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Calpestando Antigone

Era solo il funerale di un bimbetto di sette anni che una meningite meningococcica si era portato via in poche ore. Era solo il commiato di un vecchio nonno da un nipote amato. Ma il primo si chiamava Arthur Lula da Silva, il secondo Luiz Inacio Lula da Silva. Entrambi dovevano essere puniti per il nome che portavano. Venerdì 1° marzo Arthur spirava nell’ospedale di Santo André. La richiesta degli avvocati del prigioniero politico Lula di prendere parte al rito funebre ha ottenuto risposta limitata, impedendo la veglia che si sa quanto importante per un credente cattolico e limitando a breve tempo la presenza al rito funebre presso il crematorio del cimitero Jardim da Colina di São Bernardo do Campo il 2 marzo.

Il blocco di forze al potere ha voluto trasformare l’antico rito del commiato funebre in un trionfo sul nemico che ne ossessiona i sonni: uno spiegamento di polizia militare ha bordeggiato i sentieri del verde sobrio cimitero, polizia federale in assetto di guerra ha circondato la mite figura del presidente, elicotteri rumorosi ronzavano in circolo ravvicinato sulla zona: una "scorta d'onore" unica. Lula ne esce gigante di dignità, di umano sentire, di impossibilità di piegare di un solo centimetro l’indomito combattente per la giustizia sociale. Una numerosa presenza ha circondato i famigliari nonostante i mille divieti, l’accesso proibito alla stampa, lo sforzo di nascondere le informazioni. Uomini e donne normali, occhi lucidi di adulti feriti dal dolore e dall’oltraggio. (T.I. 2/3/2019)

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato