza chiedere permesso a nessuno, solo al popolo. Non sono entrato per la porta di
servizio, sono entrato per la rampa principale. E questo i potenti
non lo perdoneranno mai. Avevano riservato per me il ruolo
di comparsa, ma sono diventato protagonista grazie alle mani dei
lavoratori brasiliani. Ho assunto il governo pronto a
mostrare che il popolo, sì, stava dentro al bilancio. Di più, ho
provato che il popolo è uno straordinario patrimonio, un'enorme
ricchezza.
Con il popolo il Brasile
progredisce, si arricchisce, si rafforza, diventa un paese sovrano
e giusto. Un paese in cui la ricchezza
prodotta da tutti sia distribuita a tutti, ma in primo luogo agli
sfruttati, agli oppressi, agli esclusi.
Tutti i passi avanti che abbiamo
fatto hanno subito l'arrabbiata opposizione delle forze
conservatrici, alleate a interesssi di altre potenze. Esse mai accettarono di vedere il
Brasile come un paese indipendente e solidale con i suoi vicini
latinoamericani e caraibici, con i paesi africani, con le nazioni
in via di sviluppo.
È lì, in queste conquiste dei
lavoratori, in questo progresso dei poveri, nella fine del
servilismo, è lì che sta la radice del golpe del 2016. Lì sta la radice dei processi
costruiti contro di me, della mia incarcerazione illegale e della
proibizione alla mia candidatura nel 2018. Processi che – oggi
tutti lo sanno - hanno potuto contare sulla criminale
collaborazione segreta di organismi di informazione noradamericani.
Togliendo 40 milioni di
brasiliani dalla condizione di miseria noi abbiamo fatto una
rivoluzione in questo paese. Una rivoluzione pacifica, senza spari
né arresti. Vedendo che questo processo di
ascesa sociale dei poveri sarebbe continuata, che l'affermazione
della nostra sovranità nazionale non sarebbe tornata indietro,
coloro che si giudicano padroni del Brasile, qui dentro e là fuori,
hanno deciso di dire basta.
Nasce lì l’appoggio dato dalle
élites conservatrici a Bolsonaro. Accettarono come fatto naturale
il suo fuggire dai dibattiti. Versarono fiumi di denaro
nell’industria delle fake news. Chiusero gli occhi sul suo passato
terrorizzante. Finsero di ignorare il suo discorso in difesa della
tortura e l’apologia pubblica che fece dello stupro.
Le elezioni del 2018 hanno
gettato il Brasile in un incubo che sembra non avere fine. Con
l’ascesa di Bolsonaro miliziani, faccendieri e sicari a
pagamento sono usciti dai rapporti di polizia e sono apparsi nelle
rubriche politiche. Come nei film dell’orrore, le
oligarchie brasiliane hanno partorito un essere mostruoso che
adesso non riescono a controllare, ma che continueranno a sostenere
finché i loro interessi saranno soddisfatti.
Un dato scandaloso illustra
questa convivenza: nei primi quattro mesi di pandemia, quaranta
milionari brasiliani hanno accresciuto le loro fortune di 170
miliardi di reais. Parallelamente la massa
salariale dei dipendenti è caduta del 15% in un anno, il maggior
crollo registrato dall’IBGE/Istituto brasiliano di geografia e
statistica. Per impedire che i lavoratori possano difendersi da
questo saccheggio il governo asfissia i sindacati, indebolisce le
centrali sindacali e minaccia di chiudere le porte della Giustizia
del Lavoro. Vogliono spezzare la colonna vertebrale del movimento
sindacale, ciò che neppure la dittatura aveva ottenuto.
Hanno violentato la Costituzione
del 1988. Hanno ripudiato le pratiche democratiche. Hanno
impiantato un autoritarismo oscurantista, che distrugge le
conquiste sociali raggiunte in decenni di lotte. Hanno abbandonato
una politica estera degna e attiva, a favore di una sottomissione
vergognosa e umiliante. Questo è il vero e minaccioso
ritratto del Brasile di oggi.
Una così grande calamità dovrà
essere affrontata con un nuovo contratto sociale che difenda i
diritti e il reddito del popolo lavoratore.
Mie care e miei cari,
la mia lunga vita, inclusi i
quasi due anni che ho trascorso in una incarcerazione ingiusta e
illegale, mi ha insegnato molto. Ma tutto ciò che è stato, tutto
quello che ho appreso può essere contenuto in un chicco di miglio
se tale esperienza non viene collocata a servizio dei lavoratori.
È inaccettabile che 10% della
popolazione viva sulla miseria del 90% del popolo. Mai ci sarà crescita e pace
sociale nel nostro paese fintanto che la ricchezza prodotta da
tutti andrà a finire nei conti in banca di una mezza dozzina di
privilegiati. Mai ci sarà crescita e pace
sociale se le politiche pubbliche e le istituzioni non tratteranno
con equità tutti i brasiliani. È inaccettabile che i lavoratori
brasiliani continuino a subire gli impatti perversi della
disuguaglianza sociale. Non possiamo ammettere che la nostra
gioventù nera abbia le proprie vite segnate da una violenza che
sfiora il genocidio.
Da quando ho visto, in quel
terribile video, gli 8 minuti e 43 secondi di agonia di George
Floyd non smetto di chiedermi: quanti George Floyd abbiamo in
Brasile?
