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La situazione dei contagi in Brasile
Provo a raccontare un po’, in termini personali, la
situazione del Brasile e di San Paolo nel cono d’ombra della
pandemia. Innanzitutto quali sono gli attori
principali, almeno due: il virus, naturalmente, e la
disuguaglianza sociale. Come mi ha fatto notare un'amica, “siamo
tutti nelle stessa barca” è un apocrifo. Aggiungo che, forse,
siamo nello stesso mare. Ma non tutti nel mare sono uguali, né come
habitat né come posizione sociale. Una grande massa, soprattutto
della popolazione urbana, vive di lavori anche continuativi, ma
informali: quello che viene guadagnato ogni giorno serve per andare
avanti per un breve tempo; se un giorno non si guadagna, non si
riesce ad andare avanti. Era stato previsto un piccolo aiuto di
emergenza per strati in grave difficoltà da consegnare attraverso
conto bancario. Con stupore il presidente della Caixa Economica ha
scoperto che il 40% (quaranta) dei destinatari non aveva conto
bancario. Abisso fra paese reale e classe dirigente oggi al potere…
Gli ammortizzatori sociali sono stati annullati negli ultimi
quattro anni di governi illegittimi e/o antisociali e quindi è
facile, facilissimo licenziare e abbandonare i cittadini al proprio
destino.
Tuttavia alla base molte realtà si difendono e si organizzano
autonomamente e con settori sociali legati al territorio. Un
esempio per tutte: il quartiere di Paraisopolis nella zona sud di
San Paolo con 80/100.000 abitanti, nato anni fa come favela e
ancora oggi con una urbanizzazione incompleta, con la sua União dos
moradores e do comercio de Paraisopolis presieduta da Gilson
Rodrigues ha contrattato un piccolo gruppo di medici, infermieri,
ambulanze che si sono trasferiti in loco, ha attivato un gruppo di
quasi 500 abitanti che vigilano ognuno un settore, ha attrezzato
500 letti per accogliere chi deve isolarsi e non ne ha condizione.
Sarà molto interessante vedere come il contagio è stato qui
controllato. Ma molte e varie sono le forme di intervento
territoriale, dai negozi e supermercati alimentari che
distribuiscono pacchi di generi di prima necessità (anche per
evitare i saccheggi) ai piccoli e grandi coordinamenti che
accompagnano in vario modo le molte e popolose occupazioni.
Quello che dovrebbe essere l’attore
principale, cioè il governo federale, è nel suo vertice
negazionista. Il ministro della Salute Luiz Henrique Mandetta, che
seguiva le disposizioni dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità/OMS e introduceva elementi di razionalità nel gestire la
pandemia, è stato licenziato e sostituito il 16 aprile da Nelson
Teich, che ha inaugurato la sua gestione con una serie di
dichiarazioni necrofile ed economiciste. I dati statistici
divulgati dal Ministero della Salute arrivano con giorni di
ritardo, la causa di morte è indicata senza verifica specifica sul
virus Covid-19, spesso si indica genericamente polmonite. Al
momento si parla di 43.592 contagiati e 2769 morti. Secondo la
rispettata Fiocruz/Fondazione Oswaldo Cruz i contagi potrebbero
essere da sette a nove volte superiori. E non si è ancora arrivati
al vertice ascendente della curva.
Vedendo le immagini delle distese di fosse predisposte
nei cimiteri qualche cosa non quadra. Il più grande cimitero
di San Paolo, Vila Formosa, un bellissimo parco pieno di alberi
fioriti, informa che è passato da 20 a 60 tumulazioni al giorno.
Dall’Amazzonia giungono notizie di tragedia (annunciata) che
trascina con sé le comunità indigene. La gravità della mancanza di
dati credibili non è solo un oltraggio per i cittadini e le
cittadine della Federazione, ma è un crimine internazionale.
Mentre ricercatori e studiosi si impegnano al massimo livello e
intensità per capire come questo virus si diffonda e si trasmetta e
quindi i dati e la loro localizzazione sono fondamentali, un grande
paese come il Brasile si permette il lusso di essere
approssimativo. E forse non in modo innocente. Lo stimato
giornalista Jamil Chade, che segue il quadro internazionale a
Ginevra, informa che il cosiddetto ministro degli Esteri del
Brasile, Ernesto Araújo, in un testo sulle reti sociali
afferma che “il coronavirus ci sveglia di nuovo con l’incubo
comunista” e che l’idea è di trasferire poteri all’OMS per un piano
comunista. La pressione dell’esecutivo federale per riaprire tutte
le attività è molto forte, coadiuvata dagli industriali.
Sugli attori della scala intermedia,
cioè i governatori dei singoli Stati, ricade la gestione reale
della pandemia. Essi seguono in generale le disposizioni OMS, con
molte difficoltà dal momento che i trasferimenti di risorse
dal centro sono lentissimi. Così come rallentati al massimo
risultano i versamenti di sussidi emergenziali, di livello
inadeguato e destinati comunque a una minoranza di cittadini. Di
fatto vi è una dicotomia di poteri contrapposti, esecutivo federale
da un lato e governi statali e amministrazioni comunali
soprattutto delle grandi città dall’altro. San Paolo è in
quarantena, il sindaco ha su questo posizioni ferme, anche se è
probabile una parziale riapertura del commercio e dell’industria.
La città è silenziosa, il traffico quasi nullo, l’aria respirabile.
Lo Stato di San Paolo, con i suoi 44 milioni di abitanti (12 nel
comune di San Paolo, 21 nella Grande San Paolo), è in quarantena e
così il resto del paese. Nonostante il negazionismo che viene
dall’alto. L’insostituibile SUS/Servizio unico di salute,
martoriato da un lustro di riduzione degli investimenti, si impegna
ovunque in modo esemplare. La sanità privata latita.
