Latinoamerica-online.it |
Brasile, agosto 2020-agosto 2016
Teresa Isenburg
Quattro anni fa, il 30 agosto 2016, la presidente Dilma Rousseff
veniva deposta per decisione del Senato presieduto dal ministro del
Supremo Tribunale Federale/STF Ricardo Lewandowski. Le accuse a lei
imputate non concernevano reati previsti dalla Costituzione del
1988 né dalle leggi che regolano tale possibile pratica. Assumeva
la massima carica Michel Temer, già vicepresidente, grande
manovratore della lunga cospirazione sotterranea ed eversiva
cresciuta per vie oscure e mercanteggiamenti di tutti i tipi.
Rapidamente Temer cominciava a pagare il debito contratto con
i suoi mandanti ed alleati, cioè l’élite bianca imbevuta di
mentalità e cultura schiavista, che non sopportava il moderato
riformismo del governo di centrosinistra che fra il 2003 e il
2016 si era sviluppato sotto la presidenza di Lula e di Dilma.
Già a dicembre 2016 l’esecutivo frutto del golpe presentava e un
Congresso obbediente, in cui non pochi deputati avevano ottenuto
contropartite varie, votava la PEC/Proposta di emendamento
costituzionale 55, detta Pec della morte, che bloccava il tetto di
spesa pubblica per vent’anni. Iniziava con tempi molto compressi lo
smontaggio dell’azione precedente di governo volta a onorare
l’infinito debito sociale storico con incremento di scuola
pubblica, sanità universale, abitazione popolare, sostegno al
reddito e insieme si scatenava l’attacco frontale alle relazioni
industriali con una revisione di sistema pensionistico, stabilità
di occupazione, ruolo dei sindacati, ecc. Un progetto neoliberista
da manuale, ovviamente comprensivo di privatizzazioni a prezzi
stracciati e senza licitazione di interi settori produttivi,
soprattutto industriali, costruiti nel corso di decenni con i
denari di tutti i cittadini e le cittadine.
Ma perché questa furia devastatrice e questa fretta esasperata
invece di aspettare tranquillamente le elezioni? L'élite bianca
schiavista non era tanto sicura di vincere le elezioni del 2018 ed
era anche, e forse soprattutto, animata da un forte odio sociale
venato da desiderio di vendetta di classe; probabilmente, anzi
certamente, trovava appoggi al di fuori dei confini della
Federazione. Tre indirizzi assunti e portati avanti in modo
abbastanza deciso e dichiarato di inclusione sociale hanno, nel
corso di una dozzina di anni di governo di centrosinistra, fatto
vacillare i riferimenti identificativi dell'élite: in particolare
la messa in discussione dell’egemonia bianca (privilegio branco
e prejuizo de cor), la costruzione attraverso la politica
estera di una dignità nazionale riconosciuta che invalidava il
disprezzo per il proprio paese e i suoi cittadini tipico dell'élite
e, naturalmente, la paura di perdere vantaggi materiali.
Credo che tre misure specifiche siano state vissute con particolare
sofferenza (e insofferenza) da parte dell'élite monolitica passata
praticamente indenne dalla schiavitù alla Repubblica nelle sue
diverse fasi. La politica delle quote ha reso visibile la presenza
di neri in luoghi loro tradizionalmente preclusi (senza bisogno di
leggi di apartheid) quali istruzione superiore e universitaria,
professioni liberali, incarichi dirigenti in uffici pubblici. La
politica salariale, che stabiliva un aumento regolare e costante
anno dopo anno del salario minimo un po’ al di sopra
dell’inflazione reale, consentiva a strati sociali abitualmente
invisibili di accedere a consumi quali un viaggio in aereo e
proiettava nel tempo un miglioramento economico duraturo destinato
a coinvolgere liquidazione, pensione, ecc. Infine la realizzazione
della CNV/Commissione Nazionale della Verità ha dato un colpo
simbolico (sfortunatamente non giudiziario) alla sicurezza
dell’impunità per chi da sempre (e possibilmente per sempre)
controllava le leve del potere.
Come poteva essere che cinquant’anni dopo il colpo di Stato
militare del 1964 una donna (una donna?!) osasse squadernare sotto
gli occhi di tutti l’ignominia compiuta per vent’anni contro i
cittadini e dare nome alle colpe e ai colpevoli e buttare all’aria
il tappeto sotto il quale si era voluto nascondere la spazzatura?
Certo, per anni e anni forze democratiche e militanti avevano
denunciato gli orrori della dittatura: ma era facile per i mass
media trattare la faccenda come una questione che riguardava
minoranze estremiste. La CNV ha rotto uno schermo che raccontava
una storia manipolata. Tutto ciò è stato insopportabile per
l’élite, bisognava punire e così si è arrivati al golpe di agosto
2016.
I trenta talenti di Michel Temer sono stati due anni di finta
presidenza. Il suo compito è stato quello di fare, in combutta con
un Parlamento manipolato, leggi su leggi antisociali,
antinazionali, antiambientali. Io credo che il progetto dell'élite
fosse di vincere le elezioni politiche e presidenziali dell’ultimo
trimestre 2018 con un candidato neoliberista di centro e riprendere
i posti di potere abituali, facendo scomparire nell’oblio la
rottura istituzionale del golpe del 2016. Ma le cose non sono
andate così. Nel 2018 i partiti tradizionali di centro sono
scomparsi, mentre sono stati eletti parlamentari e anche
governatori praticamente ignoti e il candidato neoliberista
predestinato non è arrivato al secondo turno. Così, per odio verso
il candidato democratico di sinistra moderato Fernando Haddad,
è risultato eletto Bolsonaro, espressione di un'estrema destra
fascistizzante.