È intollerabile che le nazioni
indigene abbiano le loro terre invase e saccheggiate e le loro
culture distrutte. Il Brasile che vogliamo è quello del maresciallo
Rondon e dei fratelli Villas-Boas, non quello degli usurpatori di
terre e dei devastatori di foreste.
Abbiamo un governo che vuole
uccidere le più belle virtù del nostro popolo come la generosità,
l’amore per la pace e la tolleranza. Il popolo non vuole comprare
revolver né cartucce di carabina. Il popolo vuole comprare cibo.
Dobbiamo combattere con fermezza
la violenza impunita contro le donne. Non possiamo accettare che un
essere umano sia stigmatizzato per il suo genere. Ripudiamo il
pubblico disprezzo verso i quilombolas. Condanniamo il preconcetto
che tratta come esseri inferiori i poveri che vivono nelle
periferie delle grandi città.
Fino a quando conviveremo con
tanta discriminazione, tanta intolleranza, tanto odio?
Mie amiche e miei amici,
per ricostruire il Brasile postpandemia abbiamo bisogno di un nuovo contratto sociale fra tutti i
brasiliani. Un contratto sociale che
garantisca a tutti il diritto di vivere in pace e armonia. In cui
tutti abbiano le stesse possibilità di crescere, in cui la nostra
economia sia a servizio di tutti e non di una piccola minoranza. E
in cui vengano rispettati i nostri tesori naturali, come il
Cerrado, il Pantanal, l’Amazzonia Azzurra e la Mata Atlantica.
Il fondamento di questo contratto
sociale deve essere il simbolo e la base del regime democratico: il
voto. È attraverso l’esercizio del voto, libero da manipolazioni e
fake news, che devono essere formati i governi e fatte le grandi
scelte e le opzioni fondamentali della società. Attraverso questa ricostruzione,
pavimentata dal voto, avremo un Brasile democratico, sovrano,
rispettoso dei diritti umani e delle differenze di opinione,
protettore dell’ambiente e delle minoranze e difensore della
propria sovranità.
Un Brasile di tutti e per tutti.
Se saremo uniti intorno a ciò
potremo superare questo momento drammatico. L’essenziale oggi è
vincere la pandemia, difendere la vita e la salute del popolo. È
mettere fine a questo governo e finirla con il tetto di spesa che
lascia lo Stato brasiliano in ginocchio davanti al capitale
finanziario nazionale e internazionale.
In questa impresa ardua, ma
essenziale, mi metto a disposizione del popolo brasiliano,
specialmente dei lavoratori e degli esclusi.
Mie amiche e miei amici,
vogliamo un Brasile in cui ci sia
lavoro per tutti.
Stiamo parlando di costruire uno
Stato di benessere sociale che promuova
l'uguaglianza dei diritti, in cui la ricchezza prodotta dal lavoro
collettivo sia restituita alla popolazione secondo le necessità di
ciascuno.
Uno Stato giusto, egualitario e
indipendente, che dia opportunità ai lavoratori, ai più poveri,
agli esclusi.
Questo Brasile dei nostri sogni
può essere più vicino di quel che sembra. Anche i profeti di Wall Street e
della City di Londra hanno già decretato che il capitalismo, così
come il mondo lo conosce, ha i giorni contati. Hanno messo secoli
per scoprire una verità indiscutibile che i poveri conoscono da
quando sono nati: ciò che alimenta il capitalismo non è il
capitale. Siamo noi, i lavoratori.
È in queste ore che mi viene in
mente una frase che ho letto in un libro di Victor Hugo, scritto un
secolo e mezzo fa, e che ogni lavoratore dovrebbe portare in
tasca, scritta su un pezzetto di carta, per non dimenticarla mai:
"È dell’inferno dei poveri che è fatto il paradiso dei
ricchi…"
Nessuna soluzione, tuttavia, avrà
senso senza il popolo lavoratore come protagonista. Come la
maggioranza dei brasiliani non credo e non accetto i cosiddetti
patti "dall’alto", con le élites. Chi vive del proprio lavoro non
vuole pagare i conti degli accordi politici fatti nei piani alti. Per questo voglio riaffermare
alcune certezze personali: non appoggio, non accetto e non
sottoscrivo alcuna soluzione che non abbia la partecipazione
effettiva dei lavoratori.
Non contate su di me per
qualsivoglia accordo in cui il popolo sia semplice coaiutante.
Più che mai sono convinto che la
lotta per l’uguaglianza sociale passa, sì, per un processo che
obblighi i ricchi a pagare imposte proporzionali alle loro rendite
e fortune. E questo Brasile, mie amiche e
miei amici, è alla portata delle nostre mani.
Posso affermare ciò guardando
negli occhi ognuno e ognuna di voi. Noi abbiamo dimostrato al mondo
che il sogno di un paese giusto e sovrano può, sì, può diventare
realtà.
Io so, voi sapete, che possiamo
di nuovo fare del Brasile il paese dei nostri sogni.
E dire, dal fondo del cuore:
sono qui. Insieme ricostruiamo il Brasile!
C’è ancora una lunga strada da
percorrere insieme.
Siate fermi, perché uniti noi
siamo forti.
Vivremo e
vinceremo.
Luiz Inácio
Lula da Silva
Traduzione di Teresa Isenburg
|
Latinoamerica-online.it a
cura di Nicoletta Manuzzato |