Il pericoloso contesto sanitario è aggravato
dal comportamento pubblico del signor Bolsonaro, che in
continuazione convoca assembramenti dei propri sostenitori
per esprimere opinioni negazioniste e incitare a riprendere le
attività. Questo a sua volta incentiva gruppi vari di
attori negazionisti che qui, come negli Stati Uniti,
manifestano, per lo più in carovane di auto, in varie città a
cominciare da San Paolo. Appoggiano tali posizioni nefaste i
padroni sacerdoti delle chiese neopentecostaliste, che chiedono
l’apertura dei loro locali, si fanno fotografare con il
signor Bolsonaro e seminano confusione e disorientamento oltre che
contagio fra i loro infelici seguaci. Il rischio del sovraccarico
delle strutture sanitarie pubbliche ovviamente in questo modo
aumenta. Ripeto che la sanità privata, in Brasile molto vasta, è
perfettamente assente. Come assenti, sempre a livello federale,
sono alcuni ministri che fino a ieri erano di un protagonismo
patologico: il cosiddetto ministro della Giustizia Sérgio Moro è
scomparso, così come non si vede e non si sente la pastora
cosiddetta ministra della Famiglia, della Donna e dei Diritti Umani
Damares Alves: come se in questo periodo i due settori
non chiedessero vigilanza e massima presenza istituzionale. Si
pensi alle carceri con la cifra astronomica di 800.000 detenuti e
alla violenza domestica in quarantena.
In questo contesto domenica 19 aprile,
giorno dell’esercito, il signor Bolsonaro ha ritenuto opportuno
presentarsi davanti alla caserma generale dell’esercito a Brasilia
radunando suoi accoliti inneggianti alla fine dell’isolamento
sociale, alla reintroduzione dell’Atto Istituzionale 5/AI-5 emanato
nel 1968 dalla dittatura militare, alla chiusura del
Parlamento e del Supremo tribunale federale/STF. Il virus
dell’attacco alle istituzioni dilaga pericoloso e volgare.
Chiudo queste osservazioni personali traducendo un testo
di João Vicente Goulart, medico, figlio
di Jango, il presidente João Goulart che, insieme a un gruppo di
straordinaria qualità di politici, quadri sindacali e
studiosi, con coraggio nel suo breve mandato aveva messo
all’ordine del giorno riforme strutturali di vasta portata. Il
colpo di Stato militare del 31 marzo 1964 spezzava tale percorso.
Nell’agosto 2016 di nuovo l’élite oscurantista ha voluto
interrompere il percorso riformatore moderato dei governi di
centrosinistra. La rottura del rispetto della Costituzione ha
aperto una deriva fascistizzante che oggi mostra il suo volto
feroce e disumano. Le parole di João Vicente ci dicono che c’è
un'altra strada proprio nel giorno, il 21 aprile 1960, in cui 60
anni fa veniva inaugurata la nuova capitale di Brasilia simbolo,
nella sua bellezza architettonica, di una grande speranza. (T.I.
23/4/2020)
Coronavirus: la rivoluzione dei cieli
João Vicente Goulart
Nella solitudine del confinamento umano, un tempo di
riflessione, un tempo che dà priorità all’esistenza del regno
animale, delle foreste sussurranti, dei mari silenziosi, della
quiete della Natura, che si muove ed esige cambiamenti.
L’umanità si è fermata, le necessità dell’uomo sono in discussione,
i privilegi della ricchezza tacciono, la mobilità solo avviene a
favore degli animali, il potere acquisitivo si arrende davanti alla
morte e la vita deve essere ripensata.
L’essere umano ripensa la propria esistenza planetaria e vede,
obbligato da una tragedia celestiale, l’insensatezza del
capitalismo nel processo di accumulazione e profitti, e che
l’essenza dell’esistere passa innegabilmente dalla relazione umana,
trasportata dalla coesistenza con solidarietà, umanesimo, comunità
e di nuovo solidarietà, mostrando agli esseri umani che non sono
divinità, né padroni del proprio destino.
I club delle élites, macchinoni, yacht, casinò, aerei privati e
altri lussi, gli acquisti nella 5th Avenue con il fascino
della Grande Mela, o degli Harrods della Londra imperiale,
si arrendono alla realtà che non sono in questo viaggio per sempre.
Siamo solo di passaggio e non dobbiamo sfidare le forze di energia
onnipresente che ci governa perché impareremo per forza che il
nostro ultimo sospiro, soffiando il coronavirus, ci mostrerà che
non siamo stati sufficientemente meritevoli, con le tasche piene,
per evitare la morte.
È la rivoluzione dei cieli che raggiunge la Terra.
Il Pianeta ci mostra la sua forza, stanco degli abusi, solcato da
ferite, tinto di fumo e caricando l’umanità sulle spalle brucianti
e sanguinanti, per l’incomprensione della relazione con la vita,
per l’indifferenza verso le disuguaglianze che abbiamo creato,
senza dare attenzione ai nostri esseri vivi e simili.
La rivoluzione si installerà portando un nuovo sentimento, di
cambiamenti profondi, spirituali, metafisici, esistenziali e
collettivi per convivere in società.
Tutto per una forza fino ad ora ignota.
Coronavirus è il nome dell’allarme e la realtà della
riflessione.
Fino a quando non diremo l’uno all’altro: camminiamo insieme?
Fonte: Vermelho, 21/4/2020
Testo e traduzione di Teresa Isenburg |
Latinoamerica-online.it a
cura di Nicoletta Manuzzato |