Non è facile ricostruire come tutto ciò sia avvenuto, quali i
complessi meccanismi che hanno agito sulla scena e dietro le
quinte. Enorme è stata la campagna di odio contro il PT/Partito dei
Lavoratori e contro forze e singoli cittadini democratici. A
questo fine è stato utilizzato il processo farsa contro l’ex
presidente Luiz Inácio Lula da Silva, messo in azione mediatica
accelerata subito dopo il golpe nel settembre 2016. La vicenda è
nota: attraverso procedure giudiziarie fantasiose e non previste
dai codici, Lula è stato arrestato e sequestrato il 7 aprile 2018
e così mantenuto fino all’8 novembre 2019. Il lavoro informativo
svolto del giornale The Intercept Brasil ha dato prove
puntuali dell’illegalità continuativa del processo stesso.
Gran parte della responsabilità della rottura istituzionale e della grave
deriva autoritaria che si realizza a partire da inizio 2019, e che
continua ad accentuare il proprio carattere anticostituzionale,
ricade sul potere giudiziario. Non solo sul gruppo di magistrati,
procuratori e giudici della sede di Curitiba, in realtà
manovalanza di un progetto altrui per il quale non avevano né forza
autonoma né capacità stategica, ma, moltissimo, sugli alti istituti
del potere giudiziario che hanno lasciato dilagare comportamenti
lontani da procedure e codici, quando non hanno direttamente
emanato sentenze e disposizioni prevaricatrici. Ad esempio, fra
tante, avere dato copertura formale all’impedimento di
assunzione di cariche o candidature da parte dell’ex presidente
Luiz Inácio Lula da Silva.
Vorrei qui solo ancora indicare quali sono i gruppi sociali ai
quali Bolsonaro si appoggia (cosa distinta da coloro che lo hanno
votato) e che hanno forti rappresentanze all’interno dell’esecutivo
federale. Non pochi sono i legami con militari che occupano un
elevato numero di cariche di diverso livello nell’esecutivo.
Militari non significa forze armate come un tutto. Molto
condizionante è la presenza dei quadri dirigenti di strutture
religiose, in particolare pentecostali e neopentecostali, ma anche
presbiteriani. Il mondo evangelico ha convogliato voti su
Bolsonaro e ha una posizione rozzamente aggressiva per imporre a
tutto il paese la propria visione cosiddetta morale in materia di
opzioni sessuali, controllo del corpo femminile, rifiuto delle
conoscenze scientifiche, impedimento della libertà di insegnamento.
Vi è poi il settore di diretto appoggio e manovra della famiglia
Bolsonaro, cioè le milizie, in particolare di Rio che controllano
territori e non di rado allungano le loro propagini all’interno
delle forze dell’ordine, creando una situazione di grave
illegalità. Si tratta di sottomondi periferici rispetto alle
strutture istituzionali socialmente riconosciute e variamente
regolate che formano normalmente il corpo di una società civile.
Nel corso dei mesi iniziati a gennaio 2019 il Brasile è stato
sottoposto a una specie di punizione collettiva che ha fatto fare
un grande passo indietro. In materia ambientale l’aggressione è
brutale; la deriva della giustizia non viene affrontata con la
fermezza necessaria nonostante la documentazione degli abusi
passati e in corso, in un contesto di scandalosa selettività
dell’uso del potere giudiziario; il quadro economico vacilla;
misure autoritarie gravi, fascistizzanti, avvengono alla luce del
sole, come la schedatura di poliziotti per “reato” di antifascismo,
l’invito alla delazione di insegnanti per quello che dicono a
lezione, la tolleranza o meglio il plauso di manifestazioni che
attaccano le istituzioni sventolando simboli nazisti e simili. Su
tutto questo la pandemia ha bloccato la possibilità di
manifestazioni, mentre la gestione negazionista della stessa da
parte del governo federale ha costato fino ad ora 118.000 decessi.
Richiamo alla memoria questi fatti non solo perché penso che sia
opportuno avere un'idea di quello che avviene in uno dei grandi
paesi del mondo e di cui la stampa italiana parla a sprazzi, ma
anche perché ritengo che gli organismi dirigenti dell'Unione
Europea e dell’Italia in particolare abbiano un pericoloso
atteggiamento distratto al riguardo della deriva democratica in
alcuni paesi dell’America del Sud. O per meglio dire hanno una
distrazione selettiva: alcune nazioni sono sottoposte a continue
ingerenze, sanzioni, denigrazione, altre vengono trascurate, ad
esempio la Bolivia devastata dal golpe contro Evo Morales del
novembre 2019. Nel caso specifico del Brasile si tace sulla deriva
autoritaria mentre non lascia tranquilli il fatto che persone note
e di primo piano abbiano dato pubblicamente credito ai magistrati
di Curitiba infedeli alla Costituzione e ai codici o che politici
noti abbiano sentito l’urgenza di esprimere grande soddisfazione
per l’ascesa di Bolsonaro. La democrazia non è divisibile ed è bene
non ammiccare con esecutivi autoritari. E neanche tacere e guardare
dall’altra parte.
San Paolo, 29/8/2020
|
Latinoamerica-online.it a
cura di Nicoletta Manuzzato |